martedì 18 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Don Giussani: Pietro, «roccia definitiva e sicura» - dal sito http://www.clonline.org
2) ANDARE CONTROCORRENTE OBBEDENDO A DIO E AL PAPA - Il Cardinale Bagnasco scuote il laicato cattolico - di Antonio Gaspari
3) Avvenire.it, 18 Maggio 2010 - Dopo la preghiera in Piazza San Pietro - La sosta e la chiamata - Marco Tarquinio
4) Giuliano Ferrara - «Originalità e silenzio: lo stile di una folla senza polemiche» - DI MATTEO LIUT - Il direttore de «Il Foglio»: «Così quelle persone hanno interrotto il brusio mediatico» - A nche se abituato a una lotta di «militanza», Giuliano Ferrara, diret tore del Foglio si dice affascina to dall’evento di domenica scorsa in piazza San Pietro. – Avvenire, 18 maggio 2010
5) Giorgio Israel «Il contributo al nuovo umanesimo» - C hiarezza, rigore, dialogo e cuore: è lo stile che secondo il mate matico Giorgio Israel scelto da Benedetto XVI. Lo stile che i 200 mila di piazza San Pietro, con la loro pre senza hanno voluto fare proprio anche nella costruzione di un autentico «nuo vo umanesimo». - Matteo Liut – Avvenire, 18 maggio 2010
6) I capi della Legione si autoassolvono, prima di affondare - In una loro circolare interna, qui pubblicata, essi affermano di non aver mai saputo nulla della doppia vita del loro fondatore Maciel. Ma il giudizio delle autorità vaticane è opposto. L'imminente nomina del delegato papale - di Sandro Magister
7) 12 maggio 2010 : Corriere della Sera - Gli abusi dei sacerdoti come "frecce e pallottole" - di Vittorio Messori - © Corriere della Sera
8) Il neoliberalismo e il fine dell'esistenza umana secondo il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie - La società postindustriale e il vero confine della libertà - un volume raccoglie una selezione di discorsi del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Cirillo. Il libro, Libertà e responsabilità alla ricerca dell'armonia. Dignità dell'uomo e diritti della persona (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana - Sofia, 2010, pagine 204, euro 18) è stato presentato il 17 maggio a Milano all'Università Cattolica del Sacro Cuore. In uno dei testi introduttivi, il curatore Pierluca Azzaro mette in evidenza la vicinanza di pensiero tra Benedetto XVI e Cirillo nella contrapposizione all'ideologia "liberista e secolarista". E, citando il Patriarca, scrive: "In occidente si vuole relegare la fede nell'ambito della vita privata, in modo quasi peggiore di quanto non facesse il regime sovietico nel nostro Paese". Riportiamo l'introduzione al volume scritta dall'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. - L'Osservatore Romano - 17-18 maggio 2010
9) Le grandi folle di Fatina dimostrano la vitalità del messaggio mariano. Un filo comune lega le apparizioni, compresa Medjugorje dove la Madonna chiede la conversione del cuore, la pace e la preghiera. Medjugorje coerente con la teologia cattolica - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.Roma.it
10) TRA SATANISMO, ROCK E BUSINESS: MARILYN MANSON - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.Roma.it
11) OGGETTI SACRI MALEFICIATI? - MA LEI CREDE ANCORA A QUESTE COSE? - COME PREGARE? - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
12) Del Noce, Vico e l'ateismo. La relazione di Mauro Ronco al convegno di Pistoia - La linea Vico-Rosmini come risposta all’ateismo nel pensiero di Augusto Del Noce di Mauro Ronco
13) Avvenire.it, 16 MAGGIO 2010 – GIALLI - Padre Brown contro Sherlock Holmes - Jean-Robert Armogathe
14) IL TEMA DELL'ABORTO DIVIDE I PARTECIPANTI AL G8 - A un mese dal vertice, il premier canadese dice che il tema non verrà affrontato - di Carmen Elena Villa -ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Primo Ministro canadese Stephen Harper e il suo Governo hanno ricevuto forti critiche per aver rifiutato di introdurre il tema dell'aborto nel dibattito del vertice del G8 in programma per la fine di giugno.
15) Avvenire.it, 18 MAGGIO 2010 – IDEE - C’è del marcio negli intellettuali - Carlo Cardia
16) Fatima e il dramma della modernità. Il viaggio di Benedetto XVI in Portogallo - Una sintesi e un commento ai discorsi del Papa in Portogallo di Massimo Introvigne
17) Disabile ad alto rischio È «omesso soccorso»? - Caso di Fiumicino Ricorso contro la Regione Lazio e il Comune - DAL NOSTRO INVIATO A FIUMICINO (ROMA) - PINO CIOCIOLA - Avvenire, 18 maggio 2010

Don Giussani: Pietro, «roccia definitiva e sicura» - dal sito http://www.clonline.org
Il cristianesimo è un evento irriducibile, una presenza oggettiva che vuole raggiungere l’uomo provocandolo e giudicandolo, fino alla fine. Disse Gesù agli Apostoli dopo la sua resurrezione: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Il cristianesimo è un fattore drammaticamente decisivo per l’uomo solo se è riconcepito in questa sua originalità, in questa sua compattezza fattuale, la cui fisionomia era duemila anni fa quella d’un uomo singolare, ma già lui vivente aveva anche il volto di persone che si mettevano insieme e andavano, a due a due, a fare quello che lui faceva e aveva detto loro di fare, e poi si raccoglievano, tornando da lui. In seguito andarono in tutto il mondo allora conosciuto, come una cosa sola, per portare quel Fatto. Il volto di quell’uomo è oggi l’insieme dei credenti, che ne sono il segno nel mondo, o - come dice san Paolo - ne sono il Corpo, Corpo misterioso, chiamato anche «popolo di Dio», guidato come garanzia da una persona viva, il Vescovo di Roma.
Se il fatto cristiano non è riconosciuto e brandito in questa sua originalità, non serve se non ad essere un folto suggerimento di interpretazioni, di pensieri e magari anche di opere, ma accanto e più sovente in subordine rispetto a tutte le suggestioni di cui la vita si serve.
(Il senso di Dio e l’uomo moderno, BUR, p.126)

L’autorità suprema è quella in cui troviamo il senso di tutta la nostra esperienza: Gesù Cristo è questa autorità suprema, ed è il suo Spirito che lo fa capire, aprendoci alla fede in Lui e alla fedeltà alla Sua persona.
«Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (Gv 20, 21): gli apostoli e i loro successori (papa e vescovi) costituiscono nella storia la viva continuazione dell’autorità che è Cristo. Nel loro dinamico susseguirsi nella storia e moltiplicarsi nel mondo, il mistero di Cristo viene proposto senza sosta, chiarito senza errori, difeso senza compromessi. Essi costituiscono quindi il luogo ove l’umanità può attingere al senso vero della propria esistenza, con evolutivo approfondimento, come a una sorgente sicura e continuamente nuova.
Quello che il genio è nel grido dell’umano bisogno, quello che il profeta è nel grido dell’umana attesa, essi sono nell’annuncio della risposta. Ma come la risposta vera è sempre imparagonabilmente precisa e concreta rispetto all’attesa - inevitabilmente vaga o soggetta a illusioni -, così essi sono come roccia definitiva e sicura: infallibile. «Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa» (Mt 16, 18).
La loro autorità non solo costituisce il criterio sicuro per quella visione dell’universo e della storia che unica ne esaurisce il significato; ma, anche, essa è stimolo vivo e tenace a vera cultura, è suggerimento instancabile a visione totale, è inesorabile condanna a ogni esaltazione del particolare e a ogni idealizzazione del contingente, cioè a ogni errore e a ogni idolatria. La loro autorità è quindi l’estrema guida nel cammino verso una genuina convivenza umana, verso la vera civiltà.
Dove quell’autorità non è viva e vigile, oppure viene combattuta, il cammino umano si complica, diviene ambiguo, si altera, devia verso il disastro: anche se l’aspetto esteriore sembra potente, florido, scaltrissimo come oggi. Dove quell’autorità è attiva e rispettata, il cammino della storia si rinnova con sicurezza ed equilibrio verso più profonde avventure di genuina umanità: anche se le tecniche di espressione e convivenza sono rozze e dure.
Ancora oggi è il dono dello Spirito che permette di scoprire il significato profondo dell’autorità ecclesiastica come direttiva suprema al cammino umano; ecco donde nasce quell’ultimo abbandono, quella consapevolissima obbedienza a essa, per cui essa non è più il luogo della legge, ma il luogo dell’amore. Al di fuori dell’influsso dello Spirito uno non può comprendere l’esperienza di quella devozione definitiva che lega il «fedele» all’autorità, devozione che s’afferma spesso nella croce della mortificata esuberanza di una propria genialità o di un proprio piano di vita.
(Il cammino al vero è un’esperienza, Rizzoli, pp. 112-113)


ANDARE CONTROCORRENTE OBBEDENDO A DIO E AL PAPA - Il Cardinale Bagnasco scuote il laicato cattolico - di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Andare controcorrente, senza timore dell’anticonformismo, coerenti con la fede in Gesù, obbedienti a Dio che riempie la vita. Con queste parole, domenica 16 maggio, il Cardinale Angelo Bagnasco ha terminato l’omelia tenuta nella Basilica di San Paolo Fuori le mura, nel corso di una celebrazione per il laicato convenuto al “Regina Coeli” con il Pontefice Benedetto XVI.
“Al centro di questa festa dell’Ascensione, e di questa intensa giornata, noi troviamo Cristo”, ha sottolineato il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
“È grazie a Lui - ha aggiunto -, grazie al mistero del suo ascendere presso il Padre, che noi riusciamo a comprendere il senso, il significato della presenza di Pietro nella Chiesa e nel mondo di oggi”.
“Con l’Ascensione al Cielo, - ha spiegato l’Arcivescovo di Genova - Cristo non ha preso le distanze. Anzi, grazie al suo essere con il Padre, Egli è prossimo a ciascuno di noi. E ognuno di noi può rivolgersi a Lui, chiamarLo per nome, essere a portata della sua voce, trovarsi – se vuole - vicino al suo cuore. E se non vuole, può allontanarsi interiormente da Lui, può voltarGli le spalle, senza però che il Signore lo abbandoni, perché Egli ci aspetta sempre, non vede l’ora che noi siamo con Lui. Che noi siamo il suo Cielo, il suo Paradiso!”.
Facendo riferimento alla storia della Chiesa il porporato ha ricordato che “il Cristo Risorto ha bisogno di testimoni che lo abbiano incontrato, che siano stati con Lui, L’abbiano toccato con mano, e possano raccontarLo. Così, attraverso questa dinamica, la Chiesa è cresciuta da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra - a cominciare da Pietro e Paolo, dal luogo del loro martirio - fino a tutti coloro che, ricolmi dello Spirito, lungo i secoli hanno acceso e accederanno la fiamma della fede”.
Passando ai nostri giorni il Presidente della CEI ha affermato: “Noi possiamo dire di aver incontrato lungo la nostra strada, lungo la strada della nostra vita, Chi ha avuto l’esistenza accesa da Gesù Cristo”.
Parlando del Concilio Vaticano II e dei Pontefici Giovanni XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II, Papa Benedetto XVI, l’Arcivescovo di Genova ha quindi aggiunto: “noi siamo testimoni della loro fede, e più volte abbiamo avuto la percezione che fosse questa loro fede a portare avanti la Chiesa”.
Il Cardinale Bagnasco ha poi sottolineato che “la fede di Pietro, di ‘questo’ Pietro ci edifica. Siamo come attoniti dinanzi alla sua umiltà, alla sua dolcezza, alla sua pazienza. L’abbiamo visto caricarsi sulle spalle la Croce di tutti noi, e si è messo avanti a noi a portarla, un po’ anche per noi renitenti, per noi distratti, per noi confusi”.
Perchè, come ha detto ai Vescovi portoghesi: “il Papa ha bisogno di aprirsi al mistero della Croce, abbracciandola quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare nel Crocifisso tutti i suoi fratelli e sorelle in umanità”.
Parafrasando il Pontefice Benedetto XVI, il Presidente della Cei ha ribadito “il Papa vive non per sé, non per la sua gloria mondana, non per gli onori del suo ruolo, non per racimolare il consenso facile, egli vive per rivelare al mondo la presenza di Dio. Che Dio c’è, e che questa è la certezza che medica e guarisce”.
“Per questo motivo – ha sottolineato – ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore Risorto” e rivolto ai fedeli ha affermato “bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù”.
Rivolgendosi ai presenti, il Cardinale Bagnasco ha chiesto ad alta voce “volete voi, laici cattolici, reagire all’insidia del torpore, alzarvi in piedi, e unirvi al Pastore della Chiesa, per testimoniare davanti al mondo contemporaneo che Cristo è il Signore?”.
“Testimoniare con il Papa che Cristo è Risorto e per questo è il Signore, non è una cosa facile, nessuno si illuda”, ha constatato. “Ma proprio per questo, amici, proprio perché non è facile, oso sperare che deciderete di starci e di giocarvi senza riserve. Di non lasciar solo Pietro”.
In questo contesto l’Arcivescovo di Genova ha lanciato un appello ai movimenti affinché siano autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita.
Il Cardinale Bagnasco ha indicato le associazioni e i movimenti presenti come “una scuola provvidenziale” che in un momento di fatica della Chiesa rappresentano “una nuova primavera generata dalla Spirito”.
L’Arcivescovo di Genova ha chiesto fede, tradizione e docilità alla guida dei Pastori, per “uscire dal chiuso dei vostri ambienti e andare nel mondo” per essere nella società quali “testimoni radiosi della Risurrezione”.
“Sempre alla scuola del Santo Padre – ha sottolineato il porporato - dobbiamo imparare ad andare, quando serve, controcorrente, ad essere portatori di un’idea diversa, di un punto di vista alternativo”.
Ed ha concluso: “non possiamo aver timore dell’anticonformismo, quando questo è esigito dalla coerenza con la nostra fede. Non è per il gusto di opporci a qualcuno, ma per amare tutti, innanzitutto per obbedire a Dio. Solo Lui può riempire il cuore e la vita. Solo Lui ci basta”.


Avvenire.it, 18 Maggio 2010 - Dopo la preghiera in Piazza San Pietro - La sosta e la chiamata - Marco Tarquinio
Forse solo da lassù, da quella finestra, è stato possibile vedere davvero ciò che stava accadendo. Forse solo da lassù, da quel riquadro sul cielo aperto sopra piazza San Pietro, è stato possibile ricambiare con lo sguardo l’abbraccio del popolo cristiano che in una domenica sospesa tra pioggia e sole era accorso a Roma. Certo, sarebbe stato necessario essere in cento altri luoghi del «sagrato del mondo» per riuscire a comporre la stessa immagine.

Perché un singolo sguardo non poteva bastare a riassumere e raccontare la bellezza e la forza del fatto che s’è compiuto tra Benedetto XVI e le duecentomila persone che – nel giorno in cui la Chiesa che è in Italia celebra l’Ascensione – si sono riunite per pregare con il Papa e per dirgli ancora una volta: siamo con te, sempre, per imparare a essere sale e a dire no al male e alle sue mille seduzioni, per ripetere che amiamo e stimiamo i nostri sacerdoti e che siamo incondizionatamente al fianco dei piccoli e degli offesi, soprattutto dei bambini oltraggiati da coloro che, da padri nella fede e da maestri, avrebbero dovuto custodirli.

Ma in ogni caso di questo 16 maggio presso la Basilica Vaticana nessuno sguardo, neanche quello più alto di tutti, avrebbe potuto "dire" con sufficiente eloquenza e profondità qualcosa che il Papa sa e sperimenta nel suo ministero universale, qualcosa che ogni cattolico impara da piccolo, e in cuor suo custodisce, e che troppi osservatori stentano a cogliere: i duecentomila di piazza San Pietro sono stati, per un po’, la parte visibile – per così dire, emersa – di una realissima e quasi inconcepibile «rete» della quale il mondo, dopo duemila anni di cristianesimo, ancora non si capacita.

Sono stati se stessi, sono stati visibilmente tanti di ogni età e condizione sociale ed egualmente capaci di esprimere l’unità e la ricchezza della galassia di associazioni e movimenti che contribuisce ad animare la Chiesa italiana eppure sono stati – dal momento in cui sono partiti per Roma a quello in cui hanno fatto ritorno alle loro case – anche i rappresentanti di una moltitudine più grande di qualunque stima e statistica e difficilmente apprezzabile da chi valuta un evento a decibel antagonisti e cartacce e nervosismi da servizio d’ordine.

Una moltitudine fatta di volti unici e originali, di storie mai uguali. Una moltitudine con l’anima, uomini e donne "collegati" (grazie ai mass media, ma non obbligati a essi) da ogni dove, e in ogni dove segno della stessa fede in Gesù Cristo e autori – a Roma e nei più diversi angoli d’Italia e del mondo – degli stessi gesti, protagonisti della stessa preghiera comunitaria a Maria, testimoni della stessa unione col successore di Pietro.

Oggi – con le foto che abbiamo scelto, con le nostre parole e con quelle di intellettuali liberi e attenti come Ferrara, Israel e Ostellino – ci sforzeremo di dare conto sulle pagine di Avvenire della straordinaria domenica di un popolo in cammino che ha fatto sosta sotto la «finestra di casa» del Papa, per ascoltare e far parlare anche il silenzio. E nessuno dei nostri lettori si meraviglierà se non troverà certi luoghi comuni, a base di «pride» e «day». I giorni e l’orgoglio dei cattolici, come ha ricordato a tutti il cardinal Bagnasco, sono nell’umile e forte «consapevolezza» di una «chiamata» a testimoniare i valori del Vangelo e la scelta, senza sconti, per la dignità e intangibilità della persona umana, sempre e soprattutto quando è più piccola e più debole. Una chiamata a esserci e a servire, là dove si vive.
Marco Tarquinio


Giuliano Ferrara - «Originalità e silenzio: lo stile di una folla senza polemiche» - DI MATTEO LIUT - Il direttore de «Il Foglio»: «Così quelle persone hanno interrotto il brusio mediatico» - A nche se abituato a una lotta di «militanza», Giuliano Ferrara, diret tore del Foglio si dice affascina to dall’evento di domenica scorsa in piazza San Pietro. – Avvenire, 18 maggio 2010
Da dove nasce questo fascino?
Sono stregato da questa idea di silenzio che il popolo cattolico ha proposto a tutti noi. La soli darietà che ha manifestato al Papa non è un atto politico o po­lemico, ha un contenuto spiri tuale che è il pri mo passo della ri conciliazione, del la penitenza, del la espiazione. Si è visto che quella grandissima folla, aveva un rappor to vero, costituti vo, con il tema del peccato, che è il tema scomparso del mondo mo derno. Mi è pia ciuto molto il fat to che non fosse una manifestazio ne ma una pre senza. Per il mio stile di 'interlocu zione con il mon­do' sono sinto nizzato su un’altra lunghezza d’on da: sono per la polemica, per la resistenza, considero ogni ele mento di resa in modo malin conico, sono militante: sono u no che scrive, che ha fatto tele visione. E poi sono uno che sta fuori dalla Chiesa e quindi non conosce i confessionali e quel l’aura che c’è dentro la spiritua lità cattolica seriamente intesa. Però, anche se non è la mia 'materia', mi piace, mi affasci na. Quando vedo questo Papa, che adoro e che sa anche suo nare tutta la tastiera della spiri tualità, vedo il tipo di affetto che si riversa su di lui e questo tipo di solidarietà non polemica penso che questo sia già il pri mo passo vittorioso del suo ma gistero.

È stata usata l’immagine dei fi gli attorno al padre. Che effet to le fa quest’immagine?

Non è male: ricorda lo stringer si attorno alla radice della pro pria identità. Quindi non è ne cessario dimostrare niente: bi sogna solo esperire qualcosa che nel silenzio è perfino più fa cile esperire.

Da professionista della comu nicazione, non le pare che alle volte i media imbocchino stra de diverse da quelle seguite dalla gente?

In un certo senso sì. È bello questo distacco dal cir cuito mediatico, la capacità di inter rompere il 'bru sìo'. È un popolo che ha un pastore il quale dice 'guardiamoci dentro': gli si rac coglie attorno, e invece di mostrar si si guarda den tro. Ma non è sta ta una manifesta zione di chiusura autoreferenziale, perché nel mo mento in cui que sto dovesse succe dere il mondo perderebbe una delle sue grandi agenzie di cul tura e di spiritualità.

Perché tanta difficoltà oggi a capire lo stile della Chiesa?

Tutto il vivere moderno è im postato su criteri che cozzano radicalmente con tutto ciò che la Chiesa rappresenta. Dome nica scorsa piazza San Pietro dava il segno dell’originalità e dell’unicità della Chiesa. Nes sun altro avrebbe saputo fare u na cosa del genere: manifesta re un così forte riconoscimento di autorevolezza a un padre se gnalato non dalla sottomissio ne ma da una comunione si lenziosa.


Giorgio Israel «Il contributo al nuovo umanesimo» - C hiarezza, rigore, dialogo e cuore: è lo stile che secondo il mate matico Giorgio Israel scelto da Benedetto XVI. Lo stile che i 200 mila di piazza San Pietro, con la loro pre senza hanno voluto fare proprio anche nella costruzione di un autentico «nuo vo umanesimo». - Matteo Liut – Avvenire, 18 maggio 2010

Che immagine è emersa dall’evento di domenica scorsa?

Un’immagine di solidarietà molto in tensa. Quello che è stato apprezzato è stata soprattutto la posizione di tra sparenza che il Papa ha assunto di fron te allo scandalo pedofilia. Benedetto X VI l’ha affrontato con un coraggio im pressionante, che fa crescere la consi derazione per la sua persona. Penso che con la loro presenza quelle perso ne abbiano fatto comprendere di esse re pronte a condividere questo stile. E di essere disposte a portare un punto di vista morale di cui il nostro Paese ha davvero bisogno. Abbiamo bisogno di un nuovo afflato morale. È la mancan za di questo che produce situazioni dif ficili e quindi questo contributo è fon damentale.

Può essere la radice di un nuovo u manesimo?

Speriamo davvero, perché ne abbiamo davvero bisogno. Gli obiettivi morali sono ormai messi sempre più al margine come qualcosa di poco importante. Le frasi pro nunciate da Benedetto XVI in queste occasioni mi hanno col pito e hanno confermato – lo dico anche da ebreo per quel che ri guarda il dialogo ebraico-cristiano – che questo Papa ha un cuore limpido e questo facilita le cose.

Rigore, trasparenza e dialogo si conci liano tra loro?

Certo, e aggiungerei anche il cuore, che è molto importante. Sono componen ti essenziali per il contributo attivo al la costruzione di una cultura nuova. E questo è un impegno che deve trovare la più ampia adesione possibile.

Visto da chi non appartiene alla Chie sa, una reazione così calorosa nei con­fronti del Papa era scontata?

No, io non credo affatto che sia scon tata. Anzi credo che sia importante che emerga. Purtroppo bisogna prendere atto che esiste un atteggiamento diffu so di diffidenza, ecco perché è impor tante che ci siano queste cose. E d’al tra parte quelle affermazioni così net te del Papa, che ha ricordato che il pec cato sta anche den tro la Chiesa, ri spondono in manie ra chiara a un diffu so atteggiamento polemico di scettici smo. La presenza di numerose persone in piazza San Pietro domenica ha sotto lineato l’importan za di quelle parole.

Nel nostro Paese la libertà di manife stare la propria opinione è ben usata?

Non direi: si pensa che l’unico modo per farlo sia quello di urlare, di gridare e no quello di dire le cose con chiarez za, anche radicali ma frutto di un pen siero profondo.

Il matematico di tradizione ebraica: «Quella folla si è dimostrata pronta a portare nuovo afflato morale nel Paese»
Matteo Liut


I capi della Legione si autoassolvono, prima di affondare - In una loro circolare interna, qui pubblicata, essi affermano di non aver mai saputo nulla della doppia vita del loro fondatore Maciel. Ma il giudizio delle autorità vaticane è opposto. L'imminente nomina del delegato papale - di Sandro Magister
ROMA, 17 maggio 2010 – Di ritorno dal Portogallo, Benedetto XVI si ritrova sull'agenda il caso arduo dei Legionari di Cristo.
A breve il papa dovrà dar corso alle tre decisioni annunciate nel comunicato della Santa Sede del 1 maggio: la nomina di un suo delegato con pieni poteri sulla Legione; la nomina di una commissione di studio sulle costituzioni della congregazione; la nomina di un visitatore apostolico per il suo movimento laicale, il Regnum Christi.
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Per quanto riguarda il delegato, l'unica candidatura presa in esame nel vertice vaticano del 30 aprile e 1 maggio, quella del cardinale Juan Sandoval Íñiguez, 77 anni, arcivescovo uscente di Guadalajara, non ha avuto seguito. Il cardinale ha detto di non essere stato interpellato e di non ritenersi la persona adatta, pur affermando di essere comunque a disposizione del Santo Padre, legato a lui dal giuramento di obbedienza.
C'è però un passaggio interessante, nella nota pubblicata il 7 maggio a questo proposito sul sito della conferenza episcopale messicana: là dove il cardinale Sandoval auspica che il delegato sia uno dei cinque vescovi che hanno da poco ultimato la visita apostolica nella Legione.
Tra questi, i candidati con più chance sembrano essere due: Ricardo Ezzati Andrello, vescovo di Concepción, 68 anni, cileno ma italiano di nascita, salesiano, e Giuseppe Versaldi, vescovo di Alessandria, 67 anni, esperto canonista. Entrambi godono la piena fiducia del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Ed entrambi sono stelle emergenti dei rispettivi episcopati, il primo in predicato per l'arcidiocesi di Santiago del Cile, il secondo per quella di Torino: nomine che verrebbero rispettivamente accantonate qualora la scelta cadesse su uno di loro, per un'impresa che esige molto tempo e molte energie.
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Oltre alla nomina del delegato, le attese riguardano anche i poteri che gli verranno attribuiti e la sua futura agenda di lavoro.
Anche su questo vi sono dei passaggi interessanti, in un'altra nota apparsa il 6 maggio sul sito della conferenza episcopale del Messico, il paese in cui i Legionari di Cristo sono sorti e hanno il maggior seguito.
In essa si criticano senza attenuanti i dirigenti attuali della Legione. Li si accusa di "fare pressioni sul papa perché agisca a favore dei loro interessi". Si dà per certo, di conseguenza, che il delegato papale "rimuoverà in blocco l'attuale consiglio di governo dei Legionari e i direttori regionali". E si prevede che la Legione, per "rifondarsi" su un nuovo carisma e per troncare del tutto con il suo indegno fondatore Marcial Maciel, dovrà rinunciare anche al suo attuale nome, tornando magari a quello iniziale di Missionari del Sacro Cuore e della Vergine dei Dolori.
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Sia in Vaticano, quindi, visto il severissimo comunicato del 1 maggio, sia in una conferenza episcopale chiave come quella messicana, i giudizi sull'affidabilità degli attuali capi dei Legionari sono del tutto negativi.
Eppure, questi stessi capi, e in particolare i loro due massimi esponenti, il direttore generale Álvaro Corcuera e il vicario generale Luís Garza Medina, entrambi messicani, continuano a proporsi come i più adatti a restare in sella anche durante la fase di transizione.
All'esterno, i due e specialmente Garza l'hanno fatto con dichiarazioni e interviste, prima del comunicato vaticano del 1 maggio.
Ma è soprattutto all'interno che essi fanno opera di convincimento. Con ripetuti colloqui, incontri, lettere fanno pressione per legare a sé quelle centinaia di sacerdoti e di religiosi della Legione che sono i più smarriti dopo le rivelazioni sulla vita indegna del fondatore.
Più tarda l'arrivo del delegato papale e più Corcuera e Garza contano di consolidare il consenso interno attorno a loro, rendendo così più difficile se non impossibile – sperano – la loro rimozione.
Un chiaro riflesso delle loro mire è nella circolare interna che i capi della Legione hanno trasmesso il 5 maggio ai loro subordinati, nei vari territori.
Il testo integrale di questa circolare – resa pubblica il 6 maggio dal blog italiano "Settimo cielo", collegato a www.chiesa – è riprodotto più sotto.
In essa, i capi attuali della Legione non solo minimizzano la forza d'urto del comunicato vaticano del 1 maggio ma anche respingono l'accusa di aver saputo da molti anni della doppia vita del fondatore Marcial Maciel e di averla coperta.
Scrivono infatti nella circolare che quando il comunicato vaticano dice che "di tale vita era all’oscuro gran parte dei Legionari", ciò "significa che la maggioranza non sapeva nulla, inclusi coloro che attualmente sono al comando della Legione".
Ma allora da chi era composto il "sistema di potere" che – come afferma il comunicato vaticano – costituiva attorno a Maciel un "meccanismo di difesa" della sua vita indegna, col "silenzio dei circostanti" e col "discredito e allontanamento di quanti dubitavano del suo retto comportamento"? Da chi era composto, se non dai dirigenti di oggi e di ieri?
Inverosimilmente, dopo essersi così autoassolti, gli autori della circolare aggiungono che "rimane da esaminare se c'era colpevolezza da parte di coloro che il comunicato vaticano menziona". Come se, oltre che la doppia vita di Maciel, vi fosse stato alla testa della Legione anche un doppio governo, il secondo dei quali anch'esso occulto.
*
Quanto all'agenda del delegato che il papa nominerà, una ipotetica tabella di marcia l'ha prospettata l'intellettuale cattolico americano George Weigel in un ampio commento sul sito on line della rivista "First Things".
A detta di Weigel, un primo imperativo dovrà essere la cancellazione totale della "grande narrazione" che lega la storia della Legione alla figura del suo fondatore Maciel, di cui molti ora riconoscono le colpe ma continuano a vantare i meriti.
Un esempio clamoroso di quanto questa "grande narrazione" abbia funzionato anche al di fuori della Legione è dato da un'omelia rivolta ai Legionari dal cardinale Franc Rodé, prefetto della congregazione vaticana per i religiosi, il 29 luglio 2007, quindi più di un anno dopo la condanna papale del loro fondatore:
"Ciò che suscita ammirazione nella Legione di Cristo è frutto del genio di padre Maciel. Il Signore vi ha benedetto in questi ultimi anni con tante vocazioni, e vi continuerà a benedire se rimarrete fedeli al carisma lasciatovi da lui. Dove occorre cercare l’origine, la fonte di questa sapienza di padre Maciel? Nel suo amore per Cristo, nel suo amore per la Chiesa. Lì sta il segreto della sua vita e il segreto della sua opera. È questo che gli ha permesso di suscitare un’opera di dimensioni mondiali".
Una volta cancellata questa "grande narrazione", i passi ipotizzati da Weigel sono i seguenti:
– rimuovere in blocco gli attuali dirigenti centrali e territoriali ed espellere quelli che si fossero macchiati di complicità con Maciel;
– sospendere l'accoglimento di nuove vocazioni;
– individuare il carisma ispiratore su cui rifondare da capo la Legione;
– convocare un capitolo generale che dissolva la Legione e ricostituisca una nuova congregazione religiosa, con un nuovo statuto, con un nome nuovo e con aderenti prudentemente vagliati.
Realistica o no, quella ipotizzata da Weigel è in ogni caso un'agenda ancora di là da venire.
Alla quale va aggiunto che Benedetto XVI incontrerà alcune delle vittime degli abusi di Maciel. L'ha confermato uno dei cinque visitatori, il vescovo messicano Ricardo Watti Urquidi, in un'intervista a Televisa.
Ecco dunque qui di seguito la circolare che i capi territoriali della Legione hanno trasmesso il 5 maggio 2010 ai loro subordinati.
Il comunicato al quale la circolare si riferisce è quello emesso dalla Santa Sede il 1 maggio scorso al termine della riunione tra le autorità vaticane e i cinque visitatori apostolici incaricati di ispezionare la Legione, riprodotto e commentato in questo servizio di www.chiesa:
> La grande "scommessa". Come rifondare da capo la Legione
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LEGIONARI DI CRISTO. CIRCOLARE INTERNA DEL 5 MAGGIO 2010
1. La Santa Sede ci ha chiesto che questo sia un momento di riflessione e preghiera, pertanto non è opportuno che facciamo commenti né dichiarazioni circa il Comunicato. Questo è il motivo per il quale non abbiamo fatto ulteriori comunicazioni pubbliche.
Questo non implica che non aiutiamo e non comunichiamo gli elementi essenziali per favorire la pace, l'unità e l'accoglienza del Comunicato. Al contrario, entro i contenuti dello stesso e con la dovuta prudenza, dobbiamo comunicare ed offrire accompagnamento attraverso diversi canali, soprattutto personali e di gruppo. Quanto ai dati precisi, dobbiamo attenerci in ogni momento al fatto che non abbiamo informazioni ufficiali oltre a quelle dello stesso Comunicato. Appena riceveremo altre informazioni ve le trasmetteremo. Nel frattempo non dobbiamo consentire di trarre conclusioni o interpretazioni in questo senso.
2. Tuttavia, è necessario che aiutiate tutti (Legionari, membri consacrati, membri ed amici del Regnum Christi, benefattori, impiegati), a:
a. Accogliere le disposizioni della Santa Sede con una profonda fede in Dio e con obbedienza filiale al Santo Padre.
b. Sforzarci di costruire unità tra tutti ed in maniera speciale col Santo Padre. Bisogna uscire da ogni incontro con cuore mite ed umile.
c. Irrobustire la fiducia nella Provvidenza di Dio e affrontare il futuro con molta serenità e con spirito positivo.
d. Fissare lo sguardo sulla grandezza e l'urgenza della missione di evangelizzazione che impegna la Chiesa e noi in essa. È lì, nell'annuncio del Vangelo, nella salvezza delle anime e nell'estensione del Regno di Cristo, che teniamo concentrato il nostro sguardo.
3. Così pure, aiutate a comprendere anche le parti positive che contiene il Comunicato sulla Legione e i suoi membri. Molti mezzi di comunicazione stanno diffondendo solo le correzioni e gli aspetti negativi, cosa che si presta alla deformazione di molti dei messaggi.
4. Nell'attenzione personale, nelle riunioni e nelle conferenze che si tengono nelle comunità, nei gruppi, nelle sezioni e nelle opere, è necessario chiarire alcuni messaggi sbagliati che alcuni mezzi stanno diffondendo:
a. Il Comunicato non parla di "rifondazione", bensì di "profonda revisione" e "purificazione".
b. Non parla di cambiare il carisma, piuttosto parla del "nucleo di carisma che appartiene ai Legionari di Cristo ed è loro proprio", della "necessità di ridefinire il carisma... preservando il nucleo vero", di "un autentico dono di Dio, una ricchezza per la Chiesa"; il papa "li esorta a non perdere di vista che la loro vocazione, scaturita dalla chiamata di Cristo e animata dall'ideale di testimoniare al mondo il suo amore, è un autentico dono di Dio, una ricchezza per la Chiesa, il fondamento indistruttibile su cui costruire il futuro personale e quello della Legione".
c. Non è un rifiuto del papa della Legione di Cristo. Piuttosto si dice che "il papa rinnova a tutti i Legionari di Cristo, alle loro famiglie, ai laici impegnati nel movimento Regnum Christi, il suo incoraggiamento in questo momento difficile per la Congregazione e per ciascuno di loro". E “il Santo Padre intende rassicurare tutti i Legionari e i membri del movimento Regnum Christi che non saranno lasciati soli: la Chiesa ha la ferma volontà di accompagnarli e di aiutarli nel cammino di purificazione che li attende".
d. Quando dice che "della vita [di Marcial Maciel] era all'oscuro gran parte dei Legionari" significa che la maggioranza non sapeva niente, inclusi quelli che attualmente sono nel governo della Legione. Rimane da esaminare se c'era colpevolezza da parte di coloro che il Comunicato menziona.
e. Rispetto al Delegato, il Santo Padre non ha specificato né il nome della persona, né le sue facoltà, né le date. Nemmeno si ha alcuna ulteriore notizia circa la visita apostolica ai membri consacrati del Regnum Christi, benché essa sia confermata.
La Divina Provvidenza ha permesso che viviamo questo cammino di purificazione. Viverlo con fede, speranza e carità è un'opportunità che Dio ci offre per dare testimonianza del suo amore. Vediamolo come un'opportunità di evangelizzazione.
12 maggio 2010 :: Corriere della Sera - Gli abusi dei sacerdoti come "frecce e pallottole" - di Vittorio Messori - © Corriere della Sera
Adesso, nella schiera vasta, talvolta inquietante dei «fatimisti» ci sarà fermento per mostrare che papa Benedetto XVI si è tradito, che ha smentito il cardinal Ratzinger quando fiancheggiò Giovanni Paolo II nella rivelazione del mitico Terzo Segreto.
In effetti, molte parole si sono accumulate da quel 2000 in cui il Segretario di Stato, Sodano, diede lettura del testo, accanto al Papa che aveva appena beatificato i piccoli Francisco e Giacinta.
Libri, pamphlet, articoli, inchieste televisive hanno sostenuto, con scialo di argomentazioni, che il duo Wojtyla-Ratzinger ci ha ingannati, che il Segreto era ben altro e riguardava la crisi della Chiesa dopo il Concilio.
Qualcuno, per attenuare la responsabilità degli illustri «falsari» — il Pontefice, il Prefetto della fede, suor Lucia stessa che confermò per scritto la loro versione — hanno ipotizzato, più che un inganno, una reticenza.
Il testo, cioè, sarebbe stato amputato. Vera la parte rivelata, ma un’altra esiste ed è stata nascosta, per non appannare il prestigio del Vaticano II, per non farlo responsabile della catastrofe ecclesiale.
Catastrofe venuta dall’interno, dunque, mentre si vorrebbe farci credere, con il testo pubblicato, che i nemici della Chiesa siano solo all’esterno. Si ricorderà, in effetti, la scena drammatica descritta da suor Lucia: «Il Santo Padre, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni».
Ecco che ora, rispondendo alle domande dei giornalisti, Benedetto XVI mette lo scandalo della pederastia clericale tra ciò che in qualche modo sarebbe stato predetto nel messaggio di Fatima. Un attentato al Vangelo ma venuto da dentro, dal clero, talvolta dalla Gerarchia stessa: dunque, una crisi di fede, un disastro frutto della Catholica devastata dal Concilio. Proprio ciò che starebbe nel Terzo Segreto «vero» e che ci sarebbe stato nascosto.
Chi darà questa lettura non avrà visto le parole di papa Ratzinger nella loro interezza. La persecuzione di cui parla Fatima, rileva il Papa, può venire da fuori, come è annunciato nel testo noto, ma anche dall’interno. Le sofferenze della Catholica, a cominciare dallo strazio del Papa, sono inflitte da chi sta «fuori» ma pure da chi sta «dentro».
Questi abusi di sacerdoti sono per il Capo della Chiesa comparabili alle «pallottole e alle frecce» tirate dai miscredenti. I persecutori sono spesso quei sedicenti seguaci del Vangelo che in realtà lo tradiscono, sfidando le parole di Gesù. Dunque, dice papa Ratzinger, proprio la parola «penitenza» ripetuta per tre volte dagli angeli del Terzo Segreto, è un appello alla Chiesa perché non tema soltanto i nemici esterni ma provveda pure a purificare se stessa.
Parole di precisazione vane, per i sostenitori della mistificazione vaticana. Mi si permetta allora, per capire il milieu, una testimonianza personale. Durante le 24 ore di colloquio a tu per tu da cui nacque Rapporto sulla fede, chiesi all’allora cardinal Ratzinger se avesse letto il Terzo Segreto.
«Sì, l’ho letto», fu la risposta secca e immediata. Come naturale, su questo lo incalzai, non ottenendo, ovviamente, la rivelazione del contenuto ma alcune frasi significative. Il libro uscì nel giugno del 1985, ma nel novembre precedente alcune anticipazioni — tra cui quella su Fatima — comparvero sul mensile Jesus. Nel passaggio dal giornale al volume, rividi tutto il testo e lo feci completamente da solo, in piena libertà, visto che il Cardinale avrebbe esaminato con attenzione ogni riga prima dell’imprimatur. Così, anche a proposito di Terzo Segreto, a vantaggio dello stile e della leggibilità cambiai un aggettivo, soppressi una parola, un’altra la aggiunsi, inserii un particolare e così via.
Alla fine, Ratzinger lesse, si riconobbe, approvò e, nel caso specifico, senza alcun ritocco. Ebbene: molti anni sono passati da allora e ancor oggi cresce una massa di libri, inchieste, articoli in molte lingue dove infinite pagine sono dedicate al confronto tra le parole del cardinale stampate sul giornale e la versione delle stesse sul libro. Differenze che rivelerebbero strategie, trame, occultamenti, vendette, da parte di potenti «cupole»… È solo un esempio. Fatima attira devoti ma anche visionari, complottardi, dietrologi. Finendo, così, per dimenticare che tutto, alla fine, è molto semplice e si riassume in due sole parole: «Preghiera, penitenza».
© Corriere della Sera
Il neoliberalismo e il fine dell'esistenza umana secondo il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie - La società postindustriale e il vero confine della libertà - A pochi mesi dall'edizione dei discorsi di Benedetto XVI sull'Europa da parte del Patriarcato ortodosso di Mosca (Europa. Patria spirituale, Mosca-Roma, Russian Orthodox Church - Sofia, 2009, pagine 231, euro 9,50) un secondo volume raccoglie una selezione di discorsi del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Cirillo. Il libro, Libertà e responsabilità alla ricerca dell'armonia. Dignità dell'uomo e diritti della persona (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana - Sofia, 2010, pagine 204, euro 18) è stato presentato il 17 maggio a Milano all'Università Cattolica del Sacro Cuore. In uno dei testi introduttivi, il curatore Pierluca Azzaro mette in evidenza la vicinanza di pensiero tra Benedetto XVI e Cirillo nella contrapposizione all'ideologia "liberista e secolarista" che "lotta nel mondo contro tutte le forme del sacro servendosi soprattutto dei mezzi di comunicazione di massa". E, citando il Patriarca, scrive: "In occidente si vuole relegare la fede nell'ambito della vita privata, in modo quasi peggiore di quanto non facesse il regime sovietico nel nostro Paese". La pubblicazione del libro rappresenta anche il prologo dell'inaugurazione, il 20 maggio a Roma, dell'Accademia italo-russa "Sapientia et Scientia", nata su iniziativa dell'associazione internazionale "Sofia: Idea russa, idea d'Europa" con la collaborazione dell'Università di Stato delle relazioni internazionali di Mosca. L'accademia, che si proporrà come luogo di incontro e di confronto tra esponenti delle Chiese e delle società civili di Italia e Russia, avrà sede a Villa Sciarra-Wurts. Sempre il 20 maggio, nell'ambito delle Giornate di cultura e spiritualità russe, nell'Aula Paolo VI in Vaticano verrà eseguito un concerto offerto dal Patriarca Cirillo a Benedetto XVI. Dello stesso Patriarca di Mosca pubblichiamo qui di seguito alcuni stralci del testo che apre il libro presentato a Milano. Sotto riportiamo l'introduzione al volume scritta dall'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. - L'Osservatore Romano - 17-18 maggio 2010
Oggi non esistono difese capaci di proteggere la salute spirituale dei popoli, la loro originalità storico-religiosa dall'espansione di fattori socio-culturali estranei e distruttivi, da un nuovo stile di vita sorto al di fuori di ogni tradizione e formatosi sotto l'influsso della realtà postindustriale.
Il nuovo stile di vita nell'èra postindustriale si basa sull'esercizio della libertà individuale a qualsiasi costo e senza limiti, tranne quelli imposti dalla legge. Come definire questa visione da un punto di vista teologico? La concezione del neoliberalismo si fonda sull'idea della liberazione della persona umana da tutto quello che essa crede possa limitare l'esercizio della sua volontà e quello dei suoi diritti. Il modello in questione presume che il fine dell'esistenza umana sia l'affermazione della libertà individuale, afferma che da essa la persona tragga il suo valore assoluto. Vorrei osservare che i teologi, anche quelli ortodossi, non negano la libertà del singolo, affermandola non si tradisce la dottrina della Chiesa di Cristo. Il Signore stesso, che ha creato l'uomo a Sua immagine e somiglianza, ha infuso in lui il dono del libero arbitrio. In questo modo la libertà dell'uomo è predestinata dal disegno divino e la sua negazione è un peccato.
Eppure, a cominciare dal punto da noi identificato, si dà adito alla menzogna diabolica, demoniaca e perniciosa. Infatti, quando l'apostolo Paolo ci chiama alla libertà, egli parla della predestinazione dell'uomo a essere libero in Cristo, cioè libero dal peso del peccato. Perché la vera libertà viene acquistata dall'uomo a misura della liberazione dal peccato, dall'oscuro potere dell'istinto e del principio del male che pesa su di lui.
La libertà è donata all'uomo affinché egli abbia la possibilità di fare da sé la propria scelta in favore dell'ubbidienza cosciente alla volontà che salva, all'assoluta volontà di Dio. Questo è il cammino proposto all'uomo, quello della libera unione con Dio attraverso la completa sottomissione a Lui, e quindi di conformazione a Lui nella santità. Questo è lo scopo del grande dono della libertà. Infatti, nulla impediva al Creatore di infondere fin dall'inizio nella sua creatura sia la grazia desiderata, sia la somiglianza con Dio da noi anelata, e la felicità di sentire senza interruzione la Sua presenza in tutto ciò che è in noi e attorno a noi. Parlando semplicemente, il Creatore poteva programmarci per la grazia sovrabbondante allo stesso modo in cui noi programmiamo la sveglia. Eppure, essendo Libertà Assoluta e Buona per Sua natura, Egli ha disposto di comunicare la Sua proprietà della libertà al genere umano. E solo una tale libertà può essere da noi compresa come donata da Dio.
L'idea liberale - così come prima la si è descritta - non fa appello alla liberazione dal peccato, poiché è il concetto stesso di peccato a essere assente in quel liberalismo. Non c'è spazio per il concetto di peccato; vi è azione illecita quando, con un dato comportamento, il singolo viola la legge ovvero lede la libertà altrui. Potremmo dire che la dottrina neoliberale postindustriale ruota intorno all'idea dell'emancipazione dell'individuo peccatore, vale a dire dello sprigionamento di tutto il potenziale di peccato che vi è nell'uomo. L'uomo emancipato così inteso ha il diritto di liberarsi di tutto ciò che lo imbarazza, che lo ostacola nell'affermazione del proprio "io" ferito dal peccato. È, si dice, un affare privato, dell'individuo sovrano, autonomo, che non dipende da nessun'altro che da se stesso. In questo senso il neo-liberalismo o liberalismo immanente è diametralmente opposto al cristianesimo. Lo si può definire anticristiano, senza temere di peccare contro la verità.
Quanto a gravità della sfida, un salto qualitativo è dato dal fatto che la concezione moderna del liberalismo ha da tempo abbandonato gli abiti infantili del piano filosofico, quello che ruota intorno all'idea di emancipazione dell'individuo. Quella concezione è penetrata e si è diffusa in tutte le sfere dell'agire umano: in quella economica, nella politica, nella giuridica, nella sfera religiosa, determina la struttura della società. L'idea neo-liberale determina la accezione comune delle libertà civili, delle istituzioni democratiche, di ciò che è l'economia di mercato, della libera concorrenza, della libertà di parola, della libertà di coscienza, tutto ciò che rientra nel concetto di "civiltà contemporanea".
Allorché si muovono alcune obiezioni alla dottrina neo-liberale, taluni vengono presi da un terrore quasi sacro, scorgono in quegli appunti un attentato ai "principi sacri" delle libertà e dei diritti umani. La società oggi deve comprendere che le idee neo-liberali possono essere criticate sulla base di concezioni diverse di politica economica; la pluralità di opinione tra l'altro si inserisce in modo del tutto naturale nel sistema di valori che la dottrina liberale stessa propugna.
La pluralità è un dato naturale, come per esempio lo stare l'una accanto all'altra delle idee liberali - nel campo della politica, dell'economia, della vita pubblica e così via - e di altre che non coincidono con quelle concezioni. Non vi è alcuna ragione per affermare che non è lecito criticare il neoliberalismo a partire da posizioni teologiche. Non è compito della Chiesa determinare la forma di Stato e di governo della Russia: monarchica, repubblicana, capitalista, socialista o qualcos'altro ancora. È questa una prerogativa della società nel suo complesso e di ogni cittadino in particolare. La Chiesa si augura che vi sia un dibattito realmente libero e appassionato sulle linee guida delle riforme, sui valori che sorreggono la struttura istituzionale, che guidano l'economia, sui quali si fonda la società e si erige la patria.
(©L'Osservatore Romano - 17-18 maggio 2010)
Le grandi folle di Fatina dimostrano la vitalità del messaggio mariano. Un filo comune lega le apparizioni, compresa Medjugorje dove la Madonna chiede la conversione del cuore, la pace e la preghiera. Medjugorje coerente con la teologia cattolica - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.Roma.it
Papa Benedetto XVI ha da poco concluso il suo brillante pellegrinaggio a Fatima, dal quale torna con un bilancio roseo e davvero positivo. Le grandi masse presenti a Fatima parlano chiaro: Maria sa coinvolgere, emoziona, convince e persino gli scettici, quelli che guardano alla Madonna e alla mariologia come a roba da donnette, devono ricredersi davanti alla evidenza. Non può trattarsi di un abbaglio colossale. Ne parliamo con il noto giornalista e scrittore cattolico Saverio Gaeta, che alla Madonna ha dedicato gran parte della sua ottima produzione. Gaeta, che bilancio ricavare dalla visita papale?: " guardi, non per schivare il tema, ma me ne sono occupato poco". Parliamo di Maria e Fatima: " ben volentieri. Maria a Fatima ha detto, sostanzialmente, quello che ha ripetuto in altre apparizioni, magari con maggior accento sui problemi anche storici del suo tempo, sicuramente difficile e non bello per le turbolenze che sconvolgevano ...
... l' Europa,presa dal fuoco della guerra e dalla rivoluzione Russa. Un quadro che non conciliava molto la vicinanza alla fede, eppure Maria invita alla preghiera e alla conversione, affidandosi alla consacrazione al suo Cuore, specie per la Russia".
Un messaggio profetico: " non lo scopriamo ora, Maria aveva saputo indicare quello che sarebbe accaduto alla Chiesa e le persecuzioni avvenute nel tempo, del resto messe nel conto dalla stesso vangelo. Si sa bene che Cristo aveva ammonito, aveva annunciato una via difficile per i cristiani. Se perseguitano me, lo faranno anche con voi".
Maria invita alla pace: " Maria é regina della pace che, si badi, non é assenza di conflitto basata sulla paura reciproca di gravi conseguenze per tutti. La pace, quella vera, é dettata dall' amore disinteressato per l' altro, dalla necessità di capirsi e dunque dalla solidarietà. Non basta il non combattere, la non violenza. Cose sicuramente lodevoli, ma la vera pace consiste nel cercare il dialogo, la via dell' amore e della comprensione".
Specialmente in un tempo nel quale i valori della trascendenza sembrano essere in disuso: " questo é dovuto agli eccessi della tecnologia e del capitalismo. Oggi bastano quindici minuti di buio nella rete informatica per mandare in tilt in mondo, si trovano ortaggi in ogni stagione dell' anno e tutto pare stravolto, fuori delle regole. Non sappiamo più stupirci, abbiamo smarrito questa innocenza".
Parliamo di Medjuroje: " anche in quel posto, Maria dice le stesse cose, invita alla pace, alla fratellanza, alla preghiera e alla conversione e i frutti si vedono. La Chiesa é giustamente cauta in quanto le apparizioni ancora avvengono e non potrebbe fare diversamente, ma non ha bocciato il fenomeno ed una commissione molto autorevole sta lavorando sul tema. Credo che i messaggi di Medjugorje siano perfettamente in regola con la ortodossia cattolica e condivisibili".
Bruno Volpe
TRA SATANISMO, ROCK E BUSINESS: MARILYN MANSON - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.Roma.it
Marilyn Manson è certamente un “cattivo maestro” per eccellenza per numerose masse di giovani. Infatti egli è l’ artista del paradosso e della trasgressione, e tutti sanno che il cantante americano, che si dichiara favorevole alla legalizzazione di tutte le droghe, ha fatto della trasgressione e della provocazione le sue armi fondamentali di successo discografico. Marilyn Manson (all’anagrafe Brian Warner) è nato nel 1969 a Canton (Ohio), l’anno in cui la cultura hippy celebrava il suo apogeo con il festival di Woodstock. All’età di 18 anni si trasferisce a Tampa Bay in Florida dove inizia la sua carriera come giornalista nel mondo del Music Business. Ma saranno fondamentali gli incontri con Iggy pop David Bowie, Red Otchily Peppers e altre rock star, confessa nella sua autobiografia “La mia lunga strada dall’inferno”, a convincerlo che sarebbe stato più divertente (e proficuo economicamente) rilasciare ...
... interviste choc, invece di farle come cronista. I critici fin dall’inizio non hanno esitato a liquidare questo androgino amante del satanismo e del feticismo sessuale come l’ennesima pessima rivisitazione di Ozzy Osbourne e Alice Cooper. Ma se dopo quasi vent’anni la sua metamorfosi da fenomeno da baraccone a fenomeno culturale può dirsi realizzata, vuol dire che purtroppo dietro la sua carnevalata satanica c’era qualcosa di più di un astuto marketing. Il suo album di debutto “Portrait of an American Family” del 1994, risente ancora del condizionamento del produttore discografico Trend Reznor, leader dei Nine Inch Nails, gruppo californiano dalle lugubri sonorità industrial. In copertina il ritratto in plastilina della tipica famiglia disfunzionale americana seduta davanti alla tv. Il videoclip di “Get Your Gunn” è stato proibito dal gestore dei contenuti del Web perché giudicato reo di incitare i giovani all’uso delle armi.
In “Smells Like Children” del 1995, album caotico registrato sotto l’influsso evidente di uso di droga, Manson parla dell’infanzia abusata. Tale tema è ricorrente nella sua produzione, vittima lui stesso durante l’infanzia, di un episodio di violenza sessuale. Ma è “Antichrist superstar” il suo album del 1996 che è pieno di riferimenti simbolici al satanismo e alle discipline occulte. Sempre nel 1996 Manson debutta al cinema nel film “Strade perdute” sotto la regia di David Lynch, nel ruolo di una pornostar losca e inquietante. Nel 1998 esce l’album “Mechanical animals” dove gli aspetti gotico-industriali cedono il posto ad un rock di impronta più estetizzante. Nel 2000 esce l’album “Holy Wood” estremamente duro e tossico dove come sempre s’inneggia al culto delle armi negli Stati Uniti.
In una dichiarazione, il cantante ha espresso i suoi ideali satanici: “Satanismo non significa adorare il diavolo, significa che l’uomo deve essere il proprio dio sulla terra. Non devi adorare niente e nessuno, tranne te stesso6”.
Sono questi i non-valori che un certo tipo di musica sta portando ai giovani. Un vero e proprio “lavaggio del cervello”, che può condurre i ragazzi sulla strada del nichilismo e della sfiducia nella vita.
Manson – a torto o a ragione – è accusato di avere ispirato con i testi delle sue canzoni suicidi e azioni violente da parte di alcuni suoi giovani fans, dalla strage alla Colombine High School a Littleton (Colorado) del 20 aprile 1999, all’omicidio a Chiavenna (Sondrio) di suor Maria Laura Mainetti (1939-2000) nella notte fra il 6 e il 7 giugno 2000 ad opera di tre ragazze allora minorenni, i cui diari riprendevano ossessivamente “motti” tratti dalle canzoni del rocker statunitense.
Le narrative circa l’infanzia e la giovinezza di Marilyn Manson parlano di un bambino turbato in tenerissima età dalla scoperta delle perversioni sessuali del nonno e concordano sul fatto che il giovane Brian si ritiene poi frustrato dalla frequentazione di un ambiente scolastico cristiano fondamentalista e, proprio in quell’ambito estremamente rigoroso dal punto di vista morale e per reazione allo stesso, si sviluppa il suo desiderio di andare controcorrente, scrivendo fumetti pornografici e diffondendo audiocassette di gruppi rock proibiti dalle autorità della scuola. Più tardi, Brian tenta varie esperienze letterarie senza alcun successo, tuttavia riesce a diventare collaboratore di una nuova rivista musicale. Questa professione gli consente di sviluppare conoscenze nel mondo discografico e di fondare una band specializzata in hard rock, che subito si caratterizza per gli spettacoli e uno stile di vita trasgressivo, con ampio uso di sostanze stupefacenti.
Marilyn Manson, anche la scelta del nome d’arte da parte del cantante statunitense è di per sé volutamente ambigua e trasgressiva e denota il riferimento a due “miti”: Marilyn Monroe (1926-1962), indiscussa e celebrata sex symbol, e Charles Manson (1934), ispiratore della strage di Los Angeles in cui fu uccisa l’attrice Sharon Tate (1943-1969), moglie del regista Roman Polanski.
Come confermato in varie occasioni da Brian Warner, il riferimento alla Monroe consente la possibilità di muoversi, nel gioco di continue mutazioni e travestimenti che ormai lo caratterizza, fra i due estremi: maschio/femmina, ma anche bene/male, buono/cattivo. Per quanto concerne il riferimento a Charles Manson, invece, occorre notare che gli omicidi commessi da aderenti alla comunità raccolta attorno a questi (La Famiglia), nel 1969, e il successivo clamoroso processo del 1972 procurano inizialmente un’ampua pubblicità al satanismo, ma determinano anche una forte reazione sociale. Tuttavia, il riferimento satanico in senso stretto esiste, ed è ben messo in evidenza nelle biografie di Marilyn Manson: nel 1994 il cantante incontra, infatti, Anton Szandor LaVey (pseudonimo di Howard Stanton Levey, [1939-1997]), e aderisce alla Chiesa di Satana da questi fondata nel 1966 con l’amico e regista underground di Hollywood, Kenneth Anger (pseudonimo di Kenneth William Anglemyer [1927]), la quale Chiesa di Satana fa seguito alla costituzione (avvenuta nel 1961) di un’organizzazione chiamata Magic Circe.
A detta di alcuni biografi, l’incontro con LaVey, che fa guadagnare al cantante l’appellativo di “reverendo”, quale riferimento all’affiliazione alla Chiesa di Satana californiana, ispira profondamente le varie tematiche e messaggi che emergono dai testi delle canzoni di Warner, le quali da anni certamente affascinano molti giovani che fanno proprio uno stile di vita ispirato ad una subcultura con riferimenti a vari tipi di trasgressione e disperazione, dalla droga, al sesso, al gusto per il macabro e il “grottesco”, passando per il satanismo. Durante i concerti, che sono un concentrato di violenza e cattivo gusto, Marylin Manson arriva al punto di ferirsi fisicamente.
Manson lancia un appello con le sue canzoni e con la sua stessa immagine; in effetti, sembra plausibile che – come molti sostengono – quella relativa a Marilyn Manson sia soprattutto una grossa operazione di business da parte dello stesso cantante e dell’industria discografica, tuttavia la giovane folla che accorre ai concerti del “reverendo” e acquista i suoi dischi, sembra sostanzialmente confermare quanto il sociologo delle religioni Massimo Introvigne scriveva nel 1994 a proposito dei gusti musicali di alcuni giovani che possono sfociare nella creazione di una certa subcultura satanica e nel cosiddetto “satanismo giovanile”: “[…] in un mondo dove il sesso e il turpiloquio non creano più veramente scandalo […], forse soltanto Satana rimane veramente provocatorio7.
Naturalmente non bisogna cadere nell’errore di generalizzare e condannare tutta la musica rock, in quanto non tutto il rock propone messaggi negativi. Fortunatamente non tutti i giovani rimangono catturati da certe atmosfere, un segnale positivo è la sempre maggiore diffusione, tra i giovani, della “Christian Music” (musica cristiana).
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è una musica “da chiesa”, ma un genere per tutti. È l’espressione viva e pulsante di quegli artisti che desiderano offrire un messaggio diverso, alternativo, ricco di valori e di contenuti, utilizzando i linguaggi contemporanei: dal rock alla dance, dalla ballata melodica al rap.
Uno fra questi è il cantautore italiano Roberto Bignoli, portatore di handicap, che ha vissuto da bambino l’esperienza della povertà e della malattia, per passare successivamente a quella della droga e del carcere, ma al quale poi la fede ha cambiato radicalmente la vita; nel dicembre 2001 ha ricevuto a Washington il premio “Unity Awards” come migliore artista cristiano internazionale. Bignoli ha un bellissimo rapporto con i ragazzi ed è stato tra i protagonisti di alcune edizioni delle Giornate Mondiali della Gioventù e questo dimostra che il cuore di tanti ragazzi batte per artisti che hanno scelto di utilizzare il linguaggio universale della musica per proporre messaggi in favore della vita e del Vangelo.
Don Marcello Stanzione
OGGETTI SACRI MALEFICIATI? - MA LEI CREDE ANCORA A QUESTE COSE? - COME PREGARE? - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
Sì, anche oggetti di devozione come libri di preghiere, immagini, crocifissi, statuette sacre, etc. possono essere colpite da un maleficio e irradiare forti influenze malefiche. E' questa una delle più impensabili astuzie dei figli del Maligno. Il contatto con questi oggetti o la loro presenza danneggia enormemente le persone o ne ostacola molto la liberazione se sono già colpite. Bisogna perciò farli esorcizzare dal sacerdote esorcista. Quando ciò è stato fatto, le persone si sono scatenate in modo furibondo! Per lo stesso motivo non bisogna mai prendere oggetti di devozione da maghi, fattucchieri o presunti gua-ritori che li reclamizzano su giornali o in televisione, promettendo effetti straordinari, ingannando e rovinando così la povera gente. MA LEI CREDE ANCORA A QUESTE COSE? E' la frase che si è sentita dire una signora (e tanti come lei) quando ha chiesto di un esorcista. Senza scomporsi la ...
... signora ha risposto: "Come mai allora la Sacra Scrittura dice: " Ma per gli increduli, gli immorali, i fattucchieri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco. E' questa la seconda morte" (Apoc 21, 8)? E come mai San Paolo dice: "Le opere della carne sono ben note: impurità, idolatria, stregonerie, orge e cose del genere; chi le compie non erediterà il regno di Dio" (Gal 5, 19-21)? La parola di Dio prova chiaramente che le opere dei fattucchieri e le stregonerie sono peccati così gravi da meritare il castigo eterno dell'Inferno. Mi dispiace ricordarle, caro padre, le parole di Gesù: Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?" (Gv 3, 10). Così la coraggiosa e ben preparata signora.
Non è che non le sanno. Purtroppo molti vescovi e molti sacerdoti non credono più al Demonio e al potere che Cristo ha dato alla Chiesa di cacciarlo. Pensano che sia una cosa superata. Si liquida tutto dicendo: "Roba da Medio Evo!". Ha detto Padre Amorth: "lo chiamo la frase: "Roba da Medio Evo", l'argomento degli asini. Perché significa: primo, che uno non conosce il Medio Evo, che è un'epoca luminosissima, anche se ha le sue ombre come tutte le epoche; e poi Perché non è un risalire al Medioevo, è un risalire a Gesù Cristo, anzi un risalire ad Adamo ed Eva, quindi molto più in là".
COME PREGARE?
Ascoltiamo Gesù che ci insegna a pregare: "Imparate da me a pregare con umiltà, con fiducia, con sottomissione e con perseveranza! Contemplatemi nell'Orto mentre prego.
Oh, quanto fu gradita questa preghiera tanto più che essa veniva proferita non in un momento di gioia e di conforto, ma nell'ora tenebrosa dell'agonia, alla vigilia della mia Passione e morte!
E' bello pregare, quando vi ricolmo di grazie e di favori; ma è generoso ed eroico pregare quando vi sembra che tutto congiuri contro di voi, quando il cielo vi sembra chiuso, quando non vi faccio sentire il mio amore, lo pregavo in mezzo a mortale agonia, mentre la visione della Passione mi martoriava, mentre i discepoli mi abbandonavano e Giuda mi tradiva. Imparate anche voi a pregare nelle ore buie della vostra vita! Il valore di una preghiera non dipende principalmente dalla quantità delle parole, ma dall'intensità dell'amore; e l'amore quando è grande e forte, non fa tante parole.... uno sguardo amoroso verso di Me, una protesta di amore, un godere della mia presenza, un ascoltare i miei insegnamenti, un parlare di Me... tutto ciò è preghiera, semplice, ma vera preghiera. Pregai con perseveranza!
La mia preghiera nell'Orto sembrava che fosse rimasta senza risposta dal Cielo, ma non mi sco-raggiai. Ripetei una seconda e una terza volta il gemito, sino a che il Padre mi mandò un Angelo a consolarmi. Quale lezione per voi, che tante volte, con le vostre novene, mettete a Dio un termine per esaudirvi!
Ammirate più di tutto l'umiltà della mia orazione. Da Figlio di Dio Incarnato, giacevo per terra, come un povero verme, e toccavo con la fronte la polvere. Non osavo alzare lo sguardo al Cielo, non ricordavo al Padre gli infiniti meriti miei, ma mi presentavo a Lui, schiacciato dal cumulo dei vostri peccati; non pretendevo ma chiedevo umilmente: "Padre, se è possibile..." come se io non meritassi di essere esaudito!
Voi invece tante volte vi mettete in preghiera, così pieni di voi stessi, come se per i vostri meriti aveste il diritto di pretendere la grazia che chiedete. Quanta cecità vi apporta il vostro amor proprio! Non dovete quindi meravigliarvi se tante vostre preghiere non sono state e non saranno esaudite!". [tratto dal libro "Preghiere di liberazione dal maligno" di don Pasqualino Fusco]
Carlo Di Pietro
Del Noce, Vico e l'ateismo. La relazione di Mauro Ronco al convegno di Pistoia - La linea Vico-Rosmini come risposta all’ateismo nel pensiero di Augusto Del Noce di Mauro Ronco
1. L’affresco storico.
Non si può comprendere il pensiero filosofico e storico di Augusto Del Noce se non lo si cala all’interno del suo tempo e dei problemi politici che Egli si trovò a vivere con una partecipazione piena e accorata, tanto più intensa quanto più irrimediabile gli appariva lo sgretolamento di ciò che era rimasto del meraviglioso edificio della civiltà cristiana, pur dopo gli sfregi arrecati dalla rivoluzione detta francese e dalla sua versione risorgimentale italiana.
Egli, avendo vissuto la giovinezza e la maturità scientifica nel periodo più acuto del dominio delle ideologie totalitarie, poté constatare passo dopo passo lo stritolamento progressivo delle istituzioni, del costume e dell’etica pubblica ispirata al cristianesimo per opera del totalitarismo nazista e del comunismo. Questi regimi e queste ideologie, pur lottando ferocemente e all’ultimo sangue gli uni contro gli altri, furono sinistramente uniti nel distruggere le vestigia della civiltà cristiana e nell’impedire con la violenza la possibilità di ri-presentazione efficace dell’ideale di vita cristiano.
Augusto Del Noce non fu mai disposto a transigere sui princìpi e mai rinunciò alla idea che soltanto il ritorno alla dottrina politica e sociale cristiana avrebbe consentito la cura delle società malate dell’Occidente, affinché le stesse potessero nuovamente contribuire, come nei secoli della Cristianità, al progresso del mondo intero. Per questo suo inflessibile attaccamento ai princìpi Del Noce fu sempre malvisto dai poteri forti e dagli stessi costantemente emarginato.
Negli anni precedenti all’esplosione della seconda guerra mondiale Egli, influenzato dal pensiero di Jacques Maritain, come la gran parte della gioventù studiosa cattolica del tempo, incerto tra i motivi antimoderni e ultramoderni della sua filosofia e delle sue ricadute politiche, partecipò all’esperienza culturale della «sinistra» cristiana, avvicinandosi alle posizioni rappresentate, nell’ultimo tratto del decennio ’30-‘40’, da Felice Balbo e Franco Rodano. Dopo la guerra, Egli, approfondendo il pensiero di Jacques Maritain, si staccò vigorosamente dalla «sinistra» cristiana e ne divenne il più acuto e intransigente critico, guadagnandosi così il disprezzo e l’emarginazione da parte degli eredi, culturali e politici, di quella «sinistra». Costoro, sia all’esterno che all’interno della Democrazia Cristiana, sconfitti dall’evento prodigioso del 18 aprile 1948, che, sotto l’impulso spirituale del Pontefice Pio XII, di venerata memoria, e la protezione della Vergine Santissima, aveva reso impossibile il patto di governo comune tra le forze cattoliche e quelle comuniste, operarono uniti sul piano politico per la secolarizzazione della società. A livello culturale si industriarono di trovare le ragioni di incontro tra la fede cristiana e il pensiero ateistico moderno, soprattutto nell’espressione logicamente definitiva del marxismo. E’ impossibile in questa sede esaminare il percorso sopraccennato. Basti qui dire che questo obiettivo, sul piano politico, filosofico e teologico, fu portato fino alle estreme conseguenze per tutto il corso della cosiddetta prima repubblica, fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989.
Nell’arengo politico i cattolici che non avevano reciso completamente il legame con la dottrina sociale della Chiesa – gli eredi di don Luigi Sturzo, tra cui, in particolare, Alcide De Gasperi, con una parte della Democrazia Cristiana – furono via via esclusi dai posti di comando del partito, con sempre maggiore determinazione a partire dalla morte dello statista trentino nel 1954. I Comitati civici guidati dal Prof. Luigi Gedda, protagonisti della vittoria del 1948, che costituivano il canale di trasmissione tra la cultura cristiana e la politica attiva, furono emarginati. Negli organi dirigenti del partito gli eredi di don Sturzo, pur maggioritari nei gruppi parlamentari, divennero una ridotta minoranza.

2. Le condizioni di minorità della cultura cattolica nel lungo dopoguerra italiano.
La progressiva erosione della dottrina sociale della Chiesa fu contrassegnata dalla sua sostituzione con l’ideologia detta «democratica». Dietro l’enfatico entusiasmo per la Costituzione repubblicana del 1948, questa ideologia, facendo proprio il giudizio positivo circa la ineluttabilità storica del materialismo storico, aderiva al processo di secolarizzazione della vita etica, politica e sociale. L’ideologia «democratica», se trovò pochi e deboli oppositori sul fronte politico, non fu contrastata adeguatamente da alcuno sul piano della cultura politica. Non vanno dimenticate, certamente, le grandi figure dei teologi e dei filosofi che continuarono l’elaborazione e l’approfondimento del pensiero cristiano, in opposizione costruttiva all’ateismo moderno – si pensi, tra tutti, alle gigantesche figure di Cornelio Fabro e di Michele Federico Sciacca. Questi Autori mostrarono le contraddizioni insanabili da cui erano affette le varie filosofie dell’immanenza ed additarono l’abisso nichilistico in cui esse facevano precipitare la ragione umana. Sul piano della cultura politica, però, queste grandi personalità non potevano essere udite. La ricchezza del loro insegnamento avrebbe fruttificato in tempi più lunghi. Né potevano essere immediatamente efficaci sul piano macrosociale e politico le voci di chi, riscoprendo l’inesauribile novità del messaggio cristiano e la fonte perenne di metafisica, anche sociale, che in tale messaggio si radica, avevano iniziato una seminagione tra i giovani destinata a germogliare più tardi: mi riferisco in particolare all’opera di don Luigi Giussani, che dava vita in quegli anni a Comunione e Liberazione, e di Giovanni Cantoni, che, già a partire dai primi anni ’60, estraeva dalla reazione giovanile contro il comunismo i futuri semi di Alleanza Cattolica. Queste voci si sarebbero manifestate socialmente più tardi e la loro levatrice storica sarebbe stata l’opera del Pontefice Giovanni Paolo II, il Grande.
Nel periodo oscuro degli anni ’50 e ’60 si eresse con autorità sul piano della cultura politica soltanto la figura di Augusto del Noce, che seppe diagnosticare filosoficamente le ragioni della condizione di minorità del pensiero di ispirazione cristiana di fronte all’immanentismo, rappresentato dalla linea che, preso l’inizio con Cartesio, si compendia tipologicamente nei nomi di Kant, Hegel e Marx. Egli seppe anche proporre alcuni princìpi essenziali per la rimessa in verticale della filosofia cristiana. Nel compiere quest’opera Del Noce rimase isolato: gli furono avversari implacabili tanto i comunisti cristiani, alla cui testa era Franco Rodano, divenuto vero maître à penser dei vertici del Partito Comunista Italiano, quanto i potentissimi eredi dell’azionismo, alla cui guida fu Norberto Bobbio, che paventavano con orrore la riproposizione di un modo filosofico di pensare che mantenesse aperto per la religione uno spazio pubblico e sociale, quanto i democratico-cristiani, attratti dal carisma sinistro di Giuseppe Dossetti, ormai completamente asserviti, soprattutto dopo l’ «apertura a sinistra» del 1964 e gli esiti mediatici ed ecclesiatici del Concilio Ecumenico Vaticano II, all’idea che il processo di secolarizzazione fosse non soltanto ineluttabile, ma altresì fosse un bene meritevole di essere perseguito. Da tutti costoro scaturì il più bieco ostracismo nei confronti di coloro che non si erano adeguati al pensiero unico ateistico e, in particolare, di Augusto Del Noce.

3. Il momento pratico dell’ateismo moderno.
Il fulcro del pensiero del filosofo nato a Pistoia sta nella convinzione che l’ateismo, caratterizzante le filosofie dell’immanenza, sia una perdita irreparabile per la ragione dell’uomo. La rinuncia alla dimensione verticale della ragione; l’oblio delle verità intelligibili; il rifiuto della trascendenza; il disprezzo per la metafisica – con la conseguente avversione ad Agostino e Tommaso, nonché a Platone e Aristotele – non esprimono tanto una offesa alla fede, quanto costituiscono soprattutto uno scacco della ragione. Con questa forte convinzione Del Noce si domandò quale fosse il motivo determinante dell’incontrastato dominio nell’universo culturale successivo alla guerra delle filosofie immanentistiche. Egli fornì al quesito una risposta illuminante: poiché le filosofie dell’immanenza sono perdenti sul piano concettuale – e sfociano in contraddizioni insanabili –, la loro vittoria può realizzarsi soltanto nella prassi, offuscando praticamente il bisogno, oltre che della fede, anche della filosofia. Il loro successo sta nel togliere praticamente il desiderio della verità; nel far scomparire l’istanza religiosa e quella filosofica; nel censurare le domande essenziali dell’uomo sulla sua origine e sul suo destino. Il marxismo, come filosofia della prassi che prescrive ai filosofi non di conoscere come è fatto il mondo, bensì di impegnarsi a cambiarlo, è, da questo punto di vista, il punto di arrivo delle filosofie immanentistiche. Del Noce comprese l’indissolubile congiunzione tra comunismo e dissoluzione etica del costume, anticipando con intelligente intuizione il dissolvimento del Partito Comunista nel partito radicale di massa, avvenuto dopo l’ ’89. E ciò non soltanto per la negazione della stessa idea di verità e di bene, in conseguenza del materialismo dialettico, che connota intrinsecamente il marxismo, ma anche per l’esigenza di comprimere l’aspirazione alla trascendenza attraverso la pratica dell’immoralità. Nel capitolo conclusivo de “Il problema dell’ateismo”, comparso nel 1964, che raccoglie e rielabora anche scritti degli anni precedenti, Del Noce ricorda che in Marx l’unica via per colpire la religione è quella di sopprimerne effettivamente le radici: “cioè non la via metafisica, e neppure quella storica o scientifica, ma la via politica: il che, tra l’altro, è a piena conferma della mia tesi sulla priorità del momento politico nell’ateismo” (p. 352). Da qui la tesi di Del Noce: “La rivoluzione che porta al comunismo non può essere realizzata che attraverso un’etica che ha il suo fondamento in una concezione dell’uomo assolutamente ateizzata e di cui d’altra parte l’adozione si impone come necessaria, perché l’alternativa è pensata come la barbarie radicale. Solo in questo senso mi pare si possa dire che la realizzazione del comunismo debba coincidere con la scomparsa del problema di Dio” (p. 352).

4. La fragilità delle risposte filosofiche all’ateismo pratico.
La tesi di Del Noce si articola in due momenti distinti. Il primo non è originale: il comunismo si può affermare soltanto attraverso la pratica di un’etica ateistica che cancelli il ricordo del problema di Dio. Il secondo aspetto è, invero, originale: l’etica materialistica deve imporsi perché, nel pensiero dei comunisti e di coloro che ne sono divenuti «compagni di strada», la sua alternativa non può non essere pensata come la barbarie radicale. L’acutezza del Maestro ha qui colto la radice dell’egemonia culturale del marxismo nell’Italia del secondo dopoguerra. Nel pensiero di Franco Rodano e di Giuseppe Dossetti tutte le letture filosofiche della modernità che hanno contrastato il marxismo sono sfociate nel fornire un sostegno o un contributo ai fascismi: ciò vale non soltanto per la linea idealistica più coerente, rappresentata dall’attualismo di Giovanni Gentile, ma anche per il neotomismo e per le varie forme dell’esistenzialismo spiritualista. Ma i fascismi, ricondotti dai Rodano e dai Dossetti, alla scuola di Antonio Gramsci di Palmiro Togliatti, a categoria unitaria ricomprendente tutte le filosofie estranee alla linea immanentistica inverata dal marxismo, hanno rivelato incontestabilmente la loro natura barbarica. Dunque, l’unica etica che contiene in sé gli anticorpi idonei a contrastare i fascismi è quella comunista. Questa la ragione per cui, nell’ideologia matura dei cattolici che hanno inteso il materialismo storico come ineluttabile positivo esito storico della modernità, l’adesione alla rivoluzione, nella forma ugualitaria proposta dal comunismo, si appalesa non come un contingente compromesso storico, bensì come necessaria sul piano sia etico che politico.
Del Noce esamina a fondo questa tesi, ammettendone la forza. Egli contraddice anzitutto la tesi comunista, azionista e cattolico-progressista sulla natura dei fascismi. Questa tesi è gravemente inaccurata sul piano filologico, nonché ideologicamente maliziosa. Del Noce non avrebbe mancato di approfondire questo problema, differenziando con precisione i vari fascismi tra loro e mettendone in luce le diverse fonti e le radicali divergenze, in specie rilevabili tra nazionalsocialismo e fascismo italiano. Inoltre, Del Noce non avrebbe mancato di chiarire che, se un elemento comune ai vari fascismi sussiste, questo consiste nell’accettazione modernista del relativismo etico applicato in principal modo alla teoria e alla prassi politica.
Del Noce, poi, afferma la necessaria soccombenza sia del liberalismo crociano sia del neotomismo espresso da Jacques Maritain rispetto al marxismo, per la loro debolezza intrinseca. Per Del Noce vanamente sia Croce, in campo laicistico, sia Maritain, in quello cattolico, hanno tentato l’oltrepassamento del marxismo (p. 356). Quanto a Croce, Del Noce pone l’accento sul fatto che per il filosofo liberale la riaffermazione del liberalismo dopo il marxismo dovrebbe presentarsi dissociata dal liberismo. Ma se accadesse questo il liberalismo finirebbe per identificarsi col conservatorismo, e, così amputato, verrebbe messo in crisi l’immanentismo che ne è alla base. Inoltre, la critica decisiva del marxismo alla società liberale non consentirebbe il ritorno alle filosofie inveratesi nel marxismo: dunque, l’oltrepassamento del marxismo dovrebbe “coincidere con la riscoperta di una linea di pensiero in cui Vico figura come iniziatore” (p. 358). Se si pensa all’importanza dell’incontro di Croce con Vico e all’interpretazione immanentistica che il filosofo napoletano ne ha dato nell’opera giovanile del 1911, si comprende come Del Noce suggerisca una riforma radicale del liberalismo crociano, al fine di liberarlo della soccombenza rispetto al marxismo: invece di leggere Vico alla luce degli idealisti tedeschi, occorrerebbe leggere l’anelito per i valori tradizionali di Croce (il “non possiamo non dirci cristiani”) secondo la correzione ricavabile dal pensiero di Giambattista Vico.
Quanto a Maritain, Del Noce coglie due fondamentali aporie nel suo pensiero. La prima consiste nel rovesciamento dell’antimoderno (Primauté du spirituel – 1927) nell’ultramoderno, che costituisce la parabola del suo sviluppo filosofico. La seconda consiste nella valorizzazione perfettistica del processo della modernità, correlativa al giudizio di decadenza, rifiutato dal secondo Maritain, inerente allo schema antimoderno. La democrazia diventò così, in Humanisme intégral, non più una possibile forma di governo, ma la forma migliore di Stato, come esito perfettistico di un processo positivo di sviluppo. L’aspetto perfettistico, che Del Noce vede presente nel Maritain ultramoderno come esattamente correlativo al giudizio di regresso dalla cristianità storica alla modernità, spiega la debolezza concettuale di Maritain e il necessario superamento del suo umanesimo democratico per opera della democrazia ugualitaria rappresentata dal marxismo.
V’è, poi, secondo Del Noce, una ulteriore ragione di debolezza del maritainismo, più grave della prima. Maritain inscrive il suo pensiero all’interno del neotomismo, che si costruisce avendo come avversario, entro le filosofie cristiane, l’ontologismo (p. 319). Nel quadro neotomista “la metafisica cristiana dell’età barocca, nella forma cartesiana, deve apparirgli come una pura decadenza e non come una risposta, sia pure inadeguata, a problemi nuovi (appunto, al sorgere all’ateismo) che S. Tommaso aveva ignorato, e ciò semplicemente perché ogni filosofo non può pensare che in una determinata situazione storica e contro determinati avversari” (p. 319).
Possono così cogliersi i due filoni cruciali del pensiero di Del Noce. Il primo, sul piano filosofico, consiste nell’insinuare elementi di discontinuità e di criticità nell’interpretazione, tipica del neo-tomismo, della filosofia moderna come un processo continuo di radicalizzazione dell’istanza soggettivistica in gnoseologia, di quella razionalistica in metafisica e di quella relativistica in etica. Del Noce non nega certamente che questi elementi siano dominanti e che si rivelino appieno nel trionfo dell’idealismo tedesco e nel suo rovesciamento marxista. Cerca, però, di rintracciare negli Autori moderni, a partire da Cartesio, quegli elementi che, diversamente orientati, avrebbero portato a esiti diversi e a una adeguata tematizzazione della trascendenza, nella ricerca della verità sul piano metafisico etico e giuridico.
Il secondo filone ha valenza prettamente politica. Del Noce cerca una soluzione in virtù della quale gli eredi del liberalismo, liberati dalle pretese totalizzanti dell’ideologia liberista e della filosofia immanentistica; gli eredi della dottrina sociale della Chiesa, liberati dal mito medievista dell’antimoderno e dal mito perfettista dell’ultramoderno; gli eredi del socialismo democratico, liberati dall’ideologia materialista e dal pensiero dialettico, possano insieme dar vita a una società alla cui base stiano valori oggettivi comuni e non negoziabili ad libitum dalla soggettività di ciascuno.

5. La linea filosofica teistica: in particolare, la rivalutazione di Cartesio.
Prima di passare a qualche considerazione sul significato della prospettiva politica, occorre soffermarsi sulla tesi filosofica. Del Noce, come si è detto, rileva filologicamente le tracce storiche di una linea filosofica che egli chiama teistica, rispetto a quella immanentistica e ateistica. I suoi Autori – si comprende con chiarezza dagli accenni contenuti nei suoi scritti – sono principalmente Giambattista Vico e Antonio Rosmini. Basti considerare che, preannunciando Egli nell’introduzione al volume “Riforma cattolica e filosofia moderna” una trilogia dimostrativa della sua tesi, dichiara di voler dedicare il terzo libro a Giambattista Vico. Basti rilevare, soprattutto, il suo continuo riferimento alla filosofia che egli – forse inopportunamente – chiama ontologistica. Non si tratta, a mio sommesso avviso, di un riferimento all’ontologismo filosofico in senso proprio, ma del riferimento all’esigenza filosofica di un duplice recupero sul piano concettuale. Anzitutto di un recupero, come base indispensabile del filosofare, delle evidenze del senso comune. La conoscenza non comincia dal nulla; ma dall’esperienza immediata di verità che sono comuni a ogni uomo, in ogni tempo e in ogni luogo. Senza l’esperienza immediata del mondo, dell’io, della distinzione tra io e mondo; senza l’esperienza della libertà e della responsabilità; senza l’evidenza del trascendimento dell’io rispetto al mondo, il cominciamento del filosofare non sarebbe possibile
In secondo luogo, di un recupero dell’idea che, senza la partecipazione dello spirito divino alla mente umana, anzi all’uomo intero, composto di anima e di corpo, l’uomo non sarebbe in grado di conoscere veramente le verità metafisiche e naturali. Senza la vis veri, partecipata da Dio all’uomo, secondo la terminologia di Vico, l’uomo non conoscerebbe alcunché in modo intelligibile, ma sarebbe assimilabile agli altri esseri animati.
A questi indispensabili recuperi concettuali, Del Noce aggiunge due altri temi. Il primo è l’esigenza di un rapporto della filosofia con la storia. Una filosofia «anistorica», come egli la definisce nel saggio “Il problema Pascal e l’ateismo contemporaneo”, raccolta nel Il problema dell’ateismo, (p. 208), è scarsamente proficua. Il secondo è il tema antiperfettistico, ove il perfettismo è definito, alla sequela di Antonio Rosmini, come l’atteggiamento utopistico che intende realizzare nella città terrena la città eterna. Questi due temi, allo stesso modo dei recuperi concettuali delle evidenze del senso comune e del conformarsi dell’uomo conoscente alle verità oggetto di conoscenza in virtù di una reminiscenza nella mente umana di verità impresse da Dio fin dall’origine, sono sviluppati da Del Noce in una sorta di contro-storia della filosofia moderna, ove egli scorge in filigrana una linea di pensiero non inficiata dal vizio immanentistico e, dunque, non superata dall’idealismo hegeliano e dal suo rovesciamento marxista. In questo quadro cruciale acquista rilievo la rivalutazione della Riforma cattolica e, sul piano filosofico, la lettura di Cartesio in una chiave diversa rispetto a quella di capostipite del soggettivismo moderno e del fautore del dubbio radicale. La base del convincimento di Del Noce si ricava dall’individuazione dell’avversario teoretico della filosofia di Cartesio nel pensiero libertino, come esito ultimo del processo naturalistico rinascimentale (p. 219). Del Noce vede la scaturigine del filosofare di Cartesio nell’esperienza della libertà, ove il dubbio metodico “si manifesta come operazione mirante a rovesciare il dubbio scettico” (p. 219). Prosegue Del Noce: “Nell’affermazione della mia trascendenza al mondo, che la mia capacità di metterlo in dubbio rende manifesta, è la denuncia del dogmatismo naturalistico, sottinteso al dubbio scettico” (p. 219). Il rovesciamento della posizione libertina si sarebbe accompagnata in Cartesio a una concessione esiziale. Al carattere politico del pensiero libertino Cartesio oppose “una separazione netta di filosofia e di religione dalla politica” (p. 220): da qui il giudizio di «filosofia monastica» che Giambattista Vico dette della filosofia di Cartesio. Il punto di partenza «Cartesio» è, dunque, per Del Noce, non necessariamente di tipo soggettivistico e razionalistico: la struttura significativa del suo pensiero sarebbe, nell’accettazione dell’intuizione fondamentale della Riforma Cattolica, di combattere il libertinismo, erede dell’eresia rinascimentale, nonché il cupo pessimismo negatore della libertà, sviluppatosi in ambiente protestante. Certo, Del Noce non nega l’ambiguità essenziale cartesiana, ma sottolinea che “Bontà divina, libertà umana, correlatività tra l’affermazione di Dio e quella dei valori naturali, sono pure i momenti essenziali della filosofia di Cartesio” (p. 232).
La preservazione della libertà umana, di contro alla sua negazione o al suo oblio in ambiente protestante, sarebbe stato il legato prezioso con cui, attraverso la mediazione di Nicole Malebranche, Giambattista Vico avrebbe elaborato la Scienza Nuova, ove libertà umana e Provvidenza divina si incontrano meravigliosamente e la Provvidenza estrae continuamente il bene dalla storia degli uomini, intrisa di azioni buone e di azioni malvagie.

6. La linea filosofica teistica: la filosofia di Vico.
La linea filosofica teistica focalizzata da Del Noce si muove lungo il duplice asse costituito, da un lato, dalla preservazione della libertà umana e dal riconoscimento della bontà di Dio e della sua creazione, che gli uomini hanno sfigurato sin dall’origine e continuano a sfigurare con le loro colpe attuali, ma che rimane fondamentalmente buona, e, da un altro lato, dalla reminiscenza del vero, del bene, del giusto e del bello nella mente dell’uomo, siccome creata buona da Dio. L’opera di Vico si staglia al centro di questo processo di filosofia teistica. In Vico, come sopra detto, la Provvidenza divina non è di ostacolo alla libertà umana; l’uomo è capace di conoscere il vero e di praticare il bene e il giusto e di contemplare il bello per una reminiscenza del vero buono giusto eterno che la creatura ha inscritta nella sua natura, siccome creata a immagine e somiglianza di Dio. Vico, inoltre, non è né decadentista né perfettista; libero quant’altro mai sia dai miti dell’età dell’oro sia dai veleni utopistici, concepisce la storia realisticamente e non ideologicamente, come luogo dello scontro tra coloro che, pur nella fragilità della natura decaduta, mantengono in sé stessi l’impronta divina della vis veri, e coloro che, per la barbarie dei sensi o per la barbarie della riflessione scettica, lasciano che si offuschi in se stessi, sin quasi a cancellarla, l’immagine e la somiglianza di Dio. Vico, però – e per questo aspetto egli è particolarmente caro a Del Noce – svolge la riflessione filosofica partendo dall’uomo calato nella storia; egli, pertanto, che non è perfettista né decadentista, descrive i progressi e i regressi delle civiltà; non minimizza le differenze qualitative delle une rispetto alle altre e trae dalla storia insegnamenti perenni in ordine a ciò che a tutti gli uomini è comune, nonostante le divisioni e i cambiamenti, mettendo in luce la grande verità dell’unità del genere umano. La storia dei popoli è per Vico, accanto e più ancora che la natura, il gran libro in cui si possono riconoscere le verità perenni che costituiscono la traccia nella storia del vero del buono del giusto eterno.
Del Noce lamenta che la linea filosofica teistica, splendidamente rappresentata da Vico, sia stata messa in disparte, ignorata completamente da Hegel e, perciò, non trapassata nella filosofia dell’ ‘800 e del ‘900, tanto che la riproposizione del grandioso affresco del filosofo napoletano venne inscritta da Croce e da Gentile all’interno del quadro idealistico. Questa linea – rileva Del Noce - ignorata dal marxismo, è irriducibile alle filosofie che il marxismo ha preteso di inverare. Questa linea trova un punto alto di espressione in Antonio Rosmini, che unisce il saldo realismo cristiano, fondato sull’esperienza immediata della natura umana decaduta – il peccato originale come rivelazione confermativa di una evidenza che la ragione umana riconosce nella storia – con la ferma convinzione che nell’uomo resta impressa, nonostante il peccato, la traccia indelebile della sua origine da Dio: traccia che rende possibile la conoscenza che Dio è. Del Noce chiama questa linea di pensiero ontologista, anche se riconosce l’improprietà del termine, perché non tanto questo pensiero sviluppa l’argomento ontologico della deduzione dell’esistenza di Dio dall’idea di Dio nell’uomo, quanto, piuttosto, perché insiste sulla reminiscenza di Dio nella coscienza umana, che costituisce l’inizio della conoscenza di Dio e delle realtà intelligibili. Realtà, invece, assolutamente inconoscibili nella linea di pensiero immanentistica, vuoi idealistica vuoi empirista.
Del Noce, che è attratto particolarmente dal rapporto tra filosofia e storia, tra riflessione concettuale e ricadute politico-sociali, apprezza in Rosmini soprattutto quell’attitudine realista, insieme intrisa di attenzione per la storia, che egli chiama «antiperfettismo». Nel suo contrario , il «perfettismo», Rosmini vede “quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica il bene presente alla immaginata futura perfezione”, a cui è inerente sia la soppressione della libertà, perché altrimenti, secondo l’acuto rilievo di Rosmini “l’ideale raggiunto sarebbe uno stato di perfezione instabile esposto a tutti gli attentati degli individui alieni, per una ragione o per un’altra, da quell’ideale di perfezione”; sia la svalutazione della storia passata e la deificazione del futuro; sia il rifiuto dell’idea del peccato originale; sia la riduzione dell’individuo alle sue relazioni sociali.

7. Il significato storico-politico dell’opera di Del Noce.
Un ultimo rilievo va svolto, come anticipato, con riguardo al significato politico dell’opera di Augusto Del Noce nella particolare temperie storica del secondo dopoguerra italiano, nel periodo che va dal 1945 al 1989, in particolare all’inizio degli anni ’80, quando la prospettiva storico-politica fino ad allora egemone venne rovesciata grazie all’insegnamento e all’azione del Pontefice Giovanni Paolo II, il Grande. L’importanza di Del Noce, invero, a mio sommesso avviso, va ravvisata, più che sul piano della speculazione filosofica, sulla stigmatizzazione critica delle ricadute culturali, politiche e sociali delle filosofie immanentistiche moderne, di cui il marxismo, anche e soprattutto nella versione gramsciana, voleva essere l’ «inveramento». Del Noce mise l’accento del «divieto di fare domande», in cui sfociarono concordanti comunismo, azionismo e progressismo cristiano. Poiché la storia avrebbe rivelato il fallimento dell’antimoderno nel suo farsi sostegno della barbarie fascista, ogni domanda autenticamente filosofica avrebbe dovuto essere censurata. Nell’ottica del sospetto, che caratterizza il pensiero moderno, soprattutto nella linea Marx, Nietsche, Freud, chi avesse riproposto il tema della trascendenza, della conoscenza delle realtà intelligibili e dell’azione eticamente orientata alla luce di princìpi permanenti avrebbe surrettiziamente perseguito lo scopo, consapevolmente o oggettivamente, di risvegliare i fascismi. Di qui la censura nei confronti della filosofia e il «divieto di fare domande» sugli esiti atroci delle filosofie immanentistiche.
Augusto Del Noce riaprì un orizzonte che sembrava definitivamente chiuso. Per Del Noce le filosofie dell’immanenza, come è vero e come è giusto ancora oggi ripetere, avevano dato origine, oltre che al liberalismo e al comunismo, anche ai fascismi. La linea filosofica teistica non era stata coinvolta dai superamenti e dai rovesciamenti dell’immanentismo. A questa linea filosofica Del Noce suggeriva di ritornare, non tanto per elaborare una nuova scolastica pedissequamente destinata a ripetere gli antichi, quanto per riproporre le domande filosofiche sull’origine e sul destino dell’uomo, sull’esistenza di Dio, sull’esistenza di valori permanenti nella storia, sull’etica fondata sul bene e non sull’utile e sul diritto naturale.
In un’epoca oscura Egli fu segno di contraddizione; fiaccola nella notte; promessa dell’alba. Se i suoi giudizi filosofici non sempre sono condivisibili, la sua testimonianza a favore della verità sempre è stata esemplare. Per questo mi è particolarmente grato ricordarne la memoria nel centenario della nascita, raccomandando la sua anima a Dio e raccomandando a Lui di vegliare per il rinnovamento della filosofia cattolica e di pregare per l’instaurazione di una società cristiana a misura di uomo, secondo il piano di Dio.
Mauro Ronco


Avvenire.it, 16 MAGGIO 2010 – GIALLI - Padre Brown contro Sherlock Holmes - Jean-Robert Armogathe
Ponzio Pilato, navigato funzionario delle colonie dell’impero di Roma, era vissuto troppo tempo in Oriente per non essere diventato un po’ filosofo. I filosofi sono quelli che sanno le risposte alle domande che pongono, per questo Pilato non aspettò la risposta quando al profeta ebreo, che gli era stato consegnato dalla sua nazione e dai sommi sacerdoti, chiese: «Che cos’è la verità?». San Giovanni, buon testimone della scena, prosegue: «Detto questo, uscì» (Gv 18,38). Pilato, infatti, aveva formulato la domanda secondo la modalità insegnata dai filosofi, cioè ponendo il che cosa, il requisito d’identità che richiede una definizione. Ed era convinto, ponendola in questi termini, di non dovere aspettare una risposta.

Pilato era cieco; la verità gli era saltata agli occhi. Egli si chiedeva che cosa potesse essere, e l’aveva davanti a lui. Certo, egli vedeva solo un pezzente buono per la crocifissione. Siccome aveva occhi e non vedeva, era cieco. Se ci avesse visto veramente, avrebbe riconosciuto il Re della gloria, avrebbe visto Mosè ed Elia conversare con Lui e il compiacimento dell’Altissimo adombrarne il capo. Ma non ha visto nulla e ha posto la sua domanda idiota. Molti altri dopo di lui hanno fatto altrettanto al punto da trasformare in stupidario la storia del pensiero e da presentare Bouvard e Pécuchet che non fanno altro che riproporre instancabilmente la domanda di Pilato.

Dopo i romanzi alessandrini questa (ri)cerca della verità ha preso una piega iniziatica, a episodi, e ai giorni nostri, dopo Edgar Allan Poe, il testimone è passato a un genere letterario: il romanzo poliziesco. Non mi riferisco qui ai falsi sottoprodotti che riempiono le edicole delle stazioni, ma a quei testi che meritano la qualifica di romanzi. Tutti sanno come, all’inizio del secolo, Maurice Leblanc (1864-1941) in Francia e sir Arthur Conan Doyle (1859-1930) in Inghilterra abbiano onorato con talento questo genere. Tuttavia il vero avversario di Arsenio Lupin non è Sherlock Holmes; esso va piuttosto individuato nel contributo al genere "detective" offerto, negli stessi anni, da G.K. Chesterton (1874-1936) con le storie di Padre Brown. Che è volutamente l’anti-Sherlock Holmes. Egli svolge un sacerdozio senza clamori in oscure parrocchie della periferia operaia di Londra. È stato messo in evidenza il suo comportamento distratto, allocchito, smarrito; questo prete inzaccherato non ha nulla dell’eleganza talora inquietante di Sherlock Holmes: piccolo, infagottato nella sua talare logora, col suo vecchio cappello tarmato, il suo grande ombrello e gli scarponcini consumati. Le sue inchieste marciano sui dati classici, ma non si trovano né l’orgoglio di Hercule Poirot e neppure i sottili doni d’osservazione (psicologici) di Miss Marple, i due eroi siamesi di Agatha Christie.

Padre Brown è un prete cattolico; sa chi è la verità ed è consapevole che Lui solo ne è il padrone. In lui il prete si oppone al detective: «Se il secondo odia il crimine, il primo è ben lungi dall’odiare i criminali; nei loro confronti egli non è animato da senso di giustizia, ma da un desiderio di carità» (F. Lacassin). Il crimine viene punito, ma il colpevole è perdonato, o meglio è salvato, riscattato, purificato dalle prove. Il metodo di Padre Brown non è l’inchiesta scientifica, attenta agli indizi materiali di Sherlock Holmes. Per l’eroe di Conan Doyle, infatti, il sommarsi di minuscoli dettagli materiali porta all’evidenza, che emerge all’improvviso come la figura che appare in un puzzle (e che sfugge allo sfortunato Watson); quella di Sherlock Holmes è una verità cosificata, afferrabile attraverso la materialità delle prove accumulate.

Non dimentichiamo che Conan Doyle era un medico e che il modello (o i modelli) del suo detective è il medico; in una delle prime interviste concesse alla stampa da Conan Doyle, nel 1892, egli confessa: «Sherlock è totalmente disumano, senza cuore, ma ha una magnifica intelligenza logica» (in The Bookman, maggio 1892). Maurice Leblanc, che prende in giro l’eroe britannico con la caricatura di "Helock Sholmès", riconosce in lui tuttavia il prodotto dei due più straordinari poliziotti del mondo, il Dupin di Poe e il Lecoq di Gaboriau, «ancora più straordinario e più irreale» (Arsène Lupin contre Herlock Sholmès, 1908).

Con Chesterton è tutta un’altra cosa. Questo aspetto è sottolineato in un breve racconto in cui Chesterton denuncia il segreto di Sherlock Holmes, alias dottor Hyde. Il detective ha commesso un omicidio e risponde al fratello della vittima, giunto nel suo ufficio per ricattarlo, accusandolo di aver disertato e di essere stato in prigione in seguito a una rapina. Diserzione e galera sono denunciati da indizi materiali, ma i giovani aiutanti del detective si accorgono che il loro capo è andato troppo in là: come ha potuto dedurre dalla semplice osservazione il crimine che era costato la prigione a quell’individuo? Come il più intelligente dei due spiega all’amico: «Al diavolo la scienza dell’osservazione! Credi ancora che i detective riconoscano i criminali annusando la loro lozione o contando i loro bottoni? Essi cercano di individuare i criminali perché loro stessi sono mezzi criminali, appartengono a questo stesso mondo marcio e lo tradiscono, lasciando andare un ladro per acchiapparne un altro, mostrando che non esiste onore tra i ladri».

Questa conoscenza dell’intimo che disonora chi fa commercio di scienza è invece proprio quello che fa Padre Brown e che egli spiega come il proprio segreto. Padre Brown non ha lente d’ingrandimento e non studia la cenere delle sigarette o le tracce dei copertoni delle biciclette, conosce però il cuore degli uomini. Poiché ha passato lunghe ore nel confessionale della sua misera parrocchia, egli sa di che cosa è fatto il cuore dei criminali (il cuore degli uomini): «Quello che lei chiama "il segreto" è l’esatto contrario del metodo scientifico. Io non cerco di uscire dall’uomo, io cerco di entrare nell’assassino [...]. Sono sempre un uomo, che muove braccia e gambe, ma aspetto finché riconosco di essere dentro un assassino, pensando i suoi pensieri e lottando contro le sue passioni, finché non mi sono piegato nell’atteggiamento del suo odio represso che spia e colpisce, finché non vedo il mondo con i suoi occhi iniettati di sangue, tra i paraocchi della sua paranoia, finché non sono davvero diventato assassino [...]. Non c’è nessuno talmente buono che non sappia quanto è cattivo o possa diventarlo [...] finché la sua sola speranza sia l’aver arrestato un criminale e averlo tenuto sano e salvo sotto il proprio cappello» (Il segreto di Padre Brown).

Come egli riconosce nello stesso testo, il mestiere di Padre Brown è di «scoprire i moti di generosità negli assassini». Si potrebbero moltiplicare le citazioni che convergono verso questa constatazione: la verità che Padre Brown cerca è quella dei cuori. Egli non cerca tanto di sapere chi è l’assassino ma piuttosto come egli si è mosso. Il segreto di Padre Brown è sì il manifesto metafisico di un Chesterton convertito al cattolicesimo, ma il personaggio da lui creato più di quindici anni prima testimoniava in modo ammirevole che la verità è cattolica.

Nel 1926, al momento della drammatica sparizione di Agatha Christie, Conan Doyle si prende gioco dei detective, ma non secondo i vecchi metodi scientisti di Sherlock Holmes. Doyle si era, nel frattempo, convertito allo spiritismo; partecipava così a un movimento generale al quale faceva capo anche lo storico gesuita Herbert Thurnston, in cui talvolta si scorge un modello per Watson. Nel "caso Christie" Doyle fece ricorso ai buoni uffici di un medium. Questo ci serve per passare alle opere di questa autrice: Poirot fa delle deduzioni psicologiche sapienti grazie all’azione meravigliosa delle sue «piccole cellule grigie», mentre Miss Marple, l’anziana signora di Saint Mary’s Mead, ha doti di psicologa, cioè di psicanalista. Le «scienze umane», che Agatha Christie non apprezzava molto, sono attivate nei suoi romanzi polizieschi, come del resto erano state utilizzate da lei per scrivere, con il nome di Mary Westmacott, eccellenti romanzi «psicologici».

Padre Brown, però, non è un brillante detective belga: egli si accontenta di far funzionare le virtù di uomo, non di detective. Questo gli consente di riconoscere la verità dove essa si trova: nella speranza e nella fiducia degli uomini, nelle loro passioni e nel loro eroismo. Per Padre Brown, la verità è un essere vivente: è Colui che è la verità dell’uomo per esserne stato l’archetipo e il modello. Essa è più reale e oggettiva di quella che Sherlock Holmes cerca di raggiungere, lo è ancora di più, perché non è una cosa che si può afferrare. La verità del crimine non è sono l’arma, l’impulso, le circostanze, è il criminale e, ancora di più, il dramma della libertà e della grazia che fondano l’uomo in grandezza d’umanità.
Jean-Robert Armogathe


IL TEMA DELL'ABORTO DIVIDE I PARTECIPANTI AL G8 - A un mese dal vertice, il premier canadese dice che il tema non verrà affrontato - di Carmen Elena Villa -ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Primo Ministro canadese Stephen Harper e il suo Governo hanno ricevuto forti critiche per aver rifiutato di introdurre il tema dell'aborto nel dibattito del vertice del G8 in programma per la fine di giugno.
Il vertice convoca i leader di otto delle principali economie del mondo: Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Giappone e Russia. Tradizionalmente, il Paese ospite (quest'anno il Canada) ha la libertà e la potestà di stabilire l'agenda con i temi da trattare.
Un'agenda che includa la difesa della vita
Nel gennaio scorso, il Governo canadese, presieduto dal Primo Ministro, ha annunciato la sua intenzione di rendere la salute materno-infantile una delle priorità dello sviluppo nel vertice di quest'anno.
Per questo, si è deciso di non includere nelle discussioni del G8 il tema dell'aborto e della pianificazione familiare, concentrandosi sul rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo.
“Vogliamo essere sicuri che i nostri fondi siano impiegati per salvare la vita delle donne e dei bambini e che siano utilizzati nelle molte, molte cose che sono a nostra disposizione e che non dividono la popolazione canadese”, ha dichiarato nei giorni scorsi Stephen Harper, citato da Terréense Mckeegan J.D. sulla pagina del Catholic family and human rights Institute (Istituto cattolico per la famiglia e i diritti umani, ndt.), http://www.c-fam.org/.
Di fronte a questa decisione, l'Arcivescovo di Québec, il Cardinale Marc Ouellet, ha affermato in alcune dichiarazioni alla stampa che il Governo canadese ha mostrato “coraggio nel fare qualcosa di più in Canada in difesa dei concepiti”.
Stephen Harper, cristiano evangelico, ha espresso in varie occasioni la sua posizione contraria all'aborto e alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Nel luglio dello scorso anno è stato ricevuto in udienza privata da Benedetto XVI. In quell'occasione, si è parlato di temi come la difesa della vita, l'etica e la famiglia.
Lo scorso anno, l'Agenzia Canadese per lo Sviluppo Internazionale ha rifiutato di rinnovare i contratti di finanziamento a due dei maggiori promotori dell'aborto: la Federazione Internazionale per la Pianificazione della Famiglia e Marie Stopes International.
Rifiuto della decisione
Varie ONG e diversi gruppi abortisti del Canada e delle Nazioni che partecipano al vertice hanno respinto la proposta di Harper.
L'opposizione è stata guidata da Maureen McTeer, moglie dell'ex Primo Ministro Joe Clark e rappresentante canadese della White Ribbon Alliance for Safe Motherhood (Alleanza del Nastro Bianco per la Maternità Sicura, ndt), che ha esercitato pressioni sui funzionari del Governo del Canada perché si servano di un rapporto pubblicato da Action Canada for Population Development (Azione Canada per la Popolazione e lo Sviluppo, ndt).
Alla fine di marzo, durante la Riunione dei Ministri degli Esteri del G8 svoltasi a Québec, il Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton ha affermato che non ci può essere salute materna senza salute riproduttiva, e che “la salute riproduttiva include la contraccezione e la pianificazione familiare, e l'accesso all'aborto legale e sicuro”.
Viste le forti critiche, il Governo canadese ha deciso di includere il tema della pianificazione familiare nel G8: “La definizione della pianificazione familiare alla quale tutti lavoriamo è la capacità delle donne di distanziare e limitare le gravidanze, e di essere sicure di avere il controllo della propria famiglia”, ha detto Bev Oda, Ministro canadese per la cooperazione internazionale.
La Oda ha ad ogni modo sottolineato che questa misura “non include l'aborto”.
Il Cardinal Ouellet ha dichiarato che il Governo del Canada (Paese in cui l'aborto è stato depenalizzato nel 1988) dovrebbe fare qualcosa di più “per andare avanti e riaprire la discussione in Canada sulla situazione legale dei concepiti, che non hanno alcuna protezione”.


Avvenire.it, 18 MAGGIO 2010 – IDEE - C’è del marcio negli intellettuali - Carlo Cardia
Con una bella riflessione sulle pagine della cultura del "Corriere della Sera" del 16 maggio scorso, Pierluigi Battista torna su un tema classico, forse mai veramente scandagliato, relativo al "lato oscuro" di molti intellettuali e grandi personalità, che emerge quando si conoscono alcune loro meschinità, bassezze, vere e proprie efferatezze. Gli esempi che porta sono tanti, alcuni già conosciuti, altri ignoti ai più, che vanno dall’ipocrisia a scelte di vita privata, fino ad atti tremendi compiuti verso persone amiche, causandone la condanna ingiusta, persino la morte fisica. Si tratta di un tema ricorrente, già discusso da storici come Paul Johnson con il suo Gli intellettuali, processo ai mostri sacri della cultura moderna (1993), da Raymond Aron in L’oppio degli intellettuali (2008), dal premio Nobel John M. Coetzee in Tempo d’estate (2010).

Battista ricorda Martin Heidegger che denuncia il filosofo Eduard Baumgarten, suo allievo ed amico, perché «assiduo frequentatore dell’ebreo Eduard Fraenkel», Robert Brasillach che esorta le autorità di Vichy a non risparmiare nessun ebreo, e Arthur Koestler che segnala e consegna alla polizia politica sovietica (Gpu) la fidanzata russa sulla base di un banale sospetto. Evoca poi grandi ipocrisie, di Bertolt Brecht che approva cinicamente le fucilazioni staliniane degli innocenti e conserva ricchezze in Svizzera, di Pablo Neruda che elogia smodatamente Vyšinskij, il procuratore generale dei processi di Mosca degli anni ’30 del Novecento, di Sigmund Freud e della sua relazione segreta con la cognata, altre ancora più che scivolano più nel privato.

Battista non tralascia neanche Theodor Wiesengrund Adorno che boicotta con ogni mezzo la pubblicazione degli scritti inediti di Walter Benjamin, morto suicida al confine franco-spagnolo in fuga dai nazisti. La dissacrazione, se così può dirsi, prosegue con Thomas Mann, Jean-Jacques Rousseau, Karl Marx, Jean Paul Sartre, Pasolini, infine Martin Buber che rinnega la paternità nei confronti di Margarete Buber-Neumann consegnata dai sovietici ai nazisti per onorare le clausole del patto tra Hitler e Stalin del 1939.

Con l’esperienza più recente, potremmo aggiungere altri contrasti tra la dimensione pubblica osannante di grandi personaggi e i loro vizi anche repellenti, o tra la professione religiosa e la vita gravemente peccaminosa di uomini di Chiesa, ma resterebbe il quesito essenziale che Battista pone. Come mai questo divario tra la sfera creativa (e l’immagine pubblica) che porta in alto, per opere che tutti apprezziamo e ammiriamo, e la dimensione esistenziale più vile e colpevole, e come mai quando si scava inizia la discesa verso il basso, nel grigiore dell’umano, della piccineria, dell’avidità, del forsennato egocentrismo che apre le porte al male, fa vittime, scopre il lato oscuro, o mostruoso, di alcuni.

Insieme ad alcune considerazioni condivisibili, Battista conclude che non ci si può aspettare che gli intellettuali siano dei santi, e le loro biografie immacolate, perché la condizione umana non garantisce la coerenza tra la purezza dell’opera prodotta e la santità della vita condotta.
In una prospettiva del tutto orizzontale, non c’è dubbio che le contraddizioni sono laceranti, e colpiscono chi non riesce a conciliare la grandezza dell’opera e le bassezze della vita, si sente lacerato tra l’ammirazione e la delusione, l’omaggio e la condanna. Tutto può cambiare, invece, in una prospettiva verticale nel quale l’uomo è visto nella sua complessità, coscienziale e insieme storica, in un rapporto con il male che la cultura moderna spesso dimentica, quasi a voler esorcizzare una realtà che non comprende e che però si ripresenta poi come durissima realtà.

Non è un caso che molte "colpe" che Battista attribuisce ai grandi pensatori ed intellettuali siano collegati con le ideologie del Novecento che, inutile negarlo, hanno incarnato nelle loro punte estreme il male assoluto, con il disprezzo per ogni regola morale, elevando a nuovi idoli lo Stato, la razza, il partito, o altro ancora, ed hanno per ciò stesso pervertito la mente dell’uomo (uomo semplice, scrittore, artista, filosofo, che sia) che, pur senza macchiarsi direttamente ha elogiato, esaltato, osannato, i più efferati delitti.

Ma il male esiste anche nella coscienza individuale, in quella parte più nascosta e profonda, che solo l’uomo e Dio conoscono, e non sempre coincidono con le opere dell’intelletto, con l’ingegno individuale, con i movimenti collettivi di ammirazione che seguono strade diverse.

Già Seneca nella Vita felice risponde a chi rimprovera i filosofi, e lui stesso, per il contrasto tra la loro vita e le loro parole e gli chiede: «Perché le tue parole sono più virtuose della tua vita?». Perché sei ricco, ami il lusso ed il superfluo, sei attento all’immagine più che all’agire bene, mentre predichi il contrario? Seneca risponde che il filosofo predica come si dovrebbe vivere, non come vive lui, e gli altri devono imparare dalle sue parole non dalle sue azioni. E che infine, i filosofi provano a condurre una vita buona, ma non ci riescono sempre.

La risposta di Seneca è umana, ma con il passare del tempo non convince più, soprattutto se l’incoerenza raggiunge i vertici dell’abominio. E non convince più da quando la grande lezione giudaico-cristiana che nel frattempo veniva da Gerusalemme mise in scena la lotta del bene contro il male, non come frutto del fato, ma come una lotta che si svolge nella coscienza dell’uomo, che diviene protagonista del proprio destino. Gli empi, dice il salmista «parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore» (Salmi, 27,3), e il profeta aggiunge che usano parole belle però «il loro cuore è falso» (Osea, 10,2). Dall’obbligo di scegliere fra il bene e il male non sono esenti i letterati o i filosofi, i ricchi o i potenti, che pure ammaliano gli umili con il loro sfarzo intellettuale o materiale. L’incantesimo, però, non dura a lungo, perché se ogni cosa è caduca, il fascino del male lo è ancor meno.

Si può fare ancora un passo in avanti se si tiene presente che una delle tentazioni più forti dell’uomo è quella di farsi grande, insuperbire per l’intelligenza e le capacità, dimenticando che il profeta prevede «guai (per) coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti» (Isaia, 5,21). Tutti, anche la persona più semplice, verifica ogni giorno quante volte un pizzico di potere (vero o presunto) cambia l’uomo, lo fa inorgoglire, sin sulla soglia dell’onnipotenza, lo fa sentire libero da ogni regola, lo induce ad atti di cui, ad un certo punto, non sente più nemmeno la colpa o l’imbarazzo. Quando questa metamorfosi colpisce, sono rovesciati tutti i valori, l’uomo si sente elevato in alto, guarda agli altri uomini quasi con disprezzo, e a quel punto tutto è possibile, anche ciò che a noi sembra grave, contraddittorio, assurdo. Questo senso di onnipotenza stravolge il cuore, soltanto la coscienza del nostro essere creature chiamate al bene può riproporre il senso della fragilità e della grandezza dell’uomo, e può rifondare un umanesimo che si è andato erodendo e frantumando.
Carlo Cardia


Fatima e il dramma della modernità. Il viaggio di Benedetto XVI in Portogallo - Una sintesi e un commento ai discorsi del Papa in Portogallo di Massimo Introvigne
La Chiesa converge verso Fatima
Le apparizioni e il messaggio di Fatima – cui da sempre Alleanza Cattolica è particolarmente legata – hanno un’importanza cruciale per la vita della Chiesa e per il suo giudizio sulla storia moderna. Questo è l’insegnamento centrale del viaggio apostolico che Benedetto XVI ha compiuto in Portogallo dall’11 al 14 maggio 2010 in occasione del decimo anniversario della beatificazione di due dei tre veggenti di Fatima, Giacinta (1910-1920) e Francesco Marto (1908-1919). «Sono venuto a Fatima – ha detto il Papa – perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa […]» (Benedetto XVI 2010g). «Luogo benedetto che Dio si è scelto per ricordare all’umanità, attraverso la Madonna, i suoi disegni di amore misericordioso» (Benedetto XVI 2010h), Fatima è la «“casa” che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni» (Benedetto XVI 2010g), «offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo» (ibid.).

«Quanto all’evento successo 93 anni orsono, che cioè il Cielo si sia aperto proprio sul Portogallo – come una finestra di speranza che Dio apre quando l’uomo Gli chiude la porta – […], si tratta di un amorevole disegno di Dio; non dipende dal Papa, né da qualsiasi altra autorità ecclesiale: “Non fu la Chiesa che ha imposto Fatima – direbbe il Cardinale Manuel Cerejeira [1888-1977], di venerata memoria –, ma fu Fatima che si impose alla Chiesa”» (Benedetto XVI 2010b). Il Papa afferma con singolare vigore la verità storica delle apparizioni, che non derivano dalla psicologia dei veggenti ma fanno irruzione nella loro vita dall’esterno, dal Cielo. A Fatima, afferma, «tre bambini si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo» (Benedetto XVI 2010f). Certo, in ogni apparizione «un impulso soprannaturale […] entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete» (Benedetto XVI 2010a).

Questa dialettica di «impulso soprannaturale» (ibid.) ed «espressioni formate dal soggetto» (ibid.) non deve stupire. A differenza dell’islam, che considera il Corano un testo letteralmente «dettato» da Dio parola per parola e lettera per lettera, così che il ruolo di Muhammad (570-632) sarebbe stato quello di un semplice foglio su cui Dio ha scritto, la Chiesa considera la stessa Sacra Scrittura «ispirata» da Dio, non «dettata». Anche gli autori dei libri sacri hanno tradotto l’ispirazione divina in quelle che il Papa a Fatima chiama «espressioni formate dal soggetto» (ibid.), dove sono presenti le «condizioni storiche, personali, temperamentali» (ibid.) del soggetto medesimo, eppure nello stesso tempo non va perduto l’«impulso soprannaturale» (ibid.), che anzi è fedelmente trasmesso. Ferma la premessa secondo cui nessuna rivelazione privata può pretendere la stessa autorità della rivelazione pubblica, lo stesso vale per Fatima. La dialettica spiega anche perché – a differenza di quel che pensa, quanto alla Sacra Scrittura, l’accostamento fondamentalista tipico di un certo protestantesimo – il testo richiede sempre un’esegesi e un’interpretazione. Il testo non cambia, ma nella storia la Chiesa vi scopre ricchezze sempre nuove.

Sono principi che vanno tenuti presenti quando si tratta della materia delicata del terzo segreto di Fatima, o più esattamente della terza parte del segreto di Fatima, pubblicata in modo molto ufficiale dalla Santa Sede con un commento dell’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2000. Qui la Madonna mostra «il Santo Padre [che] attraversa una grande città mezza in rovina; e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce» (Congregazione per la Dottrina della Fede 2000). Lo stesso cardinale Ratzinger nel commento teologico al segreto del 2000 (ibid.) aveva messo in relazione la visione di Fatima con l’attentato che Giovanni Paolo II (1978-2005) aveva subito il 13 maggio 1981, giorno della festa della Madonna di Fatima. Chi ha scritto che nel viaggio in Portogallo Benedetto XVI ha «corretto» il cardinale Ratzinger, cioè se stesso, proponendo una diversa interpretazione della terza parte del segreto non soltanto sbaglia, ma dimostra un’insufficiente comprensione del modo in cui la Chiesa Cattolica legge i testi a diverso titolo divinamente ispirati. E questo a prescindere dalla vexata quaestio se esistano testi della veggente di Fatima più a lungo sopravvissuta, suor Lucia di Gesù dos Santos (1907-2005), che ancora attendono la pubblicazione, questione su cui – contrariamente a certe attese giornalistiche – Benedetto XVI in Portogallo non si è pronunciato.

Le profezie hanno sempre più di un significato. La terza parte del segreto, ripete ora Benedetto XVI, è una «grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II» (Benedetto XVI 2010a). Ma questa «prima istanza» (ibid.) interpretativa, se mantiene tutta la sua importanza, non ne esclude altre. Al contrario nel segreto, afferma il Papa, «sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano» (ibid.). L’immagine centrale della terza parte del segreto è figura di tutte le persecuzioni che i Papi e la Chiesa nella storia continuamente subiscono. Anche il tradimento dei preti pedofili e le relative persecuzioni mediatiche contro il Papa fanno parte dei «colpi d’arma da fuoco e frecce» del segreto, che sempre «soldati» al servizio di progetti ideologici anticristiani sono pronti a lanciare contro il Papa.

«Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio – conferma Benedetto XVI alludendo alla questione della pedofilia, che peraltro nel viaggio in Portogallo non ha mai citato esplicitamente – vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa […]» (ibid.).
Più in generale, «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» (Benedetto XVI 2010g), e in questo senso si può dire che sia sbagliato riferire la terza parte del segreto solo all’attentato a Giovanni Paolo II. Nel 1917 la Madonna annunciava una «passione della Chiesa» (Benedetto XVI 2010a) che si manifesterà «in modi diversi, fino alla fine del mondo» (ibid.). È certo la passione di Giovanni Paolo II colpito dall’attentato del 1981. Ma si può lecitamente pensare che si tratti anche della passione di Paolo VI (1963-1978), colpito e amareggiato dagli attacchi inauditi del dissenso teologico postconciliare dopo la pubblicazione dell’enciclica "Humanae vitae" del 1968. È la passione di Benedetto XVI, ferito sia dai crimini dei preti pedofili sia dalle calunnie di quanti manipolano i tragici casi di pedofilia per attaccare direttamente il Pontefice. Sarà la passione di un prossimo Papa fra cinquanta o fra cento anni, perché essere calunniata e perseguitata fa parte della natura e della storia della Chiesa, non solo secondo la profezia di Fatima ma secondo la parola profetica dello stesso Signore Gesù: « Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 18).


La storia moderna: «un ciclo di morte e di terrore»

«L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo…» (Benedetto XVI 2010g). Al cuore del messaggio di Fatima vi è un giudizio sulla storia, e in particolare sulla storia moderna. Le tragedie annunciate a Fatima non sono finite con la fine delle ideologie del XX secolo e del comunismo, cui pure il messaggio del 1917 si riferisce. La crisi non è risolta. Da un certo punto di vista è oggi più seria che mai, perché è anzitutto crisi di fede, quindi crisi morale e sociale.

«La fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata […]» (Benedetto XVI 2010f). «Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna» (Benedetto XVI 2010e). Certo, Dio continua ad andare alla ricerca del cuore di ogni uomo, anche nel nostro tempo come in ogni tempo. «Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma della fede?» (Benedetto XVI 2010g). All’interno stesso della Chiesa non mancano infedeltà, fraintendimenti, assenza di sano realismo. «Spesso – ha aggiunto il Papa – ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?» (Benedetto XVI 2010c).

Nel clero stesso, non si può non fare cenno a «un certo indebolimento degli ideali sacerdotali oppure al fatto di dedicarsi ad attività che non si accordano integralmente con ciò che è proprio di un ministro di Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010e). « Qualcuno potrebbe dire: “la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità…, ma non ci sono!”» (Benedetto XVI 2010i). Anche se il Papa risponde a questo «qualcuno» (ibid.) ricordando la presenza consolante e positiva di movimenti e altre realtà ecclesiali, alcune delle quali hanno al centro della loro azione proprio il messaggio di Fatima, rimane grave nella Chiesa la presenza di un certo fatalismo, «la tentazione di limitarci a ciò che ancora abbiamo, o riteniamo di avere, di nostro e di sicuro: sarebbe un morire a termine, in quanto presenza di Chiesa nel mondo» (Benedetto XVI 2010j).

Alla crisi di fede si accompagna una crisi morale. Tutti rischiamo di soccombere alla «pressione esercitata dalla cultura dominante, che presenta con insistenza uno stile di vita fondato sulla legge del più forte, sul guadagno facile e allettante […]». (Benedetto XVI 2010h). Anche in un Paese benedetto da Fatima e ricco di tradizione cattolica come il Portogallo è stato legalizzato nel 2007 l’aborto e, al momento della visita del Papa, il presidente della Repubblica dottor Anibal Cavaco Silva si apprestava a firmare la legge che introduce il matrimonio fra persone dello stesso sesso, il che è purtroppo avvenuto il 18 maggio 2010, nonostante gli appelli di Benedetto XVI. «Esprimo profondo apprezzamento – aveva detto il Papa il 13 maggio – a tutte quelle iniziative sociali e pastorali che cercano di lottare contro i meccanismi socio-economici e culturali che portano all’aborto e che hanno ben presenti la difesa della vita e la riconciliazione e la guarigione delle persone ferite dal dramma dell’aborto. Le iniziative che hanno lo scopo di tutelare i valori essenziali e primari della vita, dal suo concepimento, e della famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna, aiutano a rispondere ad alcune delle più insidiose e pericolose sfide che oggi si pongono al bene comune» (Benedetto XVI 2010h). Né, affrontando questi temi a Fatima, il Pontefice pensava di allontanarsi dal messaggio del 1917: al contrario, «tutto ciò ben si integra con il messaggio della Madonna che risuona in questo luogo […]» (ibid.), dove Maria ci parla di una crisi che ha nelle offese pubbliche alla legge morale una componente essenziale.

La crisi di fede e di morale s’inquadra in una più generale crisi della nostra società, scristianizzata, frammentata, in balia di flussi d’immagini sempre nuove che impediscono la riflessione e la vera comunione fra le persone. I veggenti di Fatima ci hanno insegnato che per ricevere veramente i messaggi del Signore e della Madonna «si richiede una vigilanza interiore del cuore che, per la maggior parte del tempo, non abbiamo a causa della forte pressione delle realtà esterne e delle immagini e preoccupazioni che riempiono l’anima» (Benedetto XVI 2010g). Nell’incontro a Fatima con i vescovi del Portogallo, rispondendo a monsignor Jorge Ortiga, arcivescovo di Braga e presidente della Conferenza Episcopale Portoghese che nel suo intervento aveva evocato la categoria di «modernità liquida» del sociologo britannico di origine polacca Zygmunt Bauman (ZI10051317 2010), Benedetto XVI ha ricordato «quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita» (Benedetto XVI 2010i).

Ma, anche a questo proposito – come ha fatto spesso nel pellegrinaggio a Fatima, e in consonanza con l’interpretazione che ha proposto del messaggio della Madonna – il Papa ha sottolineato che la crisi non è solo esterna, ma è anche interna alla Chiesa: «non mancano credenti che si vergognano e che danno una mano al secolarismo, costruttore di barriere all’ispirazione cristiana» (ibid.). Né sono adeguati programmi pastorali e «soluzioni che rispondano alla logica dell’efficienza, dell’effetto visibile e della pubblicità» (Benedetto XVI 2010h), o che nascondano l’annuncio cristiano in nome di un generico umanitarismo. Al contrario, nella Chiesa serve una «ferma identità delle istituzioni» (ibid.). «Mantenete viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché “la parola di Dio non è incatenata!” (2Tm 2, 9)» (Benedetto XVI 2010i).

Da Fatima, un giudizio sulla modernità

Il messaggio di Fatima, in quanto giudizio sul dramma della storia e della modernità, è in profonda sintonia con il cuore stesso del magistero di Benedetto XVI. Nel discorso del 2006 a Ratisbona (Benedetto XVI 2006) e nell’enciclica "Spe salvi" del 2007 (Benedetto XVI 2007) il Pontefice aveva già proposto un giudizio sui momenti centrali della modernità: Martin Lutero (1483-1546), l’illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti aveva distinto un aspetto esigenziale dove c’è qualche cosa di condivisibile – la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell’illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni sociali e politiche dell’illuminismo per le ideologie novecentesche – e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l’acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare. Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale. L’illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare. Le ideologie del Novecento criticando l’idea astratta di libertà dell’illuminismo finiscono per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità, dunque, a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.

Anche qui, il tema si ripropone non solo all’esterno ma anche all’interno della Chiesa, dove il magistero di Benedetto XVI si è spesso concentrato sulla corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si dice, senza sbagliare, che il Concilio si fece carico della modernità. Ma questo significa che il Concilio accolse le istanze del moderno oppure che condivise anche le risposte dell’ideologia della modernità a queste istanze? Nel primo caso il Concilio può essere letto alla luce della Tradizione della Chiesa, che – dal Concilio di Trento, il quale si confrontò con le domande poste da Lutero dando però risposte totalmente diverse, fino a Leone XIII (1878-1903), di cui ricorre quest’anno il secondo centenario della nascita, di fronte alle ideologie nascenti – ha sempre accolto le istanze proposte dalla storia trovando nel suo patrimonio gli elementi per farvi fronte. Nel secondo caso il Vaticano II sarebbe invece un’innovazione radicale, un cedimento della Chiesa all’ideologia della modernità, una rivolta contro la Tradizione da leggere secondo quella che Benedetto XVI chiama «ermeneutica della discontinuità e della rottura» (Benedetto XVI 2005) rispetto a tutto quanto è venuto prima.

Nel pellegrinaggio a Fatima il Papa torna su questi temi: e il discorso del 12 maggio a Lisbona rivolto al mondo della cultura è destinato a prendere posto fra i testi principali del suo pontificato. Qui, come di consueto, il punto di partenza è il Concilio Ecumenico Vaticano II, «nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita» (Benedetto XVI 2010d). Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le «istanze» (ibid.), di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma superandole –, e gli «errori e vicoli senza uscita» (ibid.) in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole.

Per il Papa la modernità come plesso di esigenze può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità come ideologia dev’essere invece sottoposta a una rigorosa critica. Questa ideologia comporta il rifiuto della tradizione – quella con la “t” minuscola, come patrimonio culturale trasmesso dalle generazioni passate, e quella con la “T” maiuscola come verità conservata e veicolata dalla Chiesa – e l’idolatria del presente. In Portogallo il Papa denuncia un’ideologia che «assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato» (ibid.) e quindi fatalmente finisce per presentarsi «senza l’intenzione di delineare un futuro» (ibid.). Considerare il presente la sola «fonte ispiratrice del senso della vita» (ibid.) porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo – e non solo – «ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una “sapienza”, cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un “ideale” da adempiere» (ibid.), strettamente legati all’idea di verità e all’identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque «si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo» (ibid.).

Il «“conflitto” fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita» (ibid.). In questo conflitto la Chiesa non ha dubbi su da che parte stare. «La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione» (ibid.): parole di Benedetto XVI che richiamano – certo con uno stile e un linguaggio diverso – quelle del suo predecessore san Pio X (1903-1914) nella lettera apostolica del 1910 "Notre charge apostolique", di cui pure ricorre il centenario quest’anno, secondo cui «i veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti» (Pio X 1910, n. 44).
La difesa della verità contro il culto relativistico e anti-tradizionale del presente è una missione «per la Chiesa irrinunciabile» (Benedetto XVI 2010d), ripete Benedetto XVI. «Infatti il popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia» (ibid.). E anche questa conclusione corrisponde al senso profondo del messaggio di Fatima.

«Finalmente il mio Cuore Immacolato trionferà»

Nella seconda parte del segreto di Fatima la Madonna preannuncia: «I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà» (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede 2000).

In un testo pubblicato nel 2009 dove antropologi in gran parte non cattolici e anzi non credenti discutono il rilievo sociale delle apparizioni mariane si ricorda il ruolo del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) come «infaticabile promotore della devozione a Fatima» (Morgan 2009, 56). Qualche critico ha voluto vedere nella lettura che Corrêa de Oliveira proponeva del messaggio di Fatima, prevedendo un periodo di crisi convulsiva chiamato "bagarre" – dove appunto «i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte» – seguito da un Regno di Maria particolarmente favorevole alla Chiesa, dove «finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà», una sorta di versione cattolica del millenarismo protestante. Come ho cercato di mostrare altrove (Introvigne 2008), la critica non è fondata. Non solo non c’è in Corrêa de Oliveira la previsione di una data precisa per questi eventi – che compare spesso, anche se non sempre, nel millenarismo – ma mancano i due elementi cruciali dello schema millenarista protestante classico: una venuta visibile – ma «intermedia» rispetto a quella «finale» alla fine del mondo – di Gesù sulla Terra e la scomparsa per mille anni del male e dei malvagi. Al contrario per il pensatore brasiliano, esponente della scuola contro-rivoluzionaria che usa l’espressione «Rivoluzione» per designare il processo di scristianizzazione che ha caratterizzato l’Occidente a partire dal Rinascimento, «la Rivoluzione continuerà — e di questo sono certo — anche nel Regno di Maria. Cellule rivoluzionarie continueranno a esistere, e saranno perfino peggiori di quelle di oggi. Sembra impossibile, ma sarà così. Perché il rifiuto delle grazie offerte nel Regno di Maria renderà gli uomini peggiori di quello che sono oggi» (Corrêa de Oliveira 1983).

Benedetto XVI, nel ripetere che la Chiesa prende il messaggio di Fatima estremamente sul serio, non è lontano come si è già visto dalla prospettiva di tragedie ancora peggiori di quelle che l’umanità ha già attraversato – nel linguaggio di Corrêa de Oliveira, una "bagarre": «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. […] L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo…» (Benedetto XVI 2010g).

Ma nello stesso tempo il Papa non manca di mettere in evidenza quella parte del messaggio di Fatima che, dopo la tragedia, si apre alla speranza e al trionfo del Cuore Immacolato di Maria. «Nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa» (Benedetto XVI 2010c). Alludendo al centenario delle apparizioni di Fatima nel 2017 – un evento in cui, in umile considerazione della propria età, il Papa non include se stesso – Benedetto XVI afferma: «Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora “venuta dal Cielo”, come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: “Mi piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio”. E Francesco diceva: “Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!” (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126)» (Benedetto XVI 2010g). Questo fuoco di amore di Dio, ricorda il Papa, ha anche una dimensione profetica: «Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità» (ibid.).

Sarebbe certamente sbagliato attribuire al Papa speculazioni – queste sì millenariste – sul «quando» del «trionfo del Cuore Immacolato di Maria» (ibid.). Le sue parole non sono una previsione, ma un auspicio introdotto da un «Possano» (ibid.). Ma, se pure non ne conosciamo il «quando», questo «trionfo» (ibid.) – che Corrêa de Oliveira sulla scia del grande santo mariano francese tanto caro a Giovanni Paolo II, san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), chiamava appunto «Regno di Maria» – è certo perché è «preannunciato» (ibid.) non dalle speculazioni degli uomini ma dalla voce stessa della Madonna che la Chiesa nella persona del Papa accoglie e fa sua.

Sarebbe pure sbagliato abbandonarsi, a fronte di questa consolante promessa, a un atteggiamento fatalistico, disinteressandosi del mondo e della storia perché se ne occuperanno direttamente la Provvidenza e la Madonna. Il Papa non ha nostalgia di un’epoca in cui «dobbiamo anche confessare che la fede cattolica, cristiana, spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo» (Benedetto XVI 2010a). Non è al disimpegno che ci chiama il messaggio di Fatima, ma alla fedeltà e all’azione. «La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore» (Benedetto XVI 2010e).

L’Occidente – Benedetto XVI riprende qui il grande tema di Giovanni Paolo II della «nuova evangelizzazione», di cui Giovanni Cantoni ha notato i collegamenti con Fatima (Cantoni 2002) – è diventato, con la crisi della fede, terra di missione: «Il campo della missione ad gentes si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche» (Benedetto XVI 2010j). E dal Portogallo il Papa «ripete a ciascuno di voi: Miei fratelli e sorelle, bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù. In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto?» (Benedetto XVI 2010j). «Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?”» (Memorie di Suor Lucia, I, 162)» (Benedetto XVI 2010g). Il sì dei veggenti sarà la prima pietra per la costruzione del regno del Cuore Immacolato di Maria solo se sapremo accompagnarlo con il nostro sì, giorno per giorno.

Riferimenti
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Cantoni, Giovanni. 2002. «La “purificazione della memoria” e la devozione al Cuore Immacolato di Maria per la Nuova Evangelizzazione». Cristianità, anno XXX, n. 313, settembre-ottobre 2002, pp. 25-30.
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Corrêa de Olivera, Plinio. 1983. «Reunião de Recortes» del 9-4-1983. Trascrizione a cura della Commissão Plinio Corrêa de Oliveira, San Paolo.
Hermkens, Anna-Karina - Willy Jansen - Catrien Notermans (a cura di). 2009. Moved by Mary. The Power of Pilgrimage in the Modern World. Ashgate, Farnham (Surrey) - Burlington (Vermont).
Introvigne, Massimo. 2008. Una battaglia nella notte. Plinio Corrêa de Oliveira e la crisi del secolo XX nella Chiesa. Sugarco, Milano.
Morgan, David. «Aura and the Inversion of Marian Pilgrimage: Fatima and Her Statues». In Hermkens, Jansen e Notemans 2009, pp. 49-65.
Pio X, 1910. La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi «Notre charge apostolique», del 25-8-1910 [trad. it., Cristianità, Piacenza 1993].
ZI10051317. 2010. «Benedetto XVI chiede di essere “autentici testimoni di Gesù Cristo”. Incontrando i vescovi del Portogallo a Fatima». Zenit, 13-5-2010- Disponibile sul sito Internet dell’agenzia Zenit all’indirizzo http://www.zenit.org/article-22461?l=italian.



Disabile ad alto rischio È «omesso soccorso»? - Caso di Fiumicino Ricorso contro la Regione Lazio e il Comune - DAL NOSTRO INVIATO A FIUMICINO (ROMA) - PINO CIOCIOLA - Avvenire, 18 maggio 2010
A desso qualcuno dovrà rispondere al Tribunale di Ci vitavecchia, che non potrà non chiedere conto (pre sto) di quanto è accaduto e accade. Visto che se già finora ad Anita, disabile gravissima, hanno sfilato il diritto a vivere dignitosamente, entro qualche mese resterà sicura mente uccisa dalle polveri dei lavori edili appena comincia ti alla sua palazzina, voluti dalla Regione Lazio e benedetti dai condòmini. E visto che le preghiere del marito alle isti tuzioni perché venisse assegnato loro un nuovo alloggio so no, sistematicamente, finite nel nulla.

Associazioni pronte a schierarsi. Questa donna è da anni o staggio – anche 'fisicamente' – dell’indifferenza e del di sprezzo istituzionali. Tanto che ieri mattina è stato deposi tato in Tribunale, a Civitavecchia (competente per territo­rio), un durissimo ricorso «urgente» contro il Comune di Fiu micino, la Regione e l’Ater, nel quale il reato più pesante fra quelli ipotizzati è l’omissione di soccorso. Tanto che alcune associazioni di disabili stanno per scendere sul piede di guer ra e, se necessario, sono pronte ad andare anch’esse in giu dizio.

Scaricabarile incredibile. Comune, Asl e Regione hanno in fatti ciascuno e sempre voltato la testa, ignorando la dispe razione e le paure di Francesco e Chiara, marito e figlia di A nita. Donna trentaseienne disabile al cento per cento, con minima responsività, tracheostomia e Peg, con paralisi dei muscoli volontari del corpo (a parte occhi, bocca, mano de stra e braccio sinistro). Senza più un pezzo di cervello e un quinto di scatola cranica. E con un certificato medico data to 19 settembre 2009 nel quale è attestato che «necessita di respirazione libera da agenti polverosi».

Inchiodata a letto e non doma. Eppure Anita piange e ride. Lo scorso Natale, faticosamente, ha scritto ' Ciao Pino ' su un biglietto d’auguri e di tanto in tanto, con grafia spezzata, manda così due o tre parole a chi vuol bene. Essere inchio data in un letto l’ha resa leonessa: sfodera gli artigli dalla not te del 19 marzo 2006, quando un aneurisma cerebrale fece dire ai medici «inutile operarla, questa muore fra poco».

Trenta metri quadri al secondo piano. E da quella notte ha affrontato e sconfitto una buona decina di volte la morte, che voleva portarsela via con diverse infezioni e polmoniti e cri si respiratorie. Ma i suoi artigli da soli non le basterebbero: combattono con lei e per lei Francesco, Chiara e la mamma di Francesco, Silvana. Stessa barca per loro quattro, stesso amore più forte delle umiliazioni e delle ingiustizie e stessa casa, cioè 30 (trenta) metri quadrati di un secondo piano, sen za ascensore, dell'Azienda territoriale per l’edilizia residen ziale pubblica'. A Isola Sacra, piccola frazione di Fiumicino, dove gli aerei ti spettinano mentre atterrano e decollano. Dove Francesco, nelle belle giornate, si carica Anita sulle spalle per quattro rampe di scale in discesa e, al ritorno, in salita, naturalmente non prima d’aver fatto lo stesso con la sua speciale carrozzella.

Poche parole, nessun fatto. Insomma, un gioco delle tre car te condito di promesse: l’ultima presa in giro è arrivata dal la Regione Lazio. L’allarme sulla situazione di Anita venne lanciato da queste pagine lo scorso 14 ottobre (dopo che Av venire

si era occupato della sua storia già il 22 maggio sem pre del 2009): qualche giorno e un’alta funzionaria regiona le telefonò a Francesco, «Non si preoccupi, signor Secci, en tro una settimana vi troveremo una nuova e dignitosa siste mazione! ». Passarono altri tre giorni, scoppiò il caso Marrazzo e quella funzionaria Francesco non l’ha mai più sentita. Nel frattempo dalla Asl locale si sente ripetere come un disco rotto che «non possiamo fare nulla». Nel frattempo ha a spettato mesi soltanto per essere ricevuto dal sindaco di Fiu micino, Mario Canapini.

Istituzioni sorde e mute. E l’Ater, proprietaria della casa? L’unica dichiarazione ufficiale resta quella del presidente Romolo Rea nel maggio 2009, attraverso la quale fece sape re d’essere «incompetente» per un eventuale cambio di al loggio e d’«avere interessato della questione» il Comune di Fiumicino. Che, appunto, resta sordo e muto.