domenica 16 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) 16/05/2010 – VATICANO - Papa ai 150 mila in piazza san Pietro: Grazie per il vostro affetto al papa e ai sacerdoti - Associazioni e movimenti hanno voluto esprimere affetto e sostegno a Benedetto XVI dopo lo scandalo dei preti pedofili, divenuti spesso un’occasione per infangare il ministero del papa e della Chiesa. “Noi cristiani non abbiamo paura del mondo… Dobbiamo invece temere il peccato… Le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza”.
2) IL NOSTRO «REGINA COELI» - TORNIAMO A CANTARE LA NUOVA ANNUNCIAZIONE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 16 maggio 2010
3) Avvenire.it, 16 maggio 2010 - l’evento - Migliaia di persone stamattina si ritroveranno in piazza San Pietro su invito della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali per il Regina Coeli con Benedetto XVI: «Segno di adesione al suo magistero» - «Qui, come una famiglia in preghiera» - DI MATTEO LIUT
4) Consiglio a Bertone: mea culpa e penitenza – dal blog di Antonio Socci - 15 MAGGIO 2010
5) LA LEZIONE DEL PAPA? LA SOFFERENZA DELLA CHIESA ALLA LUCE DI FATIMA - Il portavoce vaticano traccia un bilancio del viaggio in Portogallo
6) COPPIE DI FATTO TRA BIOETICA E GIURISPRUDENZA - di Angelo Serra S.J.
7) Le Parole del Papa sulla Pedofilia: il Perdono non Ferma la Giustizia - Vittorio Grevi - © Copyright Corriere della sera, 15 maggio 2010

16/05/2010 – VATICANO - Papa ai 150 mila in piazza san Pietro: Grazie per il vostro affetto al papa e ai sacerdoti - Associazioni e movimenti hanno voluto esprimere affetto e sostegno a Benedetto XVI dopo lo scandalo dei preti pedofili, divenuti spesso un’occasione per infangare il ministero del papa e della Chiesa. “Noi cristiani non abbiamo paura del mondo… Dobbiamo invece temere il peccato… Le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Almeno 150 mila persone sono giunte da tutta Italia per esprimere affetto e sostegno a Benedetto XVI, dopo lo scandalo dei preti pedofili che è stato trasformato in una guerra mediatica contro il pontefice. Raccogliendo l’invito della Consulta delle aggregazioni laicali e con la guida del card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, membri di associazioni e movimenti (Comunione e Liberazione, Rinnovamento dello Spirito, Comunità neocatecumenali, Sant’Egidio, Coldiretti, …), sono giunti a Roma in pullman, in treno, in auto, riempiendo la piazza san Pietro e parte di via della Conciliazione.
Dopo la preghiera del Regina Caeli, Benedetto XVI ha espresso la sua “viva riconoscenza” per “il grande affetto e la profonda vicinanza della Chiesa e del popolo italiano al Papa e ai vostri sacerdoti, che quotidianamente si prendono cura di voi, perché, nell’impegno di rinnovamento spirituale e morale possiamo sempre meglio servire la Chiesa, il Popolo di Dio e quanti si rivolgono a noi con fiducia”.
“Il vero nemico da temere e da combattere – ha continuato - è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo (cfr Gv 17, 14). Noi cristiani non abbiamo paura del mondo, anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni. Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio. E’ quello che la Chiesa, i suoi ministri, unitamente ai fedeli, hanno fatto e continuano a fare con fervido impegno per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo. E’ quello che specialmente voi cercate di fare abitualmente nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti: servire Dio e l’uomo nel nome di Cristo. Proseguiamo insieme con fiducia questo cammino, e le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza”.
In precedenza Benedetto XVI si è soffermato sul significato della festa che si celebra oggi, l’Ascensione del Signore al Cielo, che non è “un abbandono, perché Egli rimane per sempre con loro in una forma nuova”.
“Il Signore – ha aggiunto - attira lo sguardo degli Apostoli verso il Cielo per indicare loro come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita. Possiamo ascoltare, vedere e toccare il Signore Gesù nella Chiesa, specialmente mediante la parola e i gesti sacramentali dei suoi Pastori”.
“Il Signore, aprendoci la via del Cielo, ci fa pregustare già su questa terra la vita divina. Un autore russo del Novecento, nel suo testamento spirituale, scriveva: “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, … intrattenetevi … col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete” (N. VALENTINI - L. ŽÁK [a cura], Pavel A. Florenskij. Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418)”.
Nella solennità dell’Ascensione si celebra anche la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che quest’anno ha come tema “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”. Benedetto XVI ha invitato i “fratelli nel Sacerdozio, affinché ‘nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica’ (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale) e sappiano utilizzare con saggezza anche i mezzi di comunicazione, per far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo (cfr Messaggio XLIV G.M. Com. Soc., 24 gennaio 2010)”.


IL NOSTRO «REGINA COELI» - TORNIAMO A CANTARE LA NUOVA ANNUNCIAZIONE - DAVIDE RONDONI – Avvenire, 16 maggio 2010
La si sentì cantare per aria. E la si sentirà di nuovo oggi, domenica. È da circa 1.500 an ni che si canta. È la voce del Regina Coeli, che in tanti canteranno con il Papa. Perché il Pa pa, a dispetto di quel che tanti dicono e qual cuno pensa davvero, non è solo. E non c’è mo do migliore del canto insieme per far sentire la compagnia a un uomo. Ma in un certo sen so, è proprio una strana canzone. Una strana preghiera. Se uno la legge bene. La compose, si dice, Gregorio Magno. Lui diceva che la a vessero composta gli angeli. L’aveva sentita una mattina di Pasqua. Le prime tre righe, e lui, il padre del canto liturgico, aggiunse solo la quarta. Una canzone in cui si dice a Maria di 'laetare', di rallegrarsi. Perché suo Figlio, co me aveva detto, è risorto. È la canzone che an che Dante fa risuonare nel XXIV canto del Pa radiso, cantata da beati che sono come 'fan tolini', bimbi piccolissimi, appena staccati dal seno della madre. Alla Regina del cielo si rivolgeranno dunque oggi, domenica, i cat tolici d’Italia, con tutta la coscienza della gra vità del momento in cui qualcosa di 'terrifi cante' come ha detto Benedetto XVI ha at taccato la Chiesa da dentro, ma anche con la fiammata d’amore lieto e in pace che Dante vede in quei piccolini appena nutriti dal latte materno.

È un canto di gioia. Una 'nuova annuncia zione' l’aveva definita lo stesso Benedetto. Gli uomini annunceranno alla Regina che deve stare allegra. Come per uno strano rovescia mento di ruoli, se così si può dire. Di solito è la Madre che consola. Da 1.500 anni circa la Chiesa canta questa preghiera, dolcissima e struggente. Come un annuncio che gli uomi ni fanno a Maria. Come se lei, Mater dolorosa come molti oggi sono nel dolore, avesse bi sogno di quell’annuncio. Unico annuncio che fa davvero laetare il cuore umano, pur se tra versato da sette e settemila spade.

Si riferiva al Regina Coeli anche l’ultima me ditazione di Giovanni Paolo II. Fu letta il gior no dopo la sua morte, era il 3 aprile, una do menica. Prima di concludere quella riflessio ne che lui non lesse mai con le parole della canzone, Giovanni Paolo II ricordava: «quan to bisogno ha il mondo di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia». È come se la canzone che si canterà oggi riportasse un po’ nel vento anche queste sue parole non pronunciate qui in terra. Da Papa a Papa, co me da amico ad amico. Perché gli uomini ri petono quell’annuncio alla Madonna? Non è strano che ci rivolgiamo in questo modo a Lei, la madre di Cristo? Come se potessimo noi, per una volta, consolare Lei, dirle 'ralle grati', sii lieta. Strana, meravigliosa canzone. Non sono cer to un teologo, e molte cose mi sfuggono, ma c’è una misteriosa forza poetica in quelle pa role. È come se dovessimo dire a Lei, e ripete re così a noi stessi perché Lei è una di noi, che il corpo che era nascosto nel suo ventre pri ma della nascita, e poi nascosto nella terra o ra sì, è risorto ed è visibile tra noi. Come se dovessimo dire a Lei, che lo ha sentito cre scere nel segreto delle proprie viscere – tre mando e soffrendo come ogni madre – e poi lo ha visto calare nel segreto delle tenebre mortali - piangendo e volendo morire come ogni madre che vede così il figlio: 'Guarda Ma ria, è qui, è vivo. Puoi di nuovo guardare Tuo figlio. Come noi lo intravvediamo nel segno velato e commovente della Sindone e poi ora lo vediamo, nel segno vivo e vociante del Suo popolo'. Come se noi dovessimo e potessi mo dirLe, mentre ci si stringe intorno al Papa: sii lieta con noi, Regina bellissima, perché ve di, è vivo. E la morte non ha avuto dominio su di Lui.

Lo cantiamo da 1500 anni, lo canteremo domani. Lo si canterà per sempre.


Avvenire.it, 16 maggio 2010 - l’evento - Migliaia di persone stamattina si ritroveranno in piazza San Pietro su invito della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali per il Regina Coeli con Benedetto XVI: «Segno di adesione al suo magistero» - «Qui, come una famiglia in preghiera» - DI MATTEO LIUT
È un popolo che si stringe attorno a un padre, con l’affetto di una famiglia ma anche con la responsabilità di perso ne adulte, pronte a un rinnovato impegno nella costruzione della Chiesa e di una so cietà più giusta. È il volto del laicato italia no che, secondo Paola Dal Toso, segretaria della Consulta nazionale delle aggregazio ni laicali (Cnal), emergerà dall’incontro di oggi in piazza San Pietro. A migliaia sta mattina confluiranno a Roma su invito della C nal per pregare: prima con il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e poi assieme a Benedetto XVI per il Regina Coeli.

Professoressa Dal Toso, da dove nasce l’iniziati va?

È una richiesta venuta dalla 'base': le aggrega zione hanno chiesto in sieme di dar vita a un ge sto significativo ma so brio per esprimere vici nanza al Papa dopo i re centi attacchi. Il deside rio è quello di rinnovare l’adesione al suo magi stero, a lui come guida e pastore della Chiesa. Partecipando a questo momento consegnere mo nelle mani di Maria la nostra fedeltà al Pon tefice per il bene della Chiesa, nella quale fac ciamo esperienza della misericordia, unica risposta adeguata al bisogno di giustizia che emerge dal cuore di ciascuno in questi mo menti. Per questo ricorderemo anche quan ti sono stati vittime di atti di violenza da par te di esponenti della Chiesa. Inoltre le ag­gregazioni hanno chiesto di ricordare tutto il lavoro che una marea di sacerdoti svolge da sempre con dedizione in modo si lenzioso e anonimo. Un dato che rischia di essere dimenticato e soffocato dalla riso nanza suscitata dagli abusi, spesso usati in modo strumentale dai media.

Che tipo di risposta ha avuto il vostro invito?

Prima di tutto ha rac colto l’adesione corale di tutte le circa set tanta aggregazioni appartenenti alla Cnal. A esse fin da subito si sono uniti, tra gli al tri, le Acli, i Neocatecumenali, Retinopera, Scienza&Vita. Molte realtà si sono aggiun te dall’estero. In piazza San Pietro, ovvia mente, sono invitati e attesi anche i laici non appartenenti ad aggregazioni, e quin di diocesi, parrocchie, scuole cattoliche, fa miglie. So poi che molti parteciperanno da casa attraverso iniziative promosse dalle comunità locali.

Vi aspettate una piazza affollata, quindi?

Sicuramente, ma va sottolineato che non è un raduno pensato per 'occupare la piazza': d’altra parte piazza San Pietro per noi ha un significato particolare, lì ci sentiamo a casa e quindi l’incontro avrà lo stile di un 'ritro varsi in famiglia'. Ed è proprio questo clima che si è respirato tra i rappresentanti delle ag­gregazioni fin dall’inizio, quando abbiamo cominciato a pensare a questa iniziativa un mese fa: il lavoro di preparazione è stato a nimato da una preziosa sintonia.

Un bel banco di prova per la Cnal, che dal l’anno scorso ha un nuovo statuto. È così?

Sì certo. Il comitato di rettivo, composto da quattro membri scelti dalla Cei, sette eletti dal l’Assemblea delle aggre gazioni, dal delegato della Commissione epi scopale per il laicato, monsignor Ugo Ughi, dal presidente naziona le di Ac, Franco Miano e da me, in qualità di se gretaria, ha lavorato in maniera esemplare: nel la concretezza le aggre gazioni hanno impara to a conoscersi e ad ap prezzarsi sempre di più, pur nelle differenze. La Cnal si è dimostrato un organo al servizio di un laicato vivo che già col labora in molte forme. Questa iniziativa, nata in un momento difficile, ha messo in luce una rete preziosa per il Paese.

Che volto ha il laicato i taliano oggi?

L’iniziativa mostra il volto di un popolo uni to nell’affetto per il Papa, di una famiglia riu nita attorno a un padre. Possiamo dire, i noltre, che l’Italia può contare su un laicato che sa vivere con impegno e responsabilità la propria presenza da cittadini attivi nella società.

Che significato ha la presenza del cardinale Bagnasco?

È senz’altro un segno prezioso e incoraggian te che ci riempie di gioia e che mostra co me la Chiesa italiana vi va di un rapporto fe condo tra vescovi e fe­deli, tra ministri ordi nati e laicato. È un so stegno fondamentale per un’iniziativa nata e voluta interamente dai laici. Va segnalata poi l’adesione del Consiglio delle Conferenze e piscopali d’Europa, che ha lanciato l’invito a numerose nazioni e ha permesso di atti vare dei collegamenti con le tv satellitari in ternazionali.

Uno sguardo al futuro della Cnal?

La tappa più vicina del nostro cammino è di certo la Settimana sociale dei cattolici di Reg gio Calabria alla quale daremo un contribu to con un nostro documento. Il lavoro, poi, sarà molto, anche in vista del decennio de dicato all’educazione. E c’è da scommette re che le aggregazioni saranno all’altezza del le sfide che le attendono.

Parla Paola Dal Toso, segretaria della Cnal: «Non occupazione di piazza ma segno dell’affetto per il Papa. Il pensiero alle vittime degli abusi» Nata per rispondere agli attacchi contro il Pontefice, l’iniziativa sottolinea l’adesione al suo magistero e mostra il volto di un laicato attivo nella società


Consiglio a Bertone: mea culpa e penitenza – dal blog di Antonio Socci - 15 MAGGIO 2010
E finalmente il 13 maggio, festa della Madonna di Fatima, tutti hanno capito come stanno le cose del Terzo segreto e del nostro futuro. Il Santo Padre, Benedetto XVI, nella forma più solenne, nell’omelia della Santa Messa, celebrata al Santuario, ha chiarito, apertis verbis, in poche parole, ciò che aveva preannunciato sull’aereo per il Portogallo (come potevo avevo provato ad anticiparlo).

Il Corriere della sera ha sintetizzato così le sue parole: “Profezia Fatima non si è compiuta, ci saranno ancora guerre e terrore”.

Ma l’espressione usata dal Papa è ancora più significativa perché contiene un ammonimento a chi non vuol sentire e non vuol capire. Ha detto testualmente: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”.

Parole di Benedetto XVI che – chiunque ha potuto constatarlo – sono l’esatta antitesi delle balle che da anni, tristemente, il cardinal Bertone va propalando (soprattutto prendendosela con me). Ecco infatti cosa diceva Bertone: “La profezia non è aperta sul futuro, si è realizzata nel passato”.

Così ha scritto a pagina 79 del suo libro, ripetendolo mille volte in quelle pagine e anche in interviste a giornali e tv, dove non ha esitato a insolentire chi semplicemente diceva la verità e chiedeva amore per la Verità e per la S.S. Madre di Dio.

Ora, finalmente, il Papa ha parlato e tutti possono capire. Che Bertone, di fronte all’evidenza (e alla figuraccia), si sia precipitato a contattare i vaticanisti per tentare una tragicomica retromarcia (senza mea culpa), aumenta solo la tristezza. Scrive Andre Tornielli sul Giornale: “ora Bertone ha adeguato le sue parole dicendo che la profezia si può estendere anche al ventunesimo secolo”.

Fra un po’ dirà che lui l’ha sempre detto… Ogni commento è inutile. C’è solo da constatare i tanti problemi che l’attuale Segretario di stato ha provocato al papa che meriterebbe di avere accanto collaboratori all’altezza del compito e del momento storico.

Collaboratori (parlo anche dei vescovi) che aiutano la sua missione. Collaboratori umili e competenti come lui e non arroganti e inadeguati. Collaboratori che evidentemente non trova.

Questo dice la drammaticità della situazione della Chiesa e la solitudine del Papa. Perciò il gesto del 16 maggio a Roma, il Regina coeli con il Papa, può aiutarlo: fargli sentire che il popolo cristiano è con lui. Che la Chiesa è con lui. E che lo ascolta e lo segue.

Ascolta e segue anzitutto il suo appello alla conversione, al pentimento e alla penitenza. Appello che vale anche per prelati e cardinali. Soprattutto per loro….

Bertone compreso che potrebbe utilmente approfittare del raggiunto limite di età per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione sugli ammonimenti e la sollecitudine materna della Regina del Cielo.

Infatti le cose di questo mondo passano presto e per sempre (compreso il potere e soprattutto le menzogne). Solo la Verità resta, cioè Gesù Cristo. Che è la Verità fatta carne. E che ha detto: “Non vi è nulla di nascosto che non debba essere rivelato. Né cosa segreta che non venga alla luce” (Mt 10,26, Mc 4, 22, Lc 8, 17).
Antonio Socci


LA LEZIONE DEL PAPA? LA SOFFERENZA DELLA CHIESA ALLA LUCE DI FATIMA - Il portavoce vaticano traccia un bilancio del viaggio in Portogallo
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 16 maggio 2010 (ZENIT.org).- Con il suo viaggio in Portogallo, Benedetto XVI ha insegnato alla Chiesa ad analizzare le difficoltà attuali alla luce del messaggio di Maria a Fatima, ovvero con gli occhi di Dio, ha detto il portavoce vaticano.
Nel tracciare un bilancio della recente visita apostolica in Portogallo, svoltasi dall'11 al 14 maggio, padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha spiegato come interpretare le parole del Papa sulla profezia di Fatima non ancora conclusa.
Il Papa vuol dire “che non dobbiamo più aspettarci da parte di Fatima e quindi di quanto è stato detto dai pastorelli, dai veggenti, delle profezie nel senso di annuncio di eventi concreti per quanto riguarda i prossimi anni o il prossimo secolo. Questo non è in questione”, ha sottolineato padre Lombardi ai microfoni della “Radio Vaticana”.
“La profezia di Fatima, nella prospettiva del Papa, che deve essere poi la nostra prospettiva – ha aggiunto –, significa aver imparato a leggere gli avvenimenti della nostra storia, il cammino della Chiesa con le sue difficoltà e le sue speranze nella luce della fede e cioè sotto lo sguardo di Dio, che segue la Chiesa e l’umanità in cammino, opera con la sua grazia per accompagnare coloro che si rivolgono a Lui e ci invita ad impegnarci in questa storia a partire dalla conversione di noi stessi proprio per agire secondo i criteri del Vangelo”.
“La profezia intesa come lettura della realtà umana e della storia umana, questo è caratteristico di Fatima, ci ha insegnato a guardare non solo alla nostra vita personale, ma alla vita della Chiesa e dell’umanità nel contesto della storia, sotto la luce di Dio, del suo amore e con l’impegno a convertirci, a renderci dei testimoni sempre più fedeli dell’amore di Dio nel mondo in cui viviamo e nella nostra storia”.
“Questo è un messaggio profetico che continua ad essere di grande attualità e lo sarà in futuro”, ha detto il portavoce vaticano.

Tra le frasi del Papa che sono rimaste maggiormente impresse da questo viaggio spiccano le dichiarazioni rilasciate ai giornalisti durane il volo per Lisbona, quando ha assicurato che la grande persecuzione della Chiesa non viene da nemici esterni, ma dal peccato all’interno stesso della Chiesa.

Benedetto XVI, ha continuato, “ha fatto capire che le sofferenze, le difficoltà che la Chiesa incontra, anche con evidente riferimento alla situazione dei mesi recenti o di questi anni, in cui la Chiesa ha tante difficoltà in conseguenza dei peccati dei suoi membri – si riferisce proprio agli abusi sessuali – sono qualcosa che la Chiesa porta in sé: porta in sé purtroppo anche la realtà del peccato. Ed è proprio per questo che il messaggio di Fatima è estremamente attuale e importante, perché ci parla di conversione, ci parla di penitenza, per rinnovarci in modo tale che la nostra testimonianza sia coerente”.
“Quindi, nel contesto di una lettura ampia del significato dell’evento di Fatima, da un punto di vista spirituale, non bisogna pensare solo alle persecuzioni che vengono dall’esterno, che certamente hanno avuto una gran parte nelle sofferenze e nelle difficoltà della Chiesa, per esempio nel corso del secolo passato, e che anche adesso continuano e continueranno ad esserci, ma il Papa ha fatto notare che le sofferenze e le difficoltà della Chiesa vengono anche, in particolare, dal nostro interno, cioè dal nostro essere peccatori, e per questo il messaggio di conversione e di penitenza ha una particolare attualità e importanza”.
“Questo mi è sembrato veramente molto bello – ha detto padre Lombardi –, molto importante, cioè come il Papa sia stato capace di inserire la tematica che ci affligge in questi ultimi mesi a proposito degli abusi sessuali in una prospettiva spirituale molto ampia. Quindi, riconoscendone la gravità, ma inserendola nella condizione della Chiesa nel mondo, della Chiesa davanti a Dio e del suo cammino, che deve essere sempre di purificazione, di rinnovamento”.
“E questo l’ha inserito con molta naturalezza direi, proprio nella condizione della Chiesa pellegrinante, e ha quindi dato occasione a tutti coloro che erano a Fatima, ma anche a tutta la Chiesa, di pregare intensamente, di coltivare uno spirito di rinnovamento e di conversione proprio per essere testimone più limpida e più efficace per il mondo di oggi e di domani”.
Per padre Federico Lombardi il bilancio di questa visita è “superiore all’attesa”.
“Possiamo dire – ha dichiarato – che è stato un viaggio che è andato benissimo e possiamo anche dire che è stato un viaggio meraviglioso. L’accoglienza è stata vastissima, è stata calorosa, è stata anche superiore alle attese degli organizzatori. Il Papa ne è rimasto molto colpito, molto contento e confortato”.
“Ha potuto vivere questo viaggio nelle condizioni migliori e come momento anche di grande esperienza spirituale di preghiera con il Popolo di Dio nel punto culminante, che è stato evidentemente quello delle celebrazioni a Fatima. Il Papa ha potuto dare i grandi messaggi che gli erano stati anche - in un certo senso - richiesti e che erano attesi dalla Chiesa portoghese”.
“L’incontro con il mondo della cultura, l’incontro con il mondo dell’impegno sociale, l’incontro con i sacerdoti erano incontri di importanza strategica per la presenza della Chiesa in Portogallo e, per cui, c’era una grandissima attesa. Mi confermavano i vescovi, ieri, che la presenza del mondo della cultura nell’incontro a Lisbona era veramente totale”.
“E’ stato, quindi, un incontro di grandissimo significato, direi di significato storico e che dice la volontà della Chiesa di dialogare in modo costruttivo con tutti coloro che cercano, che si impegnano nel mondo del pensiero, della ricerca, dell’arte, della creatività. Sono cose, queste, che rimarranno certamente a lungo per la Chiesa portoghese”.
“Soprattutto con il momento di Fatima – ha sottolineato il gesuita –, lo sguardo si è anche un po’ allargato sull’Europa e sul mondo, perché Fatima è un luogo che ha assunto realmente un significato per la Chiesa universale, come momento di incontro e – in un certo senso – di comunicazione fra il cielo e la terra, fra la presenza di Dio nella nostra storia e la domanda di salvezza del popolo e il desiderio di impegno nella storia da parte della Chiesa sulla base di conversione, di penitenza, di preghiera, di rinnovamento spirituale”.
“Questo è un discorso che naturalmente vale per tutti e che è stato colto anche molto al di là dei confini del Portogallo”, ha poi concluso.


COPPIE DI FATTO TRA BIOETICA E GIURISPRUDENZA - di Angelo Serra S.J.
ROMA, domenica, 16 maggio 2010 (ZENIT.org).- L’improvvisa legalizzazione delle coppie omosessuali, avvenuta in Danimarca nel 1989, aveva aperto la via al riconoscimento giuridico di delicate situazioni umane, espressione di una più o meno grave condizione patologica. Condizione, ben nota alle scienze biomediche e psichiatriche, che caratterizza un dato soggetto, imprimendogli un definito e persistente orientamento sessuale verso una persona dello stesso sesso e, quindi, una forte attrazione e inclinazione verso la stessa; orientamento e attrazione a cui, in generale, si accompagna un comportamento correlativo fino alle più intense e intime espressioni.
Seguirono immediatamente analoghe legalizzazioni in altre Nazioni, ma con aperture diverse. In Norvegia, nel 1993, la “registrazione” delle unioni omosessuali è assimilata al “certificato di vincolo matrimoniale”; in Belgio nel 1999 è ammessa la legalizzazione dei rapporti sia etero che omosessuali con modalità indifferentemente uniformi, garantendo la sicurezza reciproca ai due individui che intendono instaurare una forma di comunione di vita, compresi evidentemente i figli; in Francia, nello stesso anno, è introdotto il Patto Civile di Solidarietà (PACS) tra due persone maggiorenni di sesso diverso o dello stesso sesso, che intendono organizzare la “vita comune” ma che può essere sciolto per volontà delle parti; anche nella nostra Italia oggi, pur riconoscendo la posizione di privilegio riservata dalla Costituzione alla “famiglia legittima”, alla “famiglia di fatto” sono garantiti riconoscimento e tutela giuridica, imposti dalla Costituzione che impegna la Repubblica a tutelare i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolga la sua personalità.
Tuttavia, la situazione attuale della reale natura delle unioni di fatto lascia al giurista delle perplessità per la loro difficile intelligibilità giuridica. Con chiarezza e fermezza Cristina Rolando nel libro “Famiglia di fatto. Problema giuridico e di bioetica relazionale” (Cantagalli)
sottolinea che sarebbe inammissibile equiparare le due forme di famiglia: «decisamente antitetica – afferma – è la situazione del matrimonio che conferisce alla vita privata una valenza pubblica riconosciuta secondo le modalità proprie del diritto, rispetto a quella del “rapporto di fatto” di tipo occasionale finalizzato all’esercizio della sessualità».
I “conviventi” vogliono che la loro relazione sia connotata da una certa obiettività; ma in realtà vogliono “legarsi” e “non legarsi”, che per il diritto sarebbe un paradosso. Purtroppo questa è la realtà di una società dove la famiglia esprime ancora tutto il suo valore e la sua potenza; ma dove deviazioni etiche, legalmente approvate e fortemente promosse, stanno erodendo
e distruggendo il senso dell’uomo e dei suoi valori. È evidente che la “famiglia legittima” e la “famiglia di fatto” saranno d’ora innanzi ambedue parte integrante della società; ma per la seconda sarà necessaria una specifica regolamentazione diversa dalla normativa disposta per la prima.
È su questa regolamentazione di alto interesse che si sofferma l’ultima parte dello studio giuridico della Rolando , nella quale viene analizzato il disegno di legge governativo del ddl n.1339 sui Diritti e doveri dei Conviventi (DICO). Tre sono gli aspetti essenziali particolarmente sottolineati e discussi. 1) Il “rapporto di convivenza”: cioè lo stato, giuridicamente rilevante e disciplinato dal ddl, è la sola convivenza stabile ed abituale tra due persone maggiorenni e capaci, anche
dello stesso sesso, non legate da vincoli di matrimonio e connotata da vincoli affettivi e solidaristici. 2) I “diritti in favore dei conviventi”: sono, in particolare, assistenza e visita in caso di malattia e ricovero, decisioni in materia di salute e per il caso di morte; assegnazione di
alloggi di edilizia popolare, la successione nel contratto di locazione di cui sia parte uno dei conviventi; le agevolazioni in materia di lavoro, futuro riordino delle normative previdenziali e pensionistica, trascorsi nove anni dall’inizio della convivenza, il convivente concorre alla successione legittima dell’altro convivente, il diritto agli alimenti al convivente che versa in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. 3) I Contratti di Unione Solidale (CUS): intesi a istituzionalizzare la condizione dei conviventi – anche dello stesso sesso – trasformandola da situazione di fatto in situazione di riconoscimento giuridico, violando il principio di uguaglianza costituzionale che impone di equiparare nel trattamento giuridico soltanto situazioni identiche.
Con profonda comprensione giuridica l’Autrice pone due chiare domande, riferendosi all’Italia: 1)“La necessità, sottesa al progetto di legge, di una regolamentazione delle “unioni di fatto” corrisponde ad una necessità?”. 2) “L’intervento del legislatore è una priorità per il Paese?”.
In realtà, sulla base dei dati dell’ISTAT 2006, le “coppie di fatto” in Italia costituiscono soltanto il 3,9% dei 22 milioni di nuclei familiari, ammontando cioè a 564.000 “coppie di fatto”, delle quali soltanto 10.000-15.000 potenzialmente interessate a realizzare la propria condizione. Ovviamente, diverse potrebbero essere le opinioni e, quindi, le risposte in merito alle domande sopra formulate. Ma con matura e serena saggezza la Rolando sottolinea: “Il dibattito, più che sulla opportunità di introdurre una regolamentazione per sostenere le “unioni di fatto”, dovrebbe incentrarsi sulla necessità di tutelare le nuove generazioni mediante l’attuazione dei diritti fondamentali in favore dei fanciulli previsti dalle convenzioni internazionali: nella specie, avere una famiglia e fruire di un rapporto costante, assiduo e stabile con il padre e la madre” e, vorrei modestamente aggiungere, una corretta educazione e formazione della gioventù.
Non resta che esprimere un sentito grazie a questo limpido, anche se complesso, quadro giuridico elaborato con profonda saggezza e offerto dalla Rolando a quanti sono interessati, per dovere o per conoscenza, ai complessi problemi delle “unioni di fatto”. Vorrei soltanto aggiungere una breve riflessione che può aprire a una obiettiva speranza. I dati offerti dalle scienze biologiche, nel loro insieme, costituiscono un coerente complesso di osservazioni le quali: 1) indicano, con sufficiente forza, che nella spiegazione causale del fenomeno non può essere esclusa una componente biologica; 2) anzi suggeriscono che essa è presente e con un peso apprezzabile; 3) ne lasciano prevedere una variabilità notevole. In realtà, l’omosessuale è un malato che non è da segregare, ma si deve cercare di curare per una correzione e modificazione possibile, anche se – al momento – ancora difficile e ardua. È solo da sottolineare che è una situazione la quale esige un grande rispetto che ne impedisca l’emarginazione.
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*Padre Angelo Serra è un genetista di fama internazione, professore emerito di Genetica Umana all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e membro della Pontificia Accademia per la Vita.


Le Parole del Papa sulla Pedofilia: il Perdono non Ferma la Giustizia - Vittorio Grevi - © Copyright Corriere della sera, 15 maggio 2010
Non è stata abbastanza sottolineata la frase con cui papa Benedetto XVI, pellegrino a Fatima, è tornato nei giorni scorsi a definire il proprio atteggiamento di fronte allo scandalo della pedofilia, che ha coinvolto anche diversi uomini di Chiesa, affermando che «il perdono non sostituisce la giustizia».
Una affermazione forte, anche se certamente non nuova tra i credenti che sanno laicamente distinguere la sfera della giustizia divina da quella della giustizia umana (molti ricorderanno le parole di Giovanni Bachelet di fronte al feretro del padre, quando al perdono per i terroristi assassini aveva accompagnato l' auspicio che «la giustizia faccia il suo corso»). E tuttavia, nel contempo, una affermazione contrapposta a quel costume fatto di silenzi e di reticenze, di coperture e di «riciclaggio» nel circuito parrocchiale dei responsabili di atti di pedofilia, che tanto danno ha recato alla Chiesa, in tempi recenti e meno recenti.
Adesso Benedetto XVI ha detto una cosa chiara e netta, sintetizzando in poche parole la linea di magistero che da tempo va sviluppando, e che lo ha condotto da ultimo anche ad ammonire «guai ai pastori che rimangono zitti». Alla base, dopotutto, c' è la fondamentale distinzione tra peccato e reato. Fin quando una certa condotta, sebbene moralmente illecita, non è prevista dalla legge come reato, allora la linea della Chiesa (e, se possibile, delle vittime) è quella del perdono, di fronte al pentimento del colpevole. Invece quando la condotta peccaminosa integra la figura di un reato (tanto più se un reato grave, e fonte di pericoli «terrificanti» per la società, come è la pedofilia), allora il discorso del perdono non basta. Occorre accertare, sanzionare e, soprattutto, prevenire nuovi reati. Ma questo è il compito della giustizia dello Stato (della magistratura, dunque, attraverso i processi), alla quale anche gli uomini di Chiesa devono rivolgersi. D' altra parte, è davvero troppo azzardato pensare che, forse, anche la parabola dell' adultera avrebbe potuto avere un epilogo diverso, qualora al posto della donna ci fosse stato un pedofilo?
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