martedì 18 novembre 2008

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici - “A venti anni dalla Christifideles Laici: memoria, sviluppo, nuove sfide e compiti”
2) ELUANA/ L’ultima speranza è caduta di fronte a una sentenza assurda - Mario Mauro - martedì 18 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
3) Dietro il caso Englaro, il rischio di fare dell’uomo un oggetto - Le dichiarazioni del Cardinale Camillo Ruini, ospite di “A Sua Immagine”
4) La dignità umana è un dato oggettivo e riconosciuto, o no? - di Carlo Casini*
5) 17/11/2008 12:57 – VIETNAM - Nuovo attacco contro la parrocchia di Thai Ha - di J.B. An Dang - Un funzionario del Comitato del popolo tenta di tenere occupati i Redentoristi, mentre membri delle organizzazioni del Partito attaccano la cappello di San Gerardo. Chiamati da campane, telefonate ed e mail, accorrono centinaia di fedeli e gli assalitori si allontanano. L’operazione suscita inquietanti interrogativi.
6) 17/11/2008 12:45 INDIA Estremisti indù attaccano chiesa pentecostale a Mumbai di Nirmala Carvalho Il pastore è stato malmenato, picchiato e lasciato in strada privo di sensi. I radicali indù accusano la comunità di fare conversioni. Mons. Fernandes, vescovo di Bombay: “Queste sono azioni di terrorismo”. A rischio la democrazia indiana.
7) Il mondo a gambe all’aria - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 17 novembre 2008 - Ricominciamo a costruire sulla roccia
8) 18/11/2008 9.31.18 – Radio Vaticana - Accogliere la sfida della vita: così, il cardinale Bagnasco sulla vicenda di Eluana Englaro
9) CDO/ Giannino: quando scambiare visioni ed esperienze “moltiplica” le pmi. Altro che finanza creativa… - Oscar Giannino - martedì 18 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
10) ELUANA/ Bergonzoni: vi spiego il mio no al dogmatismo della scienza e del diritto - INT. Alessandro Bergonzoni - martedì 18 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
11) L’ESEMPIO/ Imprenditori si incontrano: un caso esemplare di rete fra Pmi - Redazione - lunedì 17 novembre 2008 – IlSussidiario.net
12) PIÙ DI UN QUARTO DEI RAGAZZI, SECONDO L’ISTAT - L’Italia dei figli unici. - Ma quando diventeranno grandi? - MARINA CORRADI – Avvenire, 18 novembre 2008
13) CI SONO IN GIRO AFFERMAZIONI TROPPO BANALI – Che cosa vuol dire amare nel caso difficile di Eluana - GIACOMO SAMEK LODOVICI – avvenire, 18 novembre 2008
14) BENIGNI-DANTE, DIETRO L’AZZARDO LA GRATITUDINE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 novembre 2008


Benedetto XVI alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici - “A venti anni dalla Christifideles Laici: memoria, sviluppo, nuove sfide e compiti”
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 17 novembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo sabato in udienza i partecipanti alla XXIII Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici sul tema “A venti anni dalla Christifideles Laici: memoria, sviluppo, nuove sfide e compiti”.
* * *
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di incontrare oggi tutti voi, Membri e Consultori del Pontificio Consiglio per i Laici, riuniti in Assemblea Plenaria. Saluto il Signor Cardinale Stanisław Ryłko e Mons. Josef Clemens, Presidente e Segretario del Dicastero, e insieme con loro gli altri Prelati presenti. Un benvenuto speciale rivolgo ai fedeli laici provenienti da diverse esperienze apostoliche e vari contesti sociali e culturali. Il tema scelto per la vostra Assemblea - "A vent'anni dalla Christifideles laici: memoria, sviluppo, nuove sfide e compiti" – ci introduce direttamente nel servizio che il vostro Dicastero è chiamato ad offrire alla Chiesa per il bene dei fedeli laici del mondo intero.
L'Esortazione apostolica Christifideles laici, definita la magna charta del laicato cattolico nel nostro tempo, è il frutto maturo delle riflessioni e degli scambi di esperienze e di proposte della VII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ebbe luogo nel mese di ottobre del 1987 sul tema "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo". Si tratta di una rivisitazione organica degli insegnamenti del Concilio Vaticano II riguardanti i laici – la loro dignità di battezzati, la vocazione alla santità, l'appartenenza alla comunione ecclesiale, la partecipazione all'edificazione delle comunità cristiane e alla missione della Chiesa, la testimonianza in tutti gli ambienti sociali e l'impegno a servizio della persona per la sua crescita integrale e per il bene comune della società –, temi presenti soprattutto nelle Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes, come anche nel Decreto Apostolicam actuositatem.
Mentre riprende gli insegnamenti del Concilio, la Christifideles laici orienta il discernimento, l'approfondimento e l'orientamento dell'impegno laicale nella Chiesa fronte ai mutamenti sociali di questi anni. Si è sviluppata in molte Chiese particolari la partecipazione dei laici grazie ai consigli pastorali, diocesani e parrocchiali, rivelandosi molto positiva in quando animata da un autenticosensus Ecclesiae. La viva consapevolezza della dimensione carismatica della Chiesa ha portato ad apprezzare e valorizzare sia i carismi più semplici che la Provvidenza di Dio dispensa alle persone, sia quelli che apportano grande fecondità spirituale, educativa e missionaria. Non a caso, il Documento riconosce e incoraggia la "nuova stagione aggregativa dei fedeli laici", segno della "ricchezza e della versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale" (n. 29), indicando quei "criteri di ecclesialità" che sono necessari, da una parte, al discernimento dei Pastori e, dall'altra, alla crescita della vita delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. A questo riguardo desidero ringraziare il Pontificio Consiglio per i Laici, in modo tutto speciale, per il lavoro compiuto durante gli scorsi decenni nell'accogliere, accompagnare, discernere, riconoscere e incoraggiare queste realtà ecclesiali, favorendo l'approfondimento della loro identità cattolica, aiutandole a inserirsi più pienamente nella grande tradizione e nel tessuto vivo della Chiesa, e assecondando il loro sviluppo missionario.
Parlare del laicato cattolico significa riferirsi a innumerevoli persone battezzate, impegnate in molteplici e svariate situazioni per crescere come discepoli e testimoni del Signore e riscoprire e sperimentare la bellezza della verità e la gioia di essere cristiani. L'attuale condizione culturale e sociale rende ancora più urgente questa azione apostolica per condividere a piene mani il tesoro di grazia e di santità, di carità, dottrina, cultura e opere, di cui è composto il flusso della tradizione cattolica. Le nuove generazioni sono non solo destinatarie preferenziali di questa trasmissione e condivisione, ma anche soggetti che attendono nel proprio cuore proposte di verità e di felicità per poterne rendere testimonianza cristiana, come già accade in modo mirabile. Ne sono stato, io stesso, nuovamente testimone a Sydney, nella recente Giornata Mondiale della Gioventù. E perciò incoraggio il Pontificio Consiglio per i Laici a proseguire l'opera di questo provvidenziale pellegrinaggio globale dei giovani nel nome di Cristo, e ad adoperarsi per la promozione, ovunque, di un'autentica educazione e pastorale giovanile.
Conosco anche il vostro impegno in merito a questioni di speciale rilevanza, com'è quella della dignità e partecipazione delle donne nella vita della Chiesa e della società. Ho avuto già occasione di apprezzare il Convegno da voi promosso a vent'anni dalla promulgazione della Lettera apostolica Mulieris dignitatem, sul tema "Donna e uomo, l'humanum nella sua interezza". L'uomo e la donna, uguali in dignità, sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella società in tutte le sue dimensioni. Alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santità, di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell'umano che le caratterizza. Mai si dirà abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo.
Permettetemi, cari amici, un'ultima riflessione riguardante l'indole secolare che è caratteristica dei fedeli laici. Il mondo, nella trama della vita familiare, lavorativa, sociale, è luogo teologico, ambito e mezzo di realizzazione della loro vocazione e missione (cfr Christifideles laici, 15-17). Ogni ambiente, circostanza e attività in cui ci si attende che possa risplendere l'unità tra la fede e la vita è affidato alla responsabilità dei fedeli laici, mossi dal desiderio di comunicare il dono dell'incontro con Cristo e la certezza della dignità della persona umana. Ad essi spetta di farsi carico della testimonianza della carità specialmente con i più poveri, sofferenti e bisognosi, come anche di assumere ogni impegno cristiano volto a costruire condizioni di sempre maggiore giustizia e pace nella convivenza umana, così da aprire nuove frontiere al Vangelo! Chiedo dunque al Pontificio Consiglio per i Laici di seguire con diligente cura pastorale la formazione, la testimonianza e la collaborazione dei fedeli laici nelle più diverse situazioni in cui sono in gioco l'autentica qualità umana della vita nella società. In particolar modo, ribadisco la necessità e l'urgenza della formazione evangelica e dell'accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune.
Il lavoro nella grande vigna del Signore ha bisogno dichristifideles laici che, come la Santissima Vergine Maria, dicano e vivano il "fiat" al disegno di Dio nella loro vita. Con questa prospettiva, vi ringrazio dunque del prezioso vostro apporto a così nobile causa e di cuore imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]


ELUANA/ L’ultima speranza è caduta di fronte a una sentenza assurda - Mario Mauro - martedì 18 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
È caduta anche l'ultima speranza. La speranza di salvare una vita, di non interrompere il suo corso. Ha tutto il sapore di una condanna a morte quella cui abbiamo assistito venerdì sera, quando si è diffusa la notizia che la Corte di Cassazione si era pronunciata definitivamente sul caso di Eluana Englaro, la giovane lecchese in stato vegetativo persistente a seguito di un incidente stradale dal gennaio 1992. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato nel luglio scorso dal pubblico ministero presso la Procura Generale della Corte di appello di Milano.
Una condanna gelida, fredda, calcolata appuntata sulle carte - ventun fogli - di un documento che, di fatto, avvalla la decisione del padre di Eluana, Beppino Englaro, di interrompere l'alimentazione, l'idratazione e, quindi, la vita della giovane donna.
Mentre la richiesta della Procura è stata giudicata «priva di legittimazione», di fronte alle crude parole della sentenza che chiude una vicenda giudiziaria durata quasi diciassette anni si è inneggiato alla "soluzione logica", alla "sentenza ineccepibile, perfetta". E ora resta solo il silenzio attonito di chi non può far altro che ascoltare un giudizio senza alcune possibilità di appello.
Il complesso iter giudiziario mediante il quale si è arrivati a questa condanna a morte non può che lasciare sconcertati anche sotto il profilo prettamente giuridico.
Siamo di fronte, infatti, a uno stravolgimento della Costituzione repubblicana. Dall’art. 2 della Costituzione dottrina e giurisprudenza desumono la tutela del diritto alla vita. A sua volta l’art. 30 della stessa stabilisce che è dovere dei genitori mantenere i figli. Come può un giudice sostenere che nel concetto di mantenimento dei genitori rientra l’uccisione della propria figlia?
E, su un piano ancora più generale, come può un giudice sostenere che per anni la norma che consentiva tale uccisione esisteva nel sistema, improntato invece a una prospettiva personalistica, e nessuno se n’è accorto?
È chiaro che siamo di fronte a un caso in cui il potere giudiziario esonda dai propri limiti per usurpare il posto della politica. E per affermare una propria concezione della Costituzione, secondo la quale essa non stabilisce delle regole fondamentali, ma costituisce un mero simulacro il cui contenuto viene invece determinato dal giudice. Quest’ultimo, come è noto, non gode di una legittimazione democratica e nel momento in cui cerca di andare al di là dei propri compiti, non applicando la legge, ma creandola, dando voce a una presunta coscienza sociale, tenta di esercitare una funzione rappresentativa che mal si attaglia alla sua indipendenza e terzietà.
Come spiegare altrimenti la nota con cui il Primo Presidente della Corte di cassazione ha accompagnato la sentenza dell’autunno 2007, che accoglieva l’istanza di Beppino Englaro?
In un sistema che funziona il giudice “parla” con le sentenze. Se la sentenza non era chiara, andava scritta meglio; ma se era chiara, quale era la funzione della nota, se non quella di cercare un consenso nell’opinione pubblica, alla stregua invece degli organi politici?
Di Eluana si è parlato tanto. Si è parlato del suo caso, forse dimenticandosi che, per prima cosa, si stava parlando di una vita. Una vita che pulsa, che scorre e a cui non viene data giustizia. L'abbiamo vista giovanissima in quelle foto: bella, sorridente, spensierata. Ora la ragazza ritratta in quelle immagini è una donna. Una donna che ha sofferto nel corpo, ma che è stata amorevolmente curata, protetta, nutrita e idratata per 17 anni.
Il pensiero non può non andare a quella stanza di Lecco dove Eluana oggi vive, dove Eluana combatte, dove Eluana spera, non sapendo quale destino la attende. Nella casa di cura "Beato Luigi Talamoni", da quattordici anni sulla giovane vegliano le suore Misericordine che la ricoprono di cure e di affetto e chiedono di poterla tenere con loro, di continuare ad amarla e accudirla.
Ma la loro e la nostra speranza stata strappata per atroce sentenza, invocando l'eutanasia, senza mai nominarla. Perché di eutanasia si tratta, di dolce morte, appunto.
Ma la fine di Eluana non avrà nulla a che vedere con la dolce morte. Perché Eluana Englaro non è attaccata a nessuna macchina, ma alimentata e idratata attraverso un sondino. È una vita - una giovane vita - semplicemente incapace di nutrirsi da sola, come un neonato o come qualsiasi persona inferma. E questa àncora, questo solido contatto che la tiene legata alla vita le verrà strappato senza pietà e con dolore, affermando che con questo gesto atroce si è adempiuta la volontà di Eluana, si è fatto un atto di pietà.
Ma quale pietà ci può essere se si nega l'esistere? In nome di quale giustizia si può disporre della vita di una persona, decidendone la sorte, per giunta ricorrendo alle parole leggere, pronunciate di sfuggita, nell'ingenuità della giovinezza, quando, nel pieno delle forze, capita di parlare di un dolore che non si conosce e che ci si augura di non dover provare su di sé?
Ciò che è innegabile è che nessuna malattia, nemmeno la più grave, può privare un uomo o una donna della dignità che le è propria, né sospendere i diritti fondamentali o erodere il diritto alla vita. E la perdita di questa nobile, antica, sacrosanta consapevolezza, di fronte a un tribunale che si sostituisce alle leggi del nostro Paese, ancor prima di suscitare critiche o sdegno suscita un profondo e commosso dolore.


Dietro il caso Englaro, il rischio di fare dell’uomo un oggetto - Le dichiarazioni del Cardinale Camillo Ruini, ospite di “A Sua Immagine”
ROMA, lunedì, 17 novembre 2008 (ZENIT.org).- Dietro il caso di Eluana Englaro, la donna originaria di Lecco in stato vegetativo da quasi 17 anni, si cela il rischio di considerare l’uomo come un oggetto.
Ad affermarlo è stato il Cardinale Camillo Ruini, Presidente del Comitato per il Progetto culturale dal Consiglio Episcopale permanente della CEI, intervenendo domenica alla trasmissione “A Sua Immagine”.
Il Cardinale ha da subito confessato di aver appreso “con grande tristezza e anche con un certo smarrimento”, il recente pronunciamento della Cassazione che ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, il ricorso della Procura generale di Milano sulla vicenda di Eluana, che di fatto ne ha autorizzato la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione.
“Non pensavo che a distanza di pochi anni, si potesse ripetere in Italia quello che è accaduto negli Stati Uniti con Terry Schiavo”, ha aggiunto il porporato affermando di sentirsi molto vicino alle Suore Misericordine che per 14 anni hanno accudito Eluana.
“Questa sentenza è profondamente, tragicamente, sbagliata, certamente per la sorte concreta di Eluana, e potenzialmente per la sorte di tante altre persone che in Italia sono nelle sue stesse condizioni”, ha commentato.
“Ma c’è qualcosa che ancora molto più generale, che riguarda tutti noi – ha precisato –. C’è il rischio che decisioni come questa spingano a considerare l’uomo non come un vero soggetto, ma come un oggetto, che può essere trattato come tutti gli altri oggetti”.
“Alla base di tutto c’è, secondo me, un grande equivoco, quello di considerare oggi Eluana alla luce di quello che era ieri, prima che avesse l’incidente”, ha spiegato.
“L’Eluana di ieri conduceva una vita completamente diversa, aveva esigenze diverse; l’Eluana di oggi ha esigenze modeste, ha bisogno di un po’ di cibo e di acqua e negarle questo è veramente un errore tragico”, ha quindi affermato.
“Io vengo da Reggio Emilia – ha raccontato il porporato – dove da molti anni c’è una Congregazione di suore che ha costruito delle case della carità dove vengono accolte tante persone che magari non sono nello stato vegetativo di Eluana, però non hanno assolutamente l’uso della ragione […] e tutte queste persone vengono assistite e io che ho visitato spesso queste case, so che, a loro modo, queste persone sono contente”.
Per questo, ha proseguito, “la Chiesa non rinuncerà mai […] a pregare per queste persone”, come “non potrà rinunciare al suo impegno culturale e pubblico, perché la gente capisca tutto questo e perché la cultura e le leggi ne tengano conto”.
“Non potrà rinunciare a far sì che l’uomo capisca di essere persona, di essere soggetto e non soltanto oggetto”, ha concluso.


La dignità umana è un dato oggettivo e riconosciuto, o no? - di Carlo Casini*
ROMA, lunedì, 17 novembre 2008 (ZENIT.org).- In merito alla valutazione della richiesta di Peppino Englaro di far morire sua figlia, la Cassazione ha detto che dobbiamo tener conto di ciò che uno pensa della propria dignità. Nel caso di Eluana bisognerebbe “tener conto della sua personalità e del suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, dell’idea stessa di dignità della persona, alla luce dei suoi valori di riferimento e dei convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici” (punto n. 9 delle motivazioni).
Ma allora il contenuto della dignità umana è variabile? Dipende dalle opinioni soggettive? È una qualità che si aggiunge all’esistenza nel senso che può esserci o non esserci? Non è più il fondamento dell’eguaglianza nel senso che è talmente al massimo livello da non consentire comparazione? Non è più “inerente” alla semplice esistenza umana come recitano le Carte internazionali dei diritti umani?
Parlando della condizione in cui vive Eluana un giornalista de ‘La Repubblica’ l’ha raccontata in un articolo intitolato: «Un giorno nella stanza di Eluana. Fisioterapia, sondini e un’ora nel parco, una giornata nel non-mondo di Eluana». (“La Repubblica” del 10 settembre 2008).
Leggiamo:
«Oggi questa donna di 36 anni sta al secondo piano della clinica, in una stanza da sola, dove siamo entrati anche noi. Non raramente è in penombra, con suor Rosangela quasi sempre accanto a lei. Lo fa dal 7 aprile del 1994. […] La sua bellezza ancora traspare, una bellezza di porcellana, dove qualcuno scorge il soffio della vita, e qualcuno no: ne intravede solo il diafano ricordo, un fantasma traslucido. Ma d’altra parte, gli stessi medici, al papà che chiedeva lumi, non avevano risposto: «Non abbiamo risposte, non abbiamo soluzioni»? Sua figlia, gli avevano detto, è una «non-morta, con gravi handicap». […] Ogni pomeriggio alle 17 una sacca beige, con dentro un "pappone", un composto di nutrimenti e medicine, viene pompato, attraverso il sondino nasogastrico, direttamente nello stomaco di Eluana, che ha perso la capacità di deglutire, non potrebbe cioè essere imboccata. Questo pasto dura dodici ore. Poi viene sostituito dalla sacca dell’acqua, per l’idratazione. Per evitare le piaghe - e non se n’ è mai formata una, tanto è efficiente l’ amore di suor Rosangela - Eluana viene spostata dal letto. E qua non c è il paranco, come nell’ ospedale, e non ci sono infermieri che protestano per la fatica: questa religiosa con spalle da artigliere l’abbranca, circonda con le sue forme e la sua forza quel fragile essere dalla testa ciondolante, mette Eluana a sedere sulla carrozzella, per un paio d’ore circa. Quando non ci sono giornalisti e fotografi (sarebbe vietato fotografare e pubblicare chi è incapace di intendere e volere, ma non si sa mai), la trasporta nel piccolo giardino, con panchine di pietra e fiori profumati. Comunque, Eluana va sorvegliata a vista, perché se non è imbracata, può cadere in avanti. Poi c’è la fisioterapia passiva, cioè «le mani altrui», un concetto che per Eluana equivaleva a una violenza, la toccano, la muovono, danno tono per quel che si può ai muscoli inerti come gomma. Succede anche tre volte al giorno, il tempo deve passare, le cure si devono eseguire».
Mettiamoci in atteggiamento di meditazione.
Chi abbiamo di fronte? Anzi: abbiamo sbagliato a chiederci “chi”? Dovevamo dire “cosa”? Suor Rosangela che dal 1994 lava, abbraccia, incoraggia, mette in poltrona e porta in giardino Eluana, forse le taglia le unghie, la profuma e la pettina, è affetta da necrofilia? Dal punto di vista sostanziale la “non-vita” di Eluana, il suo “non-mondo” rendono i gesti del padre, della madre, delle suore “Misericordine” simili nella sostanza, nonostante le diverse apparenze, al comportamento – ogni tanto si legge sui giornali – di congiunti che non denunciano la morte della moglie o del figlio o del genitore, che ne evitano la sepoltura, che continuano a tenerne il corpo in casa con sé rifiutando la fine della persona cara?
Vengono in mente le mille e mille madri e i fratelli e i familiari che da anni continuano ad assistere una persona cara che si trova nelle stesse condizioni di Eluana. Molte famiglie hanno cambiato vita per questo, cambiato lavoro, vacanze, abitazione. Molte sono divenute povere pur di assistere il figlio, la moglie, il marito che non parla, non cammina, che sembra soltanto, talvolta, stranamente sorridere. Ringrazia? Conosciamo alcuni di questi casi. Che pensano queste migliaia di mamme guardando la televisione e sentendo che Eluana deve morire? Che è giusto così? Sono loro che sbagliano tutto? Il loro è un sacrificio inutile? Hanno fatto del male a se stesse, ai figli, alla loro famiglia? Se la storia di Eluana termina con la morte decisa dalla società, cambieranno anche esse pensieri, riconosceranno nel pianto il loro errore? Volevano fare il bene del figlio e lo hanno fatto soffrire di più? Hanno consacrato tempo, sonno, denaro a un cadavere?
Eppure, eppure… Non c’è nessuno che non ammiri, che non lodi queste madri, questi padri, questo coniuge; che non si commuova ascoltando il loro racconto. Un racconto raro, perché di regola queste persone tengono la sofferenza nel segreto del loro cuore, non vanno dai giornalisti o dinanzi alle cineprese televisive. Il loro dolore, il loro coraggio lo consumano nel silenzio. Riflettiamo: nessuno dice che la loro è follia, che devono andare dallo psichiatra per farsi curare. Questo generale riconoscimento di valore dimostra che in Eluana c’è qualcosa di misterioso. Stando qui, idealmente in questa stanza, nella penombra, ci avvolge quasi un sentimento di venerazione.
Certo: quello che chiamano “fredda ragione” ci dice che potremmo impegnare meglio le nostre energie morali, intellettuali, materiali. È stato detto e scritto: ci sono bambini che muoiono di fame nel terzo mondo, ci sono dolori coscienti che potremmo alleviare, ci sono progressi tecnologici e scientifici più alti che potremmo ottenere se avessimo più denaro. Ma noi, irragionevolmente, sperperiamo inutilmente danari in cure futili, in assistenze costose. Potremmo utilizzare meglio in altri modi le nostre non inesauribili risorse economiche. Perché non chiudere gli istituti che accolgono “mostri”, malati di mente, disabili gravi che mai saranno utili alla società? C’è un tempo per nascere, uno per vivere, uno per morire. Anche questo è stato già detto. Vecchi senza memoria, senza capacità di relazione, un peso per gli altri. Risorse sprecate per le loro pensioni.
Come rispondere? La “fredda ragione” balbetta argomenti poco convincenti. Ma il cuore impetuosamente dice che è lodevole, ammirevole, che è bene continuare ad assistere i malati incurabili, i disabili, gli “inutili”, di cui Eluana è divenuta il simbolo estremo. E il cuore – si sa – spesso scopre ragioni che la mente non riesce subito a vedere.
È così diverso da noi quel corpo che “non vale più niente”? Eluana non è solitaria. Molti altri si trovano nelle stesse condizioni. Noi stessi, o prima o poi, potremmo trovarci in una simile condizione. Magari per tempi più brevi. Ma è la quantità che fa la differenza? Perché il limite è coessenziale all’esistenza umana? Perché la tragedia della morte? Perché il non contare di ciascuno di noi in contrasto con l’istintiva pretesa di essere, ciascuno, al centro dell’universo? Per il credente cristiano l’uomo è anima e corpo indissolubilmente uniti.
Dov’è l’anima di Eluana? È ancora in questo corpo oppure se ne è già andata? L’uomo è in alcuni centri corticali del cervello, oppure è qualcosa che va oltre? Il neonato, e prima di lui l’embrione e dopo di lui il bambino, per qualche non breve tempo non ha autocoscienza. Altri devono lavarlo, spostarlo, nutrirlo. Certo: lui è un concentrato di speranza; in Eluana c’è solo dolore e attesa della fine.
Ma, nonostante tutto, Eluana non è una cosa, non è un cadavere. L’anima è ancora in questo corpo violentato dall’incidente stradale, ma vivo. Ma il non credente che cosa può dire? A ben pensare egli ha già parlato e lo ha fatto in modo solenne. Anzi ad una voce con i credenti. Per vincere la paura, per ritrovare speranza, tutti i popoli della terra, credenti e non credenti, hanno stabilito che tutti i membri della famiglia umana, per il solo fatto di esistere, hanno una uguale dignità. È la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo che ha indicato il riconoscimento della dignità inerente all’esistenza come unica garanzia di libertà, di giustizia e di pace.
C’è qualcosa di misterioso in questa dignità sempre presente nella stessa misura in tutti e in ciascuno. Dignità significa valore, bellezza, significato. Sempre uguale, anche laddove i sensi colgono differenze enormi. Davvero il riconoscimento della uguale dignità umana costituisce il nucleo di una universale religione civile, che non contrasta con la visione di fede cristiana. Al contrario. Ciò che l’esperienza tragica delle dottrine di morte che hanno insanguinato la prima metà del secolo scorso ha postulato come antidoto contro la paura è straordinariamente illuminato dalla rivelazione cristiana sull’uomo. Per questo sostiamo idealmente tutti quanti, turbati e inquieti, accanto al letto di Eluana. Perché, ultimamente, su quel letto ci siamo tutti noi. C’è il giudizio sul valore di ciascuno di noi. Qualunque legge verrà adottata, se verrà fatta, non riguarderà soltanto Eluana, ma le molte altre Eluane, le molte madri e padri e sorelle e amici che la assistono. Anzi: in certo modo, tutti noi.
Così le ragioni delle mente si uniscono a quelle del cuore. Non è giusto che Eluana muoia per fame e per sete. Eluana ha diritto all’assistenza che le è sempre stata amorevolmente prestata. Ci sono tante famiglie dove la povertà o, più in generale, le condizioni di età, di salute, etc. non consentono una adeguata assistenza; dove, effettivamente la stanchezza diventa disperazione. È qui che si misura la civiltà di una intera società. La sua capacità di solidarietà dimostra concretamente la verità della sua proclamata fede nella dignità umana. Se una legge si deve fare, che sia una legge di solidarietà e di assistenza. Non una legge che condanna a morte i soggetti “inutili”, magari con il pretesto della “autodeterminazione”. Per Eluana. Per tutti noi.
Per approfondire l’argomento in questione:
-- Carlo Casini, Marina Casini, Maria Luisa Di Pietro, “Eluana è tutti noi. Perché una legge e perché no al ‘testamento biologico’” (Società Editrice Fiorentina).
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*Già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, attualmente è il Presidente del Movimento per la Vita italiano.


17/11/2008 12:57 – VIETNAM - Nuovo attacco contro la parrocchia di Thai Ha - di J.B. An Dang - Un funzionario del Comitato del popolo tenta di tenere occupati i Redentoristi, mentre membri delle organizzazioni del Partito attaccano la cappello di San Gerardo. Chiamati da campane, telefonate ed e mail, accorrono centinaia di fedeli e gli assalitori si allontanano. L’operazione suscita inquietanti interrogativi.
Hanoi (AsiaNews) – Suscita inquietanti interrogativi l’attacco condotto sabato notte da gruppi di attivisti del Partito comuista contro la cappella di San Gerardo, che si trova all’interno del terreno della parrocchia di Thai Ha. Simile a quello condotto il 21 settembre contro lo stesso obiettivo, esso ha visto la partecipazione di un delegato del Comitato del popolo di Quang Trung (municipio di quartiere), mentre forze di polizia e reparti della sicurezza assistevano passivamente al saccheggio della cappella, che non ha avuto gravi conseguenze solo per l’immediato arrivo sul posto di fedeli di Thai Ha e di altre parrocchie.
Padre Joseph Nguyen Van That, vicesuperiore del convento dei Redentoristi, che cura anche la parrocchia, racconta che “alle 10 di sera, un delegato del Comitato del popolo di Quang Tri è venuto al convento dicendo di volere un incontro urgente con i Redentoristi”. Una manovra “chiaramente diversiva”, mentre “centinaia di persone si riunivano per attaccare la cappella”.
C’erano funzionari di polizia, membri di un’associazione femminile, giovani del Partito. Hanno cominicato a gridare, a lanciare pietre contro il santuario, cercando di provocare allo scontro sacerdoti e fedeli presenti. A chiamare i cattolici erano state le campane della chiesa, ma anche telefonate ed e-mail indirizzate alle parrocchie di Hanoi. Alle 11 i fedeli erano abbastanza numerosi e, senza rispondere alle provocazioni, hanno tentato di entrare nella cappela.
Gli agenti, non intervenuti per fermare l’attacco, tentavano (nella foto) di non far entrare i fedeli. Un parrocchiano ha raccontato che ad un certo punto un gruppetto che stava partecipando all’attacco ha chiesto alla polizia se poteva appiccare il fuoco. “Attendete disposizioni dai funzionari”, è stata la risposta.
Alle 23.30 l’ingrossarsi del numero dei fedeli presenti ha spinto gli assalitori a lasciare il campo.
Eglises d’Asie riferisce che abitanti del quartiere hanno raccontato che fin dal pomeriggio, mentre in chiesa si celebrava la festa dei martiti vietnamiti, i Giovani comunisti erano riuniti nelle loro sedi per mettere a punto l’operazione. Lo stesso stava avvenendo, in contemporanea, nei locali della Sicurezza del quartiere.
Una lettera di denuncia dell’accaduto è stata indirizzata da padre Matthew Vu Khoi Phung, superiore del monastero, al Comitato del popolo di Hanoi ed alla polizia di Hanoi e del distretto di Dong Da.
A preoccupare i cattolici sono le domande sul perché dell’attacco, giunto dopo che si è conclusa nel modo voluto dalle autorità – e cioè con un rifuito - la richiesta dei Redentoristi di ottenere la restituzione del terreno della parrocchia. Qualcuno pensa ad una rappresaglia – il terreno che era stato concesso ad una impresa di abbbigliamento è stato trasformato in un parco pubblico – e teme che ci saranno ulteriori aggressioni contro monastero, parrocchìa e cappella.


17/11/2008 12:45 INDIA Estremisti indù attaccano chiesa pentecostale a Mumbai di Nirmala Carvalho Il pastore è stato malmenato, picchiato e lasciato in strada privo di sensi. I radicali indù accusano la comunità di fare conversioni. Mons. Fernandes, vescovo di Bombay: “Queste sono azioni di terrorismo”. A rischio la democrazia indiana.
Mumbai (AsiaNews) – Un gruppo di radicali indù hanno attaccato una chiesa pentecostale a Bhayander (Mumbai), distruggendo mobili e strumenti, picchiando il pastore e i fedeli, accusandoli di convertire persone al cristianesimo.
Il 15 novembre scorso, alle 12.30 del pomeriggio, un gruppo di 20 fondamentalisti indù della Vhp (Vishwa Hindu Parishad) e altri alleati sono entrati nella “Chiesa di Dio” di Bhayander, molto vicina alla stazione di polizia di Navgar.
Secondo testimonianze dei fedeli presenti, il gruppo ha gridato alcuni slogan (“Jai Hind; Jai Maharashtra; Jai Bajrang Bali”). Dopo aver dichiarato di essere del Vhp, hanno detto di avere precise informazioni che in quella chiesa avvenivano conversioni. Hanno poi urlato parolacce e offese e hanno cominciato a picchiare i presenti. Hanno preso il pastore, Felix Fernandes, e lo hanno malmenato strappandogli i vestiti e picchiandolo fino a fargli perdere i sensi, lasciandolo poi per strada.
Abraham Mathai, vicepresidente della Commissione statale per le minoranze, afferma che la chiesa pentecostale è stata aperta 20 anni fa. “Questi attacchi – ha detto ad AsiaNews – continueranno fino a che la polizia non ricercherà davvero i colpevoli. Queste forze fasciste stanno trasformando la nostra democrazia laica in un governo delle folle urlanti”.
Mons. Percival Fernandes, vescovo ausiliare di Bombay ed ex segretario generale della Conferenza dei vescovi indiani, ha definito “terrorista” questo attacco ingiustificato. “Queste attività – ha detto ad AsiaNews - hanno un solo scopo: creare e mantenere la paura e il disagio nelle persone e nelle comunità attaccate. Il terrorismo ha le sue radici nelle idee e si nutre dell’odio propagandato. Noi che teniamo alla pace dobbiamo fermarlo in tutti i modi possibili. Speriamo che i politici non usino questi metodi violenti solo per accattivarsi un po’ di voti”.
È la prima volta che una chiesa viene attaccata a Bombay dallo scorso agosto, quando un’ondata di violenze si è riversata contro i cristiani a partire dall’Orissa, per diffondersi poi in altri stati indiani (Madhya Pradesh, Chhattisghar, Karnataka, Andhra Pradesh, Kerala).
Il pastore Lovson Kurien, 40 anni, membro della Chiesa pentecostale, era presente alle violenze. “Il gruppo degli assalitori è fuggito quando è arrivata la polizia. Le forze dell’ordine hanno preso il povero pastore Felix e lo hanno portato all’ospedale. I danni alla chiesa si aggirano sulle 400 mila rupie (circa 6500 euro).
In connessione con la razzia, la polizia ha arrestato un gruppo di 20 persone, fra cui una donna, appartenenti a un gruppo radicale indù (lo Shiv Sena) e ha aperto un’inchiesta.


Il mondo a gambe all’aria - Autore: Salina, Giorgio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - lunedì 17 novembre 2008 - Ricominciamo a costruire sulla roccia
Da qualche giorno ho l’impressione di avere le vertigini perché vedo il mondo «alla rovescia, con le gambe per aria», come diceva la mia carissima Nonnina.
Inutile aggiungere altro a ciò che CulturaCattolica.it ha già scritto per Eluana Englaro, o al comunicato stampa di «Medicina e persona» o la lucida ed appassionata lettera di S.E.R. Mons. Luigi Negri, mentre riporto qui di seguito il periodo iniziale del volantino di Comunione e Liberazione:
«Che società è quella che chiama la vita “un inferno” e la morte una “liberazione”. Dov’è il punto di origine di una ragione impazzita, capace di ribaltare bene e male e, quindi, incapace di dare alle cose il loro vero nome?»

Fermo restando tutto ciò, segnalo due fatti, se vogliamo marginali, rispetto alla gravità di quanto accade. L’imparziale TG3R delle ore 14 del 14 novembre ha mandato in onda, sul tema della sentenza della Cassazione, un’intervista al Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni di ben 7 o 8 secondi, e quindi interviste a numerosi personaggi che hanno spiegato la grande civiltà giuridica di questa sentenza, profondamente umana, e l’incostituzionalità dell’obiezione di coscienza dei sanitari. Affermazione di eccezionale gravità.
Inoltre cito un passaggio della trasmissione «Porta a Porta» di giovedì 13 novembre, quando la radicale Onorevole Coscioni ha detto che Lei ha sempre stimato molto Giovanni Paolo II, che ha rifiutato le cure, chiedendo che lo si lasciasse morire. Bene ha fatto Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la vita, a zittirla severamente ricordando che i radicali hanno detto di tutto a quel grande Papa, e quindi ora devono lasciarlo stare, evitando di dire menzogne su di Lui.

Sulla tragedia di Eluana, che coinvolge drammi umani strazianti, ho ascoltato alla Radio un’intervista a Mons. Casale, Vescovo emerito di Foggia, che mi pare concordasse con l’applicazione della sentenza.
Io non so giudicare me stesso, figurarsi se giudico chiunque altro. In queste circostanze però mi aiuta ciò che don Giussani ci diceva per liberarci dalla schiavitù del preconcetto e del pregiudizio: «Meglio avere torto con la Chiesa, che aver ragione da soli.» La Chiesa con la sua voce autorevole: la CEI, le Accademie pontificie, quando non addirittura il Papa.

Comunque è chiaro che per l’opinione politically correct ci si deve inchinare alla sentenza definitiva della Cassazione, sentenza di grande spessore giuridico, che ci ha riportato allo Stato di diritto; inoltre la Magistratura deve essere rispettata! Ma alcuni di coloro che ci insegnano a rispettare la Magistratura non erano in aula a gridare «vergogna» alla lettura della sentenza sui “fatti di Genova durante il G8”? Qualcuno ha stigmatizzato questo comportamento?

Le bugie si dicono anche tacendo la verità. Che cosa importa se si dicono bugie sulla riforma della scuola e sull’Università per alimentare e cavalcare la protesta studentesca, strumentalizzandola a fini politici? Anzi siamo chiari: a fini partitici, ormai il gioco è evidente.
E che dire della RAI che dedica tutto il tempo riservato a questo argomento, alla sparuta minoranza che manifesta, ignorando la maggioranza?

Conosco anch’io l’aforisma per descrivere la notizia “giornalisticamente” interessante: non il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane. Però c’è un limite a tutto, magari con un minimo di obiettività ed equilibrio.

Tutti abbiamo presente la vicenda Alitalia; comunque la si valuti, gli scioperi selvaggi di questo giorni e gli altrettanto gravi scioperi bianchi dei Piloti, stanno procurando danni e disagi gravissimi, tra l’altro senza che gli scioperanti ci rimettano un centesimo di euro. Due Parlamentari di Italia dei Valori hanno presenziato l’Assemblea dei lavoratori, ed uno ha sostenuto il blocco totale ed immediato degli aeroporti. Come se non bastasse, il loro Leader, Sen. Di Pietro, ha sentenziato, contro il parere di tutti, ma proprio tutti, che i Piloti hanno ragione e fanno bene. Se questo non è il tanto deprecato tanto peggio, tanto meglio, che cosa è?

Ma non basta: per l’elezione del Presidente della Commissione di controllo della Rai, carica che per prassi è riservata all’opposizione, il Senatore Di Pietro ha deciso che deve essere eletto l’On. Leoluca Orlando. Poiché la maggioranza, confermando di voler riservare tale carica d un Esponente dell’opposizione, ha chiesto che questa indicasse una terna tra cui scegliere, Di Pietro, che da mesi si rifiuta, ribadendo che deve essere l’On. Orlando e solo Lui, ha accusato il Presidente del Consiglio di essere un Dittatore di stampo Sud Americano, insieme all’On Veltroni, secondo cui siamo oppressi da un regime.
Proprio Lui che solo pochi giorni or sono aveva osannato il “senso dello Stato” di Barack Obama e di John McCain che subito dopo l’esito delle urne si sono affrettati a legittimarsi vicendevolmente. La grave incoerenza è però solo dell’On. Veltroni, perché Lui, il Sen. Di Pietro può permettersi di dire tutto di tutti essendo Lui “il vero” ed “il giusto”. Lui che non ha mai riconosciuto di aver commesso il ben che minimo errore, … neppure in italiano, figurarsi.

A proposito del neo Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, perché il giorno dopo l’elezione la RAI, non ricordo più in quale trasmissione, ha invitato a parlarne solo l’On. Veltroni, legittimandolo come il Suo naturale alleato italiano? Tra l’altro dopo tutti gli elogi e le constatazioni di un vento nuovo che soffia anche sull’Europa, ed in particolare sull’Italia, propiziando l’imminente ritorno al potere della sinistra, dopo tutto ciò, come farà l’on. Veltroni a condannare la politica di Obama, quando questa non potrà discostarsi molto da quella di George W. Bush, soprattutto in politica estera? Ricordiamocelo questo.

Purtroppo anche la nostra vecchia Europa, o nuova Unione europea, non è esente da paradossi. Il 23 novembre 1993 è stata approvata una Direttiva sull’Orario di Lavoro, che all’articolo 5 prevede un periodo minimo di riposo settimanale, stabilendo che lo stesso “comprende in linea di principio la domenica”.
Il 12 novembre 1996 la Corte Europea di Giustizia ha annullato tale norma perché si è “omesso di spiegare per quale motivo la domenica, come giorno di riposo settimanale, presenterebbe un nesso più importante con la salute e la sicurezza dei lavoratori rispetto ad un altro giorno della settimana”.
Ma, a parte molte evidenti considerazioni, per esempio quale vita famigliare avrebbero gli europei se il marito riposa il martedi la moglie giovedì e i figli domenica? A parte queste ovvietà, gli Eccellentissimi Giudici sino ad ora quando hanno fatto “festa”? E la tradizione ha qualche valore per Loro, oppure no? Hanno bisogno di ulteriori spiegazioni? Chiamiamo le cose con il loro nome: questo è usare la giurisprudenza per lotte ideologiche!
Dopo anni di discussioni la Commissione Occupazione del Parlamento Europeo, trasmetterà all’Aula una proposta di nuova Direttiva, che sarà discussa in plenaria nella settimana dal 15 al 18 dicembre prossimi, vedremo come andrà a finire.

Perché tutte queste recriminazioni? Per un certo gusto del vittimismo? Per faziosità e vis polemica esasperata?
No, credo che il problema sia reale e molto più serio: forse è il momento di dire basta alle prese in giro. Abbiamo ridotto l’informazione, la politica e la convivenza a questa bassa cucina. Sono convinto che si debba reagire, compostamente ma fermamente.

C’è molto di tragico ma anche di grande di cui parlare! Nel mondo ci sono drammatiche violazioni dei diritti umani, tragedie per guerre e fame, ma anche grandezze ed eroismi, sia quotidiani che eccezionali. Solleviamo lo sguardo dal piatto, guardiamo il panorama che abbiamo di fronte, tutti, media compresi, e smettiamola di esasperare tutto, riconducendo tutto a stucchevoli querelle partitiche di basso livello. Non facciamoci più condizionare; reagiamo, compostamente, ma reagiamo.


18/11/2008 9.31.18 – Radio Vaticana - Accogliere la sfida della vita: così, il cardinale Bagnasco sulla vicenda di Eluana Englaro
“Il papà di Eluana parli con il mio, cambierà idea”: è l’appello di Bobby Schiavo, fratello di Terri, la donna americana in stato vegetativo, spentasi nel 2005 in Florida dopo 13 giorni senza idratazione e alimentazione. “Quella che è toccata a mia sorella – afferma Bobby al quotidiano “Avvenire” – è una delle morti più orribili e disumane. Nessuno dovrebbe essere mai più messo in quella situazione, in nessun posto al mondo”. Intanto, ieri un rapporto del Ministero della salute ha definito “assurdo” parlare di certezza di irreversibilità nel caso di persone che versano in stato vegetativo. D’altro canto, è sempre acceso in Italia il dibattito sull’eutanasia e sul testamento biologico dopo la sentenza della Corte di Cassazione che ha autorizzato la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione ad Eluana Englaro. Ma si può parlare di eutanasia nel caso di Eluana? Luca Collodi lo ha chiesto al cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana:

R. – Sì, c’è questo rischio molto grave e anche evidente. In quanto, sospendere l’idratazione e la nutrizione è sospendere le funzioni vitali di una persona umana, al di là della sua situazione fisica, di salute. Quindi, queste funzioni non possono assolutamente essere considerate delle terapie, dei farmaci invasivi o straordinari, ma assolutamente incommensurabili.


D. – Un recente studio del Ministero della Salute afferma che pur essendo poche le possibilità di recupero, lo stato vegetativo non può mai essere definito irreversibile. Lei concorda con questa analisi?


R. – Questo studio che non conoscevo fino a questo momento, conferma la assoluta cautela con cui dobbiamo affrontare questi temi della vita e della morte. Non soltanto per il valore intrinseco della vita, anche quando è ferita e quindi richiede una maggiore attenzione da parte della società e di tutti, ma in qualunque altra situazione. Soprattutto in questo momento il mistero della vita deve suscitare dentro alla società intera una riflessione molto più attenta e molto più umile.


D. –Cardinale Bagnasco, perché la società italiana sembra difendere più il diritto a morire che a vivere, “diritto” che peraltro non è contemplato nella Costituzione?


R. – Penso che alla base di tanti problemi oggi da questo punto di vista, parlo dal punto di vista etico, ci sia una concezione della libertà in termini di assolutezza, come se la libertà, il principio di autodeterminazione, che certamente è un principio valido, debba essere applicato in termini assoluti, senza limiti di riferimento e senza altri giudizi di ordine superiore. E’ necessario per tutti quanti noi riprendere il concetto vero di libertà, non in termini individualistici, ma in termini personalistici, che tenga sempre conto della importanza delle relazioni e dell’esistenza di valori oggettivi non disponibili per le nostre decisioni.


D. – I temi della fine vita possono favorire una riflessione positiva tra laici e cattolici oppure rischiano di rendere il dialogo più difficile ?


R. – L’auspicio, il desiderio, la speranza di tutte le persone di buona volontà è certamente che ci sia un dialogo sempre più intenso, più vero, più disponibile e non ci siano dei muri contro muro. Naturalmente in quella che è l’onestà intellettuale di tutti, a partire dalla consapevolezza che esistono dei valori che sono oggettivi e assoluti, quindi non frutto di maggioranze, di minoranze di nessun genere, ma frutto di un riconoscimento intellettuale onesto di valori che sono dall’uomo soltanto da riconoscere, da accogliere, da custodire, da promuovere, perchè promuovere quei valori significa rispettare l’uomo e creare una società più umana.


D. – Lei, quindi, esprime l’auspicio che tutto questo si possa tradurre in un clima positivo anche nelle aule parlamentari per una legislazione al riguardo?


R. – E’ quanto veramente auspico e tutti quanti auspichiamo in nome della dignità vera dell’uomo e dell’umanità autentica di una società.


CDO/ Giannino: quando scambiare visioni ed esperienze “moltiplica” le pmi. Altro che finanza creativa… - Oscar Giannino - martedì 18 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
Per chi ha un’idea magari approssimativa dell’impresa, dell’imprenditore e del manager, eventi come il Matching possono apparire kermesse fini a se stesse, delle quali si stenta a comprendere l’effetto concreto. Mi presto allora a una spiegazione che spero non banale. Il professor Israel Kirzner ci ha insegnato che l’imprenditore centra la sua missione sulla “scoperta”. La sua attenzione si focalizza sulla alertness, sul suo ruolo di “scopritore dell’ignoto”.
Scrive Kirzner: «Per servire le preferenze dei consumatori, i produttori devono fare di più che limitarsi a fabbricare e rendere disponibili i beni che essi ritengono i consumatori desiderino più urgentemente. Essi devono fare persino di più che rendere disponibile l’informazione di cui essi credono che i consumatori abbiano bisogno per acquistare e apprezzare i beni in offerta. Dopotutto, la prospettiva della scoperta imprenditoriale mostra che la mera disponibilità non garantisce che coloro che hanno bisogno di informazioni le avranno. Anche se le informazioni le hanno davanti, essi potranno semplicemente non averne cognizione di causa, e rimanere ignari del fatto che c’è qualcosa in più da conoscere. È dunque necessario per i produttori, desiderosi di vincere profitti servendo in modo innovativo le preferenze dei consumatori, anche allertare i consumatori circa la disponibilità e le qualità dei beni».
È esattamente a questo fine, che servono eventi come il Matching. Non si tratta solo di prendere diretta cognizione di mercati sconosciuti, nuovi possibili consoci, distributori e fornitori e le relative curve di costo, come avviene in occasione delle rituali missioni all’estero per tentare di accrescere la presenza di aziende italiane su mercati stranieri. Anche al Matching della Cdo partecipano aziende straniere e anzi il loro numero è in crescita di edizione in edizione. Ma l’evento serve innanzitutto ad abbattere ostacoli informativi che gravano anche sul mercato domestico che pure si ritiene di conoscere benissimo, ma che possono risultare e di fatto risultano assai spesso proibitivi per la piccola impresa italiana, i cui limiti all’esternazionalizzazione di funzioni e costi di transazione sono per definizione assai stretti.
In altre parole incontrare direttamente altre imprese, caratterizzate anch’esse dalla prevalenza del capitale umano rispetto a quello finanziario e seriamente convinte che la centralità della persona e del suo lavoro sia uno dei metri essenziali per giudicare alternative possibili di output perseguibile, serve all’imprenditore e al manager a tre fini diversi.
Il primo è, ovviamente, la valutazione diretta di estensioni verticali e organizzativi delle proprie filiere, in reciproca convenienza e ottimizzazione dei diversi fattori della produzione. È il più immediato e diretto, naturalmente, non ha bisogno di altre parole esplicative.
Il secondo è il confronto diretto con metodologie diverse per dare risposta a problemi magari anche analoghi, al di fuori dell’accademia e delle teorie d’impresa ma nel concreto del difficile environment giuridico-fiscal-infrastrutturale che riguarda le aziende del nostro Paese. Il Matching consente confronti al di fuori dell’analisi accigliata che ogni azienda compie nei confronti dei propri diretti concorrenti che insistono nello stesso ambito di business, o verso aziende-prede o aziende-scalatrici a seconda dell’attitudine offensiva o difensiva che ogni impresa vive in momenti diversi della propria parabola di successo o difficoltà.
Il terzo è quello che più direttamente attiene alla “scoperta”, da cui siamo partiti. I primi due esiti, infatti, avvicinano ciò che già c’è a ciò che diversamente e altrove già esiste. Il terzo ha a che vedere invece con la creazione di ciò che ancora non c’è, se non per un’illuminazione da pensiero laterale su un bisogno sinora inavvertito da soddisfare, un processo produttivo fino a oggi inaspettato da realizzare, un salto di prodotto sino a ieri non intravisto da perseguire.
Mettere insieme due o più visioni ed esperienze sino a ieri più limitate, in un’operazione che non somma ma moltiplica, perché estende l’ambito, lo strumento e il fine attraverso il quale lavoro e capitale umano soddisfano desideri ed esigenze del cliente.
A questo, serve il Matching, tanto più utilmente in un Paese che per molti versi resta ostile all’impresa, e tanto più incredulo verso quella che punta innanzitutto sull’uomo.


ELUANA/ Bergonzoni: vi spiego il mio no al dogmatismo della scienza e del diritto - INT. Alessandro Bergonzoni - martedì 18 novembre 2008 – Il Sussidiario.net
Andando sul sito dell’associazione “Amici di Luca”, oltre alla foto del piccolo Luca De Nigris alla memoria del quale il padre Fulvio ha dedicato la sua opera a favore delle persone in coma e stato vegetativo, campeggia anche la foto dell’attore comico Alessandro Bergonzoni. Testimonial ufficiale dell’associazione da ormai otto anni, Bergonzoni ha una forte sensibilità per le tematiche sollevate dal caso Englaro. E su tutta la vicenda, e le problematiche ad essa collegate, ha le idee molto chiare.
Bergonzoni, ci spieghi per prima cosa il perché di questo suo coinvolgimento con l’associazione “Amici di Luca”.
Innanzitutto non è frutto di un caso, ma di una scelta. Io ho voluto fare questa partecipazione otto anni fa per un motivo molto chiaro: perché credo che non ci debbano essere solo i cosiddetti “coinvolgimenti personali” per essere attenti a questi temi. Bisogna smettere di pensare che ci si coinvolge solo se si ha un figlio malato, o se si sta male. Io ho voluto aderire a questa iniziativa e diventare testimonial come espressione di una mia libertà, di un mio libero coinvolgimento: non si può pensare ai problemi della donna solo se si è donna, o al tema della scuola solo se si hanno dei figli. Bisogna pensarci in condizione di autonomia, a prescindere dai fatti contingenti. In particolare, poi, l’attenzione a un fatto come la memoria, la coscienza, l’assenza, il vuoto, per chi fa il mio lavoro, l’attore, o per chi in generale si occupa di arte è una cosa fondamentale.
Veniamo allora al caso Eluana: alla luce di questo suo libero coinvolgimento con queste problematiche, che idea si è fatto di tutta questa vicenda?
Sono molto colpito, anzi, sono scandalizzato da quello che sta accadendo. Che una persona a vent’anni, in un pomeriggio di sole, dica una certa cosa con le proprie amiche e questo possa valere come ammissione di testamento biologico è una cosa folle. Ed è una cosa che apre, umanamente, giuridicamente, antropologicamente, filosoficamente un tema che non ha paragoni in Italia. Il caso Welby è un caso a parte, perché lì avevamo una persona cosciente che ha espresso una volontà. Ma su Eluana ci troviamo di fronte a un’esasperazione che può avere conseguenze pesantissime.
Cosa fare secondo lei per evitare queste conseguenze?
Concentrarci su quei casi di cui non si parla mai, dando voce a chi esprime la volontà di vivere. Io conosco una persona affetta da sindrome Locked-in, si chiama Gian Pietro Steccato, ed è una persona che a differenza di Welby chiede di vivere. Lo si faccia parlare, lo si faccia vedere: Steccato si fa fotografare, e non si pone i problemi di cui parla Ignazio Marino, che si ferma al permesso e al consenso a farsi fotografare (con tutte le cose che vediamo in televisione costantemente a tutte le ore di tutti i giorni). La stampa, i giornali e le televisioni devono riportare i casi di queste persone che vogliono vivere; e lo Stato, per parte sua, deve impegnarsi a dare a queste persone il giusto sostegno economico per permettere loro di continuare a esistere con la “loro” vita. Ripeto: con la loro vita, non quella che “noi” crediamo dignitosa. Sono stanco di sentire che la dignità della vita dipende dal giudizio di qualcuno: io voglio capire cos’è la dignità della vita sulla base di elaborazioni diverse, non solo sull’elaborazione fatta da una persona sana. Questo è il tema: se si chiedeva a Zanardi, prima dell’incidente che gli ha fatto perdere le gambe, cos’avrebbe fatto e pensato della vita dopo un caso del genere, può darsi che avrebbe detto “lasciatemi morire, non voglio vivere”. Quindi attenzione a questo concetto del decidere prima.
Nel caso di Eluana però ci si scontra anche con il fatto che c’è un tutore, che è per altro il padre, il quale assicura che quella è la volontà della figlia: che fare?
Non mi pare giusto che non si analizzi mai il tema della paura, del dolore, della paura di un padre, e direi anche del transfert che un padre fa nei rapporti con la figlia in quella condizione. E poi anche il concetto quasi di “proprietà” che un padre ha nei confronti della figlia, per cui decide lui. Queste sono tutte cose che vanno dette, come si è soliti fare, “con tutto il rispetto”; però il rispetto personale adesso deve lasciare spazio anche a un concetto più universale della vita. La vita vale a prescindere dai loro “proprietari”: nessuno è proprietario della vita, neanche un padre. E allora io dico che se qualcuno vuole accudire questa ragazza, che è viva e vegeta (come dice la mia pubblicità: “Vivo e vegeto – ma soprattutto vivo!”), si dia a queste persone la possibilità di farlo.
Lei accennava prima al fatto che i media danno poco spazio alla voce di chi vuole continuare a vivere. C’è, più in generale, un difetto nel dibattito pubblico, nel modo con cui si parla del caso Eluana?
Il problema fondamentale è che dobbiamo smetterla di dividerci in buoni e cattivi, o in laici e religiosi, come facciamo sempre nei nostri dibattiti. C’è un modo più profondo di questo di parlare di uomo, di essere, di vita. E poi dobbiamo rifuggire il dogmatismo con cui la scienza e la magistratura parlano di queste cose. L’essere non è solo una condizione giuridica o scientifica; e vorrei dire al professor Veronesi, il quale ha detto che si nasce per caso, che si muore per caso e che nulla di quello non si può dimostrare esiste, che se partiamo con questa idea dogmatica della scienza non arriveremo molto lontano.
Inoltre le conseguenze di questo dibattito sono molto forti, visto che affaccia anche un’ipotesi di legge sul testamento biologico. Qual è la sua posizione su questo?
Io dico che va bene fare una legge ben discussa su tutti questi problemi, soprattutto nel caso in cui c’è gente che coscientemente ha certe intenzioni. Ma il problema vero, ripeto, è tutelare chi non può decidere nulla, e non ha mai deciso nulla. Mi riferisco al caso Eluana, ma è anche lo stesso identico caso di Terri Schiavo, in cui erano state usate argomentazioni simili, del tipo “lei ha detto, lei ha pensato, lei era una donna piena di vita”. Ma cosa vuol dire? Io ho conosciuto Mario Melazzini, malato di Sla, il quale ha ammesso in un suo libro che a un certo punto voleva andare in una clinica per eutanasia; ma poi si è fermato, e ora dice che questo è il momento più importante della sua vita. Bisogna stare attenti, allora, perché con una legge su un fatto come questo, tra i 2000 o 3000 casi di gente che accudiscono le persone che amano e che avranno dei problemi nel portare avanti questa situazione, alcuni potranno farsi venire un dubbio e dire “ho la libertà di farlo, appena sarò stanco staccherò”. È un tema molto complesso, e non è possibile che sia trattato solo dalla scienza e dalla giustizia.


L’ESEMPIO/ Imprenditori si incontrano: un caso esemplare di rete fra Pmi - Redazione - lunedì 17 novembre 2008 – IlSussidiario.net
Il Sud che funziona sbarca al Nord con le proprie imprese, per instaurare rapporti di business, partnership e di scambio commerciale. Succede al Matching, il grande workshop organizzato dalla Compagnia delle Opere, che ormai da quattro anni fornisce una tre giorni di servizi a tutto campo per le piccole e medie imprese. O, sarebbe meglio dire, fornisce un unico grande servizio: mettere insieme le Pmi, farle incontrare, e permettere loro di guardare l’uno il lavoro dell’altro e creare così quelle sinergie che danno la spinta per nuove occasioni di lavoro e di business.
Questo ad esempio è accaduto all’ultima edizione di Matching a una delle tante imprese del Sud presenti all’evento milanese. La ditta FRT di Solofra, presso Avellino (www.frtstampi.com), si occupa di progettazione e costruzione stampi lamiera e di lavorazioni meccaniche. Un’azienda con un alto livello di specializzazione, che si è formato negli anni grazie all’esperienza maturata sul campo dalla famiglia Lettieri.
Come racconta Giancarlo Lettieri, ora titolare della ditta, la partecipazione al Matching dell’anno scorso non è stata semplice; «gli impegni e la scarsità di tempo a disposizione avevano fatto sì che il periodo di novembre fosse il meno indicato per fare un viaggio a Milano». Ciononostante, seguendo l’invito «degli amici di Cdo Campania», decide di partecipare all’evento. «Arrivato a Milano con la confusione in testa (tanta confusione!), con la valigia e le brochure preparate all’ultimo secondo e con il timore che quel viaggio sarebbe servito a poco, visto il poco lavoro fatto a monte, mi sono ritrovato ad affrontare il primo dei dieci appuntamenti fissati». Questa infatti è la dinamica centrale del Matching: creare nei mesi precedenti all’evento un’agenda precostruita di appuntamenti, incrociando le domande e le offerte segnalate in precedenza dai partecipanti. L’imprenditore arriva in fiera e non perde un solo istante alla ricerca di chissà cosa (come spesso accade alle fiere), ma punta già dove può ottenere qualcosa di concreto.
Ebbene, spiega ancora Lettieri, «è stato proprio il primo appuntamento a dare l’esito migliore». L’incontro è con la ditta CSTI di Milano che si occupa di progettazione e costruzione di impianti produttivi chiavi in mano. «Dopo qualche contatto post-Matching abbiano chiuso tra noi un contratto di fornitura e attrezzature di circa 50 mila euro». Ma la cosa più interessante, commenta Lettieri, è che il titolare della CSTI, Giancarlo Pagani, aveva preso il contatto per il lavoro in questione tramite un cliente conosciuto al Matching. «In termini calcistici – conclude Lettieri – abbiamo concluso una favolosa triangolazione tra le nostre aziende! Ma quello che più conta è che senza il Matching, e senza l’ottimo lavoro fatto da chi opera nella Compagnia delle Opere, tutto questo non sarebbe potuto accadere». Anzi: è proprio quello che è accaduto tra le tre aziende che mette in luce lo «spirito della Cdo», vale a dire «la capacità di mettere insieme le imprese, creando ottimi rapporti e collaborazioni».
Un esempio, tra i tanti, di successo, di vera partnership, per di più realizzato tra un’impresa del Sud e una del Nord, che difficilmente si sarebbero incontrate se non fosse stato per il Matching. Un esempio, piccolo ma non meno significativo, che spiega come da iniziative a servizio delle imprese, come quella organizzata dalla Cdo, possano continuamente rinascere occasioni per far ripartire la nostra economia. Una strada de seguire, nel mare tempestoso della crisi in atto.


PIÙ DI UN QUARTO DEI RAGAZZI, SECONDO L’ISTAT - L’Italia dei figli unici. - Ma quando diventeranno grandi? - MARINA CORRADI – Avvenire, 18 novembre 2008
L a notizia dell’Istat sull’inesorabile aumento dei figli unici, che oggi costituiscono più di un quarto dei ragazzi italiani, e addirittura il 30% al Nord, ci fa venire in mente un episodio di alcuni anni fa.
In un albergo delle Dolomiti alloggiava una giovane coppia scortata dai quattro suoceri, con un bambino sui tre anni che terrorizzava la sala, all’ora di cena, con le sue urla di aspro dispetto per qualsiasi vivanda. Il bambinetto, benché occhiutamente sorvegliato da sei adulti e forse proprio per questo, era parecchio irrequieto.
Una sera, sfuggito alla marcatura dei quattro nonni, scappò e, di corsa, capitò fra i piedi di un ospite. Entrambi volarono per terra. Ne seguì un’aspra scenata da parte dei nonni e dei genitori non al bambino, ma all’ospite che si era permesso di camminare senza guardare attentamente a ottanta centimetri da terra. Nessuno dei presenti fiatò, e il bambinetto se ne andò sdegnato e offeso con le sue sei guardie del corpo accigliate. Oggi quel bambino deve essere sui sedici anni, e sarei curiosa di ritrovarlo, giusto per chiedere ai suoi: allora, come è andata?
Quel ragazzino era il modello esasperato del figlio unico, vezzeggiato come una creatura straordinaria, vestito firmato dalla testa ai piedi, despota e, a giudicare da quanto strillava, piuttosto infelice. C’è da augurarsi che il 25 per cento dei nostri figli che oggi crescono senza fratelli non siano ridotti così. Di certo però il fatto che fra vent’anni avremo un’Italia in buona parte di figli unici, mentre i nostri nonni crescevano in grappoli di tre o quattro o più, comporterà qualche mutazione. Non si viene su alla stessa maniera, in tanti o da soli. Fin dal primo giorno lo sguardo è diverso: tua madre non è solo tua, se hai un fratello, e su nessun giocattolo puoi stendere la mano senza che qualcuno venga a contestare la prepotenza del diritto assoluto. Non ci sei solo tu; c’è sempre un altro con cui fare i conti, per giocare o litigare o fare a botte. È un apprendimento fondamentale e incarnato: 'non' siamo soli, e non viviamo solo per noi. A volte, la compagnia può risultare ingombrante.
Uno dei miei figli all’asilo andava a trovare un amico 'unico' e tornava sospirando: quello aveva in casa un negozio intero di giocattoli, e lui, invece, diceva malinconico, «due fratelli». In effetti la camera di quell’amico pareva il deposito di Santa Klaus. Troppa 'roba', per non celare l’ansia dei genitori che lo vedevano solo. Perché con facilità l’istinto materno e paterno nel concentrarsi su un solo figlio si ipertrofizza. Quanti, di questa generazione, non sapranno mai cos’è badare a un fratello piccolo, cominciando a sentirsi grandi. Quanti faticheranno a sottrarsi all’amore possessivo di madri e padri, che hanno solo loro. E, nella vita sociale, sarà davvero indifferente l’avvento di una generazione di piccole coccolate monadi? Quella solidarietà, quello sguardo più ampio e generoso che ci viene testimoniato dai vecchi, davvero non ha nulla a che fare con il condividere fin dall’inizio la vita con un fratello? Uomini, si diventa da bambini. E certo in tempi di precariato, di servizi sociali rari e preziosi, di madri strozzate fra il tempo pieno e gli orari dei nidi, avere un figlio è già impegnativo, e averne due quasi temerario.
Desiderano, le italiane, dicono le ricerche, quel secondo e terzo bambino che sempre meno spesso arriva. Ma per un reddito basso, indicano le statistiche, un’altra maternità può fare scivolare quasi alla soglia della povertà.
Di questi tempi, poi, con la crisi, quale arrischiato azzardo può sembrare un figlio in più. Eppure, nessuno dei giocattoli che gli italiani compreranno al primo figlio per Natale sarà uguale a quel piccolo intruso, a quel rompiscatole che sarebbe per il primogenito un fratello. In casa tua, un altro con cui condividere tutto. Un fratello – un compagno, una benedizione.


CI SONO IN GIRO AFFERMAZIONI TROPPO BANALI – Che cosa vuol dire amare nel caso difficile di Eluana - GIACOMO SAMEK LODOVICI – avvenire, 18 novembre 2008
N oi che siamo tremendamente addolorati per la fine atroce (una morte per fame e per sete) che aspetta Eluana siamo accusati di essere crudeli e sadici, mentre la scelta di farla morire viene da molti considerata un’espressione di amore.
Non mettiamo in dubbio la buona fede di chi ragiona in questi termini; tuttavia, chiediamoci: che cosa significa amare?
Ovviamente l’amore ha una molteplicità di espressioni, ma (lo suggerisce già Aristotele) amare qualcuno è un po’ come dirgli «è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista, gioisco perché tu sei». La prima forma di ogni amore consiste in una gioia perché chi amiamo vive, è un rendimento di grazie perché l’amato esiste. Precisiamo: amare non significa volere che l’altro esista come conseguenza del fatto che l’altro ci procura gioia, bensì vuol dire volere e insieme gioire per la sua esistenza. Far morire qualcuno, anche se a richiesta (tra l’altro presunta nel caso di Eluana), significa dire «non è bene che tu sia, non è meraviglioso che tu esista». Se qualcuno dice con anni di anticipo o grida (o sussurra) disperato nel presente: «io sono un peso per te» e/o «non vale la pena il mio vivere in questo stato», il vero amore risponde: «è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista anche se la tua condizione è dolorosa per te e/o gravosa per me». Chiedere di morire significa dire: «la mia esistenza non è (non sarà più) preziosa»; così far morire qualcuno (per esempio tramite l’azione con cui si toglie il sondino dell’alimentazione, oppure tramite l’omissione di chi non lo riattacca) equivale a dire a qualcuno: «è vero, tu non vali la pena, la tua esistenza in certe condizioni non è un bene che soverchi queste condizioni, non è prezioso che tu viva». In effetti, chi si occupa dei malati gravi sa che, quando chiedono di morire, quasi sempre lo fanno perché soffrono e perché si sentono soli. Ora, si noti bene, la sofferenza può essere quasi sempre molto lenita con le cure palliative. E la risposta alla solitudine non è far morire, bensì è l’affetto, è prendere per mano il malato, detergergli il sudore, guardarlo negli occhi anche se non risponde, stargli vicino: le invocazioni della morte esprimono la richiesta di non soffrire e una protesta contro la solitudine. Così, il desiderio di suicidarsi o la richiesta di eutanasia si manifestano, solitamente, quando una diagnosi infausta viene comunicata e molto spesso tramontano se il malato viene assistito e confortato. Le suore straordinarie che accudiscono Eluana hanno scritto: «L’amore e la dedizione per Eluana» è ciò per cui 'affermiamo la nostra disponibilità a continuare a servire – oggi e in futuro – Eluana. Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva. Non chiediamo nulla in cambio, se non il silenzio e la libertà di amare e donarci a chi è debole, piccolo e povero'.
Sono crudeli e sadiche? Come si può mai considerare la loro dedizione a Eluana una forma di accanimento terapeutico? E come può essere amore far morire Eluana di fame di sete? Lasciare che il suo corpo si consumi lentamente a causa della secchezza dei tessuti, della disidratazione delle pareti dello stomaco (che provoca spasmi) e delle vie respiratorie, mentre la pelle si ritira, gli occhi si incavano, la temperatura corporea aumenta per mancanza di sudorazione, il naso sanguina, le labbra e la lingua si spaccano: questo è amore? È vero, sono previste delle misure per attenuare (ma solo in parte) questi effetti: ma ciò cambia la sostanza?


BENIGNI-DANTE, DIETRO L’AZZARDO LA GRATITUDINE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 18 novembre 2008
Il Dante di Benigni è innanzitutto segnato da una esperienza che di solito ha poco corso in ambito culturale: gratitudine. Il libro in cui Einaudi ha raccolto e sistemato alcune trascrizioni (intercettazioni, le chiama lui) delle varie letture dantesche è il libro di un uomo grato per il fatto che ci sia stato e ci sia Dante. Quest’aria di gratitudine è il segno più personale e credo più profondo del grande evento Benigni-Dante.
È un elemento non solo di 'colore', ma direi di metodo. La nota della gratitudine sostiene tutto l’azzardo benignesco.
Sostiene i momenti più alti, come quando, commentando Ulisse, sottolinea che «l’arte comincia dove l’efficacia viene sacrificata alla bellezza o alla verità». O quando, parafrasando l’amato Caproni, il comico lettore avvisa che Dante ha scritto la Commedia non solo perché Dio esiste, ma perché Dio esista.
Risultano purtroppo un poco sacrificate le parole, commosse ed esatte che Benigni dedicava di solito a Maria. Gli intercettatori hanno un poco tagliato. Ma è significativo notare che su di Lei, come su Dio e su Cristo Benigni non ha dubbi. Come non ha dubbi sul fatto che l’Italia ha un grande compito, e una grande eredità, e che il male assoluto della storia – inverato dai lager nazisti come dai gulag comunisti, senza distinzione – non prevale del tutto contro la forza di richiamo al valore umano della poesia di Dante. Grato dunque per un dono ricevuto, il comico toscano – come disse nella nostra conversazione su queste colonne – non fa che restituirlo. Giocandosi tutto. E per questo ricevendo l’attenzione delle folle, che non sono ammassi informi ma raduni di uomini che hanno sete di bellezza e di infinito. La gratitudine è forse il tratto che manca a molti di coloro che dovrebbero essere i custodi e trasmissori della bellezza dell’arte e della poesia. Prevalgono altri sentimenti, a volte i calcoli. Ma la gratitudine non è un sentimento ingenuo. E’ da bambini ma per nulla stupido. Anzi, come dimostra il caso di Benigni, che a Dante è giunto per tradizione ma anche per tanto studio, la gratitudine è inizio e vetta di una vera e propria lettura in cui non prevale né l’obbligo né il luogo comune, ma l’avventura del riconoscersi uomini nelle parole di un genio. Leggendo il libro si ride, si impara, si riscopre, e si possono pure nutrire dubbi e curiosità. Il fatto di questa lettura di Dante secondo quanto previsto da T.S. Eliot nel 1919 è un esempio di grande teatro popolare e colto, e di lezione vivace e profonda. Un’indicazione di metodo che vale la pena considerare, senza comodamente fermarsi a dire che se lo può permettere solo Benigni. Sarebbe il primo modo per sminuire il valore culturale dell’evento e ora del libro. Faticosamente, con un’ironia un poco acidula e che non manca di una coda che suona quasi come avvertimento di sapor politicante (si fermi, Benigni, per non diventare un 'unto del Signore') Umberto Eco che a Dante dedicò pagine finto­comiche e pochissimo grate negli anni ’70 scrive una inutile prefazione a un libro che Einaudi fa costare forse un po’ troppo, essendo per metà sola riproduzione dei canti danteschi citati. Risparmiando anche sulla prefazione si poteva abbassare il costo a 5 o 10 euro, e lo spirito dantesco e benignesco era maggiormente rispettato. Ma in tempi di crisi, si sa, è meglio azzardare e spendere qualcosa in più per ciò che nutre davvero e per alcuni beni che non deperiscono né tradiscono.