Nella rassegna stampa di oggi:
1) UN GRUPPO DI FACEBOOK DI SOSTEGNO AI SACERDOTI HA GIÀ 27.000 ADESIONI - "Ho un amico sacerdote che è fantastico" attira 2.000 membri al giorno - di Nieves San Martín
2) CATTOLICI ED EBREI RILANCIANO IL DIALOGO SU PIO XII - Storici cattolici rispondono a 47 domande - di Jesús Colina
3) BENEDETTO XVI CHIEDE UN "APPROCCIO ETICO INTEGRALE ALLA VITA ECONOMICA" - Riceve i partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
4) Passione di Cristo, passione dell'uomo - È il motto dell'ostensione della Sindone, in corso a Torino. Ai milioni di pellegrini da tutto il mondo si unisce il 2 maggio anche il papa. In parallelo, una grande mostra sul corpo e il volto di Gesù nell'arte - di Sandro Magister
5) Card. Caffarra: Sulla dittatura del relativismo - Omelia per il V anniversario della elezione al Soglio Pontificio di Papa Benedetto XVI (in Cattedrale) - 19 aprile 2010
6) Circa gli "Atti del Simposio Internazionale sull'Inquisizione" - Carlo Di Pietro - dal sito Pontifex.roma.it - La cultura è ciò che ci viene insegnato, l’insieme di nozioni che negli anni costituiscono, appunto, il bagaglio culturale di ognuno di noi. C’è da dire che solitamente si tende ad accomunare etica e cultura e, seppur la nostra morale si fonda su quanto di intrinseco ed innato plasma la nostra coscienza, diversamente la cultura è “voluta dagli uomini”, si persevera in questo errore. Oggi ho deciso di parlarvi degli Atti del Simposio che, sconosciuti ai più, rappresentano la più grande ed ufficiale raccolta delle sentenze emanate dalla Santa Inquisizione, nonché il più autorevole testo storico che analizza l’argomento. Dedicherò altri articoli a questa leggenda nera e popolare
7) Santa Inquisizione: sfatiamo la "favola del Lupo Mannaro" - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
8) 30/04/2010 – INDIA - Celebrati i funerali di p. Peter, il sacerdote assassinato, amico degli ammalati - di Nirmala Carvalho - Il p. Peter Bombacha è stato ucciso a colpi di forbice, con una corda intorno al collo. Ancora ignote le cause dell’efferato delitto. Il sacerdote viveva in povertà vicino agli ammalati, che spronava alla preghiera verso la Madonna.
9) LA SINDONE, I LUOGHI, LA GENTE - COSÌ CI PARLA L’UOMO DEI DOLORI - RICCARDO MACCIONI – Avvenire, 1 maggio 2010
UN GRUPPO DI FACEBOOK DI SOSTEGNO AI SACERDOTI HA GIÀ 27.000 ADESIONI - "Ho un amico sacerdote che è fantastico" attira 2.000 membri al giorno - di Nieves San Martín
CUERNAVACA, venerdì, 30 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il gruppo su Facebook sul tema "Ho un amico sacerdote che è fantastico anche se i media dicono di no", promosso dal giovane messicano Héctor Mojica, ha già raggiunto più di 27.000 adesioni, una cifra che aumenta minuto per minuto e attira 2.000 nuovi membri al giorno.
Quando Héctor Mojica Romero, un 27enne che vive a Cuernavaca, nel sud del Messico, ha avuto l'idea di creare un gruppo su Facebook con questo nome, non avrebbe mai immaginato che in poco più di un mese avrebbe avuto oltre 27.000 aderenti, ha spiegato a ZENIT.
L'idea gli è venuta un giorno mentre guardava il telegiornale, in cui si criticavano i sacerdoti per alcuni casi di abusi sui minori. Riflettendo, ha pensato che i sacerdoti che conosce lui non sono così. Si è quindi seduto davanti al computer e ha creato un gruppo che all'inizio era pensato per i suoi amici del Messico.
Il numero di aderenti di questo spazio di Facebook aumenta istante dopo istante: solo mentre si preparava questa notizia, sono passati da 26.989 a 27.128.
Nella spiegazione dei motivi, si afferma che il gruppo si è formato "per mostrare la verità del sacerdozio cristiano cattolico", i cui membri "condividono una vocazione divina".
"Sappiamo che sono come noi, deboli, ma preghiamo per loro", si legge.
"Anche se i mezzi di comunicazione impegnano tutte le loro forze per farci perdere la fiducia in loro, sappiamo che i sacerdoti santi sono molti di più di quelli che per motivi diversi hanno sbagliato".
Héctor Mojica è rimasto colpito dalla risposta alla sua iniziativa, che non si è limitata al Messico. In poco tempo si sono unite persone di Porto Rico, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Cile, Uruguay, Paraguay, Venezuela, Italia, Canada, Croazia, Filippine e Spagna, tra gli altri Paesi.
Gli aderenti sono in gran parte giovani. "Se noi giovani abbiamo qualcosa, è che non ci si inganna facilmente e ci rendiamo conto della verità. Per questo il gruppo ha avuto tanto successo", ha affermato Mojica.
Questo giovane messicano è convinto che la sua idea di creare questo spazio sia stata un'ispirazione divina, perché prima non aveva mai pensato di creare un gruppo su Facebook o su qualsiasi altra rete sociale. "Dio ti fa restare a bocca aperta, o ti gioca scherzi belli come questo, ma è tutto pianificato e non esistono coincidenze", ha commentato.
I partecipanti al gruppo apportano la testimonianza di un sacerdote amico, o semplicemente conosciuto, che è stato importante per la loro vita ed è un esempio di vera vocazione sacerdotale.
Quanti aderiscono al gruppo "inviano la propria fotografia e belle testimonianze di sacerdoti che hanno donato la loro vita, ci parlano di quegli 'amici fantastici' e di come li hanno aiutati. Silenziosi eroi anonimi, grandi missionari, devoti celebranti e fedeli amici di Dio, anche nelle battaglie più difficili", ha dichiarato il ragazzo all'agenzia Gaudium Press.
Tra quanti apportano la propria testimonianza, Ale Moreno afferma: "Grazie a Dio per tutti i sacerdoti che ho conosciuto. Sono persone che riflettono la luce di Dio, che donano tutto il loro tempo al servizio della Chiesa".
Mildres Herazo dice che "in loro abbiamo tutti delle guide spirituali sempre disponibili quando ne abbiamo bisogno, e questo è opera di Dio".
Olga León sostiene che "i giusti pagano per i peccatori, perché uno di loro mi ha aiutata a iniziare ad aver fiducia in Dio. Ringrazio per quanti seguono il cammino di Dio".
Dal canto suo, Concha Abad confessa: "Ho vari amici sacerdoti senza i quali la mia vita non sarebbe la stessa. Devo loro moltissimo, e li amo molto, con i loro pregi, i loro difetti, le loro debolezze e il loro coraggio".
Alex Chávez conclude: "Ho amici sacerdoti e sono fantastici. Dio benedica questi uomini che, lasciando tutto, hanno deciso di servire in questo ministero. Bisogna pregare con molto fervore per tutti e per ciascuno di loro".
Per entrare nello spazio del gruppo: http://www.facebook.com/group.php?gid=404166879781&ref=nf
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
CATTOLICI ED EBREI RILANCIANO IL DIALOGO SU PIO XII - Storici cattolici rispondono a 47 domande - di Jesús Colina
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 30 aprile 2010 (ZENIT.org).- Rappresentanti e storici cattolici ed ebrei hanno rilanciato il dialogo, ufficialmente interrotto nel luglio 2001, sulla figura di Pio XII e sul suo rapporto con il popolo di Israele, in particolare durante l'Olocausto.
I partecipanti all'incontro - tra i quali vari rabbini -, organizzato dalla "Pave the Way Foundation", sono stati salutati pubblicamente da Benedetto XVI alla fine dell'Udienza generale di questo mercoledì.
L'incontro, che ha portato avanti le questioni che voleva affrontare nel 2001 la sospesa Commissione Ebraico-Cattolica di Storici, non aveva carattere ufficiale, ma accademico.
Nelle sessioni di dibattito durate due giorni (il 23 e il 24 aprile), si è data risposta a 47 delle domande che quella Commissione aveva posto sospendendo le sue sessioni di lavoro.
Hanno risposto alle domande padre Peter Gumpel SJ, storico e postulatore della causa di beatificazione di Pio XII; Matteo Napolitano, professore di Storia delle relazioni internazionali presso l'Università del Molise; Andrea Tornielli, vaticanista de "Il Giornale"; Ronald Rychlak, professore alla Mississippi State University; Michael Hesemann, storico e scrittore tedesco.
Tutte le risposte sono state registrate integralmente dall'agenzia H2onews.org (www.h2onews.org) e saranno consegnate alla Commissione Yad Vashem, l'Autorità nazionale di Israele per il Ricordo dei Martiri e degli Eroi dell'Olocausto, venendo riportate anche sul sito web della "Pave the Way Foundation" (http://www.ptwf.org).
Il fondatore di questa istituzione, l'ebreo newyorkese Gary Krupp, ha spiegato a ZENIT che all'incontro con il Papa hanno partecipato rabbini e rappresentanti delle comunità ebraiche degli Stati Uniti e di Israele, Australia e Svizzera, "che hanno voluto esprimere la propria solidarietà alla Chiesa cattolica e al Santo Padre a causa degli attacchi che stanno ricevendo da parte di alcuni mezzi di comunicazione".
"Abbiamo anche discusso del sostegno a un'iniziativa appoggiata dalla Santa Sede per dedicare la sera del venerdì a una cena in famiglia - ha dichiarato Krupp -. Due ore verranno dedicate ai bambini. Il rabbino Shmuley Boteach e la 'Pave the Way Foundation' stanno promuovendo questa iniziativa".
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
BENEDETTO XVI CHIEDE UN "APPROCCIO ETICO INTEGRALE ALLA VITA ECONOMICA" - Riceve i partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 30 aprile 2010 (ZENIT.org).- L'attività economica deve basarsi su un "esercizio di responsabilità umana" e deve essere affrontata con un "approccio etico integrale", ha dichiarato Benedetto XVI questo venerdì mattina ai partecipanti alla XVI Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
La Plenaria, sul tema "Crisis in a Global Economy. Re-planning the Journey", è in svolgimento da questo venerdì al 4 maggio nella Casina Pio IV, all'interno della Città del Vaticano.
La crisi finanziaria mondiale, ha riconosciuto il Papa, "ha dimostrato la fragilità dell'attuale sistema economico e delle istituzioni a esso collegate", mostrando inoltre "l'erroneità dell'idea secondo la quale il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi, indipendentemente dall'intervento pubblico e dal sostegno dei criteri morali interiorizzati".
Quest'idea, ha spiegato, "si basa sulla nozione impoverita della vita economica come una sorta di meccanismo che si autocalibra guidato dal proprio interesse e dalla ricerca del profitto", e "trascura la natura essenzialmente etica dell'economia come attività di e per gli esseri umani".
"Piuttosto che una spirale di produzione e consumo in vista di necessità umane definite in modo molto limitato, la vita economica dovrebbe essere considerata in maniera adeguata come un esercizio di responsabilità umana, intrinsecamente orientato alla promozione della dignità della persona, alla ricerca del bene comune e allo sviluppo integrale, politico, culturale e spirituale, di individui, famiglie e società", ha dichiarato.
Il ruolo della Chiesa
Come ha ricordato nella sua Enciclica sociale Caritas in Veritate, per Benedetto XVI la crisi obbliga "a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno" (n. 21).
"Riprogettare il cammino significa anche guardare ai criteri generali e obiettivi con cui giudicare le strutture, le istituzioni e le decisioni concrete che guidano e orientano la vita economica", ha detto ai partecipanti alla Plenaria dell'Accademia.
La Chiesa, ha aggiunto, "afferma l'esistenza di una legge naturale universale che è la fonte definitiva di questi criteri", ma "è anche convinta del fatto che i principi di questo ordine etico, iscritti nella creazione stessa, sono accessibili alla ragione umana e, in quanto tali, devono essere adottati come base per scelte concrete".
"Come parte della grande eredità della saggezza umana, la legge morale naturale, che la Chiesa ha assunto, purificato e sviluppato alla luce della Rivelazione cristiana, è un faro che guida gli sforzi di individui e comunità nel cercare il bene ed evitare il male, mentre si impegnano per l'edificazione di una società autenticamente giusta e umana".
Bene comune
Fra i "principi indispensabili" che plasmano l'"approccio etico integrale alla vita economica", ha proseguito Benedetto XVI, deve essere presente "la promozione del bene comune, basata sul rispetto per la dignità della persona umana e riconosciuta come scopo primario dei sistemi di produzione e di commercio, delle istituzioni politiche e del benessere sociale".
Il bene comune, ha sottolineato, "implica la responsabilità per le generazioni future".
Per questo motivo, "la solidarietà intergenerazionale deve essere riconosciuta come criterio fondamentale per giudicare qualsiasi sistema sociale".
Per il Papa, "queste realtà evidenziano l'urgenza di rafforzare le procedure di governo dell'economia globale, sempre con il dovuto rispetto per il principio di sussidiarietà".
Tutte le decisioni e le politiche economiche, ad ogni modo, "devono essere orientate alla carità nella verità, perché la verità preserva e incanala la forza liberatrice della carità nelle strutture e negli eventi umani sempre contingenti".
Come ricorda la Caritas in veritate, infatti, "senza la verità, senza fiducia e senza amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società" (n. 5).
In questo panorama, il Pontefice ha concluso il suo intervento auspicando che la Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali contribuisca "a un discernimento più profondo delle gravi sfide sociali ed economiche del nostro mondo" e "a indicare la strada per affrontare tali sfide con spirito di saggezza, giustizia e umanità autentica".
Nel suo saluto al Papa, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Mary Ann Glendon, ha affermato che nei giorni della Plenaria si cercherà “innanzitutto di acquisire un'immagine chiara della natura e delle cause della crisi attuale” e di “stabilire il suo impatto sulle popolazioni e sulle comunità nel mondo, prestando particolare attenzione a quanti erano i meno favoriti anche prima dei recenti sconvolgimenti”.
“Analizzeremo il problema di come promuovere le condizioni di fiducia e le reciproche responsabilità che il mercato esige anche per svolgere le sue specifiche funzioni economiche”, ha aggiunto, come riporta “L'Osservatore Romano”.
Visto che “un fattore della attuale crisi è stato la tendenza a rimuovere valori e moralità dai dibattiti economici”, la crisi “è un'occasione per analizzare lo stato delle scienze sociali”.
“Fin troppi economisti, giuristi, sociologi e scienziati politici hanno accettato ipotesi false sulla natura umana, hanno promosso atteggiamenti relativistici verso la moralità e la verità”, ha lamentanto, spiegando che questi atteggiamenti “non solo hanno impoverito ognuna delle nostre discipline, ma hanno anche avuto gravi conseguenze pratiche perché hanno influenzato la mentalità di politici e plasmato i loro approcci ai programmi commerciali, governativi e anche filantropici”.
Le decisioni della Plenaria, quindi, terranno conto delle indicazioni del Papa sul fatto che “le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e che la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare”.
Passione di Cristo, passione dell'uomo - È il motto dell'ostensione della Sindone, in corso a Torino. Ai milioni di pellegrini da tutto il mondo si unisce il 2 maggio anche il papa. In parallelo, una grande mostra sul corpo e il volto di Gesù nell'arte - di Sandro Magister
ROMA, 30 aprile 2010 – Tra due giorni, quinta domenica di Pasqua, Benedetto XVI si recherà a Torino. Dove nel pomeriggio, nella cattedrale, si inginocchierà davanti alla Sindone, il venerato telo con le misteriose impronte di un uomo crocifisso, di un corpo con tutti i segni della passione di Gesù.
Dal 10 aprile, da quando la Sindone è esposta al pubblico – e lo sarà fino al 23 maggio –, stanno accorrendo a vederla un numero interminabile di persone. Anche non cristiani, anche lontani da Dio, attratti comunque da quel mistero che è la persona di Gesù, il suo corpo, il suo volto.
E al desiderio di "vedere" questo mistero va incontro una mostra d'arte studiata proprio per accompagnare l'ostensione della Sindone. La mostra è nella reggia di Venaria, poco a nord di Torino, e ha per titolo: "Gesù. Il corpo, il volto nell'arte".
Tra le 180 opere esposte vi sono capolavori di autori come Donatello, Mantegna, Bellini, Giorgione, Correggio, Veronese, Tintoretto. C'è anche il meraviglioso Crocifisso ligneo scolpito da Michelangelo per la basilica fiorentina del Santo Spirito.
In molte di queste opere la Sindone appare. Ad esempio nel Cristo risorto di Pieter Paul Rubens riprodotto qui sopra, del 1615, conservato a Firenze a Palazzo Pitti. Un Gesù atletico, col corpo ancora in parte avvolto dal telo, assiso trionfante sul sepolcro vuoto. Come canta la sequenza della messa di Pasqua: "Mors et vita duello conflixere mirando, dux vitae mortuus regnat vivus". Morte e vita si sono affrontate in prodigioso duello; il Signore della vita era morto, ma ora vivo trionfa.
Qui di seguito, ecco una guida alla visione del corpo e del volto di Gesù, scritta dal curatore della mostra Timothy Verdon, americano, storico dell'arte, sacerdote dell'arcidiocesi di Firenze e direttore dell'ufficio diocesano per la catechesi attraverso l'arte.
Il testo è tratto dal capitolo introduttivo del catalogo della mostra e da una conferenza dello stesso Verdon nel duomo di Torino, lo scorso 26 aprile.
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GESÙ. IL CORPO, IL VOLTO NELL'ARTE
di Timothy Verdon
A Torino, dove da secoli si conserva e si venera il grande telo noto come la Sindone, è naturale riflettere sul corpo e sul volto di Gesù. La Sindone sottolinea il convincimento che Gesù sia realmente vissuto e morto, ma invita a credere che egli sia anche risorto. Sarebbe in effetti il segno del suo passaggio alla vita nuova, il lenzuolo abbandonato al momento di risorgere.
La possibilità dell’esistenza di una simile reliquia è specialmente significativa per l’arte, perché conferma la visibilità e quindi la rappresentabilità dell’uomo che si diceva Figlio dell’invisibile Dio d’Israele.
Scriveva nel secolo VIII san Giovanni Damasceno, evocando il divieto biblico di ogni raffigurazione della divinità: "Un tempo non si poteva fare immagine alcuna di un Dio incorporeo e senza contorno fisico. Ma ora Dio è stato visto nella carne e si è mescolato alla vita degli uomini, così che è lecito fare un’immagine di quanto è stato visto di Dio", cioè dell’uomo Gesù. Scrivendo nel contesto della proibizione delle immagini da parte dell’imperatore di Bisanzio, l’iconoclasta Leone III, questo autore – nato cristiano in una Damasco allora sotto controllo musulmano – vedeva un nesso tra il dogma teologico dell’incarnazione e l’uso ecclesiastico di immagini, soprattutto quelle raffiguranti Gesù stesso.
La mostra mette in evidenza la continuità di queste idee nell’era medievale e moderna. Porta l’attenzione sull’uomo Gesù, il cui corpo e volto sarebbero tracciati sul venerabile telo, suggerendo come pittori e scultori di vari periodi l’abbiano visualizzato.
Il cristianesimo ha sempre raffigurato il corpo alla luce della propria idea dell’essere umano. A differenza dei miti pagani, che presentavano gli dei con tutti i difetti degli uomini, la cultura biblica giudeo-cristiana ritiene che l’uomo debba aspirare alla perfezione di Dio, e soprattutto alla sua misericordia. "Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso", ha detto infatti Gesù (Luca 6, 36), e questa misericordia caratteristica dell’essere umano aveva una singolare componente corporea. Già nell’Antico Testamento molte parole del Dio incorporeo lo mostrano sensibile al tremore della pelle del povero. Nello stesso spirito Gesù descrive come, nel giudizio finale, il Figlio dell’uomo premierà quanti avranno avuto cura corporale del prossimo: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo mi avete vestito" (Matteo 25, 35-36).
Per i credenti in lui, Gesù, Figlio di Dio, è diventato quel povero a cui bisogna rendere il mantello prima di notte: l’affamato, l’assetato, l’escluso, il senza tetto, l’ignudo da coprire. Dice un teologo greco del IV secolo, il vescovo san Macario: "Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l’abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro, dissodò l’anima arida e incolta, ne strappò via le spine e i rovi degli spiriti malvagi, divise il loglio del male e gettò al fuoco tutta la paglia dei peccati. La lavorò così col legno della croce e piantò in lei il giardino amenissimo dello Spirito. Esso produce ogni genere di frutti soavi e squisiti per Dio, che ne è il padrone".
Ecco, l’immagine di Dio contemplata nel corpo sofferente di Gesù implica questa dinamica di purificazione e crescita. Implica anche un processo in cui il soggetto umano scopre e comprende se stesso, come suggerisce un padre della Chiesa, Pietro Crisologo, quando immagina Gesù crocifisso che invita i credenti a riconoscere nel suo corpo sacrificato il senso morale della loro vita. "Vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro cuore, il vostro sangue, ci dice Gesù. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. Non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica. Sii, o uomo, sacrificio e sacerdote, fa del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo come vittima a Dio. Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte".
Sono citazioni, queste, utili per capire la concezione di corporeità e di personalità elaborata nei secoli attraverso immagini di Gesù: l’idea del corpo come luogo di una dignità insita nell’essere umano – di una capacità "sacerdotale" di offrirsi – e del volto come specchio di libertà consapevole. Le opere in mostra infatti mettono lo spettatore nelle condizioni di quelle donne e di quegli uomini descritti nel Nuovo Testamento, per cui il corpo e volto di Gesù erano luoghi di sorprendente, anche scandalosa, scoperta.
Quando ad esempio Gesù tornò dal deserto al suo paese, Nazaret, e nella sinagoga lesse ad alta voce i versetti messianici di Isaia, l’evangelista Luca narra che "gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui" (Luca 4, 16-24). Alle parole d’Isaia, infatti, Gesù aggiunse altre parole, inaspettate e per i presenti certamente incomprensibili: "Oggi – disse – si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". Gli occhi dei presenti stavano sopra di lui, fissi sul suo corpo e sul volto, perché la sua affermazione "oggi si è adempiuta questa Scrittura" li obbligava ad associare le antiche promesse di una futura era benedetta con questo giovane uomo seduto in mezzo a loro: con lui come presenza fisica, con il suo corpo, con l’espressione del suo volto. "Non è costui il figlio di Giuseppe?", chiedono subito, incapaci di vedere in Gesù più di quanto credevano di conoscere, così che egli commenta: "Nessun profeta è bene accetto nella sua patria".
Un’occasione analoga, assai più drammatica, è narrata nel sesto capitolo del Vangelo di Giovanni. Due giorni dopo la sua miracolosa moltiplicazione di pani e pesci per sfamare una folla immensa, Gesù spiega che il vero pane offerto dal Padre all’umanità – il pane disceso dal cielo – era lui stesso. Di nuovo allora i suoi ascoltatori si chiedono: "Costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come può dire: Sono disceso dal cielo?”. Ma egli insiste: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita dell’uomo". E ancora: "Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita, perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui". L’evangelista Giovanni descrive la negativa reazione a queste parole da parte degli ascoltatori, e come "da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui", e non si fa fatica a capirli, perché Gesù pretendeva che vedessero il suo corpo come alimento, e così pure il suo volto: "Questa infatti è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno". Molte opere in mostra prendono luce da questi asserti, anche perché originalmente fatte per altari, dove il corpo e il volto di Gesù raffigurati dall’artista erano visti in prossimità al pane e vino dell’eucaristia, corpo e sangue del Signore.
La mostra invita quindi a riscoprire la particolare intensità con cui i credenti d’altri tempi – i committenti materiali e gli originali fruitori delle opere esposte – guardavano un corpo e un volto ritenuti “vero cibo” e “vera bevanda”; un corpo e un volto che, interiorizzati, li avrebbero trasformati col dono della “vita eterna”. Quest’esperienza, forse pienamente accessibile solo alla fede, può essere immaginata anche da chi non crede; anzi, deve essere immaginata, perché costituisce il normale contesto di comprensione di simili opere d'arte, una componente imprescindibile del loro messaggio.
Imprescindibile è anche la tensione morale che doveva condizionare la lettura originaria di molte delle opere esposte nella mostra. In immagini legate all’eucaristia, infatti, come nella stessa celebrazione della messa, il credente cerca, oltre ciò che vede, qualche cosa di più, e ogni immagine associata al rito si pone come "epifania" ed "apocalisse", come manifestazione e rivelazione di una futura trasformazione. L’arte nel luogo di culto infatti illumina l’attesa dei cristiani, e nei personaggi ed eventi che essa illustra le immagini sacre si offrono come specchi dell’Immagine in cui i fedeli sperano di essere trasformati, Gesù Cristo.
La mostra copre il periodo corrispondente alla fine del Medioevo, al Rinascimento e al Barocco, in cui il corpo e il volto della persona umana tornano ad essere nell'arte occidentale primari portatori di significato. Questi elementi figurativi, perfezionati dai greci cinque secoli prima di Cristo, in un primo periodo erano stati rifiutati dalla nascente cultura cristiana, che al naturalismo pagano preferiva un linguaggio meno ambiguo, col corpo presentato come segno e col volto trasfigurato dalla fede. Tale rifiuto della fisicità e della personalità, che rifletteva anche il severo giudizio cristiano sull’amoralità e sull’individualismo del mondo pagano, fu tra le cause della perdita d’interesse per il corpo e il volto come soggetti d’arte tra il V e l'XI secolo.
Fu la nuova spiritualità incentrata sull’uomo – la spiritualità di stampo francescano del Duecento e del Trecento – a far riscoprire l’arte greco-romana così adatta a descrivere il corpo e le emozioni. Grazie a questo nuovo dialogo con l’antica civiltà pagana, la cristianità europea elaborò anche un diverso rapporto con la storia, in cui valori ritenuti propedeutici alla fede in Gesù verranno considerati componenti di un’unica rivelazione affidata all’essere umano a prescindere dall’origine culturale e religiosa. Contenuto centrale di quest’unica rivelazione è l’umanità stessa, riconoscibile nell’eloquente bellezza e nella vulnerabilità del corpo, nel dolore e nella gioia scritti sul volto; a dimostrare la sua legittimità è la convinzione che lo stesso Figlio di Dio si è fatto uomo.
Le sette aree del percorso espositivo suggeriscono queste idee: il corpo e la persona; Dio prende un corpo; l’uomo Gesù; un corpo dato per amore; il corpo risorto; il corpo mistico; il corpo sacramentale. L’allestimento mira a suggerire il contesto d’uso iniziale della quasi totalità delle opere, il luogo liturgico cattolico, ricollocando i dipinti, le sculture, le oreficerie e i paramenti sacri in spazi che ricordano chiese. La forma delle sale, l’illuminazione e il sottofondo musicale che accompagna la visita sono state pensate in funzione di questo obiettivo, con uno scopo però più scientifico che religioso: quello di riabilitare come dato storico il messaggio teologico ed emotivo inteso dagli artisti e dai committenti delle opere. Alcuni dipinti sono addirittura allestiti sopra altari per evocare il rapporto visivo tra immagine e rito: diverso infatti è l’impatto di una Deposizione o Pietà vista in un museo e quello della stessa opera sopra una mensa eucaristica; nel secondo caso la percezione del corpo di Cristo raffigurato è condizionata dalla fede che lo stesso corpo sia realmente presente, seppur invisibile, nel pane e vino consacrati.
Le molte opere in mostra suggeriscono inoltre qualcosa della densità iconografica tipica delle chiese cattoliche del passato. Tale affollamento di immagini conferiva un carattere visionario a questi luoghi, dove raffigurazioni di Cristo, di Maria e dei santi davano colore e interesse umano ai personaggi e agli eventi di cui parlano le Scritture e la tradizione, offrendo un’immersione così totale che il fedele si percepiva circondato dai personaggi e partecipe degli eventi, membro dell’unica comunione dei santi e parte dell’unica storia della salvezza.
Tuttavia il soggetto dell'esperienza estetica, come dell'esperienza cultuale, rimane l'uomo. È a lui e alla sua corporeità che parlano i colori e le forme. L'arte che fa vedere Cristo – insieme a veri "specchi del suo Vangelo" quale la Sindone – invita a contemplare Cristo che prende forma in noi, speranza di gloria, bellezza di vita eterna. E in lui visto e conosciuto e amato comprenderemo finalmente che il senso della nostra vita anche corporea, della nostra carne, degli affetti, dei ricordi, e del sangue, suo e nostro, di ogni persona umana tradita, sacrificata, uccisa. Il poco sangue della Sindone si rivelerà allora un Mar Rosso attraverso cui Cristo ci conduce alla terra promessa.
Card. Caffarra: Sulla dittatura del relativismo - Omelia per il V anniversario della elezione al Soglio Pontificio di Papa Benedetto XVI (in Cattedrale) - 19 aprile 2010
È intrinseco alla testimonianza cristiana lo scontro coi poteri di questo mondo. Quale è il “potere del mondo” con cui oggi si scontra la testimonianza che quotidianamente Benedetto XVI rende a Cristo? Prima ho parlato della “dittatura del relativismo”. Con questa espressione il S. Padre intende quel modo di pensare oggi così diffuso secondo il quale non esiste alcuna verità universalmente valida circa ciò che è bene o male; che «non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Una tale posizione, sul piano etico, ha una potenza devastante smisurata. Vengono censurate non solo le norme morali del cristianesimo; ma ogni tentativo di mostrare che esistono norme morali che difendono “beni umani non negoziabili”, è rigettato in partenza. Mai l’uomo è stato esposto ad un pericolo più grave, dal momento che è stato privato del potere di riconoscere le prevaricazioni contro se stesso. Il “sistema spirituale immunitario” che lo difende da ogni attacco alla sua dignità – la convinzione che esistano beni umani non negoziabili – è stato annullato.
È su questo livello che lo scontro fra il S. Padre e il potere culturale del mondo è totale.
1. « In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». È a persone che lo cercano [«voi mi cercate»], che Gesù si rivolge. Ma esse o limitano la misura del loro desiderio o non ne hanno la giusta comprensione: per loro il pane mangiato è solo pane, e non segno che rimanda ad un cibo «che dura per la vita eterna».
In questa pagina evangelica è posta chiaramente sia la domanda circa Gesù: chi è veramente Gesù di Nazareth?, sia la domanda circa la misura del desiderio dell’uomo: che cosa l’uomo ha il diritto di sperare, una vita eterna o solo «un cibo che perisce»?
Cari fratelli e sorelle, il dialogo evangelico fra Gesù e le folle ci fa capire profondamente il servizio petrino di Benedetto XVI. Esso è interamente teso a proporre la verità salvifica di Gesù al cuore dell’uomo del nostro tempo, e pertanto la questione della verità della fede cristiana è al centro del suo insegnamento. Non a caso nel suo stemma episcopale aveva scritto cooperatores veritatis.
Che cosa significa più esplicitamente tutto questo? Ritorniamo al testo evangelico. Gesù, come avete sentito, parla di un cibo «che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre ha messo il suo sigillo».
Cari fratelli, queste parole ci parlano di Dio, ce ne svelano il mistero. Nel suo servizio alla verità, il S. Padre ha costantemente insegnato il primo luogo la verità su Dio. L’affermazione con cui inizia il quarto Vangelo «in principio era il Verbo», costituisce «la parola conclusiva del concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi» [Benedetto XVI, Discorso di Regensburg]. E pertanto la proposta cristiana interloquisce in primo luogo con la ragione dell’uomo, esibendosi come la religione vera.
Ma questo non è tutto. Il testo evangelico ci ha detto che Dio in Gesù dona all’uomo un pane «che dura per la vita eterna». Il Dio vero in cui crediamo, non è una realtà inaccessibile. È un Dio che ama l’uomo, fino a condividerne il destino mortale per poterlo nutrire con un pane «che dura per la vita eterna». La prima enciclica di Benedetto XVI, quella programmatica del suo pontificato, inizia così «Deus charitas est» [Dio è carità].
La verità circa Dio è di un Dio che è il Verbo - Logos e identicamente l’Amore - Agape. Egli è identicamente il Dio «che abita una luce inaccessibile» e il Dio che entra nella nostra storia tribolata e contraddittoria. L’impegno di rendere presente questo Dio nella vita degli uomini – lo ha detto il Santo Padre stesso – è l’impegno fondamentale di questo pontificato.
Ma un “tale Dio” può essere incontrato solo mediante un atto della persona che faccia uso e di una ragione che decida di andare oltre se stessa, e di una libertà che non si faccia imprigionare dalla ipnosi dei beni umbratili. In una parola: può essere incontrato dalla fede. «Gesù rispose: questa è l’opera di Dio: credere in colui che ha mandato». E qui troviamo l’altro grande centro del servizio petrino di Benedetto XVI: salvare la ragione e quindi la libertà dell’uomo. È un servizio che può esprimersi positivamente nella formula: allargare gli spazi della ragione; e negativamente: rifiutare la dittatura del relativismo. È su questo piano che lo scontro mite e coraggioso del S. Padre colla cultura egemone in Occidente è totale, ed ha assunto ormai un profilo drammatico.
Quando il S. Padre parla di “allargare gli spazi della ragione” intende dire che la nostra ragione non è capace di conoscere solo ciò che è scientificamente sperimentabile, e solo ciò che noi possiamo tecnicamente realizzare. È ciò che dice Gesù alle folle: non fermatevi al pane che ha soddisfatto la vostra fame; in questo pane vedete un “segno” di un cibo che è risposta ad un desiderio illimitato di vita. Trascendere il sensibile per salire fino a Dio è una capacità ed un atto ragionevole.
Può sembrare strano che un Papa si erga a difensore della ragione con tanta forza. Non è, il successore di Pietro, prima di tutto il testimone del Vangelo? Cari fratelli e sorelle: la separazione tra la fede e la ragione distrugge la fede cristiana perché finisce col ridurla ad un fatto emotivo e puramente soggettivo. Una “ragione debole” è incapace di una fede ragionevole.
2. Cari amici, la seconda lettura ci ha narrato lo scontro tra Stefano ed il potere religioso del suo tempo. È intrinseco alla testimonianza cristiana lo scontro coi poteri di questo mondo. Quale è il “potere del mondo” con cui oggi si scontra la testimonianza che quotidianamente Benedetto XVI rende a Cristo? Prima ho parlato della “dittatura del relativismo”. Con questa espressione il S. Padre intende quel modo di pensare oggi così diffuso secondo il quale non esiste alcuna verità universalmente valida circa ciò che è bene o male; che «non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Una tale posizione, sul piano etico, ha una potenza devastante smisurata. Vengono censurate non solo le norme morali del cristianesimo; ma ogni tentativo di mostrare che esistono norme morali che difendono “beni umani non negoziabili”, è rigettato in partenza. Mai l’uomo è stato esposto ad un pericolo più grave, dal momento che è stato privato del potere di riconoscere le prevaricazioni contro se stesso. Il “sistema spirituale immunitario” che lo difende da ogni attacco alla sua dignità – la convinzione che esistano beni umani non negoziabili – è stato annullato.
È su questo livello che lo scontro fra il S. Padre e il potere culturale del mondo è totale.
«Siedono i potenti, mi calunniano, ma il tuo servo medita i tuoi decreti», abbiamo or ora pregato col Salmo. Ecco: questo sembra essere l’atteggiamento fondamentale del S. Padre.
Questo deve essere l’atteggiamento della Chiesa, anche della Chiesa di Dio in Bologna. La fede ha già vinto il mondo, poiché essa ci radica nella divina Verità e trova corrispondenza profonda nel cuore di ogni uomo, fatto per incontrarsi con Dio nel Cristo.
Circa gli "Atti del Simposio Internazionale sull'Inquisizione" - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it - La cultura è ciò che ci viene insegnato, l’insieme di nozioni che negli anni costituiscono, appunto, il bagaglio culturale di ognuno di noi. C’è da dire che solitamente si tende ad accomunare etica e cultura e, seppur la nostra morale si fonda su quanto di intrinseco ed innato plasma la nostra coscienza, diversamente la cultura è “voluta dagli uomini”, si persevera in questo errore. Oggi ho deciso di parlarvi degli Atti del Simposio che, sconosciuti ai più, rappresentano la più grande ed ufficiale raccolta delle sentenze emanate dalla Santa Inquisizione, nonché il più autorevole testo storico che analizza l’argomento. Dedicherò altri articoli a questa leggenda nera e popolare, principalmente perché tutti i cattoprogressisti, comunisti, atei, massoni e gnostici, fanno di questo argomento oggetto di discredito nei confronti della Santa Chiesa di Roma. Non scenderò eccessivamente nei particolari, ma vi riporterò l’ufficialità ... dei documenti storici in merito al Tribunale della Santa Inquisizione e, in futuro, pubblicherò altri articoli che sto preparando con estrema cautela, dovizie di particolari e notevoli riferimenti storico/sociali. Sui libri di storia, parliamoci chiaramente, se ne leggono di “tutti i colori” e, dato che si vive ahimé solo per lavorare e “tirare la carretta”, non si ha tempo per approfondire, scendere nei particolari e verificare la veridicità di quanto i governi ci insegnano “mendacemente”. In merito alla Santa Inquisizione si legge spesso “causò centinaia di migliaia di vittime, condannandole al rogo” … questo è falso, storicamente infondato, è frutto delle visioni di qualche storico (ovvero il 90%) progressista e controllato dalla stampa massonica; l’Inquisizione uccise meno di cento persone, condannandole al rogo e per queste vittime la Chiesa chiede perdono; dunque analizziamo la realtà (e non le Favolette di Cappuccetto Rosso) ed i documenti del Simposio Internazionale.
Tempo fa, ed ovviamente le trasmissioni di regime non ne hanno parlato, “nella Sala Stampa Vaticana è stato presentato il volume "L'Inquisizione", Atti del Simposio Internazionale, promosso dalla Commissione teologico-storica del Comitato Centrale del Grande Giubileo dell'Anno 2000. Nell'occasione, il prof. Agostino Borromeo, curatore del libro, ha tracciato una breve storia dell'Inquisizione. "Con il termine Inquisizione, - ha spiegato Borromeo - si suole designare un complesso di tribunali ecclesiastici, il cui titolare, in base ad espressa delega papale, era investito della giurisdizione riguardante uno specifico delitto, il delitto di eresia".
"Durante il pontificato di Gregorio XI (1227-1241) cominciano ad agire speciali commissari (inquisitores) delegati dalla Sede Apostolica con il compito di combattere l'eresia in determinate regioni. Progressivamente, con il trascorrere del tempo, il papato dotò questa istituzione di una propria organizzazione, una propria burocrazia e una propria normativa (specialmente in materia di procedure processuali)".
L'Inquisizione, particolarmente attiva nei secoli XIII e XIV nel combattere i movimenti ereticali medievali (soprattutto catari e valdesi), conobbe una fase di declino nel secolo XV, registrando una rilevante ripresa della sua attività nel XVI e nel XVII secolo con la fondazione dei nuovi tribunali della penisola iberica (la cui azione fu principalmente rivolta contro i falsi convertiti dal giudaismo e dall'islamismo) e la creazione del Sant'Ufficio romano, concepito inizialmente come strumento per la lotta contro la diffusione del protestantesimo. I tribunali finiranno con l'essere soppressi tra la seconda metà del XVIII secolo e i primi decenni del XIX secolo sotto la spinta delle idee illuministiche e con l'affermarsi dell'ideologia liberale, mentre continuerà a sopravvivere la Congregazione romana del Sant'Ufficio fino alla radicale riforma operata da Paolo VI nel 1965, che ne muterà il nome in quello odierno di Congregazione per la Dottrina della Fede.
Su 100.000 processi effettuati da tribunali civili ed ecclesiastici secondo la procedura dell'Inquisizione, "le condanne al rogo comminate da tribunali ecclesiastici sono state 4 in Portogallo, 59 in Spagna, 36 in Italia, in tutto, quindi, meno di 100 casi", ha precisato il prof. Borromeo. Ciò sfata la leggenda nera sull'Inquisizione, creata ad arte dalla propaganda anticattolica. Prendendo spunto da quanto affermato dal prof. Borromeo, il Card. Georges Cottier, Pro-Teologo della Casa Pontificia, ha detto che "una domanda di perdono che la Chiesa deve fare a riguardo dei propri errori del passato, non può riguardare che fatti veri e obbiettivamente riconosciuti. Non si chiede cioè perdono per alcune immagini diffuse all'opinione pubblica, che hanno più del mito che della realtà". "La Chiesa" ha continuato il Card. Cottier "non vuole domandare perdono in maniera disordinata, ma con la conoscenza effettiva di ciò che è successo, anche perché la verità non può far paura".
Inquisizione: Santa Sede, i "luoghi comuni" su "caccia alle streghe" e pena di morte (Sir, 16.06.04) [...] "Ormai gli storici - ha affermato il relatore [Agostino Borromeo, curatore del volume su "L'inquisizione", presentato in Vaticano] - non usano più il tema dell'Inquisizione come strumento per difendere o attaccare la Chiesa", perché a differenza di quanto in passato "il dibattito si è spostato sul piano storico, con statistiche serie", anche grazie al "grosso passo avanti" rappresentato dall'apertura degli archivi segreti dell'ex Congregazione del Sant'Uffizio, voluta dal Papa nel 1998.
"Oggi è possibile fare la storia dell'Inquisizione prescindendo dai luoghi comuni perpetrati fino all'Ottocento", ha puntualizzato lo studioso. Interrogato dai giornalisti sulla "caccia alle streghe", Borromeo ha citato, in particolare, l'attività dell'Inquisizione spagnola, che su 125.000 processi ha mandato al rogo 59 "streghe"; 36 ne sono state bruciate in Italia, 4 in Portogallo.
"Se si sommano questi dati - ha commentato - non arriviamo neanche ad un centinaio di casi, contro i 50.000 di persone condannate al rogo, in prevalenza dai tribunali civili, su un totale di 100.000 processi (civili ed ecclesiastici) celebrati in tutta Europa nell'età moderna".
Analogo discorso per la pena di morte: sui 44.674 processi celebrati dall'Inquisizione spagnola tra il 1540 e il 1700, si legge nel volume, i condannati a rogo ammontano all'1,8%, cui va aggiunto un altro 1,7% di condannati a morte in contumacia (veniva bruciato un manichino con il nome e cognome della persona che si era data alla fuga). Per quanto riguarda, invece l'Italia, il tribunale dell'Inquisizione di Aquileia-Concordia (nella diocesi di Udine), tra i primi 1.000 processi istruiti, i condannati a morte sono stati solo 5 (lo 0,5%). Numeri più "alti", invece, per l'Inquisizione portoghese: tra il 1540 e il 1629 su 13.255 processi, le condanne a morte costituirono il 5,7%, anche se negli anni successivi l'attività repressiva è calata progressivamente”. [Inquisizione: sfatata la leggenda nera. La grandezza della Chiesa viene a galla (Corrispondenza romana 861/03 del 19.06.04)].
“Lo scopo del Simposio tenutosi dal 29 al 31 ottobre 1998” ha detto il Card. Georges Cottier, Pro-Teologo della Casa Pontificia, “fu di carattere scientifico. Perché una domanda di perdono che la Chiesa deve fare a riguardo dei propri errori del passato, non può riguardare che fatti veri e obbiettivamente riconosciuti. Non si chiede cioè perdono per alcune immagini diffuse all’opinione pubblica, che hanno più del mito che della realtà. Non per niente la Commissione è stata dichiarata Storico-teologica. Il contributo di storici era di fatto indispensabile”.
Riconoscendo le verità storiche circa l’Inquisizione, dice, dunque il Card. Cottier che “la Chiesa non vuole domandare perdono in maniera disordinata, ma con la conoscenza effettiva di ciò che è successo anche perché la verità non può far paura. Inoltre la Chiesa vuole domandare perdono a Dio e agli uomini per il peccato dei propri fratelli che possono, influenzati dalla mentalità dei tempi, aver usato violenza in nome della verità e, chiedendo perdono, riconosce che il peccato dei propri fratelli e anche il proprio”.
“Fu Giovanni Paolo II a chiedere chiarezza sull’Inquisizione” ha ricordato il Card. Roger Etchegaray, già Presidente del Comitato per il Grande Giubileo dell’Anno 2000, “ricordando la Tertio millennio adveniente che evoca l’inquisizione come un capitolo doloroso sul quale i Figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento (n.35)”. È ancora Giovanni Paolo II a ricordare, in una lettera scritta al Card. Etchegaray proprio in occasione della pubblicazione degli Atti che “È giusto che la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo. Nell’opinione pubblica l’immagine dell’Inquisizione rappresenta quasi il simbolo di tale antitestimonianza e di scandalo. In quel misura questa immagine è fedele alla realtà? Prima di chiedere perdono, è necessario avere una conoscenza esatta dei fatti e collocare le mancanze rispetto alle esigenze evangeliche là dove esse effettivamente si trovano”. [Agenzia Fides].
Vi riporto, a riguardo, gli interventi ufficiali dei protagonisti di tali rivelazioni: INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. ROGER ETCHEGARAY – “Il mio intervento sarà molto breve: per me, si tratta solo di dare il tono a questa conferenza stampa. E questo tono non è difficile da trovare, poiché sarà sufficiente riferirsi alla "Tertio millennio adveniente" che evoca l’Inquisizione come un "capitolo doloroso sul quale i Figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento". (n.35). È quanto ha fatto Giovanni Paolo II nel corso del Grande Giubileo, preparato dal Simposio internazionale del quale riceviamo oggi finalmente gli Atti, pubblicati grazie alle cure ostinate e quasi scrupolose di colui che ne è stato il grande timoniere, il Dott. Agostino Borromeo, sotto gli auspici della Biblioteca Vaticana e del Card. Jean-Louis Tauran. Viene, così, reso omaggio ad una verità storica alla quale la Chiesa non teme di sottomettere il suo stesso passato. L’Inquisizione ossessiona sempre le memorie e l’immaginario come mito dell’intolleranza e della violenza sgorgate dal profondo della stessa cristianità. Colgo quest’occasione per ricordare, qui, lo straordinario lavoro compiuto dalla Commissione teologico-storica del Guibileo, co-presieduta dal Cardinale Cottier e da S.E. Mons. Fisichella. Oltre alle sue pubblicazioni giubilari, non dimentichiamo altri due importanti colloqui, uno su "le radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano" e l’altro sull’ "attuazione del Concilio Vaticano II". Che la luce del Giubileo dell’Anno 2000 continui ad illuminarci e a guidarci”!
INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. JEAN-LOUIS TAURAN – “Il volume che viene quest' oggi qui presentato porta il numero 417 della serie "Studi e Testi" della Biblioteca Apostolica Vaticana, una serie prestigiosa che tre anni fa ha compiuto un secolo di vita. Come tutte le pubblicazioni che vi sono accolte, essa pure ha superato l'esame accurato di una Commissione Editoriale ed è stata accettata nella serie per il suo valore scientifico ma anche per la sua attualità, in qualche maniera rivitalizzata alla vigilia del Grande Giubileo dell'Anno 2000. La Biblioteca Vaticana è stata dunque coinvolta nel progetto esclusivamente come editore. Ciononostante, tenendo conto della contiguità a luoghi e istituzioni storicamente coinvolti e della sua natura, per così dire, "libraria" e il legame che questa parola immediatamente richiama, si può forse indagare su un qualche tramite tra Inquisizione e Biblioteca. Non è questo il luogo e il momento per una risposta esauriente. Facendo riferimento ad un'indagine in corso si può dire brevemente di un duplice legame, di beni librari e di persone. Vi furono, nei secoli, trasferimenti di materiali librari tra le due istituzioni, ancora poco noti al mondo degli studi, effettuati in entrambe le direzioni e sempre per esplicito volere pontificio. Nel 1559, ad esempio, venivano portati "cinque sacchi grandi di libri proibiti dai custodi della libreria apostolica al Sant'Officio della SS. Inquisizione di Roma".
A distanza di oltre tre secoli, parte di quei libri, insieme ad altri, molti dei quali "rarità bibliografiche", saranno nuovamente trasferiti in Biblioteca Vaticana. Nel 1934, verranno inoltre portate circa 1200 opere, scelte tra le 2000, che costituivano la Biblioteca del S. Uffizio. Questa volta però non si trattava di opere proibite: tali opere, almeno idealmente, rappresentavano il riferimento canonico, teologico e giuridico del lavoro dei Padri Inquisitori, costituivano insomma la loro Biblioteca. Il legame tra Inquisizione e Biblioteca Vaticana fu forse ancora più profondo: talvolta gli stessi eminenti prelati ebbero ruoli di responsabilità e dunque definirono la politica di entrambe le due istituzioni. Ma anche questo argomento, come l'identificazione dei materiali librari passati dal S. Uffizio alla Biblioteca Vaticana, sono tutt'ora oggetto di ricerca da parte del personale scientifico della Biblioteca Vaticana e saranno a suo tempo resi di pubblica ragione. Esprimo, anche a nome del Prefetto della Biblioteca Vaticana e di tutti i collaboratori di essa, nonché degli studiosi che la frequentano, la soddisfazione di aver preso parte a questo progetto, pur se in maniera ancillare e strumentale”.
INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. GEORGES COTTIER, O.P. – “Interrogandosi, all’inizio della sua attività, sui compiti che l’attendevano, la Commissione Storico-Teologica del Comitato per il Grande Giubileo dell’Anno 2000, ha colto subito l’importanza dei n. 33-36 della Lettera Apostolica Terzio Millennio Adveniente (1994). Leggiamo: "È giusto pertanto che, mentre il secondo Millennio del cristianesimo volge al termine, la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo. La Chiesa, pur essendo santa per la sua incorporazione a Cristo, non si stanca di fare penitenza: essa riconosce sempre come propri, davanti a Dio e davanti agli uomini, i figli peccatori. Afferma al riguardo la Lumen gentium: "La Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento". Questo messaggio aveva colpito, a tal punto, per la novità e per l’audacia, che alcuni ne erano rimasti sconcertati. Obbliga ad approfondimenti teologici. Che significa il paradosso: Chiesa santa che comprende nel suo seno i peccatori? Qual è il senso di testimonianza evangelica come dimensione dell’esistenza cristiana e di comportamenti antitetici di antitestimonianza e di scandalo? Per rispondere a queste domande, sembra perciò opportuno chiedersi ciò che costituisce un vero scandalo e dove si trova. Il campo d’indagine che i pensatori sono invitati a prospettare è vasto, e rientra nel quadro di quello che il Santo Padre ha chiamato la Purificazione della memoria, perché la memoria storica, cioè l’immagine che ci facciamo del passato, non è esente da deformazioni e pregiudizi.
Una domanda di perdono non può riguardare, va da sé, che fatti veri e obbiettivamente riconosciuti. Non si chiede perdono per alcune immagini diffuse all’opinione pubblica, che hanno più del mito che della realtà. Non per niente la Commissione è stata chiamata Storico-Teologica. Il contributo di storici era, di fatto, indispensabile. Un primo simposio ha portato sulle Radici dell’Antigiudaismo in Ambiente Cristiano (1997). Su una base storica seria, ha costituito un esame di coscienza e di riflessione da parte di teologi in vista di una teologia d’Israele. Gli Atti sono stati pubblicati nel 2000. Il volume che presentiamo oggi contiene gli Atti del secondo Simposio Internazionale, tenutosi in Vaticano nei giorni 29-31 ottobre 1998, sull’Inquisizione. È stato essenzialmente un colloquio tra storici, scelti in virtù delle loro competenze scientifiche, tenendo conto del carattere internazionale della partecipazione. Un comitato scientifico composto dai Professori Guy Bedouelle, OP., Agostino Borromeo e Jean-Pierre Dedieu, ha indirizzato la scelta degli invitati.
Il professore Agostino Borromeo, che ringrazio, si è occupato della pubblicazione degli Atti. Siamo tutti molto rammaricati del ritardo con il quale esce questo volume. È circolata la voce secondo cui la pubblicazione era frenata dall’opposizione di qualcuno. Voglio smentirla in modo assoluto. Il ritardo è dovuto ad una serie di problemi di salute. Ringrazio soprattutto la Biblioteca Apostolica Vaticana, rappresentata da Sua Eminenza il Cardinale Jean-Louis Tauran, Bibliotecario di Sua Santità, e Don Farina, Prefetto, per avere pubblicato questi Atti nella prestigiosa collana Studi e Testi. Ringrazio inoltre tutti i partecipanti al simposio, e quanti hanno collaborato alla sua riuscita, in particolare la Signora Pierrette Rombis che è stata una preziosa collaboratrice nella preparazione del simposio e nel suo ordinato svolgimento. Infine, il fatto che il Santo Padre abbia inviato il messaggio letto all’apertura della seduta, è una prova in più dell’interesse che porta all’iniziativa e dell’importanza che gli riconosce. Il simposio infatti si colloca nella preparazione di quell’avvenimento forte qual è stata la Celebrazione Liturgica della domanda di perdono, il 12 marzo 2000”.
INTERVENTO DEL PROF. AGOSTINO BORROMEO – “Il volume sull’inquisizione che stamattina viene ufficialmente presentato alla stampa raccoglie relazioni e comunicazioni lette in occasione del Simposio Internazionale svoltosi in Vaticano tra il 29 e il 31 ottobre 1998. Non è questa la sede per una sia pur sommaria analisi dell’opera. Tuttavia, al fine di comprenderne struttura e contenuto, vale forse la pena di rievocare i criteri che ispirarono la progettazione e la realizzazione del simposio. Concepire il programma di un simposio dedicato all’inquisizione globalmente considerata non fu impresa di poco conto. Con il termine inquisizione, com’è noto, si suole designare un complesso di tribunali ecclesiastici, il cui titolare, in base ad espressa delega papale, era investito della giurisdizione riguardante uno specifico delitto, il delitto di eresia. L’istituzione non nacque bell’e fatta. Durante il pontificato di Gregorio XI (127-1241) cominciano ad agire speciali commissari (inquisitores) delegati dalla Sede Apostolica con il compito di combattere l’eresia in determinate regioni. Lo sviluppo dell’attività di questi primi inquisitori e la loro crescita numerica portarono alla nascita di una istituzione ecclesiastica.
Progressivamente, con il trascorrere del tempo, il papato dotò questa istituzione di una propria organizzazione, una propria burocrazia e una propria normativa (specialmente in materia di procedure processuali) che diedero il suo volto specifico all’inquisizione. Quest’ultima, come tutti gli istituti umani, era destinata ad evolvere a seconda dei tempi e dei luoghi. Particolarmente attiva nei secoli XIII e XIV nel combattere i movimenti ereticali medievali (soprattutto catari e valdesi) , essa conoscerà una fase di declino nel secolo XV. Ma l’istituzione registrerà una successiva, rilevante ripresa della sua attività nel XVI e nel XVII secolo con la fondazione dei nuovi tribunali della penisola iberica (la cui azione fu principalmente rivolta contro i pseudo convertiti dal giudaismo e dall’islamismo) e la creazione del Sant’Ufficio romano, concepito inizialmente come strumento per la lotta contro la diffusione del protestantesimo. I tribunali finiranno con l’essere soppressi tra la seconda metà del XVIII secolo e i primi decenni del XIX secolo: in Italia sotto la spinta delle idee illuministiche e dei programmi di riforma ecclesiastica promossi dai vari principi, nella penisola iberica per effetto dell’affermarsi dell’ideologia liberale. L’ultimo tribunale a scomparire sarà infatti quello spagnolo, abolito nel 1834. Continuerà a sopravvivere la Congregazione romana del Sant’Ufficio fino alla radicale riforma di Paolo VI del 1965, il quale ne muterà persino il nome in quello odierno di Congregazione per la Dottrina della Fede. Nell’organizzare il convegno, il Comitato scientifico – presieduto dall’attuale cardinale Georges Cottier – si attenne a due principi fondamentali:
1. abbracciare l’intera storia dell’istituzione, dalle origini alla sua abolizione, cercando di identificare i temi di maggiore rilevanza; 2. individuare i nomi dei maggiori specialisti a livello internazionale da invitare sia come relatori ufficiali, sia come esperti chiamati ad animare i dibattiti con loro eventuali interventi. Per quanto riguarda il primo punto il programma prendeva l’avvio dalle vicende che portarono alla creazione dell’inquisizione nel XIII secolo, la sua attività nelle principali aree interessate dalla diffusione dell’eresia (in particolare Francia e Italia), le sue procedure. Nell’affrontare la storia moderna dell’istituzione, le relazioni furono invece divise in due categorie: quelle a taglio prevalentemente geografico (la Spagna e il Portogallo, con i rispettivi imperi coloniali, l’Italia, con particolare riferimento alla Congregazione romana del Sant’Ufficio, i Paesi Bassi, l’Inghilterra); quelle a taglio prevalentemente tematico (la repressione delle eresie giudaizzanti e islamizzanti, del protestantesimo, del fenomeno della stregoneria; la lotta contro la circolazione dei libri proibiti, sia di carattere letterario, sia di carattere scientifico, e delle Bibbie in volgare; il contesto storico in cui avvenne l’abolizione dei tribunali, la storiografia sull’istituzione).
Aprivano e chiudevano il programma considerazioni di carattere teologico allo scopo di inserire le problematiche trattate in un più ampio contesto. Per quanto riguarda il secondo punto (la scelta dei relatori), il Comitato Scientifico si attenne ad un unico criterio: quello della fama, goduta dallo studioso invitato, come indiscusso specialista dello specifico argomento da affrontare. Nei casi in cui vi fosse la possibilità di scelta tra più nomi fu privilegiato, a parità di condizioni, il criterio della internazionalità. Al convegno parteciparono infatti sia come relatori, sia come esperti, studiosi provenienti da Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta, Inghilterra, Svizzera, Germania, Danimarca, Repubblica Ceca, Stati Uniti e Canada. Il volume dato alle stampe è comunque più ricco di quanto il programma iniziale prevedesse perché, alla fine del Simposio, il Comitato Scientifico ha invitato gli esperti che avevano preso parte al dibattito a presentare un testo scritto dei loro interventi. Alcuni di essi hanno raccolto l’invito: i relativi testi sono stati intercalati tra le relazioni ufficiali alle quali, per l’argomento trattato, risultavano affini. Sul piano strettamente culturale, gli atti del Simposio sono destinati a rappresentare un’opera di riferimento per gli studi sull’inquisizione: in primo luogo, per il rigore scientifico delle relazioni, scevre da qualsiasi cedimento alla polemica o all’apologia incresciosa caratteristica di buona parte della storiografia meno recente; in secondo luogo, per la ricchezza dei dati forniti, che hanno consentito di rivedere alcuni luoghi comuni assai diffusi tra i non specialisti (il ricorso alla tortura e la condanna alla pena di morte non furono così frequenti come si è per molto tempo creduto); in terzo luogo perché, tenuto anche conto dell’ampiezza del volume, vi è motivo di sperare che la sua pubblicazione rilancerà il dibattito intellettuale sull’argomento e stimolerà nuove ricerche.
Mi auguro che la lettura del presente articolo sia stata di aiuto a tutti coloro che, pur non avendo il tempo per effettuare ricerche e per documentarsi, comunque sono spinti dal desiderio di Verità e Giustizia, in nome di Dio. Tornerò sull’argomento in futuro, con ulteriori articoli storicamente fondati, ricchi di dettagli e redatti con attenzione e peculiarità.
Carlo Di Pietro
Santa Inquisizione: sfatiamo la "favola del Lupo Mannaro" - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
Come promesso nel mio articolo circa gli "Atti del Simposio Internazionale sull'Inquisizione" in questi giorni mi sono dedicato a tempo pieno sullo studio della famigerata “leggenda nera” e, prendendo spunto da svariati testi ufficiali della Chiesa, nonché libri di storia ed enciclopedie, sono riuscito a redigere un piccolo opuscolo abbastanza oggettivo e storicamente fondato. Negare l’esistenza dei misfatti compiuti in nome di Dio sarebbe come mentire a me stesso ed all’umanità, tuttavia negli appunti che seguiranno noterete come non è tutto vero ciò che ci viene raccontato; anzi, la verità storica riportata dalla maggior parte dei testi “di regime” è pura menzogna anticristiana. Cominciamo facendo un pò di storia: “L'Inquisizione è l’istituzione ecclesiastica fondata dalla Chiesa cattolica per indagare e punire, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica”. ...
... Questo è quanto afferma l’enciclopedia on line Wikipedia. Nella realtà l’Inquisizione era un organo di controllo, facente parte dell’organigramma “Vaticano”, deputato alla difesa della fede ed di supporto ai tribunali secolari, nell’analisi dei reati di eresia. Per fare un esempio concreto, è un pò come accade oggi quando, dinanzi ad un reato, c’è un giudice dello Stato che ascolta, un pubblico ministero che formula accuse, un avvocato difensore ed infine una serie di figure (esempio i periti) che intervengono per valutare la veridicità e la fondatezza di accusa e difesa. L’Inquisizione, nel 90% dei casi, era oggettivamente un consulente in materia di fede che interveniva nei processi civili in caso di accuse di eresia.
“Storicamente, l'Inquisizione si può considerare stabilita già nel Concilio presieduto a Verona nel 1184 da papa Lucio III e dall’imperatore Federico Barbarossa, con la costituzione Ad abolendam diversarum haeresum pravitatem e fu perfezionata da Innocenzo III e dai successivi papi Onorio III e Gregorio IX, con l’occorrenza di reprimere il movimento cataro, diffuso nella Francia meridionale e nell’Italia settentrionale, e di controllare i diversi e attivi movimenti spirituali e pauperistici”. [Wikipedia].
“Nel 1252, con la bolla Ad extirpanda, Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura e Giovanni XXII estese i poteri dell’Inquisizione nella lotta contro la cosiddetta stregoneria. Tale Inquisizione medievale si distingue dall’ Inquisizione spagnola, istituita da Sisto IV nel 1478 su richiesta dei sovrani Ferdinando e Isabella, che si estese nelle colonie dell’America centro-meridionale, e dall’ Inquisizione portoghese, istituita nel 1536 da Paolo III su richiesta del re Giovanni III, che si estese al Brasile, alle Isole di Capo Verde e a Goa, in India”. Questo paragrafetto, tratto sempre da Wikipedia, tende ad essere fazioso e, in seguito, vi spiegherò nel dettaglio le mie motivazioni a riguardo.
Allo scopo di combattere più efficacemente la Riforma protestante, il 21 luglio 1542 Paolo III emanò la bolla Licet ab inizio, con la quale si costituiva l’ Inquisizione romana, ossia la «Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del Santo Uffizio». Mentre nell’Ottocento gli Stati europei soppressero i tribunali dell’Inquisizione, questa fu mantenuta dallo Stato pontificio e assunse nel 1908, regnante Pio X, il nome di «Sacra Congregazione del Santo Uffizio», finché con il Concilio Vaticano II, durante il pontificato di Paolo VI, in un clima profondamente mutato dopo il papato di Giovanni XXIII, assunse nel 1965 l’attuale nome di «Congregazione per la Dottrina della Fede».
In questo primo articolo dedicato alla Santa Inquisizione vi riporterò parte della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "il Timone" ha tenuto a Radio Maria giovedì 4 marzo 1999, durante la "Serata Sacerdotale" condotta da don Tino Rolfi, Conservando lo stile colloquiale e la divisione in paragrafi numerati:
Preliminari
1. In questa conversazione affrontiamo un argomento delicato, di cui si parla molto ma di cui si conosce poco: l'Inquisizione.
2. Quando parliamo di Inquisizione è proprio il caso di dire: basta la parola. Basta pronunciare il termine Inquisizione ed ecco che noi cattolici restiamo senza parole, ammutoliti.
3. "Come è possibile che la vostra Chiesa cattolica sia stata capace di istituire i tribunali dell'Inquisizione?" ci domandano e ci ricordano i laicisti e gli avversari della Chiesa. E noi, spesso, non sappiamo che cosa rispondere. Anzi, molti cattolici si aggiungono al coro di quelli che puntano il dito accusatorio contro la Chiesa del passato e talvolta rincarano la dose, per non sentirsi fuori moda, praticando quella strana disciplina che sta diventando comune nel nostro mondo: quella di dare le colpe di ogni male ai Cristiani del passato.
4. Gli amici radioascoltatori sanno bene che l'Inquisizione è un argomento utilizzato per denigrare la storia della Chiesa e sanno bene che denigrando la storia della Chiesa si finisce prima o poi per denigrare la Chiesa tutta intera, quindi anche la fede che essa insegna e trasmette.
5. Stasera, da buoni apologeti, quindi da difensori della Chiesa, tenteremo di fare un pò di chiarezza su alcuni aspetti dell'Inquisizione. Ripeto: su alcuni aspetti, i più utilizzati dalla propaganda anticattolica, non su tutta l'Inquisizione.
Il Rogo
6. Veniamo subito ad un primo punto. Che cosa viene in mente appena si parla di Inquisizione? Viene in mente il rogo, la morte per rogo.
7. Nell'immaginario popolare si pensa che i tribunali dell'Inquisizione siano stati istituiti per mandare tutti gli eretici al rogo. Si pensa che tutti gli inquisiti, tutti coloro che cadevano nelle terribili braccia dell'inquisitore finivano al rogo.
8. Questo è quello che si pensa, questo è quanto molto spesso ci viene detto ed insegnato e affermazioni di questo genere zittiscono ogni possibile difesa.
9. Noi ci domandiamo: le cose stanno proprio così? Vediamo qualche dato storicamente documentato, che ci aiuti a formulare un giudizio più vicino alla verità storica.
10. Innanzitutto, va precisato che la condanna al rogo per gli eretici era una pena stabilita dal diritto penale e non dal diritto canonico. Non esiste nel diritto canonico la condanna al rogo.
11. Fu uno dei più grandi avversari della Chiesa Cattolica e del Cristianesimo, l'imperatore Federico II di Svevia, che dichiarò per tutto l'impero (1231-2) - e lui era la massima autorità dell'impero e poteva farlo, allora, - l'eresia come crimine di lesa maestà, e stabilì la pena di morte per gli eretici. Ogni sospetto doveva essere tradotto davanti a un tribunale ecclesiastico e arso vivo se riconosciuto colpevole.
12. Dunque, è vero che quando il tribunale dell'Inquisizione abbandonava un eretico al braccio secolare, questi veniva condannato a morte dalla giustizia secolare, se non si pentiva, ma non era la Chiesa a condannarlo a morte, né era la Chiesa ad ucciderlo. La Chiesa si limitava a riconoscerlo come eretico che rifiutava ogni pentimento. Era il diritto penale e il braccio secolare della legge che prevedevano la morte ed eseguivano la sentenza.
13. Detto questo, entriamo un pò nel merito e qui emergono sorprese: quale stupore ci coglie tutti se esaminiamo quante sono state le condanne al braccio secolare. L'esame dei dati ci indica che i tribunali dell'Inquisizione furono estremamente benevoli, furono molto prudenti nel consegnare gli eretici al braccio secolare.
14. I dati, documentati storicamente, non mancano, basta conoscerli. Facciamo l'esempio di Bernardo Guy, che ha esercitato con una certa severità l'ufficio di inquisitore a Tolosa. Bene: dal 1308 al 1323 egli ha pronunciato 930 sentenze. Abbiamo l'elenco completo delle pene da lui inflitte: 132 imposizioni di croci - 9 pellegrinaggi - 143 servizi in Terra Santa - 307 imprigionamenti - 17 imprigionamenti platonici contro defunti - 3 abbandoni teorici al braccio secolare di defunti - 69 esumazioni - 40 sentenze in contumacia - 2 esposizioni alla berlina - 2 riduzioni allo stato laicale - 1 esilio - 22 distruzioni di case -1 Talmud bruciato - 42 abbandoni al braccio secolare e 139 sentenze che ordinavano la liberazione degli accusati.
15. L'Inquisizione di Pamiers ci fornisce i seguenti dati: dal 1318 al 1324 furono giudicati 98 imputati. Due furono rilasciati - per 21 manca ogni informazione e per questo si pensa che non subirono condanne - 35 condannati alla prigione e 5 abbandonati al braccio secolare. I rimanenti 25 furono assolti.
16. Queste proporzioni valgono anche per quella considerata la più terribile delle Inquisizioni, quella spagnola. Lo storico danese Gustav Henningsen ha analizzato statisticamente 44.000 casi di inquisiti tra il 1540 e il 1700 e ha rilevato che solo l' 1°/o fu giustiziato.
17. Soltanto l' 1% ! Questi dati contestano il mito della crudeltà dell'Inquisizione spagnola. E non solo. Lo storico statunitense Edward Peters ha confermato questi dati. Sentiamo che cosa scrive: "La vellutazione più attendibile è che, tra il 1550 e il 1800, in Spagna vennero emesse 3000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale, un numero molto inferiore a quello degli analoghi tribunali secolari"'.
18. Come vedete, grazie a questi dati, va sfatata la leggenda che tutti coloro che venivano giudicati dall’Inquisizione finivano a rogo. È una leggenda che gli storici hanno smontato, ma che perdura ancora nell'immaginario popolare. Almeno noi cattolici evitiamo di farci raggirare da essa.
La Tortura
19. Veniamo ad un secondo punto. Dopo il rogo, appena si parla di Inquisizione, l'altra cosa che viene in mente è la tortura.
20. Sappiamo che la tortura veniva applicata dai giudici inquisitori. Vi erano precise disposizioni ecclesiastiche che stabilivano la liceità di costringere l'Inquisito a confessare la sua colpa.
21. La procedura inquisitoriale ha fatto ricorso alla tortura. Essa fu ordinata con la bolla Ad extirpanda di Papa Innocenzo IV il 15 maggio 1252. Leggiamo il passo di questa bolla che ci interessa: "II podestà o il rettore della città saranno tenuti a costringere gli eretici catturati a confessare e a denunciare i loro complici".
22. Ora, di solito i denigratori dell'Inquisizione si fermano qui. E noi restiamo senza parole. Ma si dimenticano di dirci che nella stessa bolla si precisa che la tortura degli imputati non doveva "far loro perdere alcun membro o mettere la loro vita a repentaglio e, assolutamente, non doveva prevedere perdita di sangue".
23. Dunque, si prevede una tortura, ma una tortura che non può provocare mutilazioni, non può far morire il torturato. E non solo. Si prevede anche che la tortura non poteva durare, di regola, più di 15 minuti, che si poteva applicare una sola volta, che non poteva essere ripetuta e che la confessione così ottenuta non aveva alcun valore ai fini del processo se non era confermata dall'imputato dopo due giorni e in condizioni normali.
24. Ma fermiamoci un momento a riflettere. Ci rendiamo conto che queste disposizioni ecclesiastiche riguardanti la "tortura" avrebbero fatto sorridere i professionisti della tortura del nostro secolo?
25. Le testimonianze di coloro che sono finiti sotto tortura dei nazisti o dei loro degni compari comunisti ci hanno descritto veramente che cosa è la tortura e chi ha ascoltato queste testimonianze si accorge subito che la tortura prevista dalle procedure inquisitoriali è semplicemente dilettantesca.
26. Ma andiamo avanti. Sappiamo che la tortura fu applicata con somma cautela e solo in casi eccezionali. I Papi ripeterono più volte che la tortura non poteva essere spinta fino alla perdita di un membro e ancor meno fino alla morte. Si poteva applicare solo quando tutti gli altri mezzi di investigazione erano stati esauriti. Ancora una cosa: non poteva decidere arbitrariamente l'Inquisitore, magari troppo ansioso della ricerca della verità. Doveva esserci anche il parere favorevole del vescovo, e spesso vescovo e giudice inquisitore non andavano d'accordo.
27. Oggi abbiamo informazioni precise su quante volte venne applicata la tortura: -nelle 636 sentenze iscritte nel registro di Tolosa dal 1309 al 1323, la tortura fu applicata una sola volta. -A Valertela, dal 1478 al 1530 si celebrarono 2354 processi. La tortura si applicò solo 12 volte.
28. Come si vede da questi dati, non solo la tortura era estremamente più leggera di quelle che la nostra epoca, che non è un'epoca cristiana, ha escogitato, ma veniva applicata raramente, praticamente quasi mai.
Le Garanzie
29. Veniamo ad un terzo punto. Quando parliamo di Inquisizione si pensa sempre a giudici il cui potere sarebbe stato così totale, così assoluto, così insindacabile che può essere paragonato a quello esercitato nei moderni sistemi totalitari.
30. Ora, anche in questo caso bisogna sfatare questa leggenda. Non è affatto vero che i giudici inquisitoriali fossero onnipotenti e che, di conseguenza, l'imputato non avesse alcuna garanzia di un equo processo.
31. Dobbiamo subito precisare che gli inquisitori erano costantemente controllati. Papa Innocenzo IV (1246) e papa Alessandro IV (1256) ordinano ai provinciali e ai generali dei Domenicani e dei Francescani di deporre gli inquisitori dei loro ordini che, a causa della loro crudeltà, avessero provocato proteste popolari.
32. Come si vede, il papa del tempo teneva conto dell'opinione pubblica e ordinava di punire il giudice inquisitore che avesse provocato proteste popolari e fosse andato contro la Parola.
33. Non solo. Al Concilio di Vienna, papa Clemente V (1311) fulminò di scomunica - scomunica da potersi togliere solo in articulo mortis e sotto riserva della riparazione del danno - l'Inquisitore che avesse approfittato delle sue funzioni per ottenere guadagni illeciti e per estorcere agli accusati somme di denaro.
34. Andiamo avanti. I Vescovi avevano l' obbligo di segnalare al Papa tutti gli abusi che venivano commessi nel corso della procedura e di denunciare i colpevoli. Lo stesso obbligo era imposto a tutti quelli che, prestando aiuto agli inquisitori, erano in ogni istante testimoni dei loro atti.
35. Capitò anche che i vescovi di Reims e di Sens avvisarono il Papa che Robert La Bougre, un domenicano, era un inquisitore crudele. Roma indagò, questo Inquisitore viene destituito e addirittura incarcerato (1239).
36. Altro che onnipotenza ! Altro che potere insindacabile dei giudici inquisitoriali. Questa leggenda va sfatata.
37. Come va sfatata un'altra leggenda: quella che ci narra di un imputato sempre indifeso, senza garanzie e dunque destinato irrimediabilmente alla condanna.
38. Molte garanzie che le norme canoniche, cioè della Chiesa, prevedevano per l'imputato inventate in quel tempo, al tempo dei tribunali dell'Inquisizione, durano ancora oggi, sono entrate nel nostro sistema giudiziario.
39. Facciamo qualche esempio. Innanzitutto l'Inquisitore non era mai solo, ma formulava il suo giudizio circondato da una giuria, composta da laici ed era questa giuria che decideva in merito al valore da dare ai testimoni e alle testimonianze.
40. Questi laici erano esperti di diritto, e da nessun documento risulta che si accontentassero di svolgere un ruolo da comparse e, soprattutto, costituivano la garanzia che l'Inquisitore non poteva allontanarsi dal diritto a proprio piacimento.
41. Un altro esempio, un'altra garanzia per l'imputato. L'imputato poteva dichiarare di avere dei nemici mortali, doveva provarlo, doveva spiegare i motivi e fare i nomi di questi nemici. Da quel momento nessuno di quelli indicati dall'imputato poteva far parte della giuria e se vi era stato incluso veniva allontanato.
42. Un terzo esempio: per togliere ai testimoni la tentazione di approfittare del segreto di cui venivano circondati per accusare degli innocenti, gravissime pene colpivano le false deposizioni. Uno storico protestante, il più fiero avversario dell'Inquisizione, Charles Lea, scrive onestamente: "Quando veniva smascherato un falso testimone costui era trattato con la stessa severità usata per gli eretici".
43. Gli storici hanno dimostrato e qui ci sono veramente delle sorprese che le pene inflitte dall'Inquisizione venivano spesso attenuate o addirittura cancellate nella pratica.
44. Iprigionieri ottenevano permessi di congedo da passare a casa. A Carcassonne, il 13 dicembre 1250, il vescovo diede ad una certa Alazais Sicre il permesso di uscire dal carcere dov'era rinchiusa per crimine di eresia e, fino a Ognissanti, di andare dove voleva in tutta libertà. Vi sono molti esempi di questo genere, non si tratta affatto di un caso isolato.
45. Esistevano i congedi per malattia Abbiamo molti casi documentati. L'Inquisizione metteva in libertà provvisoria i detenuti le cui cure erano utili ai genitori o ai figli. Talvolta si giungeva a commutare la pena.
46. Nel 1244 l'arcivescovo di Narbonne e i vescovi di Carcassonne, di Eine, di Maguelonne, di Lodeve, di Adge, di Nimes, di Albi, di Beziers, di Saint Benoit decisero: "Nel caso in cui per l'assenza del carcerato dovesse incombere un evidente pericolo di morte dei figli o dei genitori, procurare di ovviare al pericolo facendo in modo, laddove non ci sia altro rimedio, di commutare prudentemente la pena del carcere in un'altra; occorre infatti in tal caso mitigare il rigore con la mansuetudine".
47. Perfino gli Inquisitori più severi attuarono questa prassi. Bernard de Caux, nel 1246, condannò alla prigione perpetua un eretico recidivo, Bernard Sabatier; ma nella stessa sentenza aggiunse che, essendo il padre del colpevole un buon cattolico, vecchio e malato, il figlio poteva restare presso di lui per accudirlo finché fosse rimasto in vita.
48. Malgrado il suo odio anti-cattolico, Charles Lea riconosce che "questa facoltà di attenuare le sentenze era frequentemente esercitata" e ne cita un considerevole numero di casi.
49. Nei documenti inquisitoriali, abbiamo incontrato condanne alla prigione "perpetua e irremissibile". Ma attenti a non farsi ingannare da certi modi di esprimersi del tempo. Abbiamo condanne al "carcere perpetuo per anni uno". Solitamente "perpetuo" vuoi dire 5 anni, "irremissibile" vuoi dire 8 anni. La pena dell'ergastolo non era prevista: fu inventata nel '700 illuminista, cioè nell'epoca che ha dato il via alla nostra società anticristiana e anticattolica.
50. Facciamo un'ultima considerazione e sfatiamo un'ultima leggenda. Questa leggenda dice, naturalmente, che tutti gli eretici erano buoni cristiani, che si preoccupavano solo di vivere in pace la loro fede diversa da quella ufficiale.
51. Ora, diciamo subito una cosa molto scomoda e fuori moda: non si deve pensare come è abbastanza diffuso nell'immaginario popolare che gli eretici fossero pacifici cittadini adibiti a pratiche religiose del tutto innocue.
52. Gli eretici erano puniti anche dal potere civile perchè costituivano un autentico pericolo per la pace sociale. Pensiamo ai catari. Negavano il valore del corpo, che consideravano prigione dell'anima. Questa soffre e si può liberare solo sopprimendo il corpo. Talvolta praticavano il suicidio. Condannavano il matrimonio, la famiglia e la procreazione. Non bisogna comunicare la vita. Ma distruggere la famiglia, ricordiamolo era quanto distruggere l'intera società medievale. Aborrivano il giuramento, pilastro dei rapporti personali nel Medioevo: dal giuramento traeva la sua forza ogni autorità. Lottavano anche violentemente contro la Chiesa.
53. Per fare un solo esempio: nel 1112, la diocesi di Utrecht viene sconvolta da un eretico chiamato Tanchelmo che negava l'autorità del Papa, occupava e devastava le chiese, bastonava e cacciava i preti, appoggiato da 3.000 uomini organizzati e armati. I vescovi di Utrecht e di Colonia decidono di combatterlo non con l'uso della forza, ma chiamando a predicare San Norberto, il fondatore dei Premostratensi.
54. Tanchelmo fu poi perseguitato da Goffredo il barbuto, duca di Lorena. E noi sappiamo che il duca era un acerrimo nemico e un severo persecutore della Chiesa.
55. Credo che per stasera possa bastare. Tante altre cose si dovrebbero dire. Naturalmente, gli amici radioascoltatori si saranno accorti che non ho trattato esaurientemente tutto il tema dell'Inquisizione. Ci vorrebbe ben più di una trasmissione. Ma ho voluto sottolineare solo alcuni punti scelti tra quelli più dibattuti, più utilizzati per contestare in blocco la storia della Chiesa, specialmente della Chiesa medievale, per avvertire di stare attenti, di verificare bene le cose che ci vengono dette, per incoraggiare tutti a non avere paura della verità.
Bibliografia - Jean-Baptiste Guiraud, Elogio della inquisizione, Leonardo, Milano 1994. - Jean-Pierre Dedieu, L'Inquisizione, Edizioni Paoline, Cinisello Bal.mo (MI) 1990. - John Tedeschi, Il giudice e l'eretico, Vita e pensiero, Milano 1991. - Luigi Negri, Controstoria. Una rilettura di mille anni di vita della Chiesa, San Paolo, Cinisello Bal.mo (MI) 2000. - Franco Cardini [a cura di], Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme, Casale Mon.to (AL) 1994.
Terminato questo breve articolo, non posso far altro che procedere nell’analisi di atri documenti storici e, come promesso, sarà mia premura studiarli, commentarli, impaginarli e pubblicarli sul sito. Per ulteiori dettagli, per ora, potete leggere questo altro mio "Circa gli Atti del Simposio sulla Santa Inquisizione.
Carlo Di Pietro
30/04/2010 – INDIA - Celebrati i funerali di p. Peter, il sacerdote assassinato, amico degli ammalati - di Nirmala Carvalho - Il p. Peter Bombacha è stato ucciso a colpi di forbice, con una corda intorno al collo. Ancora ignote le cause dell’efferato delitto. Il sacerdote viveva in povertà vicino agli ammalati, che spronava alla preghiera verso la Madonna.
Mumbai (AsiaNews) – Un sacerdote “semplice e molto religioso, che ha sempre svolto al meglio i propri compiti. Fraternamente unito ai sacerdoti della diocesi di appartenenza, recitava i Vespri insieme alla comunità”. È il ricordo che p. Solomon Rodrigues – parroco di S. Pietro a Koliwada e rettore del Collegio Gonsalo Garcia – ha del defunto p. Peter Bombacha. Il sacerdote, che doveva compiere a giorni 74 anni, è stato assassinato nella tarda notte di ieri a Baboola, a un chilometro dalla casa del vescovo di Vasai, un’antica città vicino a Mumbai (Maharashtra).
L’efferato omicidio è stato compiuto con un paio di forbici all’interno dell’ashram di Nirashritashramata, il monastero da lui fondato. I fedeli lo ricordano come un sacerdote semplice, che amava la vita in povertà caratterizzata da semplicità di costumi e di alimentazione. La sua missione si svolgeva fra i più poveri, senza distinzione di casta, credo o religione.
Secondo gli abitanti della zona, p. Peter passava il tempo in penitenza, digiuno e preghiera. Pregava molto per i malati, tanto che molti dei disabili locali andavano da lui per chiedere una preghiera che li curasse dalla malattia. Celebrava ogni giorno, in mattinata, la messa; la sera pregava recitando i Vespri, cui partecipavano molti fedeli. La domenica distribuiva medicinali per le malattie minori, mentre il sabato riuniva la popolazione per invocare lo Spirito Santo. Il nome del suo ashram si può tradurre con “Madre degli abbandonati, che dà rifugio”.
Il suo corpo martoriato è stato ritrovato proprio dai fedeli che aspettavano la celebrazione della messa mattutina: dato che il sacerdote non appariva, una dottoressa locale ha deciso di cercarlo scoprendo così il delitto. Oltre ai colpi di forbici, aveva una corda attorno al collo. La polizia ha aperto un’inchiesta, iniziando dal rilevare tracce e impronte digitali dalla zona del delitto. Al momento, il cadavere di p. Peter si trova nell’ospedale di Navghar, dove è stata eseguita l’autopsia.
Il funerale è stato celebrato dall’arcivescovo di Vasai Felix Anthony Machado; dal vescovo ausiliare di Mumbai mons. Percival Fernandes e da mons. Francio Correa, Cancelliere della diocesi di Vasai. Presenti i fedeli e il clero locale, che hanno voluto salutare per l’ultima volta p. Peter.
LA SINDONE, I LUOGHI, LA GENTE - COSÌ CI PARLA L’UOMO DEI DOLORI - RICCARDO MACCIONI – Avvenire, 1 maggio 2010
Il Cottolengo, Piazza San Carlo e natu ralmente il Duomo. Sono i punti car dinali del viaggio che domani porterà il Papa a Torino, ideali «segnalibro» per le pagine di fede che scriverà ai piedi del la Sindone. Cittadelle nella grande città, unite dall’affetto per il «pastore» tanto atteso, legate insieme con il filo rosso della sofferenza che dona vita. Perché quello alla Sindone non è un pellegri naggio come gli altri. La gente non si mette in fila per contemplare il miraco lo, non accende candele, più ancora di risposte cerca la voce del silenzio. O for se il miracolo c’è. Nell’offerta delle no stre e altrui solitudini, nei segni della sof ferenza più atroce riletti alla luce della Risurrezione, negli occhi chiusi dell’Uo mo
dei dolori, porte aperte sul presente del Padre.
«Guardiamo a lui nei momenti di cala mità e angustia – scriveva il cardinale Ratzinger nel 2005 per la Via Crucis al Colosseo – per riconoscere che proprio così siamo vicini a Dio». Parole che bus sano alla superficialità del nostro tem po dove, dalla bellezza ai beni materia li, sembra contare solo ciò che è desti nato a svanire. Quasi una cornice per l’incontro di domani al Cottolengo, o spedale con medici e strutture all’avan guardia ma soprattutto «casa» per gli ul timi, i malati, gli anziani, i poveri che nessuno vuole. Benedetto XVI li ascol terà, darà voce a storie di ordinario ab bandono, pregherà con chi ripete «Deo gratias» mille volte al giorno, pur non non avendo in apparenza niente.
Molti di loro si sono già messi in coda per contemplare la Sindone, specchio del Vangelo alla cui luce diventa unico e irripetibile anche chi è disprezzato. Un piccolo viaggio solo in apparenza per ché trovare la forza di aprire il cuore e di mettersi in ginocchio può essere più fa ticoso di mille chilometri a piedi. Dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza, il nome «vero» del Cottolengo, alla Catte drale, il «luogo» dell’Ostensione, sono poche centinaia di metri. Più o meno la stessa distanza che separa il Duomo da Piazza San Carlo il salotto buono di To rino, ingentilito da bar storici e ciocco laterie, con lo sguardo che spazia lonta no fino a Palazzo Reale, e dall’altra par te le due chiese gemelle, austere senti nelle della carità. Qui domani mattina Benedetto XVI celebrerà la Messa e poi tornerà nel pomeriggio per l’incontro con i giovani. Si sono preparati con cu ra i ragazzi, nella preghiera e con la ri flessione, perché la festa da sola non ba sta e il coraggio di andare controcorrente lo puoi trovare solo dentro di te. Al Papa diranno la loro voglia di vita e la paura di sentirsi diversi, metteranno nelle sue mani la fatica di crescere, gli domande ranno come trovare la strada della vera libertà.
La risposta non può che essere la scuo la del Vangelo cui l’Uomo dei dolori ri manda. Quel volto rigato dalla sofferen za, quel corpo ridisegnato dal sangue ci insegnano cosa vale davvero, sono una lezione di libertà. Un messaggio duro in apparenza ma che non esclude il sorri so, anzi lo richiede. Perché donarsi ha senso se fatto in modo gratuito. Con gioia. Che è il valore aggiunto della fede, la firma autografa di chi si dice cristiano, la cornice che valorizza il quadro. La copertina della nostra piccola storia di uomini che scriviamo ogni giorno.