sabato 29 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Eunuchi per il Regno dei Cieli. La disputa sul celibato - Il cardinale Schönborn propone il "ripensamento" di questo obbligo per il clero cattolico. E così altri vescovi. Benedetto XVI lo vuole invece rafforzare. A suo sostegno ha tutta la storia della Chiesa, fin dal tempo degli apostoli - di Sandro Magister
2) COME LA “STRATEGIA DEL SILENZIO” SALVÒ MIGLIAIA DI EBREI - Documenti e testimonianze evidenziano gli sforzi di Pio XII - di Gary S. Krupp
3) L'ultimo violentissimo attacco della Massoneria contro Benedetto XVI - L'attacco del Time contro Benedetto XVI, è grave, è strumentale, è studiato a tavolino scientemente, e mira a destabilizzare il papato di Benedetto XVI che i massoni non vogliono in Inghilterra il prossimo 16 settembre…- Prof. Alberto Giannino, Presidente Ass. culturale docenti cattolici (Adc) - www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=52287&idsezione=4 (28/05/2010)
4) Un'apologia cinematografica dell'eutanasia e del suicidio - Dottor Jack e mister Morte di Cristian Martini - ©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2010
5) 28/05/2010 – VATICANO - Papa: il futuro poggia sull’incontro dei popoli e sul riconoscimento dei diritti della persone - Stati e organismi internazionali dovrebbero costruire un sistema di norme sui diritti e doveri del migrante, “consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all'asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone”. La necessità di politiche di sostegno alla famiglia.
6) Varsavia 1920 “Il miracolo della Vistola” - Alberto Leoni - Il Timone – dal sito pontifex.roma.it
7) La crisi economica non ha alcuna influenza sulla scarsa natalità, basti considerare i Paesi del terzo mondo. Oggi navighiamo a vista, abbiamo perduto fiducia nel futuro. Che cosa aspettarci da una società che glorifica la omosessualità? - Bruno Volpe – dal sito pontifex.roma.it
8) Avvenire.it, 29 Maggio 2010 - In vista un'estate senza vacanze per tante famiglie con disabili - Quando sono i più deboli a far le spese dei «risparmi» - Giulia Galeotti
9) Avvenire.it, 28 maggio 2010 - ASSEMBLEA CEI - Bagnasco: «Intervenire a sostegno delle famiglie»
10) Madre Pierina De Micheli la suora del Volto Santo - DA ROMA L AURA BADARACCHI - Domani a Roma l’arcivescovo Amato proclamerà beata la religiosa dell’Ordine delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires che diffuse la devozione alla sacra immagine di Gesù – Avvenire, 29 maggio 2010


Eunuchi per il Regno dei Cieli. La disputa sul celibato - Il cardinale Schönborn propone il "ripensamento" di questo obbligo per il clero cattolico. E così altri vescovi. Benedetto XVI lo vuole invece rafforzare. A suo sostegno ha tutta la storia della Chiesa, fin dal tempo degli apostoli - di Sandro Magister
ROMA, 28 maggio 2010 – Benedetto XVI si appresta a concludere l'Anno Sacerdotale, da lui voluto per ridare vigore spirituale ai preti cattolici in un'epoca difficile per l'intera Chiesa.

Intanto però un cardinale famoso e tra i più vicini al papa, l'arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, continua a battere il chiodo di un "ripensamento" della disciplina del celibato del clero latino.

Schönborn è persona di buona cultura, ex alunno di Joseph Ratzinger professore di teologia. Negli anni Ottanta collaborò alla scrittura del catechismo della Chiesa cattolica. Ma come uomo di governo, da quando è alla testa di una Chiesa sbandata come l'austriaca, si mostra molto attento alle pressioni dell'opinione pubblica.

A metà maggio, appena un vescovo suo connazionale, Paul Iby, di Eisenstadt, disse che "i preti dovrebbero essere liberi di scegliere se sposarsi o meno" e che "la Santa sede è troppo timida su tale questione", prontamente il cardinale Schönborn chiosò: "Le preoccupazioni espresse dal vescovo Iby sono le preoccupazioni di tutti noi, anche se le proposte di soluzione dei problemi sono differenti".

E questa è stata solo l'ultima di una serie incessante di sortite analoghe di cardinali e vescovi di tutto il mondo, per non dire di esponenti del clero e del laicato. Il "superamento" della disciplina del celibato è da tempo il basso continuo della musica dei novatori.

Di questa musica, ciò che ordinariamente viene udito e capito sono un paio di cose.

La prima è che il celibato del clero è una regola imposta in secoli recenti al solo clero latino.

La seconda è che ai sacerdoti cattolici dovrebbe essere consentito di sposarsi "come nella Chiesa primitiva".

Il guaio è che queste due cose fanno entrambe a pugni con la storia e con la teologia.

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Alla radice dell'equivoco c'è anche una cattiva comprensione del concetto di celibato del clero.

In tutto il primo millennio e anche dopo, nella Chiesa il celibato del clero era propriamente inteso come "continenza". Cioè come completa rinuncia, dopo l'ordinazione, alla vita di matrimonio, anche per chi si fosse precedentemente sposato.

L'ordinazione di uomini sposati, infatti, era una prassi comune, documentata anche dal Nuovo Testamento. Ma nei Vangeli si legge che Pietro dopo la chiamata ad apostolo "lasciò tutto" (Matteo 19, 27). E Gesù disse che per il Regno di Dio c'è chi lascia anche "moglie o figli" (Luca 18, 29).

Mentre nell'Antico Testamento l'obbligo della purità sessuale valeva per i sacerdoti solo nei periodi del loro servizio al Tempio, nel Nuovo Testamento la sequela di Gesù nel sacerdozio è totale e investe l'intera persona, sempre.

Che fin dall'inizio della Chiesa preti e vescovi fossero tenuti ad astenersi dalla vita di matrimonio è confermato dalle prime regole scritte in materia.

Esse compaiono a partire dal secolo IV, dopo la fine delle persecuzioni. Con l'aumento impetuoso del numero dei fedeli aumentano anche le ordinazioni, e con esse le infrazioni alla continenza.

Contro queste infrazioni, concili e papi intervengono ripetutamente a riaffermare la disciplina da essi stessi definita "tradizionale". Questo fanno il Concilio di Elvira, nel primo decennio del secolo IV, che sanziona il mancato rispetto della continenza con l'esclusione dal clero; altri concili di un secolo dopo; i papi Siricio e Innocenzo I; e poi ancora altri papi e Padri della Chiesa, da Leone Magno a Gregorio Magno, da Ambrogio ad Agostino a Girolamo.

Per molti secoli ancora la Chiesa d'Occidente continuò a ordinare degli uomini sposati, sempre però esigendo la rinuncia alla vita matrimoniale e l'allontanamento della sposa, previo il consenso di questa. Le infrazioni erano punite, ma erano molto frequenti e diffuse. Anche per contrastare questo, la Chiesa cominciò a scegliere di preferenza i suoi sacerdoti tra i celibi.

In Oriente, invece, dalla fine del secolo VII in poi la Chiesa tenne fermo l'obbligo assoluto della continenza solo per quanto riguarda i vescovi, scelti sempre più spesso tra i monaci invece che tra gli sposati. Col basso clero accettò che gli sposati continuassero a condurre vita matrimoniale, con obbligo di continenza solo "nei giorni di servizio all'altare e di celebrazione dei sacri misteri". Così stabilì il secondo Concilio di Trullo del 691, un concilio mai riconosciuto come ecumenico dalla Chiesa d'Occidente.

Da allora a oggi è questa la disciplina in vigore in Oriente, così come nelle Chiese di rito orientale tornate in comunione con la Chiesa di Roma dopo lo scisma del 1054: continenza assoluta per i vescovi e vita matrimoniale consentita al basso clero. Fermo restando che l'eventuale matrimonio deve sempre precedere la sacra ordinazione e mai seguirla.

La tolleranza adottata dalle Chiese d'Oriente per la vita matrimoniale del basso clero fu agevolata – secondo gli storici – dal particolare ordinamento di queste Chiese, costituite in patriarcati e quindi più portate a decisioni autonome sul piano disciplinare, con un ruolo preminente svolto dall'autorità politica.

In Occidente, invece, alla grande crisi politica e religiosa dei secoli XI e XII la Chiesa reagì – con la riforma detta gregoriana dal nome di papa Gregorio VII – proprio combattendo con vigore i due mali che dilagavano tra il clero: la simonia, cioè la compravendita degli uffici ecclesiastici, e il concubinato.

La riforma gregoriana riconfermò in pieno la disciplina della continenza. Le ordinazioni di uomini celibi furono preferite sempre più a quelle di uomini sposati. Quanto al matrimonio celebrato dopo l'ordinazione – da sempre vietatissimo sia in Oriente che in Occidente – il Concilio Lateranense II del 1139 lo definì non solo illecito, ma invalido.

Anche le successive crisi della Chiesa d'Occidente hanno visto in primo piano la questione del celibato del clero. Tra i primi atti della Riforma protestante ci fu proprio l'abolizione del celibato. Al Concilio di Trento vi fu chi spinse per una dispensa dall'obbligo del celibato anche per i preti cattolici. Ma la decisione finale fu di mantenere integralmente in vigore la disciplina tradizionale.

Non solo. Il Concilio di Trento obbligò tutte le diocesi a istituire dei seminari per la formazione del clero. La conseguenza fu che le ordinazioni di uomini sposati diminuirono drasticamente, fino a scomparire. Da quattro secoli, nella Chiesa cattolica i preti e i vescovi sono nella quasi totalità celibi, con le sole eccezioni del basso clero delle Chiese di rito orientale unite a Roma e degli ex pastori protestanti con famiglia ordinati sacerdoti, provenienti per lo più dalla Comunione anglicana.

Dalla percezione che i preti cattolici sono tutti celibi si è diffusa l'idea corrente che il celibato del clero consista nella proibizione di sposarsi. E quindi che il "superamento" del celibato consista sia nell'ordinare preti degli uomini sposati consentendo loro di continuare a vivere la vita matrimoniale, sia nel permettere ai preti celibi di sposarsi.

Dopo il Concilio Vaticano II entrambe queste richieste sono state avanzate ripetutamente nella Chiesa cattolica, anche da vescovi e cardinali.

Ma sia l'una che l'altra sono in palese contrasto con l'intera tradizione di questa stessa Chiesa, a partire dall'età apostolica, oltre che – per quanto riguarda la seconda richiesta – con la tradizione delle Chiese d'Oriente e quindi col cammino ecumenico.

Che poi un "superamento" del celibato sia la scelta più appropriata per la Chiesa cattolica di oggi è sicuramente un'idea per nulla condivisa dal papa regnante.

Stando a ciò che Benedetto XVI dice e fa, la sua volontà è opposta: non superare ma confermare il celibato sacerdotale, come sequela radicale di Gesù per il servizio di tutti, tanto più in un passaggio cruciale di civiltà come il presente.

Proprio a questo mira l'Anno Sacerdotale da lui indetto, col santo Curato d'Ars come modello: umile curato di campagna che visse il celibato come dedizione totale per la salvezza delle anime, una vita tutta consumata all'altare e nel confessionale.

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La letteratura scientifica sul tema è vasta. Tra l'altro ha definitivamente accertato che è un falso storico il racconto che al Concilio di Nicea del 325 un vescovo di nome Paphnutius sostenne e fece approvare la libertà per le singole Chiese di consentire o no ai preti la vita matrimoniale. Così come è stata accertata la manomissione ad opera del secondo Concilio di Trullo del 691 dei canoni dei concili africani dei secoli IV e V, da esso citati a sostegno della vita matrimoniale per i preti: manomissione dimostrata già nel Cinquecento dal coltissimo cardinale Cesare Baronio.

Ma di questa letteratura scientifica non c'è quasi traccia nel dibattito corrente e nemmeno nelle sortite di vescovi e cardinali favorevoli al "superamento" del celibato.

Una eccellente sintesi storica e teologica della questione è in un piccolo libro del 1993 del cardinale austriaco Alfons Maria Stickler, morto a Roma nel 2007 all'età di 97 anni, all'epoca prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.

La traduzione italiana del libro, edita dalla Libreria Editrice Vaticana, è da anni esaurita. In commercio ne è disponibile la versione inglese:

Alfons Maria Stickler, "The Case for Clerical Celibacy. Its Historical Development and Theological Foundations", Ignatius Press, San Francisco, 1995.


COME LA “STRATEGIA DEL SILENZIO” SALVÒ MIGLIAIA DI EBREI - Documenti e testimonianze evidenziano gli sforzi di Pio XII - di Gary S. Krupp
NEW YORK, venerdì, 28 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Pave the Way Foundation ha avviato un progetto di recupero di documenti per mostrare tutte le informazioni e le testimonianze possibili sul pontificato di Pio XII, il Papa della Seconda Guerra Mondiale, così da porre fine all’“impasse” accademica provocata dalla mancanza di informazioni pubbliche.
Nuove scoperte hanno portato alla luce documenti e testimonianze che mostrano chiaramente che il 16 ottobre 1943 fu la scelta del Papa di non denunciare pubblicamente l’arresto degli ebrei romani a salvare la vita di molti membri della comunità ebraica di Roma.
Esiste una dichiarazione giurata del 1972 del generale Karl Wolff, comandante delle SS per l’Italia e vice di Heinrich Himmler, che afferma che nel settembre 1943 Adolf Hitler ordinò di predisporre un piano per invadere il Vaticano, sequestrare il Papa, incamerare i beni vaticani e uccidere la Curia Romana. Il piano sarebbe stato messo in pratica tempestivamente.
Il generale Wolff sapeva che se l’invasione fosse stata attuata si sarebbero verificati gravi disordini in tutta Europa, il che avrebbe rappresentato un disastro militare per lo sforzo bellico tedesco. Il generale dichiarò di essere riuscito a convincere Hitler a rinviare l’invasione. Qusto punto di vista di un potenziale disastro militare era condiviso dal governatore militare di Roma, il generale comandante Rainer Stahel, e dall’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Ernst von Weizsacker.
Pio XII era a conoscenza del piano di invasione ed era conscio che la sua esecuzione avrebbe portato a grandi disordini, che avrebbero potuto provocare migliaia di vittime innocenti. Inoltre la neutralità vaticana sarebbe stata violata, permettendo così alle forze tedesche di entrare in tutte le proprietà del Vaticano. Esistono atti manoscritti secondo cui il 6 settembre 1943 Pio XII riunì segretamente i Cardinali per comunicare loro che il Vaticano avrebbe potuto essere invaso, e che egli sarebbe stato portato al nord e probabilmente assassinato. I Cardinali dovevano prepararsi a fuggire subito in un Paese neutrale, non appena il territorio del Vaticano fosse stato invaso.
Firmò anche una lettera di rinuncia e la pose sulla sua scrivania. Diede istruzioni ai Cardinali perché, una volta in salvo, formassero un Governo in esilio e scegliessero un nuovo Papa. C’è una lettera manoscritta del Segretario di Stato che ordinava alle Guardie Svizzere di non resistere alle forze d’invasione tedesche con la forza delle armi, e molti documenti spiegano come avrebbero dovuto proteggere la Biblioteca Vaticana e il contenuto del museo.
Durante questo periodo, von Weizsäcker inviò a Berlino messaggi positivi ingannevoli sul Papa per calmare Hitler, per non giustificare un ordine di invasione. Alcuni critici di Pio XII hanno basato erroneamente le proprie teorie relative alla complicità e alla collaborazione del Papa su questi cablogrammi, che l’assistente di von Weizsäcker, Albrecht von Kessel, definì in seguito “bugie tattiche”.
Esiste una testimonianza del tenente Nikolaus Kunkel, un ufficiale tedesco della sede del governatore militare di Roma, che corrobora le prove documentate e le testimonianze su come Pio XII abbia salvato direttamente la comunità ebraica romana, e che rivela come si attendesse da un giorno all’altro l’ordine di invasione da Berlino.
Quando iniziarono gli arresti la mattina del 16 ottobre 1943, Pio XII venne avvertito dalla principessa Enza Pignatelli Aragona Cortes. Si mise subito in azione per costringere i tedeschi a fermare le detenzioni. Chiamò il Segretario di Stato vaticano, il Cardinal Maglione, e gli diede istruzioni per lanciare una decisa protesta contro gli arresti. Il porporato avvertì von Weizsäcker quella mattina stessa del fatto che il Papa non poteva restare in silenzio, visto che gli ebrei venivano arrestati proprio sotto le sue finestre, nella sua Diocesi. Pio XII inviò allora suo nipote, Carlo Pacelli, a incontrare un simpatizzante della Germania, il Vescovo Alois Hudal, ordinandogli di scrivere una lettera ai suoi contatti tedeschi per fermare immediatamente gli arresti.
Anche questa mossa risultò priva di efficacia. L’ultimo sforzo di Pio XII, quello che ebbe maggior successo, fu inviare il suo confidente, il Superiore Generale dei Salvatoriani, padre Pankratius Pfeiffer, perché incontrasse direttamente il governatore militare di Roma, il generale Stahel. Padre Pfeiffer avvertì Stahel che il Papa avrebbe lanciato una protesta forte e pubblica contro questi arresti se non si fossero fermati. Il timore che la protesta pubblica provocasse l’ordine di Hitler di invadere la Santa Sede spinse Stahel ad agire.
Il generale telefonò subito a Heinrich Himmler e inventò delle ragioni militari per fermare gli arresti. Confidando nelle valutazioni di Stahel, Himmler avvisò Hitler di bloccare le detenzioni. L’ordine di fermare gli arresti venne comunicato a mezzogiorno del 16 ottobre, e divenne effettivo alle 14.00 di quello stesso giorno.
Questa sequenza di fatti è stata confermata in modo indipendente dal generale Dietrich Beelitz, ufficiale di collegamento con l’ufficio del maresciallo da campo Albert Kesselring e il comando di Hitler. Beelitz ascoltò personalmente la conversazione tra Stahel e Himmler. Quando emerse l’inganno di Stahel, Himmler punì il generale inviandolo sul fronte orientale.
Si sa che in Vaticano c’erano delle spie infiltrate. Il Papa poteva inviare solo sacerdoti di fiducia e confidenti per Roma e l’Italia, con ordini verbali e scritti del Papa di permettere a uomini e donne di entrare nei conventi e nei monasteri cattolici, e ordinando che tutte le istituzioni ecclesiastiche nascondessero gli ebrei dove potevano.
Secondo il celebre storico britannico sir Martin Gilbert, il Vaticano nascose migliaia di ebrei letteralmente in un giorno. Dopo averli nascosti, continuò a nutrire e a mantenere i suoi “ospiti” fino alla liberazione di Roma, il 4 giugno 1944.
Documenti di Berlino e del processo ad Eichmann in Israele mostrano anche che gli 8.000 ebrei romani che dovevano essere arrestati non sarebbero stati spediti ad Auschwitz ma nel campo di lavoro di Mauthausen, dove sarebbero rimasti come ostaggi. Quest’ordine venne tuttavia revocato in seguito da persone sconosciute, e 1.007 ebrei vennero mandati a morire ad Auschwitz. Ne sopravvissero solo 17. Ci sono persone che criticano Pio XII per non aver salvato quelle 1.007 persone, ma tacciono sulle sue azioni dirette, che portarono al salvataggio di una comunità ebraica, quella romana, vecchia di oltre 2.000 anni.
Di recente è stato scoperto negli archivi nordamericani che gli Alleati avevano decifrato i codici tedeschi e sapevano con una settimana d’anticipo dell’intenzione di arrestare gli ebrei di Roma. Decisero di non avvisare i romani perché questo avrebbe potuto mettere in guardia i tedeschi su questa falla nel loro servizio di intelligence. Qusta “decisione militare” lasciò Pio XII solo, senza avvisi previ, a cercare di porre fine agli arresti.
Parlando di Papa Pio XII, il maggiore esperto ebreo sull’Olocausto in Ungheria, Jeno Levai, ha dichiarato che è “particolarmente deplorevole il fatto che l’unica persona in tutta l’Europa occupata che agì più di tutti gli altri per frenare il terribile crimine e mitigarne le conseguenze sia diventata oggi il capro espiatorio degli insuccessi altrui”.
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*Gary Krupp è il fondatore della Pave the Way Foundation (PTWF), un’organizzazione la cui missione è quella di individuare e cercare di eliminare gli ostacoli tra le religioni e di avviare azioni positive per migliorare le relazioni interreligiose.


L'ultimo violentissimo attacco della Massoneria contro Benedetto XVI - L'attacco del Time contro Benedetto XVI, è grave, è strumentale, è studiato a tavolino scientemente, e mira a destabilizzare il papato di Benedetto XVI che i massoni non vogliono in Inghilterra il prossimo 16 settembre…- Prof. Alberto Giannino, Presidente Ass. culturale docenti cattolici (Adc) - www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=52287&idsezione=4 (28/05/2010)
Il settimanale americano Time (4 milioni di copie la settimana su 300 milioni di americani, cioè neanche l'1%) continua la subdola e capziosa campagna contro Benedetto XVI e la pedofilia. Questa volta, in prima pagina, c'è la foto del Papa ripreso volutamente di spalle che, secondo il settimanale letto da neanche l'1% degli americani, dovrebbe fare un mea culpa pubblico e solenne per i crimini e le nefandezze di alcuni uomini di Chiesa. Ma ora abbiamo capito le ragioni di questa campagna di odio verso il successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra che intendiamo esporre a tutti. Dietro il Time c'è la Massoneria che, per chi non lo sapesse, è guidata da "Sua Grazia", il 75 enne Duca di Kent, Edward Windsor, Gran Maestro della Gran Loggia Unita di Inghilterra, la più antica e prestigiosa obbedienza massonica del mondo e cugino di primo grado della Regina Elisabetta II d'Inghilterra capo della Chiesa Anglicana che in tutto il mondo ha 80 milioni di fedeli. Chiesa che è in crisi specialmente negli Usa dopo l'ordinazione delle donne vescovo dei preti e vescovi omosessuali (in Gran Bretagna il sinodo della chiesa anglicana non è ancora arrivato a tanto) ma i fedeli indignati grazie anche ad un accordo recente tra l'Arcivescovo di Canterbury e il Papa possono essere accettati nella Chiesa cattolica. E questo fatto fa letteralmente adirare i massoni americani e inglesi, nei cui Paesi la massoneria è un fenomeno di massa. In Italia ci sono solo logge affaristico-mafiose per fare business con gli appalti, droga, clandestini, armi e prostituzione, con le cosche e i politici. Dunque i massoni avevano aperto le ostilità contro Benedetto XVI cavalcando lo scandalo della pedofilia nel clero che, pur essendo dell'1% a livello mondiale, si tratta di una cosa grave, disdicevole ed esecrabile. Il Papa dopo questa colata di fango ha avuto notevoli successi di folla: a Fatima, a Malta, a San Pietro con i movimenti ecclesiali, a Torino alla visita del Telo sacro della Sindone. . C'era sempre, durante un suo viaggio, un bagno di folla. E cosi per le Udienze generali del mercoledì. Migliaia di persone. E i massoni diventano matti e furiosi perdendo il loro aplomb. Avevano messo in moto una macchina perfetta di delegittimazione del Papa con calunnie, denigrazioni, vicende di 60 anni orsono, ma senza successo. Il Papa invece di perdere consensi personali stranamente li aumentava. E i massoni erano disperati. Avevano lavorato cinque anni per niente. Ma voi lettori direte: qual è la preoccupazione della Massoneria internazionale che non fa dormire Sua Grazia il Duca di Kent? E' una sola. Il Papa dal 16 settembre al 19 settembre andrà in Inghilterra e in Scozia per un viaggio apostolico nella terra della Massoneria nata, se non erro, a Londra nel 1717. Un affronto gravissimo agli occhi di sua Grazia il duca di Kent cugino del sovrano inglese capo della Chiesa anglicana. Un oltraggio, una sfida, un atto temerario. E cosa farà Benedetto XVI in Inghilterra? Primo: il 19 settembre 2010 beatificherà il cardinale John Henry Newman, grande teologo e filosofo, che si convertì al cattolicesimo e con la sua personalità di concerto con il movimento di Oxford determinò la rinascita della Chiesa cattolica. In sostanza, Newman fu il primo ecclesiastico in Inghilterra che, dopo quattro secoli ricostituì, la Chiesa cattolica che, a sua volta, si ricostituì anche negli Usa e nel Canada. Un evento storico perché si tratterà anche della prima beatificazione cattolica in Inghilterra che non fa dormire la notte il Duca di Kent capo della massoneria mondiale. Da qui la scandalosa e vergogna campagna per delegittimare Benedetto XVI che recentemente aveva chiesto ai cristiani di pregare per lui "per non scappare davanti ai lupi". Ma chi era veramente il Servo di Dio il Venerabile cardinale Newman? Scrive Mimmo Muolo di Avvenire: Come ha ricordato monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente di Avvenire "il modello offerto da Newman è quello di una fede pensata e vissuta, protesa a rendere ragione di se stessa e pure di una ragione in tutto e per tutto aperta e disponibile all'accoglienza, comprensione e condivisione della verità, ovunque essa si manifesti e da qualsiasi parte provenga". Non è chi non veda l'estrema attualità dell'insegnamento del porporato inglese. Il quale ha molto da insegnare, ha aggiunto monsignor Semeraro, anche sotto il profilo dell'ecclesiologia. Non per niente «di lui si dice che è stato uno dei padri invisibili del Vaticano II», data l'influenza che il suo pensiero ha avuto su alcuni passaggi della Lumen Gentium e anche della Dei Verbum, ad esempio in merito alla concezione della tradizione, come «memoria viva che la Chiesa ha del suo Sposo» e al passaggio in cui nella costituzione sulla Parola di Dio (al numero 8) si legge: «La Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio». Il vescovo di Albano, citando i documenti del processo di beatificazione, ha perciò sottolineato «l'elevatezza e la profondità del pensiero teologico» di Newman, «tale da farlo rassomigliare ai più grandi Padri della Chiesa». Giudizio, questo, condiviso anche da Benedetto XVI. Anche perché, ha concluso Semeraro, «movente della sua ricca esistenza fu la fede eroica, la sua pietà profonda, il suo amore verso Dio e verso gli uomini, in una parola la sua santità». Anzi, come ha fatto notare Lorenzo Ornaghi è proprio a partire dalla santità che si può comprendere l'opera di Newman. «La sua, infatti, è una testimonianza di fede e di vita cristiana che esce dalle pagine dei libri», per collocarsi sul piano dell'attualità culturale. E proprio su questo piano lo ha inquadrato l'editorialista del Corriere della Sera Armando Torno. «Anticipatore per eccellenza - ha fatto notare - egli seppe prevedere, già nell'800, il pericolo del relativismo, affermando con forza che una verità esiste e che, al contrario, senza verità tutto si annulla». Newman, ha proseguito Torno, «è completamente attuale» anche per il suo modo di vedere il rapporto tra l'umano e il divino, per la sua sottolineatura dell'importanza delle fonti bibliche e per l'aggancio alla patristica, ma anche per le sue doti di comunicatore. Inoltre, per il senatore Marcello Pera, lo studio del suo pensiero «costituisce un ulteriore stimolo ad allargare i confini della ragione, non regalandone più il concetto in esclusiva agli scienziati». Proprio come chiede di fare il Papa, che non a caso di Newman, è un grande estimatore. I sacerdoti degli Oratori inglesi fondati dal Cardinale John Henry Newman stanno esprimendo la propria gioia per l'annuncio ufficiale per cui Benedetto XVI beatificherà il loro fondatore durante la sua visita in Inghilterra a settembre. Padre Richard Duffield, prevosto dell'Oratorio di Birmingham, ha sottolineato che la devozione personale del Papa per Newman "ha dato un grande contributo alla comprensione della profondità e del significato dell'eredità del nostro fondatore". A suo avviso, la decisione del Papa di beatificare personalmente Newman "conferisce una benedizione unica agli Oratori Inglesi e a tutti coloro che si sono ispirati alla vita e all'operato di Newman". La beatificazione si svolgerà nell'Arcidiocesi di Birmingham, dove il Cardinale Newman trascorse la sua vita adulta: prima ad Oxford, dove visse come anglicano e venne accolto nella Chiesa cattolica, poi a Birmingham, dove fondò l'Oratorio di Birmingham e vi lavorò per più di quarant'anni. John Henry Newman nacque nel 1801 e morì nel 1890. Si convertì alla fede cattolica nel 1845 in terra massonica dove ormai non c'era più traccia del cattolicesimo. Ecco perché i massoni sono in fibrillazioni e ogni giorni danno direttive a giornali americani e Usa per delegittimare Benedetto. Addirittura due poveretti inglesi, pseudo intellettualimanovrati, avevano proposto per intimidire il Papa, qualora fosse venuto in terra britannica, il suo arresto. La seconda ragione è la visita in Scozia. E in Scozia è nata la famosa regina cattolica Maria Stuarda imprigionata per molti anni e infine fatta decapitare dalla terribile cugina protestante regina d'Inghilterra Elisabetta I Tudor che ne combinò di tutti i colori nonostante fosse una donna colta colta. Anche la visita in Scozia di Benedetto XVI non è ovviamente gradita ai massoni. Ritorniamo al settimanale Time che tutti asseriscono essere prestigioso nonostante negli Usa non lo legga quasi nessuno. Poiché ' una persona si giudica dai fatti e ' bene agli smemorati di Collegno che li ricordiamo ancora una volta. Il Papa ha scritto una Lettera ai fedeli e al clero d'Iralanda. Più volte ha chiesto scusa alle vittime, a Malta, addirittura, ha pianto con loro dopo avere appreso episodi gravissimi e raccapriccianti; prima ancora che venisse eletto al soglio pontificio in una memorabile Via Crucis del 2005 al Colosseo parlò senza mezzi termini di sporcizia morale dentro la Chiesa; ha destituito Vescovi pedofili e Vescovi che hanno coperto i pedofili; in ogni occasione ha condannato il delitto esecrabile degli abusi ai minori; ha espresso conforto vicinanza e solidarietà alle vittime; ha introdotto la linea della tolleranza zero contro il clero e l'episcopato pedofilo; ha detto solennemente che essi dovranno rispondere davanti ai Tribunali e davanti a Dio e, infine, ha messo ordine nei Seminari dove prima entrava di tutto. Ma, viceversa, il Time che è cosi tanto autorevole nel mondo perché non ha dedicato un solo servizio sul turismo sessuale dove sporcaccioni di tutto il mondo vanno in Thailandia, in Cambogia, in Vietnam, e in altri Paesi a stuprare bambini e bambine di 9 anni? Perche il Time non dedica un rigo alle migliaia di bambini che scompaiono da casa e che le ditte che vendono il latte mettono la loro foto sulla bottiglietta? Perché il Time giustamente interessato alla pedofilia non parla degli abusi di minori nella famiglia e dei vicini di casa? Perché non parla degli allenatori sportivi e degli insegnanti di educazione fisica che sarebbero secondo un'indagine seria le categorie che hanno più attenzione verso minori fino ad abusarli? Il famoso e importante Time invece tace su queste questioni, ma ha la pretesa di dare lezioni al Papa che comunque ha già adottato la linea della fermezza? Allora la smetta di dare lezioni a un uomo che ha fatto tanto per rinnovare la Chiesa e contrastare la pedofilia. Tacciano e si vergognino questi massoni che vogliono la Chiesa papata come dicono loro nei loro deliranti discorsi. Come si vede, l'attacco del Time contro Benedetto XVI, è grave, è strumentale, è studiato a tavolino scientemente, e mira a destabilizzare il papato di Benedetto XVI che i massoni non vogliono in Inghilterra il prossimo 16 settembre. E faranno di tutto per impedire questo viaggio apostolico , nonché visita di Stato. Da ultimo la Duchessa Katharine e il figlio del Duca di Kent Edward Windsor, Nicholas, si sono convertiti come il cardinale Newman al cattolicesimo.
www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=52287&idsezione=4 (28/05/2010)


Un'apologia cinematografica dell'eutanasia e del suicidio - Dottor Jack e mister Morte di Cristian Martini - ©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2010
"Con i tuoi organi possiamo salvare delle vite umane!", dice il "Dottor Morte", ovvero Jack Kevorkian nel film You don't know Jack di Barry Levinson con Al Pacino nella parte del medico che nella realtà ha praticato l'eutanasia su oltre centotrenta pazienti. Il principio è questo: si spegne una vita sul filo della sopravvivenza per recuperarne i pezzi e "accenderne" un'altra. Dico accenderne in quanto tale procedimento ricorda quando anni fa si acquistava un nuovo processore - i personal computer di qualità erano ancora costosi - e il resto dei componenti erano riciclati da quello vecchio. Il principio era terminare una macchina per farne un'altra, tipico della nostra mentalità un po' economicistica un po' materialistica, che si difende dalle derive di rapporti sempre più obbligati con la tecnologia attraverso l'etica del "minimo-spreco". Ora l'argomento centrale dei sostenitori dell'eutanasia è che si sopprime un dolore "inaccettabile". In realtà come mostra bene il film la riflessione che muove mano e coscienza di Kevorkian è la considerazione di poter allungare la vita. La vita di chi è in attesa di un trapianto. Altro che "cura" delle sofferenze e i pietosi riguardi del dolore altrui! Qui si tratta di salvare chi è nelle condizioni di poter meglio "sfruttare" organi ancora - evidentemente - ben funzionanti. Il movente eutanasiaco è frutto insomma di una concezione puramente efficientistica della vita. Lo stesso identico criterio che applicavamo al riciclaggio degli "organi" del nostro pc per averne uno un poco più "funzionante".
In un'altra scena del film poi la sorella e assistente del dottor Jack accusata da alcuni manifestanti pro-life di porre fine alla vita di persone solo perché disabili si difende dicendo che delle grandi menti hanno fatto ricorso all'eutanasia, vedi Freud. Il che sarebbe come giustificare l'assassinio, adducendo l'esempio di un grande artista come Caravaggio, o il suicidio, citando Hemingway o Mishima. Ma nel film quella battuta, più simile a una gaffe che ad altro, viene invece - tra un catartico sottofondo musicale e inquadrature ad hoc - elaborata come un'arguta massima di saggezza. Osservando poi le apparecchiature costruite dal Dottor Jack per far sì che il paziente possa sopprimersi con le proprie mani tirando semplicemente una cordicella - ovvero senza che il Dottore possa interferire rischiando così d'essere accusato di omicidio - pare d'assistere alla saga horror di successo Saw, dove un serial killer sui generis uccide senza "sporcarsi le mani": costruendo sofisticati congegni che porterebbero a morte sicura chi ne viene a contatto se non fosse che lasciano al malcapitato una chance di salvezza: questi è costretto però a mutilarsi o ad autoseviziarsi - quasi sempre mortalmente. Tanto che il serial killer in questione pur essendo un pluriassassino, tecnicamente non può essere considerato tale poiché sono le sue vittime che di fatto si "suicidano". Già, solo che Saw è, e rimane, un discutibile prodotto "horror".
You don't know Jack, invece non solo è ormai una bandiera nelle battaglie per il cosiddetto "diritto civile" di porre fine alla propria esistenza; ma di fatto fornisce l'apparecchiatura per i suicidi seriali inventata da Kevorkian - che forse qualcuno potrebbe meditare di esportare anche altrove - e, che con moralistica presunzione, viene qui battezzato Mercytron: "Dispensatore di pietà".
(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2010)


28/05/2010 – VATICANO - Papa: il futuro poggia sull’incontro dei popoli e sul riconoscimento dei diritti della persone - Stati e organismi internazionali dovrebbero costruire un sistema di norme sui diritti e doveri del migrante, “consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all'asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone”. La necessità di politiche di sostegno alla famiglia.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Il futuro delle nostre società “poggia sull'incontro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze” e quindi sul riconoscimento dei diritti della persona anche nei confronti del migrante. In questa logica, “le diverse organizzazioni a carattere internazionale, in cooperazione tra di loro e con gli Stati, possono fornire il loro peculiare apporto nel conciliare, con varie modalità, il riconoscimento dei diritti della persona e il principio di sovranità nazionale, con specifico riferimento alle esigenze della sicurezza, dell'ordine pubblico e del controllo delle frontiere”.
L’incontro con i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha dato occasione, oggi, a Benedetto XVI di tornare ad affermare i principi e le linee che organismi internazionali, Stati e comuntà dovrebbero seguire di fronte a un fenomeno che la società globalizzata vede notevolmente in crescita.
Analizzando il tema dell’assemblea, “Pastorale della mobilità umana oggi, nel contesto della corresponsabilità degli Stati e degli Organismi Internazionali”, il Papa ha innanzi tutto espresso apprezzamento per lo sforzo di “costruire un sistema di norme condivise che contemplino i diritti e i doveri dello straniero, come pure quelli delle comunità di accoglienza, tenendo conto, in primo luogo, della dignità di ogni persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza. Ovviamente - ha sottolineato - l'acquisizione di diritti va di pari passo con l'accoglienza di doveri”. “Tutti, infatti, godono di diritti e doveri non arbitrari, perché scaturiscono dalla stessa natura umana”. Diritti e doveri “sono perciò universali, inviolabili, inalienabili”.
“L'ingresso o l'allontanamento forzato dello straniero, la fruibilità dei beni della natura, della cultura e dell'arte, della scienza e della tecnica, che a tutti deve essere accessibile” sono questioni che chiamano in causa la responsabilità degli Stati e delle organizzazioni intenrazionali. “Non si deve poi dimenticare l'importante ruolo di mediazione affinché le risoluzioni nazionali e internazionali, che promuovono il bene comune universale, trovino accoglienza presso le istanze locali e si ripercuotano nella vita quotidiana”.
E se “è vero che, purtroppo, assistiamo al riemergere di istanze particolaristiche in alcune aree del mondo”, “è pure vero che ci sono latitanze ad assumere responsabilità che dovrebbero essere condivise. Inoltre, non si è ancora spento l'anelito di molti ad abbattere i muri che dividono e a stabilire ampie intese, anche mediante disposizioni legislative e prassi amministrative che favoriscano l’integrazione, il mutuo scambio e l’arricchimento reciproco. In effetti, prospettive di convivenza tra i popoli possono essere offerte tramite linee oculate e concertate per l’accoglienza e l’integrazione, consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all'asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone”.
I diritti fondamentali della persona, in conclusione, “possono essere il punto focale dell'impegno di corresponsabilità delle istituzioni nazionali e internazionali. Esso, poi, è strettamente legato all’’apertura alla vita, che è al centro del vero sviluppo’, come ho ribadito nell'Enciclica Caritas in veritate (cfr n. 28), dove pure facevo appello agli Stati affinché promuovano politiche in favore della centralità e integrità della famiglia (cfr ibid., n. 44). D'altro canto, è evidente che l’apertura alla vita e i diritti della famiglia devono essere ribaditi nei diversi contesti, poiché ‘in una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni’ (ibid., n. 7)”.


Varsavia 1920 “Il miracolo della Vistola” - Alberto Leoni - Il Timone – dal sito pontifex.roma.it
II pellegrino che si rechi alla Santa Casa di Loreto ignorerà, probabilmente, gli affreschi della cappella polacca, sita vicino all'abside, dopo la Santa Casa. Qui, con le offerte dei cattolici polacchi, il pittore Arturo Gatti, loretano, dipinse due affreschi che, oggi, appaiono politicamente scorretti. Si tratta della "Vittoria di Sobieski a Vienna contro i turchi" e, soprattutto, de "II miracolo della Vistola" dove le milizie polacche travolgono i bolscevichi. Ciò che accadde in quei giorni, durante la festività dell'Assunzione del 1920, è ignorato proprio dai cattolici, anche da quelli più colti e più saldi nella propria Fede. Eppure quella della Vistola è una delle battaglie più importanti della Storia, al pari di Maratona, Waterloo o Stalingrado. Tale affermazione apparirà molto meno temeraria una volta che sia delineato il contesto politico in cui essa avvenne. - La distruzione degli Imperi - Alla fine della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) ...

... erano scomparsi ben quattro grandi imperi: germanico, austro-ungarico, ottomano e russo. Con la Rivoluzione d'Ottobre, nel 1917, i bolscevichi di Lenin avevano abbattuto l'unico governo democratico mai esistito in terra di Russia, instaurando una dittatura infinitamente più feroce e sanguinaria di qualsiasi regime zarista precedente.

All'inizio del 1920 la guerra civile che aveva insanguinato e spopolato la Russia stava volgendo al termine con la vittoria dei comunisti, più efficienti e organizzati, ma non per questo Lenin era intenzionato a conseguire una pace. La situazione, infatti, si presentava estremamente favorevole per un trionfo della Rivoluzione in tutta Europa. Gli Stati nati dopo la disintegrazione degli Imperi (Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria) non avrebbero potuto resistere a un'offensiva dell'Armata Rossa, combinata con la consueta opera di sovversione interna ai singoli Stati.

La Polonia era sicuramente il principale ostacolo da abbattere: il suo popolo, per quanto vessato dai grandi proprietari terrieri, era particolarmente refrattario alla propaganda comunista, di modo che l'opzione militare era la sola praticabile. Era chiaro che, una volta occupata la Polonia, la Germania, sconvolta dagli scioperi e dalle sommosse, sarebbe caduta come una pera matura e ben difficilmente una Francia dissanguata dalla guerra avrebbe potuto opporre resistenza. Così il Politburo approvò i piani di invasione della Polonia, redatti dal generale Boris Saposnikov (1882-1945) già il 27 gennaio 1920.

Il 14 febbraio Lenin prese la decisione definitiva di attaccare e cinque giorni dopo fu creato il comando del fronte occidentale. 65.000 bolscevichi vennero ammassati ai confini e il loro obbiettivo fu reso ben chiaro da una frase del loro comandante, l'esperto e determinato generale Michail Tuchacevskij (1893-1937): «II sentiero della conflagrazione mondiale passa sul cadavere della Polonia».

Il servizio segreto polacco, che dimostrò tutto il suo valore anche nel corso della Seconda Guerra Mondiale, intercettò diverse comunicazioni riguardanti l'imminente offensiva e il generale Józef Pilsudski (1867-1935), capo dello Stato polacco e comandante supremo delle forze armate, decise di sferrare un attacco preventivo contro il fronte ucraino il 25 aprile 1920. Ogni resistenza fu superata e, il 6 maggio, i polacchi entravano in Kiev, preparandosi ad armare ed equipaggiare un esercito ucraino.

La controffensiva sovietica non si fece attendere e venne condotta dalla sua unità più temibile, l'Armata a Cavallo di Semjon Michailovic Budjonny. Il 27 maggio, dopo aver effettuato una marcia di trasferimento di 1.400 chilometri in cinquanta giorni, la cavalleria sovietica si avventava sui reparti polacchi che, però, si dimostrarono molto più tenaci degli uomini di Pètr Nikolaevic Wrangel (1878-1928) e di Anton Ivanovic Denikin (1872-1947), i generali "bianchi" sconfitti nella guerra civile.

Il 5 giugno l'Armata a Cavallo sfondava le difese polacche a Zitomir, massacrando 600 feriti polacchi che non erano stati evacuati. L'esercito di Pilsudski venne obbligato a una precipitosa ritirata che, però, non divenne mai rotta disordinata. L'Armata a Cavallo (Konarmija in russo) venne però bloccata a Brody alla fine di luglio e , impegnata così duramente da doversi ritirare, logora e decimata.

Nel frattempo il gruppo di armate di Tuchacevskij, il cui fronte andava dal Baltico alle paludi del Pripjat, aveva sferrato un grande offensiva il 4 luglio e, nel giro di una settimana entrava in Minsk. L'ala sinistra dell'esercito polacco crollò di schianto e, il 24 luglio, i bolscevichi prendevano Grodno e puntavano su Varsavia. La situazione dei polacchi appariva disperata, ma anche Tuchacevkij aveva suoi problemi, come la pratica impossibilitàdi richiamare verso nord le divisioni del gruppo d'armate ucraino, comandate da Aleksandr Egorov e aventi come commissario politico Josef Stalin.

Si è molto discusso sulla responsabilità di Stalin nella disfatta della Vistola, in quanto non avrebbe obbedito all'ordine di concentrare le proprie truppe a nord. La verità, come sostenuto dallo studioso di storia polacca e militare Adam Zamoyski, era che Tuchacevkij non diede ordini chiari in proposito.
«Gli uomini combatteranno e Dio darà la vittoria»

Quando si parla di "Miracolo della Vistola" ci si dimentica di un detto di Santa Giovanna d'Arco: «Gli uomini combatteranno e Dio darà la vittoria». Le gravissime carenze logistiche dei bolscevichi non sarebbero state così rilevanti se il popolo polacco non avesse resistito contro ogni speranza con l'eroismo che lo ha reso famoso nella storia.

I polacchi si battevano disperatamente fino all'ultimo uomo, la resistenza si faceva sempre più tenace e le perdite bolsceviche sempre più alte: intere divisioni di volontari affluivano verso il fronte, composte da vecchi, giovani, artigiani, operai, professionisti, sacerdoti, tutti animati da uno spirito di resistenza indomabile, frutto della consapevolezza che, in quelle settimane, si sarebbe decisa la sorte dell'Europa e della cristianità intera. Così, a metà di agosto, l'esercito polacco disponeva di una forza numerica pari a quella delle unità dei fronti sovietici occidentale e sudoccidentale messi assieme.

Un secondo fattore decisivo fu la leadership di Pilsudski che spostò diversi reparti scelti dal fronte sud occidentale, ignorando deliberatamente la minaccia delle armate di Egorov che puntava su Leopoli. Pilsudski si era accorto che Tuchacevskij tendeva ad allargarsi sulla propria destra per attaccare Varsavia da nord, come aveva fatto il generale Paskevic nel 1831, sguarnendo il settore che andava da Deblin a Kock, lungo il fiume Wieprz. Pilsudski, che aveva preso il comando diretto della IV armata proprio in quel settore, lasciò che la III armata di Sikorski assorbisse l'urto delle divisioni rosse, fin quasi a crollare.

In quei giorni a Varsavia si trovavano il nunzio apostolico Achille Ratti (1857-1963), poi divenuto papa Pio XI, e un giovane ufficiale francese, Charles De Gaulle (1890-1970), in veste di addetto militare. Come tutti, anche questi due personaggi erano perfettamente consci della posta in gioco. Tra il 12 e il 16 agosto le divisioni polacche che difendevano il settore nord si sacrificarono in una battaglia di contenimento, limitando al minimo l'avanzata rossa.

Il 14 agosto era caduta Radzimin, a ventitré chilometri da Varsavia e il 15 il generale WtadysJaw Sikorski (1881-1943) difendeva la linea che correva lungo il fiume Wkra con un tale affanno che Pilsudski fu costretto a sferrare la controffensiva con ventiquattr'ore di anticipo. Le truppe della IV armata polacca I travolsero il piccolo gruppo d'osservazione di Mozir, posto fra la sinistra di Tuchacevskij e la destra di Egorov, e aggirarono le retrovie di Tuchacevsky, catturando la sua artiglieria d'assedio e minacciando tre armate di annientamento.

La cavalleria di Tuchacevsky e la IV armata rossa furono costrette a ritirarsi in Germania dove furono internate, le altre divisioni vennero annientate o messe in rotta. Fu una sconfitta irreparabile, ma non era ancora la fine perché, sia pure in ritardo, la Konarmjia di Budjonny accorreva da sud solo per trovarsi a propria volta accerchiata dai polacchi a Zamosc. Qui, il 31 agosto, fu combattuta l'ultima grande battaglia di cavalleria della storia: a Komarow, sulla collina 255, i cosacchi di Budjonny impattarono frontalmente con l'8° e il 9° reggimento della brigata Brezowski dei lancieri polacchi. Fu una mischia paurosa, combattuta a colpi di lancia, sciabola e pistola, mentre la fanteria polacca stringeva il cerchio attorno a quella che era stata la migliore armata comunista.

Alla fine Budjonny riuscì a rompere l'accerchiamento, ma solo a prezzo di gravi perdite e, comunque, la famosa Armata a Cavallo non si riprese più da quella battaglia. Polacchi, lituani e russi firmarono la pace con il trattato di Riga del 25 ottobre 1920, pur sapendo che si trattava di una tregua all'interno di un conflitto inconciliabile tra comunismo e Occidente. Chi non dimenticò la sconfitta subita dall'Armata Rossa fu Stalin che, nel 1940, ordinò la soppressione di 20.000 ufficiali polacchi nei boschi di Katyn. Fra essi vi erano moltissimi veterani della battaglia di Varsavia e l'intenzione era appunto quella di sopprimere la Polonia per sempre: ma questa, come si dice, è un'altra storia.

Bibliografia
W. Bruce Lincoln, I bianchi e i rossi: storia della guerra civile russa, Mondadori, 1991. - Adam Zamoyski, 16 agosto 1920. La battagliai di Varsavia, Corbaccio, 2009. - Alberto Leoni - Il Timone


La crisi economica non ha alcuna influenza sulla scarsa natalità, basti considerare i Paesi del terzo mondo. Oggi navighiamo a vista, abbiamo perduto fiducia nel futuro. Che cosa aspettarci da una società che glorifica la omosessualità? - Bruno Volpe – dal sito pontifex.roma.it
"La verità sulla scarsa natalità in Europa come in Italia, é che crediamo di aver raggiunto la felicità, ed invece navighiamo a vista": lo afferma il noto psichiatra e criminologo professor Francesco Bruno. Professor Bruno, il cardinal Bagnasco ha lanciato l' allarme sul tasso di natalità molto basso in Italia, come lo giustifica?: "molti osservatori, dei quali pur ho stima, lo collegano alla crisi economica. Questa é un fattore collaterale, ma non la causa scatenante, che io vedo in altre dimensioni". Quali?: " se dovessimo giudicare sul metro economia, allora non si spiega per quale ragione nazioni meno evolute economicamente di noi come Brasile e Messico abbiano un tasso di natalità elevato". Inoppugnabile sotto il profilo logico e allora?: " allora ci sta che l' Italia, come l' Europa, naviga a vista, ha perduto il senso della fiducia e dell' ottimismo. I giovani molto spesso non vogliono sposarsi per non avere figli trovando più ...

... comodo restare coi genitori o convivere. Il matrimonio, qualunque sia, civile o canonico, implica una responsabilità anche giuridica e uno stato ansiogeno. Questo fa in modo che i soggetti più deboli o con meno propensione al senso di resaponsabilità lo evitino e cerchino di non mettere al mondo figli, per non porsi in gioco. Non dimentichiamo che in altre culture a diciotto anni i ragazzi escono di casa, e maturano". Dunque l' emergenza economica conta poco: " io la definisco una concausa. Alcune volte é innegabile che ragazzi di buona volontà intendano mettere su famiglia,ma non ne hanno i mezzi. Ma, lo ribadisco, é l' eccezione in una società che ha smarrito, non solo nel matrimonio o nella procreazione, il senso della responsabilità".

Esiste una paura da matrimonio?: " certo che esiste e il matrimonio comporta uno stress elevato sia nella preparazione che nella gestione, sconvolge la vita nel bene e nel male. Ecco perché l' età giusta per sposarsi non dovrebbe mai superare i trenta anni per un uomo e i venticinque per una donna. Dopo, molti sogni sono caduti e diventa difficile ricostruire quello stato di ottimismo che aiuta nell' avventura matrimoniale".

Che cosa pensa della separazione e del divorzio?: " non faccio il teologo e non espirmo valutazioni religiose. Ma secondo statistiche valide, sia la seprazione che il divorzio sono considerati eventi luttuosi e sono in cima agli eventi stressanti, dopo la morte di un caro. Insomma, per evitare brutte sorprese, meglio riflettere prima di fare il grande passo e soprattutto accertarsi che ci sia realmente l' amore come donazione e non solo come attrazione fisica. Una volta venuta meno quella se non vi é affinità, il matrimonio rischia di naufragare".

Questa crisi del matrimonio e della procreazione da che cosa dipendono?: " da una mentalità che porta a considerare tutto provvisorio e nulla o poco definitivo. Che relativizza tutto, anche le cose belle, come la nascita di un essere. Ma questo essere deve essere il frutto di un amore vero, altrimenti patirà e sarà visto come un peso. Ma i valori imposti da questa società del mordi e fuggi, del fast food, del riciclabile, fa in modo che lasciato un partner se ne trovi un altro senza badare ai traumi dei figli. Poi che cosa aspettarci da un mondo dove anche in Tv si glorifica la omosessualità"?.

Spieghi meglio: " l' atto amoroso é volto biologocamente alla procreazione, in sostanza la natura lo ha creato per questo fine, e lascio da parte le teorie religiose. Ma la funzione primordiale dell' amore é la continuazione della specie. Bene, nessuno é in grado di controbattere che da una relazione omosessuale non possono nascere figli. Qui non discuto un concetto di valore, ma biologico. Poi veniamo al valore. Reputo la omosessualità un atto contro natura e disturbato, anche se la maggioranza degli studiosi la pensa diversamente. Alcune volte viene scelta deliberatamente la condotta omosessuale, ma questa opzione é sempre frutto di scelte disordinate e che urtano contro la logica della vita. Oggi navighiamo a vista".

Crisi matrimoniali che fare?: " evitarle se possibile. Ma mantenere rancore non serve a nulla come in ogni cosa. Il perdono é terapeutico e di solito si ammala non chi viene odiato, ma chi odia".
Bruno Volpe


Avvenire.it, 29 Maggio 2010 - In vista un'estate senza vacanze per tante famiglie con disabili - Quando sono i più deboli a far le spese dei «risparmi» - Giulia Galeotti
Quando maggio è ormai al traguardo, la solita, annuale preoccupazione ha lasciato il campo a una dura certezza: non avendo ricevuto alcuna comunicazione ufficiale, i tantissimi cittadini italiani con disabilità hanno capito che, nella prossima estate ormai alle porte, non partiranno per alcuna vacanza. Di solito, infatti, a quest’epoca dell’anno le varie associazioni e i centri pubblici cui i disabili afferiscono, hanno già comunicato tempo e luogo dei soggiorni, dando ai portatori di handicap e alle loro famiglie e familiari, la possibilità di un indispensabile momento di svago e di riposo.

Non era difficile immaginarlo, dato il clima nel quale siamo immersi in questi giorni nei quali si susseguono notiziari quotidiani che annunciano manovre, risparmi, sacrifici, limature su bilanci di enti locali già corposamente dimagriti nel corso del tempo. Lo scorso anno, a causa di ingenti tagli a livello comunale e regionale, vi era stata una significativa stretta. La gran parte dei soggiorni aveva subìto un ridimensionamento temporale, ma almeno – sebbene con fatica e creando non poca ansia – in qualche modo si era riusciti a partire. Oggi, però, la situazione sembra incomparabilmente più seria, mentre le nuove misure all’orizzonte lasciano presagire crescenti ristrettezze. La Regione Lazio, ad esempio, ha deciso per il 2010 un ulteriore taglio dei fondi destinai alle strutture di tipo extraospedaliero per la riabilitazione dei disabili (centri ex art. 26), con la conseguenza che i soggiorni estivi a carico del Servizio sanitario regionale verranno ridotti. Laddove possano, le famiglie dovranno quindi versare quote di partecipazione per le attività riabilitative in regime residenziale o semiresidenziale.

Sempre strette tra radicati sensi di colpa, una quotidianità che si fa passo dopo passo più impervia fisicamente e mentalmente, la frustrazione per la facilità con cui si è messi in un angolo, confinati a tacere (dopo le solite, mirabolanti promesse delle campagne elettorali, come è appena avvenuto un po’ in tutte le regioni in occasione delle recenti elezioni), le famiglie si ritrovano sole, sfibrate, talora disperate.

Ancora una volta, la loro unica chance rimane il volontariato e l’associazionismo. Pur trattandosi di settori nei quali l’Italia eccelle, non possiamo lasciare a questi ambiti tutta la responsabilità di un impegno che, invece, dovrebbe e deve essere in primo luogo a carico della politica. Il tentativo di giungere a una vera integrazione non può che essere una priorità per una Repubblica al servizio dei suoi cittadini. Mai come in questo campo sono i fatti che contano. Eppure ciclicamente viene messa in atto la stessa strategia: nei momenti di magra, sono sempre le somme e le energie destinate ai disabili e alle loro famiglie a essere tagliate per prime.

Una politica, un’amministrazione e una società che "dimenticano" il prossimo più in difficoltà, hanno una responsabilità enorme, mostrando il proprio volto peggiore. Le vere vittime di ogni crisi economica, si sa, sono sempre i più deboli. Lo insegna la storia, e lo conferma quella fatica quotidiana di molti che è qui, dinanzi a noi, sotto i nostri occhi. Basta volerla guardare. È una realtà che chiama tutti in causa.
Almeno si eviti che, anche quest’anno, i soli abbandoni a cui la stampa, i media e la nostra sensibilità politicamente corretta daranno ampio risalto siano quelli dei poveri cani lasciati derelitti sull’asfalto bollente.
Giulia Galeotti


Avvenire.it, 28 maggio 2010 - ASSEMBLEA CEI - Bagnasco: «Intervenire a sostegno delle famiglie»
«Sono disponibile ad ascoltare le vittime di abusi sessuali giorno e notte, e come me lo devono essere tutti i vescovi italiani». lo ha detto, al termine dei lavori della 61ª assemblea generale della CEI, il presidente card. Angelo Bagnasco rispondendo alle domande dei giornalisti. Quando una persona si rivolge al proprio vescovo per denunciare di aver subito degli abusi sessuali da parte di un prete, «la si riceve immediatamente, di giorno o di notte», ha detto. A chi ipotizzava difficoltà per una persona comune nel mettersi in contatto con il responsabile della diocesi, Bagnasco ha risposto: «Non credo che un vescovo sia inaccessibile. Io ricevo lettere personali e riservate, scritte anche a stampatello su una pagina di quaderno su varie questioni delicate. Molti prendono, scrivono e presentano un problema».

Nel caso di denunce d'abuso sessuale, ha proseguito, si tratta di «situazioni così gravi che richiedono una risposta immediata». Dopo di che «la procedura sarà quella che sarà; ci vogliono i tempi necessari, i più brevi possibili».

Federalismo. Il cardinale Bagnasco ha anche parlato di federalismo. «Il federalismo fiscale - ha detto - deve salvaguardare due beni fondamentali: il primo è l’unità del Paese come valore profondo e acquisito per tutti, sul quale non si può retrocedere per nessun motivo; il secondo valore è rappresentato dalla crescita solidale di tutte le parti del Paese, in un vincolo di solidarietà». «Un federalismo che non raggiungesse congiuntamente questi due obiettivi, l’unità e la crescita solidale di tutte le regioni, non avrebbe conseguito i traguardi voluti».

Intercettazioni. Alla domanda sul dibattito in corso circa la legge sulle intercettazioni, il presidente della Cei ha risposto che «anche in questo caso vanno salvaguardati congiuntamente due valori: quello dell’informazione e quello della riservatezza personale. Si tratta di due valori compatibili che vanno rispettati». Circa la norma che prevede la segnalazione alla Santa Sede dell'apertura di un procedimento giudiziario nei confronti di un vescovo, il cardinale ha affermato che «si tratta di una forma di rispetto tra le Istituzioni e verso la Chiesa, che non va a inficiare le procedure previste dalla leggi».

La manovra. «Una valutazione della manovra economica mi porta a chiedermi se essa contemperi adeguatamente due aspetti: il primo è quello della reale tutela della famiglia, il secondo il sostegno alle imprese artigiane e alle piccole e medie industrie». Circa il primo aspetto ha affermato che «girando nelle parrocchie si avvertono le difficoltà e i lamenti che vengono dalle famiglie. È un affanno reale e proprio in un momento in cui la situazione economica è così seria, è più necessario intervenire a sostegno delle famiglie. In questo senso – ha aggiunto – nella prolusione ho parlato di rischio di "suicidio demografico" del nostro Paese. Circa le piccole imprese – ha quindi proseguito – esse costituiscono una rete molto forte fatta di proprietari che mettono molto e, a volte, tutto quello che hanno per sostenerle e farle funzionare. Con la crisi a volte non ci riescono. Quindi sarebbe opportuno trovare forme di sostegno adeguate a questa realtà così importante per l’Italia».


Madre Pierina De Micheli la suora del Volto Santo - DA ROMA L AURA BADARACCHI - Domani a Roma l’arcivescovo Amato proclamerà beata la religiosa dell’Ordine delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires che diffuse la devozione alla sacra immagine di Gesù – Avvenire, 29 maggio 2010
Quasi settant’anni fa, il 9 agosto 1940, madre Pierina De Micheli ottiene dalla Curia di Milano il permesso di far coniare l’immagine del Volto Santo di Gesù su una medaglia: una devozione che ha fatto il giro del mondo, arrivando a credenti e non credenti, detenuti e fedeli di tutti i continenti. Per questo alla cerimonia di beatificazione della suora delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires, in programma domani nella Basilica di Santa Maria Maggiore, parteciperà anche un gruppo di pellegrini in arrivo dalle Filippine, oltre a brasiliani e messicani, cileni e argentini, spagnoli e italiani. «La madre è molto conosciuta proprio grazie alla diffusione capillare della medaglia miracolosa», conferma suor Nora Antonelli, superiora generale dell’Istituto che si appresta a vedere una delle sue figlie salire all’onore degli altari. A dare un’accelerazione alla causa è stato il riconoscimento di un miracolo compiuto per intercessione della religiosa: la guarigione di un uomo colpito da aneurisma, completamente sanato due ore dopo l’invocazione del nome di madre Pierina.

Romana di adozione, Giuseppina De Micheli viene alla luce a Milano l’11 settembre 1890, in una famiglia numerosa (sei figli) e molto religiosa; rimasta orfana di padre a soli due anni, vede entrare in seminario il fratello Riccardo e in seguito, il 2 ottobre 1900, la sorella maggiore Angelina varca la soglia del monastero delle Sacramentine, a Seregno: un momento che lascia il segno nel cuore della bambina, come il giorno della Prima Comunione, dopo il quale annota: «.. vidi il piccolo Gesù nell’Ostia... Paradiso in terra. Oggi, solo per fede. Domani faccia a faccia.

So che Lui mi ama». Il Venerdì Santo del 1902 si trova in preghiera nella sua parrocchia milanese di San Pietro in Sala quando avverte una voce venire dal Crocifisso e bacia il suo Volto: sarà un primo segnale della vocazione a consacrarsi al Signore. Negli anni successivi conosce due suore arrivate dall’altra parte del mondo: la serva di Dio Madre Eufrasia Iaconis, fondatrice delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires, e Suor Maria Stanislada; Giuseppina comprende che la sua chiamata deve compiersi in quella congregazione e il 15 ottobre 1913 entra in convento.

Sette mesi dopo veste l’abito da novizia nella cappella dell’Istituto in via Elba, prendendo il nome di Maria Pierina; il 23 maggio 1915 professa i primi voti di castità, obbedienza e povertà secondo la regola delle Figlie dell’Immacolata Concezione.

Verso la fine del 1918 parte per la Casa madre a Buenos Aires, dove emette i voti perpetui l’11 luglio 1921. Rientrata in Italia, designata come superiora della comunità di Milano dal 1928 e poi come maestra delle novizie, viene scelta per guidare quella di Roma nel 1939. Arriva così nello storico quartiere di Testaccio, incuneato tra la Piramide cestia e Trastevere, dove porta la sua passione educativa. Qui conosce padre Ildebrando Gregori, abate generale dei Benedettini Silvestrini, che diventerà suo padre spirituale e confessore, e insieme a lei apostolo del Volto santo. Nonostante la salute malferma, il 7 giugno 1945 parte verso il Nord per visitare le comunità, ma le viene diagnosticata circa un mese dopo una polmonite; il 26 luglio si spegne a Centonara d’Artò, nel novarese, dopo aver rivisto sane e salve le consorelle. E il 27 marzo 2007 le spoglie di madre Pierina sono state traslate nella cappella dell’Istituto Spirito Santo: è tornata a riposare nella capitale, nel luogo da dove 65 anni orsono era partita.