Nella rassegna stampa di oggi:
1) L’ABBRACCIO AL PAPA IN PIAZZA SAN PIETRO - Ripeteremo al mondo che lui è la roccia - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 15 maggio 2010
2) Avvenire.it, L'EVENTO - Domani in piazza con il Papa - Preghiera e solidarietà - Vincenzo Grienti
3) Benedetto XVI conclude il viaggio in Portogallo ribadendo che la Chiesa è pronta a dialogare con culture e religioni - Rinnovati dall'amore per trasformare il mondo - L'attualità della missione profetica di Fátima di fronte ai gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo o individuo - L'Osservatore Romano - 14-15 maggio 2010
4) BENEDETTO XVI: ANCHE NELLA TEMPESTA, LA CHIESA È UN LUOGO DI SPERANZA - Nel messaggio al “Kirchentag”, la Giornata ecumenica delle Chiese in Germania
5) Papa Benedetto in Portogallo ha detto la verità, tutta la verità sulla sua Chiesa - di Stefano Fontana - © Copyright L'Occidentale, 15 maggio 2010
6) 14/05/2010 - INDIA - Gujarat: ragazza di 13 anni stuprata costretta ad abortire su consiglio della Corte - di Nirmala Carvalho - I giudici hanno accolto la richiesta di interruzione di gravidanza fatta dalla madre ribaltando il giudizio negativo del tribunale locale. Essi giudicano la nascita del bambino un pericolo per la salute mentale della ragazza e un problema economico e sociale per la famiglia. Mons. Agnelo Gracias, presidente della Commissione per la famiglia e per la Vita della Conferenza episcopale indiana: “La giustizia dovrebbe punire il criminale e non l’innocente”.
7) La modernità ha portato all'antropocentrismo, l'uomo si crede onnipotente e ha messo da parte Dio. L'Ascensione ci ricorda che Cristo rimane sempre con noi e non ci lascia soli. Ogni sacerdote si affidi a Maria contro le insidie del maligno - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
8) Modernità e tradizione. Una grande lezione di Benedetto XVI dal Portogallo - Massimo Introvigne - cesnur.org – dal sito Pontifex.roma.it
9) Avvenire.it, 1 Maggio 2010 - PIANETA HANDICAP - 7 disabili su 10 a carico solo dei familiari - Paolo Ferrario
10) Avvenire.it,15 Maggio 2010 - La missione cruciale dei sacerdoti - Con dolente forza per indicare la porta sul futuro - Salvatore Mazza
11) SFIDA ESSENZIALE PER L’EUROPA - La famiglia è diritto da riscoprire - GIANNI PITTELLA E ROBERTA ANGELILLI* - Avvenire, 15 maggio 2010
L’ABBRACCIO AL PAPA IN PIAZZA SAN PIETRO - Ripeteremo al mondo che lui è la roccia - ASSUNTINA MORRESI – Avvenire, 15 maggio 2010
Doma ni D in Piazza San Pietro ci sarò anch’io, con la mia fa miglia, per pregare in sieme al Papa. Partiremo da Perugia la mattina presto, con altre famiglie: gli amici di sem pre, quelli che non mancano mai nei momenti importanti, belli o brutti che siano, quelli con cui si condivide la vita. E sappiamo già che ce ne saran no tanti altri come noi, doma ni, a San Pietro: facce nuove e gente già vista. Ci incontrere mo tutti lì a pregare, abbrac ciati dal colonnato della basilica, dove il clima è sempre di festa e si respira un’aria di fa miglia, ci si sente a casa.
Non c’è stato bisogno di tante parole per decidere di partire, e neppure per spiegarlo ai figli, che hanno subito capito quanto sia importante essere a Roma, domani, e allo stesso tempo quanto sia naturale an darci insieme agli amici più cari.
Difficili e duri, i mesi passati, per noi cattolici: abbiamo pro vato dolore per le accuse terri bili, che non avremmo mai potuto e voluto credere che fossero vere, ma abbiamo avu to anche piena consapevolez za di un attacco pericoloso e senza precedenti, durissimo, crudele e profondamente in giusto nei confronti del nostro Papa. Un attacco mirato a in fangarne la figura personale e soprattutto quella di Vicario di Cristo, per intaccarne la credi bilità. La violenza colpevole di alcuni uomini di Chiesa verso i più piccoli si è rovesciata con tro la Chiesa stessa, ed è stata usata per tentare colpirne il cuore.
Benedetto XVI non si è sottrat to alla prova, e con tutti i gesti, con la sua stessa vita di queste settimane, dalla lettera alla Chiesa d’Irlanda al pellegri naggio a Fatima, ha dato l’uni ca risposta convincente a tutto ciò: ci ha testimoniato la sua fede in Gesù. Forse mai come adesso il Papa è stato per tutti noi la roccia su cui è edificata la Chiesa, la pietra sulla quale poggiare: si è fatto carico in prima persona della situazio ne, indicandoci la strada da percorrere. Ci ha detto qual è la certezza della sua vita, ricor dandoci la nostra, confortando per il male subìto e al tem po stesso parlando con verità, giudicando i fatti, chiedendo giustizia umana e divina. Sen za abbandonare nessuno ma indicando a tutti dove guarda re, dove riporre la speranza.
In questi mesi lo abbiamo sempre accompagnato con di screzione, con le nostre pre ghiere: domani vogliamo ren dere visibile a tutti il nostro grande affetto per lui, dirgli che siamo e saremo per sem pre insieme a lui, con lui Vica rio di Cristo in terra, perché solo con lui noi possiamo vi vere la nostra esperienza di popolo cristiano in cammino.
Quando si prova un sentimen to profondo, si sente il bisogno di renderlo pubblico, di rac contarlo a tutti, dagli amici più intimi agli estranei, ed è allora che diventa ancor più vero: il nostro essere parte di un po polo, insieme al nostro Papa, come figli intorno a un Padre, questo vogliamo dire al mon do, pregando con il Papa e per il Papa.
E per tutto questo saremo a San Pietro, domani
Avvenire.it, L'EVENTO - Domani in piazza con il Papa - Preghiera e solidarietà - Vincenzo Grienti
Dare voce ai sentimenti, molto diffusi a livello popolare di fedeltà, gratitudine e sostegno filiale a Benedetto XVI. È l’aria che si respira alla vigilia dell’arrivo a Roma di decine di migliaia di fedeli da tutta Italia che hanno raccolto l’invito della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali a ritrovarsi in piazza domani. La parola d’ordine è arrivare per tempo ben prima della preghiera del Regina Coeli. Alle 11, infatti, il colonnato del Bernini accoglierà gli aderenti ad associazioni e movimenti ecclesiali che parteciperanno a una celebrazione della Parola presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. «Come pastori siamo accanto al laicato cattolico, raccogliendo l’invito delle realtà che aderiscono alla Consulta nazionale delle aggregazioni laicali. La solidarietà al Papa in questo tempo di prova – sottolinea il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei dal sito www.cnal.it – e l’adesione convinta al suo magistero sono un segno concreto di comunione ecclesiale». Un gesto di unità che si è venuto costruendo in questi giorni come Avvenire ha puntualmente documentato ospitando le adesioni di numerosi movimenti e associazioni e le testimonianze di chi si prepara a partire (vedere lo spazio qui sotto).
«Testimoniare l’affetto e la vicinanza a Benedetto XVI è dovere morale per ogni cristiano, e lo è anche per ogni vincenziano», nota Claudia Nodari, presidente nazionale della Federazione della Società di San Vincenzo De Paoli. «Siamo vicini al Papa – prosegue – anche contro il tentativo di cancellare tutto il bene che la Chiesa ed i suoi ministri hanno fatto e continuano a fare per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo».
«Sentiamo il dovere di ringraziare il Pontefice per l’esempio che ci offre e per il suo costante insegnamento a fronteggiare il male non con il male, ma con il bene», sottolinea il presidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani, Francesco D’Agostino. Anche i giuristi cattolici, aggiunge il presidente, saranno in San Pietro domani «per pregare e per dare un segno della comunione che unisce tutti coloro che sono in ascolto della Parola di Dio».
Anche il consiglio esecutivo dell’Assemblea dei dipendenti laici vaticani in un comunicato ha segnalato ai propri associati l’appuntamento di domenica. «Condividiamo l’iniziativa nel desiderio di far sentire a Benedetto XVI tutto il nostro affetto e supporto in questo momento, come fedeli e come suoi collaboratori» si legge. E sono decine i comunicati e le segnalazioni di adesione all’iniziativa – pervenuti anche dalle diocesi italiane, molte delle quali hanno anche promosso iniziative specifiche – che stanno giungendo in queste ore alla segreteria della Cnal, disponibili nel sito www.cnal.it. Il sito della Consulta a partire dalle 10,55 di domani fino alle 12,20 trasmetterà in diretta audio-video il momento di preghiera e di incontro. Attesi treni speciali e centinaia di autobus da tutta la Penisola provenienti anche da diocesi, parrocchie, scuole e università. L’incontro sarà seguito in diretta da Tv2000 a partire dalle 10,55 e da «A Sua immagine» (Raiuno) dalle 10,30. Il blog www.asuaimmagine.blog.rai.it, che ha lanciato l’iniziativa «Il tuo sms al Papa», è stato raggiunto da 15mila contatti al numero 335.1863091. A conclusione della giornata domani alle 15, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Bagnasco presiederà una Messa.
Vincenzo Grienti
Benedetto XVI conclude il viaggio in Portogallo ribadendo che la Chiesa è pronta a dialogare con culture e religioni - Rinnovati dall'amore per trasformare il mondo - L'attualità della missione profetica di Fátima di fronte ai gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo o individuo - L'Osservatore Romano - 14-15 maggio 2010
Solo cristiani che imparano da Dio a essere persone "per gli altri" possono toccare il cuore degli uomini e trasformare il mondo. Nel lasciare il Portogallo venerdì 14 maggio, a conclusione del viaggio iniziato lo scorso martedì, il Papa conferma la concretezza profetica del messaggio di Fátima. E ribadisce che il compito della Chiesa oggi è quello di "dialogare con culture e religioni diverse, cercando di costruire insieme a ogni persona di buona volontà la pacifica convivenza dei popoli". Si tratta - spiega nell'omelia della messa celebrata in mattinata a Porto - di "rinnovare la faccia della terra partendo da Dio, sempre e solo da Dio". Perché nella missione dei credenti al servizio dell'umanità - assicura - "tutto si definisce a partire da Cristo".
Di concordia Benedetto XVI torna a parlare al momento del congedo dal Paese, ricordando che essa è "essenziale per una salda coesione" e "necessaria per affrontare con responsabilità comune le sfide" che attendono la popolazione lusitana. Nell'ultimo discorso prima della partenza il Pontefice raccomanda ai portoghesi di coniugare sempre "il profondo senso di Dio" con "l'apertura solidale" ai valori dell'umanesimo cristiano. E rivela: "A Fátima ho pregato per il mondo intero chiedendo che il futuro porti maggiore fraternità e solidarietà, un maggiore rispetto reciproco e una rinnovata fiducia e confidenza in Dio".
Proprio dalla cittadina portoghese legata alle apparizioni mariane del 1917 il Papa aveva rilanciato l'attualità della "missione profetica" del messaggio della Vergine di fronte ai "gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo" ancora prevalenti nella storia dell'umanità. La fede in Dio - aveva sottolineato nella messa celebrata giovedì mattina sulla spianata del santuario - "apre all'uomo l'orizzonte di una speranza certa": a patto che egli si abbandoni "pieno di fiducia nelle mani dell'Amore che sostiene il mondo".
Forza di trasformazione e "legge fondamentale della perfezione umana", l'amore - aveva poi ribadito incontrando gli organismi della pastorale sociale - è alla radice della "proposta creativa" della Chiesa di fronte alle esigenze dello "sviluppo umano integrale". Da qui la necessità di "formare una nuova generazione di leader servitori" capaci di sottrarre l'attività caritativa alla logica dell'efficienza e della visibilità o agli influssi della politica e delle ideologie, per guardare unicamente al bene comune e ai bisogni delle persone. Un impegno, questo, che il Papa non considera monopolio esclusivo dei laici. Tanto che ai presuli del Paese, incontrati giovedì sera a Fátima, ha ricordato che autorità, responsabilità e paternità episcopale non vanno mai separate dal compito di essere "profeti della giustizia e della pace" e "voce dei più deboli", in particolare "degli oppressi, degli umiliati e dei maltrattati".
(©L'Osservatore Romano - 14-15 maggio 2010)
BENEDETTO XVI: ANCHE NELLA TEMPESTA, LA CHIESA È UN LUOGO DI SPERANZA - Nel messaggio al “Kirchentag”, la Giornata ecumenica delle Chiese in Germania
ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Anche nei momenti di tribolazione, la Chiesa resta luogo della speranza: è quanto scrive Benedetto XVI nel messaggio inviato ai partecipanti al Kirchentag, la Giornata ecumenica delle Chiese, apertasi giovedì a Monaco di Baviera, sul tema “Affinché abbiate la speranza”.
“La Chiesa è veramente luogo di speranza?”, una domanda ha riconosciuto Benedetto XVI, secondo quanto riferito dalla Radio Vaticana, che si è fatta più urgente in questi mesi in cui “siamo stati confrontati costantemente con notizie che vorrebbero toglierci la gioia della Chiesa, oscurarla come luogo di speranza”.
Come fecero i servi del padrone nella parabola del Regno dei Cieli, scrive il Papa, anche noi ci chiediamo da dove venga la zizzania. Una zizzania, prosegue, che “esiste proprio in mezzo alla Chiesa e tra coloro che il Signore in modo particolare ha chiamato al suo servizio”.
Eppure, rassicura, “la luce di Dio non è tramontata, il frumento buono non è stato soffocato dalla semina del male”. Anzi, afferma, “se osserviamo non soltanto quanto vi è di oscuro, ma anche quello che è luminoso nel nostro tempo, vediamo come la fede renda le persone pure e buone e le educhi all’amore”.
La Chiesa, ribadisce il Papa, è dunque luogo di speranza, “perché da essa continua a venire a noi la Parola di Dio che ci purifica e ci indica la via della fede”. Il Signore, infatti, “continua a donarsi nella grazia dei Sacramenti” e “questo non può essere oscurato né distrutto dal nulla”.
Di questo, si legge ancora, “dobbiamo gioire nei momenti di tribolazione”. Tuttavia, è il monito del Papa, parlare della Chiesa come “luogo della speranza che viene da Dio” implica allo stesso tempo “un esame di coscienza”, verificando se siamo disposti ad estirpare la zizzania che è in noi.
“Mentre riflettiamo su tutto quello che possiamo e dobbiamo fare – constata poi – ci rendiamo conto che le cose più grandi non le possiamo fare”.
Esse, annota il Papa, “possono venire a noi soltanto come un dono: l’amicizia, l’amore, la gioia, la felicità”. Anche la vita, prosegue, “non possiamo darcela da soli”. Oggi, aggiunge, “quasi nessuno parla più della vita eterna, che una volta era il vero oggetto della speranza”.
Senza speranza, infatti, vediamo che la vita “inevitabilmente diventa egoista e alla fine rimane insaziata”, e la vera fonte della speranza è Gesù Cristo.
“Noi – scrive il Papa – non siamo stati lasciati soli. Dio è vivo”, “possiamo rivolgerci a Lui e Lui mi ascolta”.
Noi “possiamo conoscere Dio” e “Lui conosce noi”. Questa, conclude il Papa, è “la nostra speranza e la nostra gioia”.
Papa Benedetto in Portogallo ha detto la verità, tutta la verità sulla sua Chiesa - di Stefano Fontana - © Copyright L'Occidentale, 15 maggio 2010
Più che in ogni altra occasione Benedetto XVI sembra aver voluto dire la verità, tutta la verità, nella sua visita in Portogallo. E non tanto la verità da annunciare al mondo, quanto la verità della Chiesa, perché solo se la Chiesa si riappropria della sua verità può anche essere un servizio al mondo, lo può richiamare quando sbaglia e indicargli la strada.
A Fatima il Papa ha usato parole chiare, come si fa in famiglia, dentro le mura domestiche, e si parla ai “nostri”, a quelli che sanno e che hanno visto. Un esame di coscienza in famiglia, fatto davanti agli umili, ai semplici, al popolo cristiano dei santuari e di Fatima in particolare: folle immense che però sembrano come sparire, assorbite dalla superficie porosa di un mondo che tutto metabolizza, quando il papa lascia le spianate ove celebra le messe. Come se il mondo, per conto suo, continuasse ad andare per la sua strada e tutto ciò non avesse influenza.
Tre discorsi di Benedetto XVI a Fatima hanno costituito come un colloquio interno alla Chiesa. Il 12 maggio, ai cattolici impegnati nel sociale il Papa ha invitato ad una presenza, ad una viva testimonianza nel mondo. Ha anche indicato esplicitamente la necessità di rifarsi, in questo impegno, all’orizzonte della Dottrina sociale della Chiesa: «Lo studio della sua dottrina sociale, che assume come principale forza e principio la carità, permetterà di tracciare un processo di sviluppo umano integrale che coinvolga le profondità del cuore e raggiunga una più ampia umanizzazione della società. Non si tratta di semplice conoscenza intellettuale, ma di una saggezza che dia sapore e condimento, offra creatività alle vie conoscitive ed operative tese ad affrontare una così ampia e complessa crisi». Si è trattato di un forte invito alla presenza, «Consapevoli, come Chiesa, di non essere in grado d’offrire soluzioni pratiche ad ogni problema concreto, ma sprovvisti di qualsiasi tipo di potere, determinati a servire il bene comune, e pronti ad aiutare e ad offrire i mezzi di salvezza a tutti», ma non perciò rinunciatari o dimessi, bensì consapevoli di doverci essere, insieme, sotto la guida della Chiesa e della sua dottrina sociale.
Questo invito, rivolto a grandi masse di persone impegnate, oggettivamente però contrastava con l’evoluzione recente della società portoghese, oggetto di una secolarizzazione molto violenta che nel giro di pochi anni ha permesso l’approvazione di leggi fortemente contestate dal Papa come l’aborto e il riconoscimento delle unioni omosessuali. Questo contrasto ha fatto da sfondo a tutto il viaggio di Benedetto XVI, ormai missionario in una terra sconsacrata più che pellegrino in una nazione cristiana. Le grandi folle al suo passaggio non hanno potuto nascondere questa realtà. E allora, ecco il grande tema: cosa resta dell’impegno sociale e politico dei cattolici, cosa della loro Dottrina sociale, cosa delle loro attività caritative se viene meno la fede, se attorno l’apostasia dalle radici cristiane si allarga e se Dio è sempre meno presente nella scena pubblica perché è sempre meno presente nelle coscienze? Torna il problema fondamentale a cui sembra aver dedicato tutte le sue forze questo Pontefice, il tema della famosa Lettera sul ritiro della scomunica ai vescovi di Ecône: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l´accesso a Dio. Non ad un qualsiasi Dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell´amore spinto sino alla fine - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia é che Dio sparisce dall´orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l´umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo».
Qualcosa di analogo è stato detto anche a Fatima, il giorno precendente 11 maggio: «precisamente oggi la priorità pastorale è quella di fare di ogni donna e uomo cristiani una presenza raggiante della prospettiva evangelica in mezzo al mondo, nella famiglia, nella cultura, nell’economia, nella politica. Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista». Si parla di sogni di nuove generazioni di politici cattolici, ma i cattolici sono sempre di meno; si parla di presenza pubblica del cristianesimo, ma i cristiani sono sempre di meno. Queste cose sono state dette davanti a delle folle, e perciò appaiono così incisive. Non si può negare che questo Pontefice abbia rilanciato, e motivato con grande profondità teologica e con fine sapienza ecclesiale, la necessità della presenza storica del cristianesimo, soprattutto in Occidente, ma lo ha fatto segnalando egli stesso la prima grande carenza che dall’interno si oppone a questo progetto e che lo rende difficoltoso e problematico: la diminuzione della fede, che rende impossibile qualsiasi altro obiettivo.
Durante il viaggio, parlando con i giornalisti, il Papa – prontamente ripreso dai media - ha detto che la Chiesa non è mai veramente perseguitata dall’esterno, ma sempre prima di tutto dall’interno, ossia dal peccato dei cristiani. Insomma, le sue difficoltà sono sempre e solo dovute ad una mancanza di fede. La frase è stata letta in relazione alla pedofilia, ma aveva un significato molto più vasto e profondo. «Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?». Come non vedere, in questo ultimo passaggio, un riferimento alle numerose proposte di maggiore collegialità nella Chiesa, di riforma della Curia romana, di revisione della struttura monarchica della Chiesa come se ciò fosse la panacea di tutti i mali?
Benedetto XVI ha l’idea che all’origine c’è un problema di fede, che governare la Chiesa significhi prima di tutto pregare ed aver fede, che la presenza pubblica dei cristiani si estinguerà se non alimentata dalla fede e che il mondo stesso ne sarà impoverito. Tutto ciò, infatti, è stato ribadito a Fatima non solo davanti alle folle ma anche davanti alla Madonna.
© Copyright L'Occidentale, 15 maggio 2010
14/05/2010 - INDIA - Gujarat: ragazza di 13 anni stuprata costretta ad abortire su consiglio della Corte - di Nirmala Carvalho - I giudici hanno accolto la richiesta di interruzione di gravidanza fatta dalla madre ribaltando il giudizio negativo del tribunale locale. Essi giudicano la nascita del bambino un pericolo per la salute mentale della ragazza e un problema economico e sociale per la famiglia. Mons. Agnelo Gracias, presidente della Commissione per la famiglia e per la Vita della Conferenza episcopale indiana: “La giustizia dovrebbe punire il criminale e non l’innocente”.
Mumbai (AsiaNews) – L’Alta corte del Gujarat autorizza l’aborto per una ragazza di 13 rimasta in cinta dopo uno stupro e al momento ancora sotto shock. La decisione è stata presa lo scorso 10 maggio e ribalta il giudizio negativo del tribunale locale che il 30 marzo scorso ha rigettato la richiesta di interruzione di gravidanza fatta dalla madre della giovane. L’Alta corte ritiene la nascita del neonato un pericolo per la salute mentale e fisica della ragazza e aggiunge che potrebbe causare in futuro problemi di natura sociale ed economica per la famiglia.
In India l’aborto è legale dal 1971. A farne ricorso sono soprattutto le donne degli strati più poveri della società, che non potendo accudire i nascituri preferiscono interrompere la gravidanza. Nel caso di violenza sessuale su minore, molto diffusa tra la popolazione povera, i giudici risolvono il problema inducendo le vittime ad abortire.
Interpellato da AsiaNews mons. Agnelo Gracias, presidente della Commissione per la famiglia e per la Vita della Conferenza episcopale indiana, inquadra il caso all’interno della sfera morale e non legale. “Ciò che è possibile nella legge – afferma il prelato – non è detto che lo sia sul piano morale. Anni fa i giornali hanno riportato la notizia di un gruppo di giudici olandesi intenzionati a legalizzare i rapporti con gli animali. Anche se questo fosse accaduto, la zoofilia non potrebbe mai essere permessa a livello morale…Da questo punto di vista terminare la vita di un innocente non deve essere mai concesso”.
Mons. Gracias non riduce però la drammaticità del caso. “Per la ragazza – dice – deve essere stata un’esperienza terribile e tutti dobbiamo avere compassione per lei, ma questo non giustifica l’aborto. La vita umana che è dentro di lei è innocente e non merita la morte”.
Per il prelato dietro la compassione deve esserci un sostegno attivo. “Bisogna aiutare la ragazza a uscire fuori dal trauma – afferma - e trovare una sistemazione al bambino, dandolo in adozione in modo che la vittima possa iniziare una nuova vita e dare al neonato un futuro senza l’onta della vergogna. La Chiesa darebbe volentieri questo aiuto, se richiesto”.
“Dietro il sostegno – aggiunge – è necessario prevenire il ripetersi di casi di stupro. Una punizione esemplare dei malfattori potrebbe servire da deterrente e un rapido sistema di giustizia farebbe capire ai criminali che la violenza sessuale non è tollerata in una società civilizzata. La giustizia dovrebbe punire il criminale e non l’innocente”.
La modernità ha portato all'antropocentrismo, l'uomo si crede onnipotente e ha messo da parte Dio. L'Ascensione ci ricorda che Cristo rimane sempre con noi e non ci lascia soli. Ogni sacerdote si affidi a Maria contro le insidie del maligno - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
Domani la Chiesa celebra la Festa dell' Ascensione, tappa che precede la Pentecoste, ovvero la venuta del Paraclito. Del signigicato teologico dell' Ascensione, parliamo con il noto teologo e demonologo, professor don Renzo Lavatori. Professor Lavatori, che cosa ci dice l' Ascensione?: " anticipa di fatto quell' evento di grazia e di gioia che fu la Pentecoste, ovvero la venuta dello Spirito Santo, il quale fa vincere ai discepoli il timore che avevano e li fa andare allo scoperto, senza paura a proclamare la Parola di Dio". Cristo ascende al Cielo, che cosa significa?: " Cristo termina dopo 40 giorni, la sua avventura sulla terra e torna nella gloria alla casa del Padre. Ma questo evento non é nulla di traumatico, non va visto con paura, ma con gioia e speranza. Cristo non ci abbandona, non ci lascia al nostro destino e infatti nella Scrittura si dice che sta con noi sino alla fine dei tempi. Ascende, torna alla detsra del Padre nella sua ...
... gloria e per la nostra redenzione". Di fatto é anche un invito o meglio una premonizione alla natura missionaria della Chiesa: " questo sarà più evidente ed accentuato con la Pentecoste, ma sicuramente nell' Ascensione Cristo a mezzo di un angelo, rassicura gli Apostoli, che lo guardavano scomparire con timore: che state a fare qui fermi? Andate, raccoglietevi e preparatevi ad annunciare a tutti la Parola. Ecco la grande missione della Chiesa, parlare a tutti per la conversione del mondo".
Nell' Ascensione vi é anche un riferimento niente affatto implicito a cercare le vette di lassù, una visione verticale della vita: " ecco, Cristo e la sua Parola ci invitano sempre a cercare le cose di lassù, senza fermarsi alla mera esteriorità o alla superficialità. Abbiamo davvero bisogno del trascendente e del soprannaturale, questo fa parte della dimenzione umana che anela al sacro, anche se talvolta lo si nega. Ma ognuno nella vita ha guardato al cielo e quel cielo infinito é Dio nella sua bellezza e nella sua gloria. Nei momenti di sconforto spesso crediamo che non esista, dubitiamo, ma Lui é sempre con noi anche se parla linguaggi diversi, non sempre comprensibili alla nostra finitezza umana".
Oggi che uomo é?: " va detto chiaramente che la tecnologia, il progresso scientifico, cose in sé stesso positive e buone, ci aiutano e rendono migliore la vita da molti punti di vista e negarlo sarebbe ingiusto. Ma é dannoso fare del progresso un mito, una cosa onnipotente nella quale riporre ogni fiducia. Chi non tradisce mai é Dio e creare falsi idoli come la ricchezza, il benessere o la stessa tecnologia, diventa un pericolo. Il modernismo attuale, spiacevolmente, ha portato all' autocentrismo, alla tentazione per l' uomo di credersi onnipotente, autosufficiente, signore re del mondo ed invece non é nulla. Senza di Cristo si legge, non possiamo fare nulla. Dice nulla e non poco".
Il Papa a Fatima ha invitato i sacerdoti a confidare nella Madonna per allontanare le seduzioni del Maligno: " ha fatto bene. L' uomo ha pur sempre il libero arbitrio e molto dipende anche da lui. Ma la Madonna é colei che ha schiacciato la testa del serpente, di colui che rappresenta il male e il diabolico. Pertanto ogni sacerdote bene farebbe ad affidarsi alla protezione e alla filiale cura di Maria, potente antidoto contro il Diavolo".
Bruno Volpe
Modernità e tradizione. Una grande lezione di Benedetto XVI dal Portogallo - Massimo Introvigne - cesnur.org – dal sito Pontifex.roma.it
Mentre – in modo peraltro comprensibile – l’attenzione sul viaggio del Papa in Portogallo si concentra sull’interpretazione del messaggio di Fatima e sulle sue relazioni con la crisi nella Chiesa che nasce dagli episodi dei preti pedofili, per molti rischia di andare perduta la straordinaria lezione della modernità impartita da Benedetto XVI nel Paese iberico, che ci riporta al cuore stesso del magistero di Papa Ratzinger. Nel discorso del 2006 a Ratisbona e nell’enciclica Spe salvi del 2007 il Pontefice aveva già proposto un giudizio sui momenti centrali della modernità: Lutero, l’illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti aveva distinto un aspetto esigenziale dove c’è qualche cosa di condivisibile – la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell’illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni ...
... sociali e politiche dell’illuminismo per le ideologie novecentesche – e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l’acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare. Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale; l’illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare; le ideologie del Novecento criticando l’idea astratta di libertà dell’illuminismo finisco per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità dunque a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.
Il tema ha anche una sua attualità all’interno della Chiesa, dove il magistero di Benedetto XVI si è concentrato sulla corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si dice, senza sbagliare, che il Concilio si fece carico della modernità. Ma questo significa che il Concilio accolse le istanze del moderno oppure che condivise anche le risposte dell’ideologia della modernità a queste istanze? Nel primo caso il Concilio può essere letto alla luce della Tradizione della Chiesa, che – dal Concilio di Trento, il quale si confrontò con le domande poste da Lutero dando però risposte totalmente diverse, fino a Leone XIII, di cui ricorre quest’anno il secondo centenario della nascita, di fronte alle ideologie nascenti – ha sempre accolto le istanze proposte dalla storia trovando nel suo patrimonio gli elementi per farvi fronte. Nel secondo caso il Vaticano II sarebbe invece un’innovazione radicale, un cedimento della Chiesa all’ideologia della modernità, una rivolta contro la Tradizione da leggere secondo quella che Benedetto XVI chiama “ermeneutica della discontinuità e della rottura” rispetto a tutto quanto è venuto prima.
In Portogallo il Papa torna su questi temi: e il discorso del 12 maggio a Lisbona rivolto al mondo della cultura è destinato a prendere posto fra i discorsi principali del suo pontificato. Qui, come di consueto, il punto di partenza è il Vaticano II, “nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita”. Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le “istanze”, di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma “superandole” –, e gli “errori e vicoli senza uscita” in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole e di condivisibile.
Per il Papa la modernità come plesso di esigenze può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità come ideologia dev’essere invece oggetto di una rigorosa critica. Questa ideologia comporta il rifiuto della tradizione – quella con la “t” minuscola, come patrimonio culturale trasmesso dalle generazioni passate, e quella con la “T” maiuscola come verità conservata e veicolata dalla Chiesa – e l’idolatria del presente. In Portogallo il Papa denuncia un’ideologia che “assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato” e quindi fatalmente finisce per presentarsi “senza l’intenzione di delineare un futuro”. Considerare il presente la sola “fonte ispiratrice del senso della vita” porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo – e non solo – “ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una ‘sapienza’, cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un ‘ideale’ da adempiere”, strettamente legati all’idea di verità e all’identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque “si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo”. Il “‘conflitto’ fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita”. In questo conflitto la Chiesa non ha dubbi su da che parte stare. “La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione”: parole di Benedetto XVI che richiamano – certo con uno stile e un linguaggio diverso – quelle del suo predecessore san Pio X nella lettera apostolica del 1910 Notre charge apostolique secondo cui “i veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti”.
La difesa della verità contro il culto relativistico e anti-tradizionale del presente è una missione “per la Chiesa irrinunciabile”, ripete Benedetto XVI. “Infatti il popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia”. Chi rinuncia alla tradizione e taglia il suo legame con il passato in nome di un culto modernistico del presente si priva al tempo stesso di ogni vera possibilità di “delineare un futuro”.
Massimo Introvigne - cesnur.org
Avvenire.it, 1 Maggio 2010 - PIANETA HANDICAP - 7 disabili su 10 a carico solo dei familiari - Paolo Ferrario
Leggi all’avanguardia ma risorse scarse per realizzarle. È contrastante il quadro della situazione della disabilità in Italia, presentato ieri dall’Istat, che ha pubblicato un volume sulle condizioni di salute, l’esperienza lavorativa, le relazioni familiari e, più in generale, il livello di partecipazione sociale delle persone con disabilità nel nostro Paese. Quelle che vivono in famiglia sono 2 milioni e 600mila, pari al 4,8% della popolazione totale, mentre 190mila sono le persone disabili ospitate in istituto. La disabilità è un problema che coinvolge soprattutto gli anziani (il 44,47% ha più di 80 anni) e le donne, che rappresentano il 66,2% del totale. Il “peso” della disabilità è portato quasi per intero dalle famiglie, sulle quali ricade la «carenza dei servizi», denunciata dall’istituto di statistica. Due i campi dove il divario tra disabili e non disabili è ancora drammaticamente evidente: la scuola e il lavoro (vedi anche articolo a lato).
«Le politiche sull’inserimento scolastico e lavorativo – evidenziano i ricercatori dell’Istat – non hanno ancora conseguito pienamente gli obiettivi prefissati, come testimoniano i dati sui livelli di istruzione delle persone con disabilità, sensibilmente più bassi rispetto al resto della popolazione, e sul numero di occupati che non sono ancora in linea con il resto del Paese».
A livello territoriale, la disabilità è più diffusa nell’Italia insulare (5,7% della popolazione totale) e nel Sud (5,2%), mentre al Nord la percentuale di persone disabili supera di poco il 4%. Per quanto riguarda la tipologia di disabilità, circa 700mila persone hanno difficoltà nel movimento, ossia dichiarano limitazioni motorie, altre 376mila non sono in grado di svolgere, da sole, le principali attività di cura personali e ulteriori 271mila persone denunciano problemi nella sfera delle comunicazioni, quali l’incapacità di vedere, sentire o parlare.
Per la stragrande maggioranza (93%), queste persone vivono in famiglia, «che rappresenta una risorsa fondamentale per affrontare le limitazioni derivanti dalla disabilità», anche se esiste una quota non piccola (32%) di disabili che abitano da soli. Per l’85% di queste persone, inoltre, la fonte principale di sostentamento è la pensione, mentre nella popolazione totale è il reddito da lavoro (45%). Invece, soltanto il 3% dei disabili ha come fonte principale un reddito da lavoro, quota che sale al 6% tra gli uomini. Va da se che alla famiglia tocca “integrare” per garantire al congiunto disabile una qualità della vita dignitosa. Non sempre però questo è possibile, anche sul versante dell’assistenza sanitaria. Se, infatti secondo i dati Istat il 13,2% delle famiglie ha fatto ricorso all’assistenza domiciliare sanitaria per il parente disabile, il 32,8% dei nuclei non ne ha usufruito ma ne avrebbe avuto bisogno. In ogni caso, fino ad oggi circa una famiglia su due, con soggetti disabili, riceve aiuti che, nella maggior parte dei casi, si traducono in prestazioni gratuite provenienti da persone non coabitanti.
«Ma la tenuta della rete di solidarietà – avvertono dall’Istat – dipende dalla capacità dei “policy makers” di orientare l’attenzione anche alle esigenze emergenti nel resto della società e di erogare interventi adeguati e tempestivi. L’intervento di politiche orientate a supportare le famiglie con disabili, attraverso l’erogazione di servizi idonei a soddisfare i loro bisogni, ha anche l’importante ruolo di facilitare l’integrazione di tali famiglie all’interno della nostra società col superamento delle barriere culturali, per esempio allo scopo di colmare l’esistente gap territoriale delle famiglie con disabili nel Mezzogiorno rispetto a quelle del Centronord».
Paolo Ferrario
Avvenire.it,15 Maggio 2010 - La missione cruciale dei sacerdoti - Con dolente forza per indicare la porta sul futuro - Salvatore Mazza
Se il Papa usa un aggettivo come «terrificante», di sicuro non lo fa a cuor leggero. Soprattutto se, con quello, intende far echeggiare nelle coscienze di credenti e non credenti la dolente consapevolezza che alle persecuzioni dei «nemici di fuori» si è aggiunta quella «più grande» che «nasce dal peccato nella Chiesa». Era martedì scorso, e Benedetto XVI stava volando verso il Portogallo; gli era stato chiesto se, nel messaggio di Fatima sulle sofferenze dei Papi, fosse possibile anche inquadrare quelle provocate dagli abusi che alcuni sacerdoti hanno compiuto nell’ultimo mezzo secolo sui più piccoli, sui bambini, e dalle ondate violente contro la Chiesa e al successore di Pietro che da questi «tradimenti» hanno preso forza. E il Papa ha detto una parola forte di dolore. Un dolore che in cinquecentomila, sul grande sagrato di Fatima, sono poi accorsi a lenire.
Tutto il viaggio apostolico che si è concluso ieri è stato, a ben vedere, una risposta alle domande che Fatima si porta dietro da sempre. Nella chiave di un futuro che la Chiesa può affrontare solo con la testimonianza di fede limpida resa dai suoi figli, senza cadere nella tentazione – quasi si trattasse di un capitolo esaurito – di affidare alla «fine della storia» il messaggio consegnato dalla Vergine a Lucia, Francesco e Giacinta.
Non per niente, in modi diversi ma con identico senso, Papa Ratzinger ha sottolineato a più riprese che «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» e ci ha ricordato che in essa «rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi». La tentazione, l’insidia vera, è quella che nascerebbe all’interno di una Chiesa "rilassata", preoccupata di molto e attenta a poco, magari presa dalle forme organizzative e singolarmente restìa a servire con fedeltà la forza del Vangelo, dimentica dell’essenziale, del centro della sua missione: l’annuncio della Parola.
Non è un’idea di oggi, nel magistero di Benedetto XVI. Dove «terrificante», certamente, è la colpa umana e il peccato cristiano della pedofilia che persone consacrate hanno compiuto, facendo violenza a minori e dando scandalo alla comunità dei credenti e armi ai nemici della Chiesa. Ma terrificante sarebbe soprattutto la perdita di prospettiva riguardo alla missione.
È diventato via via più chiaro, sulla strada di Fatima, perché Papa Ratzinger abbia voluto così strettamente ed esplicitamente legare questa sua visita all’Anno Sacerdotale. Perché la Chiesa «ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare perdono ma anche la necessità della giustizia». Questo già accade, ma deve continuare ad accadere attraverso preti autenticamente convinti della grandezza del ministero a cui sono stati chiamati. E per questo che Benedetto ha voluto affidare alla Vergine di Fatima i 400mila sacerdoti del mondo, perché essi «rinnovino la Chiesa... trasfigurati dalla grazia di Colui che fa nuove tutte le cose».
Questo pellegrinaggio in terra portoghese, in un momento delicato e difficile, s’è così fatto "porta": una porta spalancata sul futuro della Chiesa. Che, ogni giorno, avrà bisogno del sostegno della Madre del Signore per far «rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità... tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù».
Salvatore Mazza
SFIDA ESSENZIALE PER L’EUROPA - La famiglia è diritto da riscoprire - GIANNI PITTELLA E ROBERTA ANGELILLI* - Avvenire, 15 maggio 2010
Restituire alla famiglia il ruolo di motore della nostra società: non uno slogan ma una priorità che l’Unione Europea deve avere il coraggio di porre al centro dell’agenda politica. Da troppo tempo il dibattito comunitario e italiano indugia sulle difficoltà di trovare risposte concrete alla crisi dell’istituzione familiare. Lunga è la lista dei problemi: il peggioramento e le incognite della situazione economica, la disoccupazione, il crollo demografico. E poi, i nuovi modelli culturali, all’insegna del consumismo e dell’individualismo, che tendono a imporsi e a scardinare i sistemi sociali tradizionali. L’Europa negli ultimi anni è stata travolta da quello che è stato definito «l’inverno demografico», che ha determinato uno scenario attuale allarmante e una prospettiva futura non rassicurante, dagli orizzonti foschi: invecchiamento della popolazione, natalità che in alcuni Stati membri è a crescita zero, aumento degli aborti, crollo dei matrimoni e incremento esponenziale delle crisi familiari.
Alcuni dati possono rendere più chiara la portata del fenomeno: le persone con più di 65 anni superano ormai di oltre 6,5 milioni i giovani con meno di 14 anni, mentre ogni anno nascono meno bambini. Un milione di divorzi all’anno e due famiglie europee su tre non hanno figli. La realtà delle famiglie europee si configura, oggi, secondo un costante aumento delle famiglie monoparentali o composte da un solo membro (circa il 27,7%). Sono proprio queste ultime, insieme ai nuclei numerosi (con tre o più figli), che soffrono maggiormente la crisi economica: infatti il 32% delle famiglie europee composte da un singolo genitore vive al di sotto della soglia di povertà, la percentuale è del 25% per le famiglie numerose (con 3 o più figli). Per l’Italia quest’ultimo dato cresce arrivando fino al 27% e nel Mezzogiorno raggiunge addirittura il 39%. Per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza dal 1990 nell’Ue sono stati effettuati 28 milioni di aborti, che sono diventati la prima causa di mortalità in Europa. Se non si invertirà la tendenza, tra quarant’anni l’età media della popolazione europea sarà di 46,7 anni. I flussi migratori verso il nostro Continente fanno da cuscinetto al problema, ma questi nuclei familiari a loro volta combattono altre gravi difficoltà, come l’esclusione sociale, l’emarginazione, la mancata conoscenza delle forme di tutela e di garanzia dei diritti, nonché la complessità dei ricongiungimenti familiari.
Esiste anche un’altra povertà, quella delle relazioni, del poco e veloce tempo consumato tra i coniugi e tra genitori e figli; uno spazio temporale esiguo e troppo spesso mediato da elementi di disturbo, dall’uso quasi compulsivo della televisione e di internet. Proprio questa precarietà di rapporti provoca un senso di disorientamento e di smarrimento nei minori, che non trovano più all’interno delle mura domestiche le risposte adeguate alle loro fragilità e al loro bisogno di ascolto e di protezione.
Sembra una strada senza uscita, ma non è così.
Con l’adozione del Trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali è diventata legge europea, attribuendo un carattere di priorità alla tutela dei diritti dei cittadini, soprattutto i diritti dei soggetti più deboli. Vale la pena ricordare che proprio la Carta garantisce esplicitamente il diritto di sposarsi e di costruire una famiglia. È il segno evidente di un intento legislativo e politico teso a ridare centralità al nucleo familiare e ad investire sull’infanzia e sulla genitorialità. È un’opportunità di coesione sociale e di solidarietà che gli Stati membri devono saper cogliere immediatamente e con grande senso di responsabilità.
Vice Presidenti italiani del Parlamento europeo