mercoledì 26 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Maria a Medjugorje: messaggio del 25 maggio 2010 - Cari figli, Dio vi ha dato la grazia di vivere e proteggere tutto il bene che e in voi ed attorno a voi e di esortare gli altri ad essere migliori e piu santi, ma satana non dorme e attraverso il modernismo vi devia e vi guida sulla sua via. Percio figlioli, nell’amore verso il mio cuore Immacolato amate Dio sopra ogni cosa e vivete i suoi comandamenti. Cosi la vostra vita avra senso e la pace regnera sulla terra. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.
2) “MI SENTO FELICE E ORGOGLIOSO DELLA MIA VOCAZIONE SACERDOTALE” - Lettera al New York Times di un missionario dall'Angola di Nieves San Martín - LUANDA, maggio 2010 (ZENIT.org).- “Sono un semplice sacerdote cattolico. Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione. Vivo da vent'anni in Angola come missionario”. Inizia così una lettera che il missionario salesiano uruguayano Martín Lasarte ha inviato al New York Times senza ottenere risposta.
3) Perché c’è qualcosa anziché niente? - Lorenzo Albacete - mercoledì 26 maggio 2010 – ilsussidiario.net
4) Avvenire.it, 25 Maggio 2010 - ASSEMBLEA DEI VESCOVI - Crociata: impegno educativo centro della nostra missione - Mimmo Muolo
5) DON DI NOTO: UNA “SCELTA CORAGGIOSA”, QUELLA DI MONS. CROCIATA - Contro i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali serve un impegno senza ritorno
6) Avvenire.it, 26 Maggio 2010 - VITA "ARTIFICIALE": UNA SFIDA IN CAMPO ETICO PIU' CHE SCIENTIFICO - La questione del "limite" - Roberto Timossi
7) IL TRANSUMANESIMO E LA CHIESA - Intervista al prof. Robert Gahl, docente di Etica fondamentale alla Santa Croce - di Marialuisa Viglione
8) REGNO UNITO: POLEMICA PER LE PUBBLICITÀ CHE INVITANO AD ABORTIRE - I messaggi hanno iniziato ad essere trasmessi questo lunedì - di Carmen Elena Villa
9) IL VATICANO PROMUOVE I TRATTAMENTI CON STAMINALI ADULTE - Iniziativa del Pontificio Consiglio per la Cultura e della "Stem for Life Foundation"
10) Una Sancta Catholica et Apostolica Ecclesia - L’agenda dei controriformisti (I parte). Dopo lo “schiaffo di Vienna” ecco i critici del progressismo e la loro idea della chiesa - di Paolo Rodari - Pubblicato sul Foglio giovedì 20 maggio 2010
11) Fantascienza cristologica - Autore: Contri, Giacomo B. Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 25 maggio 2010
12) 25/05/2010 - CINA – VATICANO - Nostra Signora di Sheshan, la persecuzione e la divisione - di Bernardo Cervellera - I cattolici cinesi, in patria e del mondo, hanno pregato per la Chiesa in Cina, secondo l’intenzione di Benedetto XVI nella lettera del giugno 2007. Il santuario mariano è luogo di incontro fra cristiani sotterranei e ufficiali; il governo continua a proibire i pellegrinaggi. Unità nella verità per la Chiesa in Cina e nei rapporti fra Pechino e il Vaticano.
13) L'ambiguità dottrinale, male della Chiesa moderna. Manipolare la vita é contro il quinto comandamento. Il Concilio e Ranher profeti di questa svolta negativa. Ebrei e non battezzati non siano sepolti nei cimiteri - Bruno Volpe – dal sito pontifex.roma.it
14) I sette momenti storici ... "E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove" ... - Tratto dal testo "il Burattinaio" di Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
15) Il relativismo culturale danneggia le fasce deboli. Sbagliato credere che esistano varie verità. Bisogna difendere con rigore e coraggio i valori non negoziabili da cattivi maestri e comunicatori senza scrupoli. La creazione appartiene solo a Dio - Bruno Volpe intervista Massimo Introvigne – dal sito pontifex.roma.it
16) Nuove considerazioni sulla legge 194 - Corrispondenza Romana n.1142 – dal sito pontifex.roma.it
17) Associazione Scienza&Vita - Comunicato n° 14 del 25 Maggio 2010 - SCIENZA & VITA: SUI TRAPIANTI DA SAMARITANI OPPORTUNE ALCUNE RIFLESSIONI BIOETICHE
18) REPLICA/ Doninelli: peggio della schiavitù, c’è solo il nostro moralismo - Luca Doninelli - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
19) Avvenire.it, 25 Maggio 2010 - ASSEMBLEA DEI VESCOVI - Crociata: impegno educativo centro della nostra missione - Mimmo Muolo
20) LA CHIESA INVITA A VIVERE, NON A VIVACCHIARE - L’agenda di chi spera è piena di futuro - MARINA CORRADI – Avvenire, 26 maggio 2010

“MI SENTO FELICE E ORGOGLIOSO DELLA MIA VOCAZIONE SACERDOTALE” - Lettera al New York Times di un missionario dall'Angola di Nieves San Martín - LUANDA, maggio 2010 (ZENIT.org).- “Sono un semplice sacerdote cattolico. Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione. Vivo da vent'anni in Angola come missionario”. Inizia così una lettera che il missionario salesiano uruguayano Martín Lasarte ha inviato al New York Times senza ottenere risposta.
Nel testo, spiega l'opera silenziosa a favore dei più sfortunati svolta dalla maggior parte dei sacerdoti della Chiesa cattolica, che però “non fa notizia”.
Nella lettera, che ha girato a ZENIT, padre Lasarte esprime i suoi sentimenti di fronte all'ondata mediatica sollevata dagli abusi di alcuni sacerdoti, mentre sorprende lo scarso interesse che suscita nei media il lavoro quotidiano di migliaia e migliaia di presbiteri.
“Mi provoca un grande dolore il fatto che persone che dovrebbero essere segni dell'amore di Dio siano stati un pugnale nella vita di persone innocenti. Non ci sono parole che possano giustificare atti di questo tipo. La Chiesa non può che stare dalla parte dei deboli, dei più indifesi. Tutte le misure prese per la protezione della dignità dei bambini, quindi, saranno sempre una priorità assoluta”, afferma nella sua lettera.
Ad ogni modo, aggiunge, “è curioso constatare quanto poco facciano notizia e il disinteresse per migliaia e migliaia di sacerdoti che si consumano per milioni di bambini, per gli adolescenti e i più sfortunati nei quattro angoli del mondo”.
“Penso che al vostro mezzo informativo non interessi il fatto che io abbia dovuto trasportare su percorsi minati nel 2002 molti bambini denutriti da Cangumbe a Lwena (Angola), perché il Governo non si rendeva disponibile e le ONG non erano autorizzate; che abbia dovuto seppellire decine di piccole vittime tra gli sfollati della guerra e i ritornati; che abbiamo salvato la vita a migliaia di persone a Moxico con l'unico posto medico in 90.000 chilometri quadrati, o che abbia distribuito alimenti e sementi; o che in questi 10 anni abbiamo dato un'opportunità di istruzione e scuole a più di 110.000 bambini”, sottolinea.
“Non interessa che con altri sacerdoti abbiamo dovuto far fronte alla crisi umanitaria di circa 15.000 persone negli alloggi della guerriglia, dopo la loro resa, perché gli alimenti del Governo e dell'ONU non arrivavano”, aggiunge.
Il sacerdote cita poi una serie di azioni compiute da suoi compagni, spesso rischiando la vita, che vengono ignorate dai media.
“Non fa notizia che un sacerdote di 75 anni, padre Roberto, di notte percorra le vie di Luanda curando i bambini di strada, portandoli in una casa di accoglienza perché si disintossichino dalla benzina, che alfabetizzi centinaia di detenuti; che altri sacerdoti, come padre Stefano, abbiano case in cui i bambini picchiati, maltrattati e violentati cercano un rifugio, e nemmeno che fr. Maiato, con i suoi 80 anni, vada casa per casa per confortare i malati e i disperati”.
“Non fa notizia che più di 60.000 dei 400.000 sacerdoti e religiosi abbiano abbandonato la propria terra e la propria famiglia per servire i fratelli in lebbrosari, ospedali, campi di rifugiati, orfanotrofi per bambini accusati di stregoneria o orfani di genitori morti di Aids, in scuole per i più poveri, in centri di formazione professionale, in centri di assistenza ai sieropositivi... e soprattutto in parrocchie e missioni, motivando la gente a vivere e amare”.
“Non fa notizia che il mio amico padre Marcos Aurelio, per salvare alcuni giovani durante la guerra in Angola, li abbia portati da Kalulo a Dondo e tornando alla sua missione sia stato ucciso a colpi di mitragliatrice; che fr. Francisco e cinque catechiste siano morti in un incidente mentre andavano ad aiutare nelle zone rurali più sperdute; che decine di missionari in Angola siano morte per mancanza di assistenza sanitaria, per una semplice malaria; che altri siano saltati in aria a causa di una mina, mentre facevano visita alla loro gente – prosegue padre Lasarte –. Nel cimitero di Kalulo ci sono le tombe dei primi sacerdoti che giunsero nella regione... Nessuno aveva più di 40 anni”.
“Non fa notizia accompagnare la vita di un sacerdote ‘normale’ nella sua quotidianità, nelle sue difficoltà e nelle sue gioie, mentre consuma senza rumore la sua vita a favore della comunità che serve”.
“La verità è che non cerchiamo di fare notizia, ma semplicemente di portare la Buona Novella, quella notizia iniziata senza rumore la notte di Pasqua. Fa più rumore un albero che cade che un bosco che cresce”, sottolinea.
“Non pretendo di fare un'apologia della Chiesa e dei sacerdoti – aggiunge padre Lasarte –. Il sacerdote non è né un eroe né un nevrotico. E' un semplice uomo, che con la sua umanità cerca di seguire Gesù e di servire i fratelli. Ci sono miserie, povertà e fragilità come in ogni essere umano; e anche bellezza e bontà come in ogni creatura...”.
“Insistere in modo ossessivo e persecutorio su un tema perdendo la visione d'insieme crea davvero caricature offensive del sacerdozio cattolico in cui mi sento oltraggiato”, afferma.
“Amico giornalista, le chiedo solo di cercare la Verità, il Bene e la Bellezza. Ciò la renderà nobile nella sua professione”, conclude.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


Perché c’è qualcosa anziché niente? - Lorenzo Albacete - mercoledì 26 maggio 2010 – ilsussidiario.net
In quale quotidiano dell’establishment americano vi aspettereste di trovare un editoriale ufficiale (quindi non firmato) intitolato “L’Essere di Essere”? Francamente non me ne viene in mente nemmeno uno, e sono rimasto quindi molto sorpreso nel trovare un editoriale di questo genere sul The New York Times pochi giorni fa (il 21 maggio).
Ho pensato che era realmente sorprendente che il Times fosse pronto a rivelare i presupposti filosofici sottostanti alla scelta delle notizie che i suoi redattori considerano “adatte alla stampa” (come dichiara il motto del Times) e il modo in cui devono poi venire trattate.
L’editoriale comincia con questa domanda: “Perché c’è qualcosa invece di niente?” Ovviamente, questa è la famosa domanda di Martin Heidegger, presa a prestito da Leibnitz, e discussa da lui nella famosa conferenza su “Cos’è la Metafisica?”. Filosofi di ogni scuola di pensiero hanno trattato la stessa questione, prima e dopo Heidegger. La risposta data da Heidegger è stata criticata, apprezzata, rigettata o ampliata; la sua formulazione è stata cambiata, però la maggior parte dei filosofi hanno riconosciuto che questa è la questione fondamentale della filosofia occidentale.
Invece, secondo i redattori del Times, la discussione filosofica sulla questione è stata una perdita di tempo, perché sono i fisici e i matematici che possono trattarla al meglio. Questo è ciò che loro sanno: “La materia e l’antimateria create nel Big Bang avrebbero potuto cancellarsi l’un l’altra lasciando il niente, invece di qualcosa che noi chiamiamo universo. Perché questo non sia successo può essere in parte spiegato da quanto emerso in un recente esperimento con il Tevatron, un acceleratore di particelle, al Fermilab di Batavia, Illinois”.
Apparentemente, tutto si basa su una “deviazione molto piccola”, “un’asimmetria nel comportamento di una particella subatomica neutrale, la B-meson. Nell’oscillare tra i suoi stati di materia e antimateria, essa mostra una piccolissima predilezione per lo stato di materia, un risultato previsto da Andrei Sakharov”.
Bene, sono molto contento per questa predilezione della B-meson, che anch’io condivido, solo che la preferenza della B-MESON per sopravvivere come materia sembra del tutto piccola, circa l’1%, mentre la mia è il 100%! Gli scienziati, tuttavia, credono che questa predilezione dell’1%, quasi un curioso ghiribizzo, possa bastare a spiegare la preponderanza della materia. I ricercatori si aspettano di scoprire di più sulla questione dal Tevatron e dal suo più grande cugino europeo, il Large Hadron Collider.
Quali sono, allora, le conseguenze antropologiche della piccola preferenza della B-meson per l’esistenza materiale? Che cosa è l’uomo secondo l’interpretazione che The New York Times dà del significato di questi esperimenti?
Semplicemente questo: “Siamo, come sappiamo, fatti di polvere stellare e di altri elementi formatisi nel Big Bang e nella successiva creazione e distruzione di stelle. L’esistenza stessa di ciò che nell’universo chiamiamo materia può dipendere da una piccola deviazione nella variazione frenetica di una particella, che possiamo soltanto rilevare per un momento nelle fornaci più calde mai create dall’ uomo”.
Questo giudizio non è, di sicuro, sorprendente, perché è la pericolosa riduzione dell’umanità solo a ciò che può essere osservato, descritto e riprodotto in modo empirico. I fisici si sono preoccupati per le implicazioni di questa riduzione da molto tempo. Ricordo la conversazione fra Werner Heisenberg e altri fisici importanti, “padri” della meccanica quantistica.
La conclusione di Heisenberg è che quando si è totalmente spenta la “bussola magnetica” che dobbiamo seguire nel cercare la nostra strada attraverso la vita (nella fedeltà a quell’“ordine centrale” che definisce la razionalità dell’universo), “cose terribili possono accadere, che superano di gran lunga i campi di concentramento e la bomba atomica”. L’editoriale del Times riduce questo “ordine centrale” al comportamento irrazionale, osservabile sperimentalmente, di una particella elementare.
Secondo la prospettiva della fede cattolica, c’è nell’editoriale un’osservazione che suggerisce la strada da seguire, anche se il redattore non se ne è reso conto. È il commento che la domanda di Heidegger è la domanda di un bambino. Infatti, è soltanto attraverso la semplicità e lo stupore di un bambino che possiamo sperimentare quell‘ordine centrale chiamato dall’Evangelista Giovanni il “Logos”, che è poi diventato un bambino umano.


Avvenire.it, 25 Maggio 2010 - ASSEMBLEA DEI VESCOVI - Crociata: impegno educativo centro della nostra missione - Mimmo Muolo
Non è sicuramente l’unico argomento fin qui emerso nel corso della 61ª Assemblea generale della Cei (che tra l’altro ha al centro dei suoi lavori l’impegno educativo per i prossimi dieci anni, «vero fulcro della missione della Chiesa». Ma è quello che più ha attratto l’attenzione dei giornalisti. Così, leggendo i resoconti della conferenza stampa tenuta ieri dal segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, si potrebbe avere l’impressione che solo di pedofilia si stiano occupando i vescovi in questi giorni. In realtà il presule – pur non tirandosi indietro anche quando si è trattato di fornire alcuni dati sulla situazione italiana («sono un centinaio i casi di abusi sessuali da parte di sacerdoti rilevati da procedimenti canonici in Italia negli ultimi dieci anni») – ha tenuto a precisare che « sarebbe una distorsione profonda dell’ottica con cui guardare alla vita della Chiesa nel suo insieme, prenderla in considerazione solo da questa prospettiva».

Il segretario generale della Cei ha quindi affermato: «La Chiesa in realtà è ferita da questi fatti in se stessa e insieme alle vittime. La totalità dei credenti, e tra essi degli educatori, svolge ordinariamente in maniera valida, positiva, spesso esemplare e qualche volta in modo eroico il proprio servizio. Pertanto è importante porre nella giusta luce questo fenomeno».
E la giusta luce consiste ad esempio nel dire che «la Chiesa riconosce l’assoluta drammaticità e gravità del fenomeno e ribadisce il proprio impegno ad affrontare i casi che si presentino. Al contempo esprime l’impegno costante in campo educativo e formativo, che costituisce il centro della sua missione, impegno che assorbe, possiamo dire, la totalità della sua vita e del "personale" religioso, ecclesiastico e laico».

Anche i fedeli sono sulla linea dei vescovi, ha riferito il segretario generale della Cei. Una maturità cristiana che si esprime, ha detto il presule rispondendo a una precisa domanda, «nel fatto che non abbiamo notizie di abbandoni o di cali di iscrizioni». «Il popolo dei credenti – ha sottolineato, infatti, il vescovo – prova orrore per queste cose, vuole chiarezza perché i fatti siano affrontati e risolti, perché la vita della Chiesa possa crescere in qualità». La questione pedofilia, dunque, «può essere l’occasione per un salto di qualità».

A tal proposito monsignor Crociata ha anche riferito che «è volontà dei vescovi accompagnare chi vive questi problemi, tanto le vittime quanto i sacerdoti che ne fossero responsabili con gli strumenti necessari ed adeguati. Una volontà quindi di farsi carico di tutti».

In risposta a un’altra domanda il presule ha poi detto che non c’è bisogno in Italia di alcuna Commissione speciale perché le indicazioni della Lettera del Papa ai cattolici d’Irlanda e le linee guida della Congregazione per la dottrina della Fede «contengono tutti gli elementi necessari». Crociata ha inoltre assicurato che nonostante la legge italiana non prevede l’obbligo di denuncia, «ciò non esclude la cooperazione che consiste nel render possibile in tutti i modi l’accertamento dei fatti», anche attraverso la testimonianza giudiziale di un vescovo, «fatto del tutto ordinario». In ogni caso «i vescovi italiani hanno mostrato di non sottovalutare il fenomeno» e «non ci sono stati casi di trascuratezza nella vigilanza».

Una domanda anche sulla legge per le intercettazioni. Crociata non è entrato nel merito, ma ha auspicato che i beni in gioco – i singoli individui, l’ordinamento della giustizia, le esigenze della solidarietà e giustizia nella vita sociale, l’informazione – siano il più possibile, insieme ed equilibratamente, salvaguardati tutti». Quanto al 150° dell’unità d’Italia, «i cattolici – ha concluso – contribuiranno, come sempre, in tutte le forme possibili, al bene del Paese».
Mimmo Muolo


DON DI NOTO: UNA “SCELTA CORAGGIOSA”, QUELLA DI MONS. CROCIATA - Contro i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali serve un impegno senza ritorno
ROMA, martedì, 25 maggio 2010 (ZENIT.org).- Parole di apprezzamento per le dichirazioni rilasciate questo martedì da mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), sono giunte da don Fortunato Di Noto, parroco della Madonna del Carmine ad Avola (SR) e fondatore dell’associazione Meter (www.associazionemeter.org), che coordina 15 sportelli in Italia con 300 operatori a tutela dell’infanzia.
Incontrando infatti i giornalisti a margine dei lavori della 61ª Assemblea generale dei presuli italiani, in corso in Vaticano, mons. Crociata ha rivelato che “sono un centinaio i casi di abusi sessuali da parte di sacerdoti rilevati da procedimenti canonici in Italia negli ultimi dieci anni”.
In una intervista in esclusiva a ZENIT, don Di Noto ha detto: “Bene ha fatto il Segretario CEI, monsignor Mariano Crociata, a dichiarare pubblicamente, oggi, il numero di processi canonici in Italia contro sacerdoti colpevoli di abusi sessuali. È una scelta coraggiosa e trasparente che va in quel senso di chiarezza verso i fedeli e il mondo che distingue la nostra Chiesa”.
“Meter non può che apprezzare questo gesto di mons. Crociata – ha continuato il sacerdote –. Sono sicuro che questo sia il primo di una lunga serie, che basterà da un lato a dissipare preconcetti futili e laicisti e che dall’altro aiuterà tanti fedeli nella Chiesa a ritrovare la bussola in mezzo a segnali carichi di disorientamento”.
“Lo diciamo con monsignor Crociata, con i Vescovi italiani, con tutta la Chiesa: chi si macchia di questi gravi peccati e reati contro i bambini deve rispondere a Dio, alla Chiesa e alla società. Un cammino che non ci permette di tornare indietro”.
“La pedofilia e gli abusi sessuali non sono degli 'scivoloni' – ha tenuto a precisare –, ma delle lucide azioni violente a danno dell’infanzia, infanzia che merita invece amore, protezione e tutela. La Chiesa è per i piccoli come lo è Gesù Cristo”.
“Voglio dirlo chiaro – ha poi continuato –: Benedetto XVI e la gerarchia cattolica si sono assunti, senza infingimenti e senza ipocrisie, un compito pesante ma che la Chiesa non può né deve più abbandonare, ossia fare pulizia della sporcizia che sporca e appesantisce con vergogna la barca di Pietro”.
“È compito di tutti noi e di chiunque ami la Chiesa contribuire in questo grande movimento di lotta al male. E’ iniziata una vera e propria rivoluzione evangelica e culturale, proprio dai bambini richiamati dallo stesso Bambino Gesù”.
“Ringrazio monsignor Crociata e anche Mons. Bagnasco per le parole e gli impegni assunti e mi auguro servano da monito anche e soprattutto per certi cattolici un po’ retrogradi che ancora osano affermare che 'i panni sporchi si lavano in famiglia' e dunque non dovrebbero divulgarsi dati del genere per non creare allarmismo generico e sfiducia nei fedeli”, ha sottolineato don Di Noto.
“Tutto falso – ha esclamato –: Crociata ce ne ha dato oggi la prova e ci ha indicato con lucidità l’impegno per prevenire e informare sugli abusi. Da qui una 'pastorale per la protezione e tutela dei bambini' oggi è più che auspicata nell’ambito della 'educazione', nuova sfida e programma della Chiesa italiana”.


Avvenire.it, 26 Maggio 2010 - VITA "ARTIFICIALE": UNA SFIDA IN CAMPO ETICO PIU' CHE SCIENTIFICO - La questione del "limite" - Roberto Timossi
Che cos’è la vita? A questa semplice ma oltremodo impegnativa domanda i manuali di biologia sembrano in difficoltà a trovare una sintetica risposta. Ci sono autori che non tentano neppure una definizione della vita, dando per scontato che la si possa acquisire soltanto studiando l’evoluzionismo biologico. Ce ne sono, invece, altri che appaiono perfino imbarazzati e formulano concetti del vivente a loro modo disarmanti, come questo: «Il fenomeno chiamato vita può essere definito con una singola semplice frase: ogni bambino percepisce spontaneamente che un cane, un verme o una pianta sono vivi, mentre una roccia non lo è» (Campbell, Reece, Simon, "Essential Biology").

Siamo dunque all’autoevidenza del concetto di vita; un’autoevidenza che suona un po’ strana in ambito scientifico, dal momento che la scienza moderna è scaturita proprio dal rifiuto delle "evidenze" di tradizione aristotelica. Il tema di che cosa sia la vita è stato ora riproposto con forza dalla realizzazione di un primo batterio "artificiale" da parte dell’équipe del bio-ingegnere Craig Venter. In realtà, come ormai molti seri scienziati si sforzano di argomentare contro la diffusione imprecisa di notizie, è esagerato definire "forma vivente" il prodotto del laboratorio di Rockville, perché la vita è qualcosa di molto più complesso. Ma una volta chiarita la reale portata del risultato ottenuto da Craig Venter e dopo avere apprezzato senza timori i possibili risvolti futuri dell’inserimento di sequenze di Dna artificiale in una cellula naturale, si prospettano per noi seri motivi di riflessione, che vanno decisamente oltre questo singolo prodotto della bio-ingegneria. Inutile dire che i nodi cruciali della discussione non riguardano tanto questo primo batterio artificiale, quanto il ruolo della scienza e della tecnologia; ruolo che rimanda direttamente al tema antropologico del senso e dei limiti dell’essere umano. La presenza e l’attività dell’uomo nel contesto della natura pongono infatti problemi che nessuno pensa di porsi per altri viventi, che pure interferiscono con l’ambiente come, per fare solo un esempio, i castori con le loro dighe.

Costruire "vita artificiale" in laboratorio è di per sé un fatto talmente straordinario che fa della specie umana una realtà unica (almeno sul nostro Pianeta) e la carica pertanto di responsabilità talmente grandi da suscitare in qualcuno forte timore. Visti i rischi ambientali che abbiamo corso e corriamo quotidianamente, non si può non prendere sul serio il problema dell’uso che si deve fare delle conquiste della scienza e della tecnologia, anche se è bene affrontarlo in maniera positiva e non con chiusure preconcette. Quest’ultima considerazione vale sia per chi diffida della scienza e sia per chi invece ripone in essa una fiducia smisurata, per chi pensa che la conoscenza scientifica con i suoi risvolti tecnologici sia un pericolo per la stessa identità umana e per chi ritiene che il metodo scientifico e la tecnologia possano giustificare qualsiasi approdo del genere umano.

Il problema dell’uomo nella sua dimensione sia naturale sia spirituale è innanzitutto rappresentato dalla "questione del limite", che egli deve sapere individuare e rispettare a incominciare proprio dall’ambito scientifico e tecnologico. A giudicare dalle dichiarazioni trionfalistiche e "affaristiche" di Craig Venter c’è da concludere che la vera sfida della vita artificiale cominci solo adesso e sarà giocata più in campo etico che in campo biologico e tecnologico.
Roberto Timossi


IL TRANSUMANESIMO E LA CHIESA - Intervista al prof. Robert Gahl, docente di Etica fondamentale alla Santa Croce - di Marialuisa Viglione
ROMA, martedì, 25 maggio 2010 (ZENIT.org).- Per qualcuno il termine transumanesimo non significa nulla. Eppure sta dilagando. Perlomeno negli Stati Uniti. Alcuni film che si ispirano a quella filosofia: Matrix, Ai - artificial intelligence (intelligenza artificiale); Iron Man, Blade runner, Avatar. Film di successo, che non possono non aver lasciato un segno nelle coscienze.
Ce ne parla il professor Robert Gahl, americano del Wisconsin, ingegnere, filosofo e teologo, che insegna Etica fondamentale all’Università Pontificia della Santa Croce di Roma.
Cos’è il transumanesimo?
Gahl: La parola vuol dire qualcosa di diverso o oltre l’umano. E questo è un concetto anticristiano. Non può esistere l’oltre-umano nella storia. L’uomo non può diventare qualcos’altro. Perché il punto di riferimento stabile nel tempo è Gesù, uomo perfetto, ieri oggi e domani.
Perché pensa che sia impossibile arrivare un giorno a un qualcosa che supera l’uomo, a un’immortalità materiale, nel senso di vivere nella storia per sempre?
Gahl: Non si può abbandonare il concetto di umanità e pensare a qualcosa di diverso. Per la nostra natura noi siamo autotrasformabili, in quanto esseri spirituali, a immagine di Dio, potenziati dalla ragione. Mentre la natura umana resta uguale, c’è l’evoluzione biologica. Non la trasformazione della specie. I cambiamenti sono accidentali, non sostanziali. Possiamo modificare noi stessi, il contesto sociale, acquisire nuove abilità, come andare in bicicletta. Ma restiamo uomini. Utilizziamo nuovi strumenti, nuovi linguaggi, alteriamo la costituzione genetica (si fa anche senza volerlo fare).
Si riferisce all’eugenetica?
Gahl: L’eugenetica è negativa perché prevede l’eliminazione dell’essere umano (l’omicidio dei down, disabili, handicappati….).
Quindi la tecnologia può essere positiva o negativa a seconda del fine?
Gahl: Acquisiamo aspetti nuovi di conoscenza, nuove tecnologie, per migliorare gli esseri umani. E queste novità sono usate bene o male.
Quando sono usate bene?
Gahl: Quando si applicano le regole morali di rispetto della persona, che è libera e deve essere amata per se stessa. E quindi non deve essere strumentalizzata per altri fini.
E male?
Gahl: Appunto quando si sfruttano le persone, si utilizzano per altri fini. Se invece si aiutano è per il loro bene.
Un esempio di transumanesimo?
Gahl: I replicanti di Blade Runner sono transumani, superano l’umanità, hanno prestazioni migliori, eppure sono schiavi, che poi si ribellano… E il film si chiede: cos’è l’essere umano? La risposta del film è positiva: è uomo chi è capace di amore, di libertà e di rispetto per gli altri.
Il bene del progresso scientifico?
Gahl: È quando si tratta ognuno come se fosse fine a se stesso. Se si eliminano o sfruttano o manipolano le persone (aborti, omicidi, strumentalizzazioni per gli esperimenti) il progresso è cattivo. Se serve per aiutarle è positivo.
Qualche esempio negativo e positivo del transumanesimo?
Gahl: Oggi va di moda il neuro enhancement, un tipo di sviluppo per aumentare la funzione neuronale, il cervello.
E cosa c’è di negativo a potenziare il cervello?
Gahl: E’ positivo per esempio in alcuni campi della medicina, per stimolare il nervo ottico. Ma se si utilizza per manipolare la persona, va contro la morale. Per esempio le macchine create per provocare sensazioni sessuali perverse, fuori dal rapporto d’amore, provocano disordini, con un abbassamento narcisistico. Creano una realtà virtuale che sostituisce la relazione.
Altri meccanismi perversi di manipolazione della neuro enhancement?
Gahl: Ci sono dei farmaci in laboratorio che consentirebbero di lavorare anche 40 ore senza aver bisogno di dormire, per esempio per i piloti di aerei. Il problema è: come sarebbe applicato? Come fanno i test per verificare che non ci siano degli effetti collaterali e qual è il risultato complessivo sull'organismo umano e sulla qualità di vita personale? Se potessi scegliere, se fossi ugualmente riposato dormendo un po’ meno, posso dedicare più tempo alla famiglia. Il rischio è: chi somministra i farmaci e perché? Il datore di lavoro? È fondamentale il rispetto della persona e della sua libertà di scelta.
Un po’ come per il doping?
Gahl: Il doping sportivo è una specie di enhancement per migliorare le prestazioni. Ma a che costo? È molto diffuso nello sport liceale negli Usa, perché non ci sono rigorosi controlli antidoping. Il ragionamento è: avrò successo, entrerò in una buona squadra. Se il contesto obbliga, lede la libertà. Inoltre ci sono degli effetti collaterali molto pericolosi.
Qual è la sua posizione?
Gahl: Non è bene obbligare le persone a fare esperimenti su se stessi. Il transumanesimo ha dei rischi. È necessario rispettare la libertà. Il criterio fondamentale è rispettare e voler bene. La persona è fine a se stessa, e non strumento per altro.
Altro settore del transumanesimo è il cyborg e la robotica. Che ne pensa?
Gahl: Bene il cyborg che salva la vita come il pacemaker per il cuore. O i robot che evitano di fare cose ripetitive e liberano l'uomo per attività più creative. Ma il robot – lo stanno facendo in Giappone – specializzato per celebrare le nozze o per accogliere i clienti in albergo elimina la relazione e crea un mondo virtuale in cui l'uomo interagisce con machine invece di relazionarsi con altre persone. L’accoglienza deve essere, perlomeno in parte, umana e questa parte non può essere sostituita. Avere un’interfaccia con la macchina che sostituisce ogni contatto umano è contro la nostra dignità. Ho bisogno di relazionarmi.
La posizione della Chiesa?
Gahl: La Chiesa spinge per il progresso scientifico, per le scoperte volte a beneficiare l’uomo, migliorarlo, potenziarlo. Ma è contraria alla manipolazione dell’uomo, agli esperimenti sull’uomo, perché contro la libertà e la dignità.
Altro aspetto del transumanesimo è il ricercare l’immortalità?
Gahl: I transumanisti antricristiani materialisti – soprattutto americani e inglesi – cercano l’immortalità sulla terra, allungare la vita per sempre, essere perdurevoli. La speranza materialista è quella di vivere per sempre. Ma non è una vita migliore, con una visione beatifica di Dio.
La risposta del Papa?
Gahl: Bisogna recuperare l’aspirazione al cielo, anziché allungare la vita per sempre. L’ha detto ai luterani nel Kirchentag, la Giornata ecumenica delle Chiese in Germania: ciò che l’uomo più profondamente desidera è l’amicizia, la felicità, l’amore. Non da soli, ma con un altro. Ciò dipende dal dono. C’è quindi la necessità di un Salvatore. Solo con il Salvatore si può raggiungere il Cielo.
Il mito dell’eterna giovinezza non è mai morto?
Gahl: C'era già nell’antichità. La fonte dell’eterna giovinezza è una sorta di transumanesimo antico.
Il suo messaggio di felicità a transumanisti e non?
Gahl: La famiglia al primo posto: contro qualsiasi tentativo di manipolare la nascita dei bambini (eugenetica) per migliorare la specie umana. È una violazione alla libertà di amore tra i genitori. L'affetto sperimentato in famiglia - che è l'amore incondizionato - anticipa la felicità del Cielo: è qui che troviamo la gioia attraverso la vita vissuta per gli altri.


REGNO UNITO: POLEMICA PER LE PUBBLICITÀ CHE INVITANO AD ABORTIRE - I messaggi hanno iniziato ad essere trasmessi questo lunedì - di Carmen Elena Villa
LONDRA, martedì, 25 maggio 2010 (ZENIT.org).- “L'aborto non è un servizio al consumatore”, hanno affermato in un comunicato stampa i Vescovi di Inghilterra e Galles dopo la diffusione nel Paese del primo messaggio pubblicitario sull'aborto.
Il messaggio è promosso dall'organizzazione femminista Marie Stopes International e ha iniziato ad essere trasmesso questo lunedì. Una voce fuori campo pone la domanda: “Hai un ritardo?”, riferendosi al ritardo nel ciclo mestruale.
Il messaggio pubblicitario non menziona la parola “aborto”, ma mostra un'adolescente a una fermata dell'autobus, una madre con due bambini che camminano e una ragazza in un bar che guarda in strada.
“Se hai un ritardo, potresti essere incinta. Se sei incinta e non sai cosa fare, Marie Stopes International può aiutarti”, suggerisce la pubblicità.
Per i Vescovi del Regno Unito, “non si dovrebbe permettere di pubblicizzare sui mezzi di comunicazione” questo tipo di procedure.
I presuli hanno affermato che questi messaggi “erodono il rispetto per la vita”, e li hanno definiti “ingannevoli e molto dannosi per le donne, che possono essere persuase a prendere una decisione rapida”.
Questa pubblicità, sostengono i presuli, “non è nell'interesse della salute o del benessere psicologico delle donne”.
I Vescovi hanno anche approfittato per invitare le donne che si trovano in difficoltà a rivolgersi a organizzazioni “che offrono informazioni confidenziali, assistenza e aiuto pratico alle donne che pensano all'aborto, che soffrono dopo la fine di una gravidanza o cercano di andare avanti dopo un aborto”.
Tra queste entità, i Vescovi hanno sottolineato l'opera dell'organizzazione britannica pro-vita Life, che cerca di fornire sostegno alle donne in stato di gravidanza, di offrire trattamenti di fertilità che non compromettano la vita di altri embrioni e di curare la vita dei concepiti.
Michaela Aston, portavoce di questa organizzazione, ha affermato in alcune dichiarazioni alla stampa che questo messaggio pubblicitario “creerà offese e angoscia”.
“Siamo molto preoccupati perché il messaggio è indirizzato specificatamente a donne incinte, e anche se sembra inoffensivo credo che molte donne che hanno una gravidanza che crea loro problemi non si renderanno conto che chiameranno quel numero sperando di ricevere aiuto e invece sentiranno parlare di aborto”, ha segnalato.
“Non posso credere che le autorità permettano la trasmissione di questo messaggio quando un sondaggio recente ha rivelato che la gente in generale si oppone alla propaganda dei servizi abortivi”, ha concluso la portavoce del gruppo Life.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


IL VATICANO PROMUOVE I TRATTAMENTI CON STAMINALI ADULTE - Iniziativa del Pontificio Consiglio per la Cultura e della "Stem for Life Foundation"
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 25 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Società Biofarmaceutica NeoStem Inc. e il Pontificio Consiglio per la Cultura hanno annunciato questo martedì una iniziativa congiunta, che sarà realizzata dalle loro organizzazioni caritative, a favore della ricerca e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle terapie con cellule staminali adulte.
La “Stem for Life Foundation”, della NeoStem Inc. - si legge in un comunicato -, creata per rendere nota al pubblico la promessa delle cellule staminali adulte di curare le malattie, e la Fondazione del Pontificio Consiglio “STOQ International” (Scienza, Teologia e Ricerca Ontologica), opereranno per far progredire la ricerca sulle cellule staminali adulte, per esplorarne l’applicabilità clinica nel campo della medicina rigenerativa e sottolinearne la rilevanza culturale specialmente per il suo impatto su questioni teologiche ed etiche.

La collaborazione fra NeoStem e il Pontificio Consiglio della Cultura è volta a sviluppare programmi educativi, pubblicazioni e corsi accademici con un approccio interdisciplinare per le Facoltà teologiche e filosofiche, incluse le Facoltà di Bioetica, in tutto il mondo.
Una delle iniziative sarà una Conferenza Internazionale di tre giorni in Vaticano sulla ricerca relativa alle cellule staminali adulte, inclusa la tecnologia VSELtm che si incentra sulle presentazioni della ricerca medica, sulle considerazioni teologiche e filosofiche e le implicazioni dei progressi scientifici.


Una Sancta Catholica et Apostolica Ecclesia - L’agenda dei controriformisti (I parte). Dopo lo “schiaffo di Vienna” ecco i critici del progressismo e la loro idea della chiesa - di Paolo Rodari - Pubblicato sul Foglio giovedì 20 maggio 2010
Lo “schiaffo di Vienna” non è stato senza conseguenze. Dentro la chiesa cattolica ha creato un forte imbarazzo vedere un cardinale considerato ratzingeriano attaccare un uomo dell’establishment dell’era Wojtyla: è stato Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ad accusare apertamente il decano del collegio cardinalizio, il cardinale Angelo Sodano, di aver insabbiato quindici anni fa, quando era segretario di stato vaticano, il “caso Hans Hermann Groër”, ex arcivescovo a Vienna accusato di aver abusato sessualmente di minori. E molto ha fatto parlare la richiesta di Schönborn di una riforma dell’organizzazione del potere della curia romana.

E’ questa la porta di accesso per altre richieste da tempo presenti nell’agenda dei cattolici cosiddetti “del dissenso”: rivedere l’obbligo del celibato per il clero, più considerazione per le coppie omosessuali stabili, concedere il sacerdozio ordinato alle donne, la messa in campo di una nuova morale sessuale e, non ultima, l’idea di riformare la dottrina sui divorziati risposati. Per loro, due giorni fa, Schönborn ha creato una commissione diocesana incaricata di studiare il nodo dell’esclusione dai sacramenti.
Contro queste richieste la linea di resistenza della chiesa e delle sue gerarchie è imponente. E giustificata, stando al magistero: “Sono richieste ridicole” dice un porporato della curia romana che chiede di restare anonimo. “Come ridicoli, mi si passi il termine, sono quei vescovi che danno spago a queste richieste. Non esiste una chiesa che resiste e una chiesa che contro questa resistenza combatte. Esiste un’unica chiesa, quella della dottrina cattolica che è sì sempre nuova, sempre pronta a seguire le intuizioni dello Spirito, ma non è mai riformabile daccapo. Esistono una chiesa del pre Concilio e una del post Concilio? No. E’ sempre la stessa chiesa, non si tratta di due chiese distinte. Seppure, occorre dirlo, in quest’unica chiesa ci sono stati dei traditori: i corifei dell’ermeneutica della discontinuità del Vaticano II, della rottura, del Concilio il cui spirito supera il Concilio stesso e si allinea alle aspettative del mondo. ‘Geist in Welt’, ‘Spirito nel mondo’, è non a caso il titolo di un importante libro scritto non da Joseph Ratzinger, bensì da Karl Rahner. A Schönborn, comunque, vorrei chiedere una cosa. Guardati intorno: che fine sta facendo la chiesa nella tua Austria? Dove portano le false dottrine dei ‘Noi siamo chiesa’? E poi, cosa significa collegialità? Agire di testa propria accusando un proprio confratello e arrivando di fatto a mettere in cattiva luce anche il Papa oppure significa l’esatto contrario?”.
L’argomento è spinoso e molto sentito. Nel giugno del 2008 memorabile fu in proposito un’omelia del cardinale Camillo Ruini. In occasione del venticinquesimo del suo episcopato, davanti a una basilica di San Giovanni in Laterano gremita per quello che di fatto fu il suo ultimo intervento da vicario del Papa per la diocesi di Roma, disse queste parole: “Essere a fianco del Papa nell’annuncio e testimonianza della fede, specialmente quando questi sono scomodi e richiedono coraggio, è in realtà il compito di ogni vescovo, un aspetto essenziale della collegialità episcopale. Mi permetto di dire che se tutto il corpo episcopale fosse stato forte ed esplicito sotto questo profilo, varie difficoltà, nella chiesa, sarebbero state meno gravi e che anche per il futuro questa può essere una via efficace per ridimensionarle e superarle”. Quanto sono attuali queste parole? Parecchio, a leggere gli eventi dell’oggi. Vecchie ruggini su come negli anni passati sono stati gestiti i casi di pedofilia nel clero sembrano aver logorato, e infine, spaccato, il collegio cardinalizio. E arrivano a colpire anche il Papa. Ieri, ad esempio, il quotidiano australiano The Age ha scritto che nel 2004 l’allora cardinale Ratzinger scrisse una lunga prefazione a un libro di un teologo australiano nonostante questi fosse posto sotto restrizioni disciplinari per “cattiva condotta sessuale”.
Vittorio Messori dice che “Ratzinger si è sempre opposto a un certo tipo di collegialità”. Anche perché, “chi vuole una riorganizzazione del potere della curia in chiave democratica dimentica Carl Schmitt. Fu il giurista e filosofo politico tedesco a dire che la chiesa non è soltanto democrazia. E’ anche monarchia e aristocrazia. E’ una monarchia assoluta perché il Papa è legibus solutus. Può modificare ogni cosa tranne ovviamente intervenire sul Credo e sulla dottrina. E’ aristocrazia perché esiste il collegio dei vescovi, oltre che il collegio dei cardinali. I vescovi, oltre a collaborare tra di loro, sono in qualche misura dei re all’interno delle rispettive diocesi. E poi, certo, è anche democrazia nel senso che chiunque può entrarvi tramite il battesimo. E, come dimostrano gli ultimi conclavi, anche coloro che provengono dalle famiglie più umili possono accedere al papato. Queste tre caratteristiche sono la dimostrazione che nella chiesa vige la legge dell’et-et. Che però ha un significato preciso. Ognuno ha il suo ruolo. Il Papa è il Papa e non lo si può sostituire con ideologie solidariste o collettiviste. Il Papa esercita il suo primato nella chiesa nella quale esistono compiti diversi per vocazioni differenti”. Già, eppure una chiesa di stampo progressista sembra non voler cedere sul tema della collegialità. Dice ancora Messori: “A queste persone dico due cose. Primo: la loro continua nostalgia di una chiesa primitiva è semplicemente un archeologismo ingiustificato. Vogliono fare un salto all’indietro di venti secoli (altro che un semplice ritorno al pre Concilio) senza tuttavia ammettere che ai tempi di san Paolo la chiesa versava in condizioni tutt’altro che facili ed edificanti: tutti erano contro tutti. Era una chiesa piena di eresie, di gelosie e correnti diverse. Una chiesa oggi purtroppo mitizzata da certa gente. Seconda considerazione: Ratzinger in ‘Rapporto sulle fede’ (1984, libro-intervista con Vittorio Messori, ndr) fu chiaro quando disse, e la cosa gli costò veementi attacchi, che le conferenze episcopali sono strumenti pratici. E dunque non hanno alcun fondamento teologico. Quindi, di che collegialità parliamo? Di una collegialità che conceda più potere a queste strutture intermedie? Siamo nel campo della fantascienza, teologicamente parlando”.
Più collegialità era uno degli slogan maggiormente gettonati nel pre conclave del 2005. Il cardinale Carlo Maria Martini ne parlava apertamente. Così Avvenire riferì nel 2003 di un suo intervento a un incontro dell’Associazione dei teologi italiani svoltasi ad Anagni: “Nel futuro Martini vede una chiesa che proceda nella direzione ‘della sinodalità e della collegialità’, anche ‘nelle relazioni tra le sue diverse componenti’. Sarà necessario attuare tutti i livelli di sinodalità possibile, ‘fino a un eventuale Concilio’. Martini fa una pausa. ‘Per quanto questo termine, Concilio, possa far paura’. Già, ma un Concilio per giungere a che cosa? ‘Dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito verso forme (ecclesiali, ndr) che esprimano la forza del Vangelo’. E qui si ferma”.
Massimo Introvigne, direttore del Centro studi sulle nuove religioni, non commenta le parole di Martini ma ricorda un dato sociologico: “Quando si parla di collegialità non si può non ricordare che di troppa collegialità sono morte diverse comunità protestanti. Dalla comunione anglicana ai battisti fino ai metodisti, dove si vota anche su temi delicati quali l’aborto o le nozze gay, sono tanti gli esempi di spaccature insanabili. Invece crescono le comunità dove la leadership è unica e chiara. Penso ai mormoni dove chi guida è una sorta di profeta che ha addirittura il diritto di cambiare la sacra scrittura. Penso ai testimoni di Geova dove il corpo collettivo, di cui si sa pochissimo, ha un potere assoluto sui dodici milioni di membri. Per quanto riguarda le comunità anglicane non bisogna dimenticare una cosa: molti di coloro che chiedono di tornare sotto Roma lo fanno proprio in reazione a una conduzione troppo collegiale e democratica delle rispettive comunità. Richard John Neuhaus, ad esempio, su quella che era la sua rivista, First Things, parlò più volte di questo argomento”.
A leggere a ritroso questi cinque anni di pontificato di Benedetto XVI si nota una caratteristica che occorre annotare: il Papa si è sempre dimostrato disponibile a parlare della collegialità. “Certo” dice il vaticanista Sandro Magister, “occorre capire bene di quale collegialità si tratti. Ma senz’altro la sua disponibilità a parlarne è totale. Ratzinger non mi sembra disposto a cedere il passo a una collegialità che metta in discussione il primato di Pietro o che dia maggiore peso alle conferenze episcopali. Mi sembra, al contrario, che la collegialità che ha in mente sia quella che tiene ben distinti e definiti i ruoli all’interno della chiesa e che valorizza il dialogo tra il Papa e i singoli vescovi”.
L’adesione del Papa alla riflessione sulla collegialità ha portato molti frutti, specialmente col mondo ortodosso. Frutti che si possono leggere dai tanti segnali che le due parti si stanno mandando. Tra ieri e oggi, ad esempio, non solo sono arrivate le dichiarazioni del Metropolita di Mosca Hilarion: “Un incontro tra il capo della Chiesa cattolica e il Patriarca russo ortodosso penso sia ora possibile”, ma c’è anche un concerto che Kirill I ha voluto offrire a Benedetto XVI. Dice Magister: “Sono segnali importanti. Oggi il rapporto della chiesa cattolica con l’ortodossia è fortissimo. Gli ortodossi hanno una struttura sinodale e insieme hanno una visione che comprende il ruolo primaziale del vescovo di Roma. Anche Ratzinger non mi sembra abbia preclusioni rispetto alla sinodalità ma, nello stesso tempo, ha un senso di forte realismo. Sa, cioè, che un sistema collegiale senza il primato di Pietro non è possibile per la chiesa. Non si riuscirebbe più a governare e a prendere alcuna iniziativa. Sarebbe un disastro”.
Dunque una collegialità nel segno del primato petrino, quella di Benedetto XVI. Una collegialità testimoniata dal Papa fin nelle prime ore del suo pontificato. Non a caso, nel suo stemma, Ratzinger ha inserito la mitria episcopale. La cosa ha un significato preciso: testimonia l’appartenenza del Papa al collegio episcopale come suo capo. Appunto una corretta esegesi della dottrina della collegialità. Un’esegesi confermata anche da un secondo gesto: la presenza, sempre nello stemma, del pallio. Sin dal VI secolo i Pontefici concedono il pallio anche agli arcivescovi metropoliti come segno della comune cura pastorale. Con l’aggiunta del pallio nel suo stemma il Papa ricorda questa cura pastorale che lo accomuna a tutti i vescovi. E, dunque, conferma ciò che di Ratzinger in molti sanno: egli considera la dottrina sulla collegialità uno dei contributi più importanti del Vaticano II. E la cosa resta un caposaldo di tuta la sua ecclesiologia.
Pubblicato sul Foglio giovedì 20 maggio 2010


Fantascienza cristologica - Autore: Contri, Giacomo B. Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 25 maggio 2010

La fantascienza ci ha abituati a molte cose, e allora perché non questa?
Succintamente la fiction è la seguente:
da una lontana Federazione Intergalattica arriva qui la fantastica astronave di una civiltà che era già tecnologicamente iperprogredita quando noi non avevamo ancora inventato la ruota.

Ne scende qualcuno che gentilmente, in buon italiano o inglese o cinese, fa omaggio all’Umanità di un DVD con le accurata riprese audiovisive dell’intera vicenda di Gesù a conferma documentaria dei Vangeli, unite all’attestazione di un indubitabile Notaio intergalattico che le riprese sono autentiche, niente teatro o cinema o romanzo, niente mito, niente fiction:
insomma, fine delle dispute sulla storicità, sul frammentino di Marco, o sulla Sindone e tutto quanto.

Domanda:
cambierebbe qualcosa?

Rispondo di no, la disputa è la medesima oggi, intendo la res disputata e non solo i disputanti:
esempio: vero o no che l’albero si giudica solo dai frutti e non dall’albero?,
oppure: vero o no che l’inferenza (se-allora) è praticabile da tutti e non solo dai sapienti ufficiali?:
ambedue le cose, poi molte altre, a Parmenide, a Platone, all’intera Scuola di Atene non potevano piacere.

Non cambierebbe nulla neppure per la progreditissima Federazione Intergalattica, il che rende superflua la mia fiction.

Ripeto ciò che dico da tempo, che a disputare con il sommo Polemista (“non la pace ma la spada”) c’erano non solo Ebrei ma anche Greci in veste di Ebrei ellenizzanti, che a mio parere avevano la maggioranza in Sinedrio:
sempre meno me lo vedo, un Ebreo-ebreo che vuole la pelle di Gesù.
Milano, 25 maggio 2010


25/05/2010 - CINA – VATICANO - Nostra Signora di Sheshan, la persecuzione e la divisione - di Bernardo Cervellera - I cattolici cinesi, in patria e del mondo, hanno pregato per la Chiesa in Cina, secondo l’intenzione di Benedetto XVI nella lettera del giugno 2007. Il santuario mariano è luogo di incontro fra cristiani sotterranei e ufficiali; il governo continua a proibire i pellegrinaggi. Unità nella verità per la Chiesa in Cina e nei rapporti fra Pechino e il Vaticano.
Roma (AsiaNews) – Il 24 maggio scorso, festa di Nostra Signora Aiuto dei cristiani, i cattolici cinesi, in patria e del mondo hanno pregato per la Chiesa in Cina, secondo l’indicazione di Benedetto XVI, contenuta nella sua Lettera del giugno 2007, in cui chiedeva di celebrare una Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina il 24 maggio, giorno della festa di Nostra Signora di Sheshan, il santuario nazionale alla periferia di Shanghai.
Sheshan è stato sempre un luogo in cui cristiani sotterranei e ufficiali si sono incontrati nella devozione a Maria. L’idea del Papa, contenuta nella Lettera e ripetuta il giorno di Pentecoste, è che “i fedeli che sono in Cina pregano affinché l'unità tra di loro e con la Chiesa universale si approfondisca sempre di più, i cattolici nel mondo intero - specialmente quelli che sono di origine cinese - si uniscono a loro nell’orazione e nella carità”.
Da allora e per gli ultimi tre anni la Giornata di preghiera ha avuto un discreto successo in Italia e all’estero, dove le conferenze episcopali hanno preparato sussidi e celebrazioni. Ma ha avuto anche un discreto successo in Cina, pur con tutta la resistenza che il governo e le associazione patriottiche hanno attuato per fermare i fedeli nei pellegrinaggi verso Sheshan.
Da quando il papa ha indicato Sheshan come il luogo dove pregare per l’unità della Chiesa in Cina, nel mese di maggio, il governo di Shanghai ha proibito il pellegrinaggio al santuario dalle diocesi vicine. Di solito nel giorno del 24 maggio, sulla collina della Madonna si radunavano almeno 20 mila fedeli. Da tre anni invece vi sono solo poche migliaia, tutte da Shanghai. Agli altri fedeli è proibito avvicinarsi grazie a un dispiego di forze dell’ordine e “volontari” che fermano i fedeli perfino sulle strade che portano al santuario, distanti diversi chilometri.
Ma i sacerdoti e i vescovi cinesi non si sono persi d’animo e hanno trasformato la Giornata in una appuntamento diocesano. Molte testimonianza che abbiamo ricevuto parlano di messe, adorazioni e benedizioni eucaristiche, pellegrinaggi a santuari locali. Tutti, fedeli delle comunità ufficiali e sotterranee hanno pregato per l’unità e la fraternità fra i due rami della Chiesa. Tutti hanno pregato anche per i giovani vescovi della Chiesa ufficiale, perché siano rafforzati nella testimonianza e nella comunione col successore di Pietro; tutti hanno pregato per i vescovi della Chiesa sotterranea ancora in prigione.
Da questo punto di vista, la Giornata ha davvero un grande successo perché crea in ogni fedele aspettative e preoccupazioni comuni.
Ma è soprattutto l’unità fra i vescovi e fra di loro e il papa che occorre potenziare. Il governo di Pechino non sta attuando una persecuzione crudele come in passato. Anche i vescovi sotterranei che sono scomparsi sono forse in qualche luogo isolato, ma mancano di libertà. La vera persecuzione che esso sta attuando è quella della divisione. Arrestando vescovi che chiedono la libertà di religione, Pechino mette in guardia i vescovi ufficiali, forse un po’ timorosi, che essi rischiano di perdere quel poco di libertà di culto che ad essi è concessa.
Allo stesso tempo, Pechino non sembra ostacolare nuove ordinazioni episcopali approvate dal Vaticano (come a Xiamen, Hohhot, Haimen). Ma esso provvede a inserire fra i vescovi concelebranti qualche vescovo scomunicato, così da rendere più difficile l’unità con i fedeli sotterranei e da compiere un gesto in dispregio al papa. Proprio nel marzo scorso, la Commissione Cina-Vaticano ha diramato un testo secondo cui “i vescovi cinesi hanno la piena dignità e responsabilità di guidare le comunità cattoliche; devono evitare gesti che vanno contro la comunione con il Papa, come ordinazioni episcopali, concelebrazioni e incontri pubblici con vescovi illeciti”.
Ad AsiaNews pensiamo che lavorare per l’unità nella verità della Chiesa in Cina è il passo più importante, anche più dei rapporti diplomatici fra Pechino e il Vaticano. Occorre che i vescovi ufficiali si preoccupino dei loro confratelli sotterranei scomparsi e che le comunità sotterranee siano più amiche e misericordiose verso gli ufficiali.
La sete di Dio in Cina è grandissima; la popolazione è ormai nauseata dal materialismo. Dall’amore reciproco ci saranno frutti abbondanti per la missione.


L'ambiguità dottrinale, male della Chiesa moderna. Manipolare la vita é contro il quinto comandamento. Il Concilio e Ranher profeti di questa svolta negativa. Ebrei e non battezzati non siano sepolti nei cimiteri - Bruno Volpe – dal sito pontifex.roma.it
Come ormai noto, un controverso studioso americano ha proclamato di aver pronto un sistema per riprodurre, sia pur da una base di materia ,la vita umana a livello sintetico. Sul punto, con molta cautela, si é espressa la Cei a mezzo del cardinale Bagnasco il quale non ha condannato la cosa, ma ha espresso timide riserve. Chiediamo il parere di don Davide Pagliarani, Superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X, di ispirazione lefebvriana, e comunque rappresentante della piena e sana ortodossia cattolica per chiarezza e lucidità. Don Davide, che cosa pensa di questo esperimento?: " vado al punto che mi interessa. La vita umana non si può mai manipolare perché é dono del Signore, regalo del quale egli solo può disporre a suo piacimento. Ogni atto che anche per mera intenzione vada contro questo principio, é una violazione del quinto comandamento che non prevede solo il non uccidere, ma ...

... anche rispettare la vita nella sua sacralità in ogni stadio".

Come valuta le dichiarazioni del cardinal Bagnasco?: " io non ho nulla di personale con lui. Ma dette affermazioni caute rispondono purtoppo ad una Chiesa che dopo la svolta antropologica di Rahner e del Vaticano II ha inteso mettere l' uomo al posto di Dio, con una visione antropocentrica del tutto sbagliata e anticattolica. Questa Chiesa lascia sempre una porta aperta per non scontentare nessuno e attraverso questa porta socchiusa entra ed esce ogni forma di eresia o di inessatezza. Insomma, la Chiesa la smetta di voler essere nel mondo e del mondo per piacere temendo la impopoarità e dica le cose come stanno, chiamandole con il loro nome. Cristo non scendeva a compromessi o vie diplomatiche".

Qual é il grande paradosso della Chiesa cattolica di oggi?: " la scarsa chiarezza dottrinale, un Magistero affievolito non per colpa del Papa, ma per la eccessiva autorità data ai vescovi, ragion per cui ognuno parla e non esiste un Magistero unico ed ufficiale. In sostanza manca totalmente il sano principio di autorità sacrificato sul pericoloso terreno conciliare della collegialità che ha dato troppo potere alle conferenze episcopali".

Poi aggiunge: " tutte queste incertezze e dichiarazioni politicamente corrette, di una Chiesa timorosa di scontrarsi con il mondo per paura di non piacere fanno parte dello spirito antropocentrico impresso dal modernismo del Concilio Vaticano II".

Ultimamente Copernico é stato sepolto in Polonia in una chiesa cattolica. Questo comporta il problema delle sepolture: " Copernico era uno scienziato splendido e di grande fama, che merita ogni lode . Credo che la sua sepoltura in Chiesa senza memoria liturgica non sia di scandalo. Invece vorrei sottolineare che spesso nei cimiteri, campisanti, luoghi di sepoltura dei battezzati, riposano non batezzati. Una assurditaà. Il camposanto é un luogo destinato a chi ha creduto nella resurrezione del corpo e della carne e nell' incontro col Cristo alla fine dei tempi. Mi dite con quale coerenza possano essere sepolti in cimiteri cristiani ebrei e altri tipi di fedeli?. Mi pare un insulto sia a noi che a loro, un non senso".
Bruno Volpe


I sette momenti storici ... "E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove" ... - Tratto dal testo "il Burattinaio" di Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
Gesù, durante la usa vita pubblica, ha dimostrato originalità, competenza e determinazione nella battaglia contro lo spirito del male, Egli ha fatto delle scelte precise ed ha insegnato specificatamente ai suoi Discepoli come fare a condurre una battaglia così ardua. Gesù, inoltre, non ha mostrato nessun vincolo con le idee del suo tempo, né tantomeno si è espresso per metafore ancestrali, anzi, Egli ha ritenuto che era giusto smascherare il diavolo, specialmente in una società in cui non tutti credevano alla sua esistenza: i farisei ci credevano, mentre i sadducei erano del parere opposto. Gesù ha messo in evidenza l’azione di Satana contro Dio e contro gli uomini; ha liberato gli indemoniati, distinguendo con estrema precisione la differenza tra i casi di liberazione dal Maligno e quelli di guarigione. Egli, quindi, ha conferito questi poteri a tutti gli Apostoli, poi ai Discepoli ed infine a tutti coloro che avrebbero creduto in ...

... Lui, con una serie di aneddoti che solo l’attuale modernismo può camuffare sotto strane teorie pseudo- teologiche, secondo le quali Satana è una metafora, gli indemoniati erano semplicemente dei pazzi, e miriadi di offese a Dio, a Gesù, allo Spirito Santo ed alla Verità assoluta. Chi dice che il diavolo non ha potere su di noi è un eretico. Chi dice che il diavolo non è in grado di portarci al suicidio è un eretico. Chi dice che il diavolo è un simbolo è un eretico. Chi dice che il diavolo non esiste è un eretico e va contro ogni dogna e verità propri della Santa Romana Chiesa, Cattolica ed Apostolica.

“Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (Luca 9, 1-2);

“Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue Discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. . . I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Egli disse: “Io vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Luca 10, 1.17-20);

“Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Marco 16, 15-18).

Gli Apostoli hanno continuato a seguire le orme del Maestro. Hanno combattuto e ricacciato i demoni sia durante la vita pubblica di Gesù Cristo che dopo la sua morte. Essi si sono concentrati in questa battaglia. Gli Apostoli ed i Discepoli, durante il loro ministero si rendono pienamente conto che la missione di salvare le anime è instancabilmente contrastata dai principi, dalle potestà, dai dominatori di questo mondo oscuro. I loro nemici, difatti, non sono visibili e si camuffano nelle persone che hanno il compito di governare; vanno smascherati e scacciati all’inferno.

Nei primi tre secoli, subito dopo la morte di Cristo, tutti i cristiani esercitavano o potevano esercitare l’esorcismo, essi hanno ricevuto da Cristo questo potere e tutt’ora lo possiedono. Il noto esorcista Don Gabriele Amorth, a tale proposito tende a sottolineare tre aspetti rilevanti. “Gli esorcismi avevano un grande valore apologetico, che attirava anche i pagani indemoniati a rivolgersi ai cristiani per ottenere la liberazione”. Tertulliano ribadisce di frequente l’efficacia con cui i seguaci di Cristo scacciano i demoni sia dai loro fratelli che dai pagani non convertiti. Egli, inoltre, non limita il campo dell’esorcismo alle persone; ritiene necessario ed opportuno che in nome di Gesù vengano effettuate benedizioni sulla vita sociale, cercando di debellare l’idolatria ed il culto del Maligno. Successivamente Cipriano afferma: “Vieni a udire con i tuoi proprio orecchi i demoni, vieni a vederli con i tuoi occhi nei momenti in cui, cedendo ai nostri scongiuri, ai nostri flagelli spirituali ed alla tortura delle nostre parole, essi abbandonano i corpi dei quali avevano preso possesso (Contro Demetrio, C.15). Se quindi 1700 anni fa l’esorcismo era alla base della nostra apologetica, oggi sembra che la Chiesa tende ad offuscare questo Ministero ed a relegarlo in un secondo piano, quasi occulto. Le persone in difficoltà, sia di natura fisica che psicologica, oggi non trovano nessun reale appoggio nella fede e, in questo disperato meccanismo, interviene il Maligno per avvicinare i sofferenti ai guaritori, ai maghi ed ai medici atei. Origene, in un secondo momento, tende a precisare che i demoni non possono comandare solo le persone, ma sono in grado di possedere anche animali, oggetti, case e di provocare fastidiosi fenomeni di infestazione, nel solo intento di condurre gli uomini interessati alla disperazione ed alla sfiducia in Dio. A tale proposito, il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l'influenza del Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l'ha praticato; è da Lui che la Chiesa deriva il potere e il compito di esorcizzare” (1673). Subito dopo la morte del Redentore, i Discepoli ed i credenti dovevano dimostrare la loro dottrina e, per opera dello Spirito Santo, si svilupparono due filoni principali di esorcismo: con il Battesimo, tutti gli uomini venivano sottratti dal potere di Satana e venivano consegnati a Cristo, in questo modo il paganesimo e le false dottrine, frutto del diavolo, venivano ad essere sostituiti da un numero sempre maggiore di cristiani battezzati. L’esorcismo, inoltre, è utilizzato per liberare gli ossessi e per effettuare numerose guarigioni fisiche e mentali, in tutti quei casi di malattie provocate od accentuate dal Maligno nel solo scopo di allontanare l’uomo da Cristo.

Dal terzo al sesto secolo dopo Cristo ci troviamo dinanzi ad un periodo di continua evoluzione per la Santa Chiesa Apostolica. Le guerre e gli eventi storici, come le vittorie di Costantino e di Teodosio, possono indurci a credere che il paganesimo sia stato sconfitto dal cristianesimo. D’altra parte le invasioni barbariche vengono interpretate dai Padri della Chiesa come un secondo avvento di neo-paganesimo, non meno bisognoso di essere esorcizzato come il primo. Ecco allora emergere due figure come S. Martino di Tours e San Benedetto. Con essi, il monachesimo interviene nello scontro sociale e dottrinale contro gli infedeli e fa dell’esorcistato uno di Ministeri che maggiormente fa conseguire risultati positivi, guarigioni e conversioni. La battaglia per liberare l’umanità dal temibile laccio di Satana è lo scopo primario dei monaci che, terminate le epoche dei martiri e delle persecuzioni, divennero i guerrieri del cattolicesimo ed occupavano “le prime file al fronte”. Anche in quel periodo, come in precedenza, tutti i cristiani potevano, in nome di Gesù, scacciare i demoni ed operare guarigioni ma, essendo i monaci rigorosi osservanti della Scrittura, essi digiunavano e pregavano e, nel contempo, le loro opere di apostolato si dimostravano sempre più efficaci ed inaffondabili. Non mancavano, però, gli imbroglioni ed i bugiardi; molti erano coloro che impararono a trarre utilità e fama dai poteri concessigli e, per volere di Dio, la Chiesa ritenne opportuno varare una certa regolamentazione in merito, per evitare il diffondersi di nuovi culti, di credenze popolari e di falsi profeti. Gli Esorcisti vengono così inseriti nel sacramento dell’Ordine come uno degli ordini minori. L’esorcistato verrà abolito dalla Chiesa come ordine minore nel Concilio Vaticano II. Dice Don Amorth: “la Chiesa Ortodossa invece, aliena a burocratizzare l’esorcistato, lo ha sempre considerato un carisma, una capacità personale di ogni fedele, particolarmente degli uomini e delle donne propensi a questa forma di apostolato”. Quando nel 416 Innocenzo I stabilisce che l’esorcismo deve essere eseguito dietro specifico ordine vescovile, in Oriente, tale Ministero continua ad essere amministrato liberamente da coloro i quali Dio ne ha concesso il carisma. L’esorcismo diviene il sacramentale amministrato dai Vescovi o dai sacerdoti autorizzati dai Vescovi, mentre la preghiera di liberazione può essere fatta da chiunque, da singoli o da gruppi, che intendono liberare qualcuno dall’influenza del Maligno.

Dal sesto al diciottesimo secolo la pratica dell’esorcistato e della lotta ai diavoli è in ascesa sia nel mondo occidentale che nella Chiesa Ortodossa. Ogni luogo di culto, difatti, ha un esorcista a disposizione dei fedeli e viene indirettamente ad essere istituita una specie di scuola, formatasi sul campo di battaglia, nella quale il sacerdote giovane apprende il Ministero assistendo il sacerdote anziano, permettendo così un continuo ricambio di Ministri di Dio. Nel sesto secolo viene presentata la prima formula ufficiale per l’ordinazione di un esorcista negli Statua Ecclesiae Antiquae. Vengono ad essere ideati tanti formulari da utilizzare negli esorcismi e, a tal proposito, è bene menzionare quelli di Alcuino dell’ 804 che successivamente saranno inseriti nel Messale Romano ed infine nel Rituale del 1614. In questo periodo, ricco di filosofi e pensatori, riemerge il pericolo del dualismo tipico dei Manichei e, dalla denuncia fatta dal Pontefice nel Sinodo di Praga del 560, tale corrente di pensiero continuerà ad esistere, fino a sfociare nelle eresie dei Catari e degli Albigesi. In questo periodo, vi sono molti tipi di esorcismi ma non esistono persecuzioni né contro le streghe e né contro gli invasati, l’unico pericolo da estirpare è quello delle frequenti eresie che, ad opera del Maligno, non fanno altro che generare scismi e diatribe.

Dal dodicesimo al quindicesimo secolo ci troviamo dinanzi ad un periodo tristissimo per la Chiesa; questo non sarà altro che il preludio a dei momenti ancora peggiori. Da una parte cresce il lusso, la dottrina, vengono costruite grandi Cattedrali e sono stilate le varie Summae teologiche che ancora oggi regolano il pensiero di molte comunità religiose; dall’altra intervengono gli Albigesi con le loro eresie. Sono periodi di dure battaglie, di pestilenze, di carestie e di devastazioni, il Maligno imperversa e provoca disperazioni e pazzie. Tutte le donne estroverse e simpatiche che, fino ad allora venivano definite bonae femminae ed erano trattate con scherno, adesso vengono rinominate streghe e cominciano a subire dei trattamenti ben diversi. Proprio queste figlie di Dio che, più di ogni altro essere avevano la necessità di essere esorcizzate, vengono invece condannate, perseguitate e, in taluni casi, bruciate sul rogo in pubblica piazza. Basti ricordare il caso della Santa Giovanna D’Arco che, per i suoi poteri divinatori e per la sua devozione da Apostolo, viene condannata ed uccisa senza essere neanche esorcizzata. Siamo, quindi, dinanzi al disfarsi di ogni giustizia sia cattolica che giuridica, tutto questo trambusto non fa altro che aprire maggiormente le porte a Satana che, direttamente, ricopre cariche di governo e cattedre pastorali. Siamo dinanzi ad una completa rovina, si pensa di agire nel bene e, in realtà, non si fa altro che fare gli interessi degli angeli decaduti. Nel 1252 Innocenzo IV autorizza la tortura contro gli eretici, nel 1326 il Papa Giovanni XXII dà il via a quella che sarà la più grande strage di streghe mai avvenuta nella storia dell’umanità. Dal 1340 al 1450 la punizione divina arriva sotto forma di peste nera, una terribile epidemia che genera morte, distruzione e depravazione. Siamo dinanzi al disfacimento dell’etica cristiana, alla morte dei valori sociali ed ai primi rilevanti scismi nella Chiesa. Nasce così il condannato fenomeno della demonizzazione di tutto che, a mio parere, non è affatto sbagliato, ma all’epoca è stato combattuto in modo sbagliato, trasgredendo tutte le leggi della Bibbia, senza considerare che il tutto si sarebbe potuto risolvere non con i deliri popolari ma con dei semplici e regolari esorcismi. Ci tengo, quindi, a precisare che l’Inquisitore non ha nulla a che vedere con l’Esorcista. Il primo condanna, mentre il secondo guarisce, in nome di dio, anima e corpo.

Dal sedicesimo al diciottesimo secolo il mondo pseudo cristianizzato viene ad essere colto dalla follia dilagante. Gli esorcismi sono quasi aboliti e si tenta di risolvere tutto con la forza; cari fratelli, traiamo grande esempio da quanto è successo in questo periodo, perché è facile capire dove si va a finire quando non si combatte più il male così come Cristo ci ha insegnato. L’uomo, pensando di fare bene, viene manipolato dal Maligno e non fa altro che uccidere, torturare ed aggiungere sofferenze su sofferenze. Oggi, per esempio, siamo nella stessa situazione. L’antico avversario sembra non esistere più, anzi, la maggior parte dei sacerdoti ha quasi timore nel nominare Satana, vuole evitare di essere definito uno sciamano. Non dimentichiamo, però, l’insegnamento di Cristo che, oltre a darci lezioni di esorcismo, ci dice apertamente che, operando nel suo nome, saremo ridicolizzati ed abbandonati. Il Maligno non opera più con i roghi, ma vaga incontrastato e provoca omicidi, pazzie, malattie, disgrazie, guerre, depravazioni e quanto di più abominevole possa esistere. Tornando al 1548, e precisamente al 9 Luglio, vediamo che l’Imperatore Carlo V promulga un editto che ha come finalità la riforma del Rituale. Ormai, purtroppo, il male era giunto ai vertici e nel 1560 – 1630 si raggiunge il culmine delle nefandezze. È scandaloso il caso di Suor Giovanna Fery delle Suore Nere di Mons in Francia, che da molti anni aveva rapporti pseudo contrattuali col diavolo. Il suo caso è passato alla storia perché, dopo essere stata accusata di stregoneria e condannata al rogo, la divina provvidenza le concesse un esorcismo. L’arduo compito toccò all’Arcivescovo Luigi de Berlaymont che, dopo un anno di estenuanti benedizioni, riuscì a liberare la donna e la fece ritornare, fino alla morte, nel suo monastero. Questo esempio è di monito per tutti quei Vescovi e prelati che, all’epoca dell’inquisizione, si macchiarono di veri e propri crimini ingiustificabili. È inutile che si tenti di moderare il parere circa le efferatezze commesse giustificandolo con il solito termine: ma sai, a quei tempi!!!! Assolutamente no. La Parola di Dio non ha mai messo in evidenza il volere di uccidere i peccatori, anzi, Gesù afferma di essere il Vivente e di volere che il peccatore non muoia, ma che, al contrario, si converta e viva. Attenzione, però, a non confondere mai l’esorcistato con le barbarie inquisitorie, sono due discorsi nettamente separati. Quando diminuisce l’uno, automaticamente aumenta l’altro.

Dal diciottesimo secolo fino ad oggi siamo andati incontro al fenomeno inverso; l’eccessivo razionalismo, l’illuminismo, la superbia, la rivoluzione industriale, il progresso hanno sì posto fine alle persecuzioni ma, purtroppo, hanno generato nella psiche umana una certa riluttanza ed incredulità nei confronti degli esorcisti. La reazione agli eccessi dei secoli precedenti, portò ad un disinteresse totale nei confronti del Maligno e del suo operato. Questa condotta morale, durata fino ad oggi e persistente, ha reso il temibile avversario alla stregua di un burattino , sembra vedere diventato solo una idea, una rappresentazione iconografiche del male intrinseco nell’animo umano. Poveri illusi, abbiamo reso un pupazzo colui che è il Burattinaio per eccellenza e che, se non fosse frenato da Dio, ci ucciderebbe tutti in un solo secondo. Calando la fede e lasciando libero spazio al male, ecco che vediamo crescere le efferatezze ed assistiamo al propagarsi interminabile di sette e di false dottrine. La cultura laica si è ritrovata vittima dell’opera di demitizzazione del Maligno da parte dei razionalisti increduli, poi l’influenza ironica e schernitrice degli illuministi e la superbia degli scientismi, non hanno fatto altro che rifiutare in blocco l’intero cristianesimo. Poveri noi, come ci siamo ridotti. Attualmente il materialismo storico, l’ateismo comunista ed il consumismo occidentale, non hanno fatto altro che sferrare il colpo di grazia sul Corpo di Cristo. Gesù non morirà mai e, con Lui, tutta la Chiesa ed il cristianesimo, ma facciamo attenzione a quanto la Sacra Scrittura ci ha insegnato:

“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere” (Matteo 7, 15-20).

Oggi l’influenza del demonio è tale che addirittura nei seminari e negli ambienti ecclesiastici non si parla più del male, ma solo del bene, o meglio, del bello. Permettetemi questa piccola critica, ma a me dispiace enormemente sentire i miei amici e colleghi, apertamente cristiani, ritenere in realtà gli esorcisti come degli stregoni matti. Fa molto male sentire certe affermazioni proprio contro coloro che, ultimi baluardi della fede, sono rimasti sul fronte a smascherare il vero nemico. È troppo comodo fare i sacerdoti, i laici, i religiosi e poi rinnegare certe realtà; ricordate che non ci salveranno le belle chiese, le cerimonie e le manifestazioni di finta beneficenza, ma tutto ciò ci condurrà diritti nelle mani del nemico. Gesù dice:

“Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: “Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!”. (Luca 19, 41-46). [Esorcisti e psichiatri – Don Gabriele Amorth].
Tratto dal testo "il Burattinaio" di Carlo Di Pietro


Il relativismo culturale danneggia le fasce deboli. Sbagliato credere che esistano varie verità. Bisogna difendere con rigore e coraggio i valori non negoziabili da cattivi maestri e comunicatori senza scrupoli. La creazione appartiene solo a Dio - Bruno Volpe intervista Massimo Introvigne – dal sito pontifex.roma.it
La settimana scorsa, Papa Benedetto XVI lanciò un ennesimo ed accorato appello contro il relativismo culturale ( che va di pari passo con quello etico), ormai una costante del suo alto pontificato ed anche del suo pensiero espresso ben prima di salire al Soglio di Pietro. Chiediamo al noto ed autorevole sociologo ed esperto di questioni religiose, professor Massimo Introvigne, una sua interpretazione di quello che intendeva dire il Papa: " premesso che non mi ritengo tanto presuntuoso da interpretare il Papa, dico quello che penso io". Lo dica pure: " il relativismo culturale é un fenomeno abbastanza antico e non degli ultimi anni, anche se in questi tempi ha conosciuto una forte spinta. Domina l' antropologia specie a cavallo degli anni 80 e 90,e pone a base il concetto di una specie di divinità: la cultura e la scienza come punti focali. Ma queste due categorie ,secondo la logica relativista, non impongono valori fissi, ...

... bensì variabili. Certo, sarebbe impensabile da un punto di vista etcnico pretendere che certe tradizioni e visioni della vita siano uguali per un africano ed uno svedese, ma bisogna riconoscere che esistono dei punti fermi uguali per tutti. Il relativismo contesta questo principio di verità, o meglio la esistenza della verità".

In che senso?: " nel nome di una specie di delirio di onnipotenza dell' uomo e della scienza, si presume che non esistano regole fisse e certe, specie nel terreno etico e che ognuno sia libero di agire come gli pare, e dunque che l' omicidio viene scriminato in alcune situazioni, che la famiglia può essere smantellata come conviene e via discorrendo. Questi falsi valori culturali, hanno una evidente caduta su quelli etici e dunque relativismo culturale e relativismo etico sono parenti stretti".

Il Papa ha detto che questo relativismo culturale favorisce i poteri forti: " é vero, non fa una piega. Penso a chi non può permettersi il lusso di comprare vari quotidiani per formarsi una idea completa. Costoro se la creano sul web o su pochi fogli, spesso tendenziosi, conformisti e legati alla cultura anticlericale per prevenzione. Questo chiama pesantemente in causa i comunicatori sociali, e per essi gli editori, figli di un particolare clima di ostilità alla Chiesa, laicista e talvolta come avviene negli Usa anche massonico".

Insomma chi ci rimette?: " i ceti deboli e i fragili, coloro che si fanno condizionare ed aumentano di giorno in giorno in modo allarmante. I siti e giornali che contrastano questo modo di pensare sono pochi mentre esistono autentiche bocche da fuoco del laicismo che ormai dettano legge".

Ma per quale motivo la industria dei media é ostile al cattolicesimo?: " perché rende, nel giorno in cui notassero una maggioranza cattolica, cambieranno anche loro, rispondono a logiche di commercio. E a poteri forti che vedrebbero bene una società senza Chiesa e fede".

Che cosa pensa del recente esperimento dello scienziato americano sulla vita "sintetica"?: " apprezzo la cautela della Chiesa. In fondo costui lavora pur sempre sulla materia già esistente e dunque non ha creato la vita, che solo Dio può fare. Piuttosto bisogna stare attenti ed esprimere qualche legittima perplessità su come queste eventuali scoperte in campio bioetico, possano essere usate. Spero a fine di bene".
Bruno Volpe


Nuove considerazioni sulla legge 194 - Corrispondenza Romana n.1142 – dal sito pontifex.roma.it
Il recente caso di Rossano, in cui un bimbo di 22 settimane sopravvissuto all’aborto è stato lasciato agonizzare nella sala operatoria per un giorno intero, e che solamente in seguito alle proteste di un religioso è stato posto in un’incubatrice dove è morto poco tempo dopo, oltre ad accendere i riflettori sull’orrore dell’aborto, consente delle riflessioni più approfondite sulla legge 194/1978 che da oltre trent’anni regolamenta la cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese. L’episodio in questione ha sollevato accese discussioni ed ha innescato delle indagini conoscitive per verificare se, nel caso specifico, siano state rispettate le linee guida dettate dalla legge 194. È utile rilevare come sull’episodio di Rossano pesino le ambiguità e le contraddizione della legge, che sebbene formalmente ponga dei limiti, sembra essere strutturata in modo tale da permettere l’aborto anche in quelle particolari ...

... circostanze. Nel caso in questione il medico è stato accusato di non aver prestato soccorso al bambino sopravvissuto all’aborto e si è invocato il mancato rispetto delle condizioni necessarie per autorizzare l’aborto, dato che la mamma non era in pericolo di vita e l’età del feto intorno alle 22 settimane, dunque con possibilità di vita autonoma fuori dell’utero materno.

Occorre però sottolineare come la legge non preveda un limite cronologico preciso oltre cui non sia possibile interrompere la gravidanza, ma come tale limite venga identificato con l’epoca nella quale sussiste la possibilità di vita autonoma del feto (194/1978 art. 6, 7).

Secondo la stessa Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia non è possibile stabilire un limite certo di vitalità valido per tutti i feti (Atti della Società di Ginecologia e Ostetricia – vol. LXXXV).

Il Decreto direzione generale sanità n° 327 del 22/01/2008 della Regione Lombardia, afferma che «I dati scientifici oggi a disposizione indicano che a 23 settimane di età gestazionale è possibile la vita autonoma del neonato. Considerato però che è dimostrato un margine di errore nella datazione della gravidanza, anche se effettuata in epoca gestazionale precoce, e che la possibilità di vita autonoma del neonato migliora, tra la 22ª e la 24ª settimana, del 2-3 percento per ogni giorno di gravidanza, si ritiene che l’interruzione di gravidanza di cui all’art. 6 b non debba essere effettuata oltre la 22a settimana + 3 giorni».

Data l’evidente inconsistenza e provvisorietà dei “paletti” indicati, non si capisce come tale atto di indirizzo possa costituire un argine giuridico contro possibili violazioni della legge e, soprattutto, come possa essere considerato un criterio etico di riferimento. D’altronde, la legge 194 è stata pensata per permettere l’eliminazione del bambino indesiderato o “difettato”, non certo per salvaguardare la sua vita.

Certamente, viene da chiedersi, e lecitamente, come possa un medico disinteressarsi della sorte di un bimbo indifeso a tal punto da lasciarlo morire di stenti. Dovremmo però prima chiederci come possa il medico trasformarsi nell’assassino di un innocente; dovremmo anche chiederci come possa uno Stato legittimare e finanziare tale abominevole delitto e come l’opinione pubblica sia disposta a scandalizzarsi solo in presenza di possibili violazioni della legge e mai per l’olocausto degli innocenti che si consuma giornalmente negli ospedali italiani, proprio a causa della legge.

Effettivamente, la finalità della legge 194 è quella di tutelare la salute fisica e/o psichica della donna, a danno dell’innocente che porta nel grembo, soprattutto se portatore di una malformazione reale o presunta (incredibilmente, alcuni “pro-life” si ostinano a dichiarare che la 194 non contempla la pratica eugenetica).

Dunque non può destare alcuna meraviglia il fatto che l’equipe medica non abbia prestato soccorso al piccolo; infatti, qualora egli fosse sopravvissuto, la responsabilità sarebbe stata del medico che l’ha fatto nascere prematuramente con l’intento, non raggiunto, di sopprimerlo. Il numero delle vittime innocenti dal 1978 ad oggi in Italia (oltre cinque milioni) ben evidenzia l’ipocrisia della legge 194, il cui spirito è quello di sancire e garantire la piena autodeterminazione della donna, contrariamente a quanto indicato nel titolo e nel preambolo della legge stessa, dietro cui il legislatore ha astutamente ritenuto di trincerarsi.
Corrispondenza Romana n.1142


Associazione Scienza&Vita - Comunicato n° 14 del 25 Maggio 2010 - SCIENZA & VITA: SUI TRAPIANTI DA SAMARITANI OPPORTUNE ALCUNE RIFLESSIONI BIOETICHE
L’Associazione Scienza & Vita segue con particolare attenzione il tema dei trapianti da “donazione samaritana”.
“A seguito del parere favorevole espresso dal Consiglio Superiore di Sanità – dichiara il copresidente Lucio Romano – non possiamo non soffermarci su alcune problematicità e riflessioni già emerse nel corso del dibattito al Comitato Nazionale di Bioetica”.
“Va ricordato, infatti, che questa particolare modalità consensuale di trapianto di organo ex vivo, pur fondandosi sull’elevato profilo etico e sociale proprio degli atti di gratuità e altruismo, tuttavia ci interroga sotto il profilo bioetico e biogiuridico.
È ineludibile valutare i rischi connessi alla possibile speculazione a danno di soggetti deboli sotto il profilo economico, sociale ed emotivo, dalla cui specifica situazione di fragilità, soggetti terzi potrebbero sortire profitti”.
“Inoltre – prosegue Romano – va tenuto presente un altro aspetto di apprezzabile rilevanza biogiuridica ed etica: il principio dell’indisponibilità del proprio corpo o di sue parti, espressione diretta della dignità della persona.
Vanno poi evidenziate, infine, le potenziali strumentalizzazioni finalizzate a giustificare e motivare anche la donazione di cellule direttamente coinvolte nella riproduzione, come spermatozoi e ovociti”.
Associazione Scienza&Vita


REPLICA/ Doninelli: peggio della schiavitù, c’è solo il nostro moralismo - Luca Doninelli - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Ho letto e apprezzato l’editoriale del sussidiario apparso l’altro ieri, a firma di Graziano Tarantini, dal titolo “Ossessione etica”. E molte sono le riflessioni che ha suscitato.
Vorrei però soffermarmi su un’espressione che Tarantini butta lì un po’ frettolosamente, e che, detta così - e fatte salve le intenzioni, che condivido - appare molto ambigua e può dare adito a una certa confusione o a prese di posizione arroganti.
La frase è la seguente. “La storia letteraria, artistica e del pensiero del resto ha molto da insegnarci. È piena di portaborse del potere che hanno prodotto opere immortali, mentre di tanti uomini virtuosi e incorruttibili, alieni da ogni compromesso, non è rimasta traccia”.
Le cose non stanno esattamente così. La realtà viene prima delle nostre opinioni, anche quando queste opinioni sono giuste. Che tanti artisti abbiano predicato bene e razzolato male, come spiega Pigi Colognesi in un articolo comparso ieri, sempre sul sussidiario, è vero, come è vero che l’incoerenza e la fragilità morale inducono spesso l’artista poco provvisto di coraggio pubblico a farsi coraggioso perlomeno verso sé stesso. Penso sempre a un poeta secondo me sottovalutato, Giosuè Carducci, uno dei migliori poeti politici della nostra storia, in cui il tema del tradimento politico appare come un fil rouge importantissimo (molte sue opere, per esempio la celeberrima Davanti San Guido, sono piene di questa amarezza).
Tuttavia per trarre i giusti insegnamenti dalla storia letteraria, artistica e del pensiero occorre innanzitutto osservare queste cose con una certa attenzione, spenderci del tempo.
Qui, tra l’altro, non si tratta di coerenza o meno: Tarantini parla di portaborse, quindi di un’esplicita adesione a un progetto di potere.
Il problema del rapporto tra scrittori, artisti e potere è un problema complicato. I portaborse del potere che hanno prodotto opere immortali ci sono, ma non sono poi tanti. E comunque il problema non sta né nell’essere portaborse né nell’essere virtuosi e incorruttibili (anche perché quest’ultimo caso non si dà mai).
Se D’Annunzio, Sartre e Moravia sono stati a loro modo portaborse del potere (di questo o di quello poco importa), ci sono artisti che hanno rischiato la fucilazione (Dostoevskij), che hanno patito l’esilio (Ovidio), oppure sono stati messi al bando come si fa con gli scemi del villaggio (Cézanne), o in galera (Havel), o la scomparsa fisica unita alla dimenticanza (Grossman, Mandel’stam). In molti casi, furono proprio i cosiddetti portaborse a salvare da una sorte peggiore i loro colleghi messi al bando: c’è chi considera portaborse anche Boris Pasternak.
Ma il problema vero è che queste categorie non servono a capire come stanno le cose. Chi è l’artista? È un uomo che segue una certa predisposizione fino a che, spesso per casi fortuiti, questa predisposizione diventa un destino. Mio fratello scrive bene quanto me, ma io sono diventato scrittore e lui no.
Nel momento in cui uno capisce che quello è il suo destino, cosa può fare se non cercare di seguirlo? Così si diventa artisti, personaggi pubblici, chiamati a mettere nelle loro opere la vita del mondo che li circonda, i costumi, i progetti, le tare, fino al segreto dei cuori passando attraverso ritratti, paesaggi, vicende tragiche, casi ridicoli, e così via.
Parlando della vita, dipingendo la vita, scolpendo la vita, cantando la vita, è inevitabile che l’artista si imbatta nel potere. Qualsiasi tipo di potere. Giotto ha potuto affrescare la Cappella degli Scrovegni perché ha ottenuto la commessa da chi aveva il potere su quel luogo.
Avere il potere non vuol dire solo spadroneggiare (potere tirannico) o gestire (potere tecnocratico): vuol dire anche detenere un senso. Il senso della Sistina, per esempio, non ce l’ha Michelangelo, ma il Papa. Agli artisti questo piace, almeno finché questo senso non si trasforma in obbligo. Quando il potere diventa forte e richiede all’artista un’adesione di fondo, fino a diventare un funzionario dell’ideologia, allora la libertà dell’artista si mette in gioco. C’è chi ha aderito pienamente, come il nazista Heidegger o il fascista D’Annunzio, e chi si è opposto, accettandone le conseguenze.
Il vero guaio sta negli interpreti di questi fatti. Noi spesso giudichiamo queste cose in chiave moralista (su questo Tarantini ha ragione), definendo cattivi i primi e buoni i secondi. Qui sta la radice della confusione! Quello che dovremmo domandarci è se, agendo nel modo in cui hanno agito (nell’uno come nell’altro), questi uomini hanno salvato la possibilità di dire quello che dovevano dire.
Heidegger fu probabilmente un uomo orribile, così come Michelangelo fu un genio insopportabile. Ci furono però anche uomini di grande bontà e mitezza, che dalla furia del potere subirono ogni umiliazione. Quello che io so, ammirando le loro opere - e se necessario discutendole (una grande opera è sempre discutibile, l’indiscutibilità appartiene ai mediocri) - è che questi uomini, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, ideologie, gusti ecc., hanno dato la misura di sé. Hanno detto fino all’ultima sillaba quello che ritenevano di dover dire. Hanno fatto le loro scelte cercando, sia nell’adesione sia nell’opposizione, di salvare il dono che avevano ricevuto, per donarlo al loro volta.
Ci sono stati, poi, molti portaborse del potere e molti “duri e puri” che erano, semplicemente, artisti mediocri. Mai fare di ogni erba un fascio, né in una direzione né nell’altra (sempre moralismo è). Arte e potere hanno spesso bisogno l’una dell’altro, ma la mia impressione è che, al fondo, non si conoscano. L’artista può essere più o meno furbo, ma il potere è sempre un’altra cosa. E il potere può essere più o meno magnanimo e praticare il mecenatismo, ma l’arte è sempre un’altra cosa. È il segno tenace, testardo della nostra strutturale debolezza, del nostro limite, segno indefettibile della nostra dipendenza.


LA CHIESA INVITA A VIVERE, NON A VIVACCHIARE - L’agenda di chi spera è piena di futuro - MARINA CORRADI – Avvenire, 26 maggio 2010
Se un amico straniero ci domandas se: allora, come va da voi in Italia?, forse non sapremmo rispondere che con imbarazzo, e un fondo di rassegnazione. Bah, diremmo, come vuoi che vada. Si sopravvive. Nonostante la crisi, non siamo la Grecia. La politica è in un affanno cronico, dentro a un interminabile travaglio che sembra non partorire niente; se non provvedimenti per far fronte a urgenze irrimandabili; se non rumore, scontri, uscite estemporanee che il giorno dopo sono già lettera morta. Come vuoi che vada, diremmo a quell’amico: sui giornali c’è ogni giorno un nuovo scandalo, nuove indagini, nuovi veri o presunti corruttori e concussi. Tuttavia, si sopravvive.

Lavoriamo, mandiamo a scuola i figli, pensiamo, chi può, alle vacanze. Tiriamo avanti. Quasi alla giornata. Un progetto comune, una condivisa speranza sembrano cose troppo ambiziose, e troppo proiettate in un futuro in cui non nutriamo gran fiducia.

Nei libri di storia leggiamo delle passioni e dello slancio di ricostruzione del dopoguerra; e pur sapendo da quali lutti e povertà veniva quell’Italia, noi, che non c’eravamo, ne proviamo rimpianto. Ma c’è una profonda differenza fra «vivere, e vivacchiare», ha detto lunedì il cardinale Bagnasco alla assemblea generale della Cei. Ha usato quella stessa espressione di Piergiorgio Frassati che Benedetto XVI aveva ricordato pochi giorni fa ai giovani in piazza San Carlo, a Torino. Come se, in questa Italia, lo sguardo della Chiesa fosse rimasto quasi il solo a ricordare che 'tirare avanti', in un Paese, non basta. Che la vita di un popolo chiede altro: un respiro più ampio, uno sguardo più lungo, dei progetti, e in fin dei conti una fondata speranza. Lo sguardo della Chiesa italiana espresso da Bagnasco non calca su inchieste, corruzioni, rendimenti di conti, scandali. C’è un filo conduttore invece che parla di educazione, di famiglia, di contrasto al declino demografico, di lavoro da dare ai giovani. Un filo in cui la sfida della educazione è al primo posto, «decisiva anche sotto il profilo storico, sociale e politico». Una sfida che, non accolta, porta alla «decomposizione sociale». Come un’altra agenda, un’altra serie di priorità rispetto a quelle che si prendono i titoli più grandi sui giornali. Come una sottolineatura di ciò che davvero è vitale. In che cosa consiste questa differenza di sguardo? È la stessa che spesso vediamo compiersi in chi mette al mondo dei figli. Quando si diventa padri e madri si comincia a interessarsi, oltre che al presente e a ciò che possiamo trarne, a quel che sarà dei figli, quindi al futuro. La paternità è per quasi tutti la svolta per cui ci interessa e ci preme una scuola che funzioni, una televisione decente, un ambiente sociale in cui quei figli possano crescere, studiare, lavorare. Siccome teniamo ai figli, ci interessa l’avvenire. Lo sguardo della Chiesa è segnato da questa stessa paternità: non si ferma al presente e ai suoi boati, ma indica un progetto, un da farsi, un futuro. (E forse non è un caso se un paese dove il 50% delle famiglie non ha figli appare così schiacciato sulle contingenze, banali o scandalose che siano; e così privo di slancio, così asfittico sui temi di scuola, educazione, demografia, occupazione giovanile. Che cosa importa il futuro, se non si hanno eredi?) Lo sguardo della Chiesa invece è segnato da questa paternità, da sempre incisa nel pensiero cristiano. E’ lo sguardo di una continuità e di una speranza; di una radicale fiducia nella vita, di una tenace certezza di un destino che non è un caso cieco. In una società che sembra chiusa stancamente su lotte di potere, soldi, privilegi, vizi privati e scandali di cui non ci si riesce neanche più a stupire ma solo a sbadigliare, è, questo sguardo, un atteggiamento profondamente anticonformista. I figli, l’educazione, la speranza: parole a bassa voce eppure così controcorrente, in questa Italia che tira avanti e sopravvive.