Nella rassegna stampa di oggi:
1) Torino, 2 maggio: Benedetto XVI medita sulla Sacra Sindone - discorso tenuto alle suore di clausura dove Benedetto XVI medita sul significato della Sindone in un'epoca di crisi per la Chiesa, per la storia e... per il Papa
2) DISCORSO DEL PAPA NELL'INCONTRO CON GLI AMMALATI NELLA CHIESA DEL COTTOLENGO - TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI nell'incontrarsi nella chiesa del Cottolengo, a Torino, con gli ammalati e gli ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
3) E’ SUFFICIENTE IL DESIDERIO PER OTTENERE UN DIRITTO? - Fecondazione artificiale e bioetica - di Renzo Puccetti*
4) L'ETICA DELL’IRONIA CONTRO LA RELIGIONE DELLA PERFEZIONE - di Carlo Bellieni* - ROMA, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Clonazione, etica dell’incesto o cannibalismo, aborto rapido, divorzio rapidissimo: e noi a rispondere con tanti discorsi come se si trattasse di cose degnissime, e così gli diamo dignità e scordiamo il punto centrale (di chi è la vita?) accapigliandoci sui dettagli (è meno peggio l’aborto con la RU o col bisturi?). Accettiamo di discutere su temi quali: “fare figli è razionale?” oppure “il neonato è una persona?” non capendo che la loquela è robusta, ma l’impostazione è a trabocchetto. Basta. Riprendiamoci l’ironia e soprattutto il riso come strumento dialettico. Perché il riso è un giudizio etico.
5) Gli attacchi alla Chiesa figli di una cultura illuminista e della tradizionale ostilità calvisnista del nord Europa. L'amore di Dio é carità, ben diverso da quello degli uomini. Anche Cristo soffriva per amicizia - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
6) LA DURA LOTTA SPIRITUALE DEL CRISTIANO CONTRO SATANA - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.roma.it
7) SINDONE/ Il Volto Santo di Manoppello, l’altro viso di Gesù che sfida la scienza (e combacia con la Sindone) - INT. Heinrich Pfeiffer - lunedì 3 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Torino, 2 maggio: Benedetto XVI medita sulla Sacra Sindone - discorso tenuto alle suore di clausura dove Benedetto XVI medita sul significato della Sindone in un'epoca di crisi per la Chiesa, per la storia e... per il Papa
Cari amici,
questo è per me un momento molto atteso. In un’altra occasione mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”. Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio.
Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il Vangelo di San Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato.
Il Sabato Santo è il giorno del nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo giorno risuscitò da morte”.
Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo: l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi abbiamo a che fare con questa oscurità.
E tuttavia la morte del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo, fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così: il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”. E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La solidarietà più radicale. In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui.
Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”.
Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l’amore. Questo è il potere della Sindone: dal volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati - “Passio Christi. Passio hominis” - promana una solenne maestà, una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del Sabato Santo.
Cari amici, lodiamo sempre il Signore per il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo, portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e di carità. Grazie.
DISCORSO DEL PAPA NELL'INCONTRO CON GLI AMMALATI NELLA CHIESA DEL COTTOLENGO - TORINO, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI nell'incontrarsi nella chiesa del Cottolengo, a Torino, con gli ammalati e gli ospiti della Piccola Casa della Divina Provvidenza.
* * *
Signor Cardinale,
cari fratelli e sorelle!
Desidero esprimere a voi tutti la mia gioia e la mia riconoscenza al Signore che mi ha condotto fino a voi, in questo luogo, dove in tanti modi e secondo un carisma particolare si manifestano la carità e la Provvidenza del Padre celeste. E’ un incontro, il nostro, che si intona molto bene al mio pellegrinaggio alla sacra Sindone, in cui possiamo leggere tutto il dramma della sofferenza, ma anche, alla luce della Risurrezione di Cristo, il pieno significato che essa assume per la redenzione del mondo. Ringrazio Don Aldo Sarotto per le significative parole che mi ha rivolto: attraverso di lui il mio grazie si estende a quanti operano in questo luogo, la Piccola Casa della Divina Provvidenza, come la volle chiamare san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Saluto con riconoscenza le tre Famiglie religiose nate dal cuore del Cottolengo e dalla “fantasia” dello Spirito Santo. Grazie a tutti voi, cari malati, che siete il tesoro prezioso di questa casa e di questa Opera.
Come forse sapete, durante l’Udienza Generale di mercoledì scorso, insieme alla figura di san Leonardo Murialdo, ho presentato anche il carisma e l’opera del vostro Fondatore. Sì, egli è stato un vero e proprio campione della carità, le cui iniziative, come alberi rigogliosi, stanno davanti ai nostri occhi e sotto lo sguardo del mondo. Rileggendo le testimonianze dell’epoca, vediamo che non fu facile per il Cottolengo iniziare la sua impresa. Le molte attività di assistenza presenti sul territorio a favore dei più bisognosi non erano sufficienti a sanare la piaga della povertà, che affliggeva la città di Torino. Il Cottolengo cercò di dare una risposta a questa situazione, accogliendo le persone in difficoltà e privilegiando quelle che non venivano ricevute e curate da altri. Il primo nucleo della Casa della Divina Provvidenza non ebbe vita facile e non durò a lungo. Nel 1832, nel quartiere di Valdocco, vide la luce una nuova struttura, aiutata anche da alcune famiglie religiose.
Il Cottolengo, pur attraversando nella sua vita momenti drammatici, mantenne sempre una serena fiducia di fronte agli eventi; attento a cogliere i segni della paternità di Dio, riconobbe, in tutte le situazioni, la sua presenza e la sua misericordia e, nei poveri, l’immagine più amabile della sua grandezza. Lo guidava una convinzione profonda: “I poveri sono Gesù - diceva - non sono una sua immagine. Sono Gesù in persona e come tali bisogna servirli. Tutti i poveri sono i nostri padroni, ma questi che all’occhio materiale sono così ributtanti sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme. Se non li trattiamo bene, ci cacciano dalla Piccola Casa. Essi sono Gesù”. San Giuseppe Benedetto Cottolengo sentì di impegnarsi per Dio e per l’uomo, mosso nel profondo del cuore dalla parola dell’apostolo Paolo: La carità di Cristo ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). Egli volle tradurla in totale dedizione al servizio dei più piccoli e dimenticati. Principio fondamentale della sua opera fu, fin dall’inizio, l’esercizio verso tutti della carità cristiana, che gli permetteva di riconoscere in ogni uomo, anche se ai margini della società, una grande dignità. Egli aveva compreso che chi è colpito dalla sofferenza e dal rifiuto tende a chiudersi e isolarsi e a manifestare sfiducia verso la vita stessa. Perciò il farsi carico di tante sofferenze umane significava, per il nostro Santo, creare relazioni di vicinanza affettiva, familiare e spontanea, dando vita a strutture che potessero favorire questa vicinanza, con quello stile di famiglia che continua ancora oggi.
Recupero della dignità personale per san Giuseppe Benedetto Cottolengo voleva dire ristabilire e valorizzare tutto l’umano: dai bisogni fondamentali psico-sociali a quelli morali e spirituali, dalla riabilitazione delle funzioni fisiche alla ricerca di un senso per la vita, portando la persona a sentirsi ancora parte viva della comunità ecclesiale e del tessuto sociale. Siamo grati a questo grande apostolo della carità perché, visitando questi luoghi, incontrando la quotidiana sofferenza nei volti e nelle membra di tanti nostri fratelli accolti qui come nella loro casa, noi facciamo esperienza del valore e del significato più profondo della sofferenza e del dolore. Cari malati, voi svolgete un’opera importante: vivendo le vostre sofferenze in unione con Cristo crocifisso e risorto, partecipate al mistero della sua sofferenza per la salvezza del mondo.
Offrendo il nostro dolore a Dio per mezzo di Cristo, noi possiamo collaborare alla vittoria del bene sul male, perché Dio rende feconda la nostra offerta, il nostro atto di amore. Cari fratelli e sorelle, tutti voi che siete qui, ciascuno per la propria parte: non sentitevi estranei al destino del mondo, ma sentitevi tessere preziose di un bellissimo mosaico che Dio, come grande artista, va formando giorno per giorno anche attraverso il vostro contributo. Cristo, che è morto sulla Croce per salvarci, si è lasciato inchiodare perché da quel legno, da quel segno di morte, potesse fiorire la vita in tutto il suo splendore. Questa Casa qui è uno dei frutti maturi nati dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo, e manifesta che la sofferenza, il male, la morte non hanno l’ultima parola, perché dalla morte e dalla sofferenza la vita può risorgere. Lo ha testimoniato in modo esemplare uno di voi, che voglio ricordare: il Venerabile fratel Luigi Bordino, stupenda figura di religioso infermiere.
In questo luogo, allora, comprendiamo meglio che, se la passione dell’uomo è stata assunta da Cristo nella sua Passione, nulla andrà perduto. Il messaggio di questa solenne Ostensione della Sindone: “Passio Christi – Passio hominis”, qui si comprende in modo particolare. Preghiamo il Signore crocifisso e risorto perché illumini il nostro pellegrinaggio quotidiano con la luce del suo Volto; illumini la nostra vita, il presente e il futuro, il dolore e la gioia, le fatiche e le speranze dell’umanità intera. A tutti voi, cari fratelli e sorelle, invocando l’intercessione di Maria Vergine e di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, imparto di cuore la mia Benedizione: vi conforti e vi consoli nelle prove e vi ottenga ogni grazia che viene da Dio, autore e datore di ogni dono perfetto. Grazie.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
E’ SUFFICIENTE IL DESIDERIO PER OTTENERE UN DIRITTO? - Fecondazione artificiale e bioetica - di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- La lettura dell’ultimo libro di Gnocchi e Palmaro, in particolare il capitolo in cui i due autori riflettono sul diverso approccio alla ricerca della verità seguito da Tommaso d’Aquino e da Georg Wilhelm Friedrich Hegel,[1] offre lo spunto per ragionare attorno ai tranelli dei mezzi di comunicazione. La presentazione della dialettica hegeliana, dove dalla contrapposizione tra tesi ed antitesi scaturisce la sintesi, elemento che a sua volta diventa la nuova tesi da dibattere, mi ha fatto ripensare ad una recente puntata di “Report”, la trasmissione condotta dalla giornalista Milena Gabbanelli, dedicata alla riproduzione artificiale. Si tratta di un buon esempio da cui può imparare chi desidera mantenersi ad una distanza minima di sicurezza rispetto agli strumenti della formazione occulta delle opinioni, magari realizzata attraverso micro-dosi di messaggi apparentemente equilibrati.[2]
La trasmissione era così congeniata: veniva intervistato il sottosegretario al welfare Eugenia Roccella che difendeva la legge 40, cioè la legge che nel nostro paese consente la fecondazione artificiale, regolamentandola. Come contro-altare venivano fatti parlare una serie di medici che praticano la fecondazione artificiale: uno si lamentava del divieto di congelare gli embrioni, un consulente di un centro svizzero diceva che il flusso di utenti dall’Italia è cresciuto a dismisura dopo il varo della legge, un altro che illustrava la possibilità nello stesso centro di ricorrere alla donazione di sperma e di ovociti, poi ancora il medico contrariato dal non poter effettuare la diagnosi pre-impianto. Venivano inoltre presentate una serie di coppie che si lamentavano del divieto alla fecondazione eterologa e alla diagnosi genetica pre-impianto prevista da una legge che, a loro detta, le “costringeva” a scegliere se recarsi all’estero, o fare ricorso alla magistratura, abortire il figlio portatore di una patologia, o tenere il bambino malato.
L’impostazione del programma era però viziata dalla eliminazione della tesi. C’è infatti una posizione completamente ignorata dagli autori; quella che rinviene nella riproduzione artificiale (ART, Artificial Reproductive Technology) una condotta lesiva della dignità umana.[3] La posizione espressa nel programma dal sottosegretario al welfare a difesa della legislazione italiana (la legge 40 ammette la fecondazione artificiale, purché attuata nel rispetto di una serie di limiti), non può infatti essere identificata con la tesi suddetta, ma costituisce piuttosto una evidente posizione di mediazione (sintesi) tra la tesi precedente, che implicherebbe il divieto della fecondazione artificiale in toto, e l’antitesi che invece, sulla base di un espanso concetto di diritto all’auto-determinazione, vorrebbe eliminare ogni vincolo.
Eliminata dal dibattito ogni voce contraria alla fecondazione artificiale in sé, la posizione espressa dalla legge 40 cessa di essere la sintesi e viene trasformata nella tesi di partenza. La mediazione che scaturirà dal confronto con l’antitesi è logico che si situerà in un ambito ancora più lontano da quello della vera tesi, cioè andrà nella direzione dell’antitesi. Perché la richiesta di diagnosi pre-impianto e di abolizione del divieto di congelamento degli embrioni possa apparire come una mediazione fra istanze estreme, è allora necessario individuare una posizione che sia percepita come un fondamentalismo libertario ancora più spinto.
Ecco che così viene mostrato un servizio che documenta la “lotteria degli ovuli” a Londra, il catalogo delle donatrici di gameti dove la coppia gay può approvvigionarsi con la più ampia scelta, c’è l’utero in affitto che in America costa troppo (140.000 dollari) ed allora si emigra in India dove, nello Stato del Gujarat, una dottoressa a prezzi più contenuti ha “una serie di donne molto religiose e disciplinate che lavorano con lei” come giumente da riproduzione. Sapete, un po’ come nella reclame del rasoio elettrico di una volta “se tu dai una cosa a me io poi do una cosa a te”, così lì le donne danno i loro ovuli, il loro utero, il loro figlio e l’occidentale dà in cambio i soldi per la casa. Basta? No, c’è di più. C’è anche la donna di 57 anni divorziata che telefona dicendo: “voglio un bambino”. E allora il mediatore si dà da fare: ci vuole la donatrice di ovuli perché la donna è in menopausa, poi ci vuole il donatore di sperma perché attualmente non ha un compagno e poi serve l’utero in affitto. Problemi con l’età? Tranquilli, la donna dice di avere un aspetto giovanile, ma soprattutto è molto benestante.
Il verbo è categorico: I want! Voglio un figlio. Nella modernità ogni desiderio è un diritto, ogni limite, un ostacolo da abbattere. Così si producono tanti embrioni per avere più probabilità di riuscita certo, questo crea però il problema che una donna sola non basta per accoglierne così tanti, ma a tutto c’è il rimedio, così si pianifica di trasferire gli embrioni in due donne, tanto se arrivano due gemelli i clienti sono contenti lo stesso. Ma se una o entrambe le donne che affittano l’utero hanno uno o due gemelli? Quattro figli? No, quattro sarebbero troppi; allora si decide che se vengono più di due bambini si fa l’aborto selettivo. “Okay?”, dice l’intermediario, “Assolutamente sì”, risponde la persona all’altro capo del telefono.
Ecco, questo servizio rappresenta l’antitesi perfetta; rispetto alla barbarie descritta in questo reportage congelare gli embrioni come i pisellini primavera e buttarli via se sono malati può essere presentata come una perfetta sintesi, una posizione mediana, ragionevole, di compromesso; lo spettatore medio difficilmente si accorgerà che congelare e diagnosticare per poi buttare via gli embrioni malati si situa sulla stessa linea del desiderio über alles. Ed infatti, come da copione, ecumenica la Gabbanelli in chiusura del suo intervento con queste parole presenta il servizio che vi ho descritto: “Questioni etiche. Ma come la sposti la barra dell’etica? A seconda di come la vedi, e di solito sempre troppo da una parte, come nel nostro caso, dall’altra come vedremo”.
Per comprendere come si sarebbe potuto presentare la questione della fecondazione artificiale in un altro modo, per fare comparire sulla scena la vera tesi, ci si può avvalere di una innocente finzione; immaginiamo che nella puntata di Report in questione fosse stata intervistata anche una persona che ha qualche conoscenza di bioetica personalista; costui, chiamiamolo convenzionalmente professor Ghost, che cosa avrebbe potuto dire? Alla coppia che nella trasmissione ha dichiarato di ricorrere alla diagnosi pre-impianto non per selezionare i figli, ma per “essere aiutati dalla medicina a non trasmettere una malattia mortale”, volendo solo “correre tutti i rischi che corre una coppia normale quando si mettono a fare un bambino”, il professor Ghost avrebbe potuto dire qualcosa di questo genere: «La diagnosi pre-impianto, di per sé pone problemi etici in ragione del danno potenziale che induce e del margine di errore sotteso alla tecnica. Quello che la coppia desidera, “non trasmettere una malattia mortale”, non è possibile mediante la diagnosi pre-impianto, ma solo ricorrendo a tecniche che esplorano i geni prima del concepimento. L’embrione non è un grumo di cellule, è già il figlio di quella coppia, se la diagnosi pre-impianto rivela la presenza di una malattia, gettare via l’embrione significa gettare via quel figlio; non si previene la trasmissione della malattia, ma la nascita di quel bambino malato, attraverso la sua soppressione quando egli è un embrione. Sarebbe bene rammentare il pensiero di Leon Kass, quando nota che un bambino non si fa, altrimenti, riducendolo ad un manufatto, togliamo all’uomo la propria dignità».[4]
Alla Gabbanelli che, col dizionario Devoto Oli alla mano, nega che la diagnosi pre-impianto costituisca una pratica eugenetica, il professor Ghost avrebbe forse risposto: «Non la diagnosi pre-impianto di per sé, ma il diritto ad eliminare l’imperfetto basandosi sul risultato di quella diagnosi costituisce una condotta eugenetica. La eliminazione dell’embrione portatore di mutazioni genetiche non è moralmente differente dalla sua eliminazione al quinto mese del suo sviluppo. Persino un convinto sostenitore di tutte le forme di diritto riproduttivo come l’australiano Julian Savulesco riconosce che la eliminazione dei concepiti in ragione dei loro difetti determina un effetto eugenetico, conosciuto come eugenetica “passiva”».[5]
Si potrebbe obiettare che se è legale l’aborto oltre i primi 90 giorni in caso di malformazione fetale, perché non dovrebbe essere consentita la eliminazione dell’embrione diagnosticato come malato. Immaginiamo che il prof. Ghost risponderebbe che in termini generali un arbitrio non ne giustifica due; anche la legge 194 è infatti una legge che consente pratiche eugenetiche. Quasi certamente il prof. Ghost non mancherebbe di accennare al fatto che al pari della diagnosi pre-natale, la diagnosi pre-impianto si distingue da tutte le attività diagnostiche perché ha come fine non più quello di consentire la cura, ma quello di identificare per eliminare.
Al medico che si lamentava che dopo la legge 40 il tasso di trigemellarità sfiora il 3% il prof. Ghost consiglierebbe di andarsi a rileggere i dati sulla gemellearità in Italia nel 2003, cioè prima della legge 40, in modo da accorgersi che essi erano il 3,1%.[6] E a quello che si lamentava per i troppi embrioni trasferiti ricorderebbe che sempre nel 2003 nel 44% dei cicli si trasferivano 3 embrioni e nell’8,4% addirittura il numero saliva a 4 (complessivamente nel 52,4% delle procedure si trasferivano almeno 3 embrioni).
Il prof. Ghost sarebbe inquieto se infine tacesse ciò che la sua coscienza gli impone di dire e cioè che, dati alla mano del registro nazionale per la PMA, pur con tutte le attenzioni imposte dalla normativa, attraverso la fecondazione artificiale sono stati trasferiti in un anno 70.394 embrioni negli uteri delle donne, ma solo 5.162 sono nati (tasso di abortività intrinseca della fecondazione artificiale pari al 92,7%, un terzo maggiore delle stime più alte del tasso di abortività naturale). Purtroppo Gabbanelli & Co. non hanno ritenuto opportuno invitare in trasmissione il prof. Ghost.
----------
* Il dottor Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.
1) Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro. Cronache da Babele. Viaggio nella crisi della modernità. Fede & Cutura Ed., Verona, 2010.
2) La puntata ha suscitato la reazione anche dell’Associazione Scienza & Vita che l’ha apertamente criticata. Vd. Comunicato del 29 Marzo 2010. http://www.scienzaevita.org/comunicato.php
3) Dignitas Personae, n. 12.
4) Cfr. Kass, Leon R. “The Wisdom of Repugnance.” New Republic Vol. 216 Issue 22 (June 2, 1997).
5) Savulesco J. Is current practice around late termination of pregnancy eugenic and discriminatory? Maternal interests and abortion. Journal of Medical Ethics 2001;27:165–171.
6) Andersen AN, et al. Assisted reproductive technology in Europe, 2003. Results generated from European registers by ESHRE. Human Reproduction 2007 22(6):1513-1525.
L'ETICA DELL’IRONIA CONTRO LA RELIGIONE DELLA PERFEZIONE - di Carlo Bellieni* - ROMA, domenica, 2 maggio 2010 (ZENIT.org).- Clonazione, etica dell’incesto o cannibalismo, aborto rapido, divorzio rapidissimo: e noi a rispondere con tanti discorsi come se si trattasse di cose degnissime, e così gli diamo dignità e scordiamo il punto centrale (di chi è la vita?) accapigliandoci sui dettagli (è meno peggio l’aborto con la RU o col bisturi?). Accettiamo di discutere su temi quali: “fare figli è razionale?” oppure “il neonato è una persona?” non capendo che la loquela è robusta, ma l’impostazione è a trabocchetto. Basta. Riprendiamoci l’ironia e soprattutto il riso come strumento dialettico. Perché il riso è un giudizio etico.
Ridere è un nostro processo vitale, né più né meno che respirare o digerire un panino, è un’arma fortissima e spontanea che ci difende dall’automaticità della vita: scatta quando vediamo una scimmia che sembra un uomo o un uomo che si comporta da scimmia, quando vediamo un tale che cade e rimbalza come una palla da tennis o altrettanto impietosamente se vediamo un comico che si finge zoppicante o balbuziente o un attore che fa il malato e che inizia a ballare sul letto. Insomma: ogni risata è un’autodifesa dalla cosa più innaturale per l’uomo: sentirsi diventare una macchina.
E’ impietoso il riso, e lo frena solo la ragione se facciamo un respiro e riflettiamo che la il tipo che cade o il malato che ride non sono un film finto e plastificato ma gente in carne e ossa e acciacchi. Ma il riso pur impietoso è una difesa sociale: ci salva dalla ripetitività e dagli stereotipi: quando li vediamo gli facciamo uno scoppio di risa in faccia, senza volerlo, quando non ci blocca il pudore, e il riso prende per noi la voce e dice “non è così! Un uomo non è una macchina, non si muove come un robot, non parla dicendo le parole al rovescio, non cammina con i piedi per aria!”.
Quest’impietosa difesa sociale ci salva dalla religione della perfezione: se il nostro intimo si ribella alla meccanicità, ci obbliga a riflettere su tutto il carico di meccanicità che introduciamo nella vita e nel profondo della vita con clonazioni, manipolazioni, accanite selezioni prenatali con tanto di “cerca e distruggi”, che vorrebbero un mondo di “perfetti”, scoprendo che la perfezione non solo non esiste, ma non è nemmeno desiderabile tanto che un mondo di perfetti tutti uguali sarebbe dal nostro profondo colpita e sbugiardata con una grassa risata.
La perfezione delle donne ridotte a copie implasticate di Barbie, quella dei tronisti pompati, la perfezione dei bambini accettati solo se bellini e bravi a scuola sono inaccettabili, dannose, perniciose, condannate non tanto dalla nostra mente, ma dalla nostra pancia con una risata, che solo una sovrastruttura di ragione (mal applicata) può bloccare, proprio come la ragione (ben applicata) blocca la risata quando può essere offensiva. E come si rifiutano le pesche più buone perché non sono “perfette”, così non si accetta il diverso, il disabile, in un mondo di famiglie di genitori-nonni con figli unici-perfetti viziati e ingrassati di regali e merendine per renderli ancor più perfetti. E così la vita umana manipolata come un pomodoro OGM desta una reazione di ironia: perché l’uomo non è così.
Ma se la nostra pancia, nostro secondo cervello viscerale, condanna ridendo gli stereotipi, capite finalmente che alle insidie di cui sopra che giorno dopo giorno mangiano la biodiversità, non sempre si deve rispondere con un’argomentazione iperlogica, ma come ci insegnano maestri illustri dal nome di Plauto, Molière, Goldoni, Shaw o Shore (e in campo cristiano Swift, Buzzati, Chesterton, Lewis), spesso una risata vale più di un’argomentazione; e anche Aristotele sarebbe stato di quest’avviso, insegnando che alle domande ovvie non merita rispondere sensatamente. Ma troppo ci siamo impegnati ad arzigogolare per dimostrare l’ovvio, tanto che l’abbiamo fatto diventare astruso.
Abbiamo perso la capacità di satira, e di ironia, ammettiamolo: ogni provocazione ci mette in difficoltà e ci fa sentire obbligati a prenderla sul serio: oggi si discetta se il cannibalismo è etico, mentre meriterebbe una battuta o un atto giudiziario. Certo, quando occorre c’è da essere approfonditi e acuti; ma noi ci prendiamo troppo sul serio e vogliamo curare tutto a parole, senza ricordare che anche il Creatore a volte è ironico: a chi aspettava un guerriero per scacciare i romani, ha mandato un Bambino, e ha schiacciato il demonio col dolce piede di una Ragazzina di 14 anni. Cosa c’è di più ironico? E’ un’ironia che ha fatto fiorire da Pier Paolo Pasolini ateo e comunista le più belle parole mai scritte contro l’aborto; d’altronde il senso religioso più puro non lo troviamo dove ce lo aspetteremmo (nei film “pii e apologetici” è scontato, dunque quasi stereotipato), ma ironicamente in “Simpson” e “dottor House”.
Perdere la capacità di ironia – di cui invece è ricco Benedetto XVI -, che caratterizzava san Tommaso, significa pensare di salvare il mondo con le parole invece che con la carità, e finiamo trascinati dall’avversario a giocare sul suo campo, che è il campo delle parole (che ci trascina sempre a parlare sull’ultimo “eccesso” di moda, per imbambolarci e farci dimenticare il precedente). Il riso invece è la meta-parola, che giudica più di una sentenza scritta, e che dobbiamo invocare con san Tommaso Moro: “Signore, dammi una buona digestione, e anche qualcosa da digerire. Dammi un’anima sana Signore, che non si avvilisca in lamentele e sospiri. Signore, dammi il senso dell’umorismo”. Non è il nostro argomentare che convince, né la nostra sapienza che salva: non siamo noi così importanti. Come si legge su qualche T-shirt: “Rilassati: Dio esiste. E per fortuna non sei tu”.
------------
Il dottor Carlo Bellieni è Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.
Figli della nuova Russia
Choc in Russia. Lo scorso anno, nel Paese, circa 100mila bambini sono stati vittime di abusi e 2. 000 sono morti a causa di violenze e maltrattamenti, mentre si contano ancora circa 700.000 bimbi abbandonati e senza tutela, un numero superiore a quello della Seconda Guerra mondiale...
Choc in Russia: 100mila bimbi vittime di abusi
Il garante per i minori: 2. 000 uccisi lo scorso anno e 700mila quelli abbandonati
Mosca si indigna per i recenti casi di bambini russi adottati negli Usa e poi morti o restituiti, tanto da congelare gli accordi bilaterali per le adozioni.
Ma lo scorso anno, nel Paese, circa 100mila bambini sono stati vittime di abusi e 2. 000 sono morti a causa di violenze e maltrattamenti, mentre si contano ancora circa 700.000 bimbi abbandonati e senza tutela, un numero superiore a quello della Seconda Guerra mondiale.
Sembra un bollettino di guerra quello reso noto oggi dall’ombudsman per i diritti dei bambini Pavel Astakhov. In media, ogni giorno muoiono 5 6 minori e 10-15 riportano lesioni. Ma secondo fonti non ufficiali, il bilancio sarebbe ben più pesante: nei giorni scorsi il quotidiano “Trud” aveva evocato la cifra di due milioni di bambini vittime di violenze familiari. Ad aggravare la situazione, la recente rivelazione di Ielena Misulina, presidente della commissione parlamentare per i problemi della famiglia: negli ultimi due anni circa 30mila bambini adottati sono stati restituiti agli orfanotrofi, istituzioni che in Russia, più forse che in altri Paesi, lasciano il segno. Nella maggior parte dei casi a subire le violenze fisiche e psicologiche sono i figli di famiglie disagiate e con problemi di alcolismo o droga.
Anche il leader del Cremlino Dmitrij Medvedev ha chiesto più volte di migliorare la legge sui diritti fondamentali dei bambini e ha proposto di inasprire le pene per i reati contro i minori, dal mancato adempimento degli obblighi di educazione ai reati più gravi.
Secondo dati ufficiali, oltre 10mila bambini sono ricercati dopo essere scomparsi o fuggiti. Si tratta di giovani che spesso finiscono, nelle grandi periferie di Mosca o San Pietroburgo, nelle file delle bande spesso al soldo della criminalità organizzata che li utilizza per lo spazio o per le estorsioni. In Russia vi sono circa 28 milioni di bambini, su una popolazione complessiva di circa 142 milioni di persone. Di essi, circa 2 milioni sono analfabeti.
Avvenire 27 aprile 2010
«Orfani» con i genitori e figli della nuova Russia
Per quanto possa sembrare strano, nella Russia di oggi sono registrati come orfani “ufficiali” più bambini che durante la Seconda guerra mondiale: attualmente essi sono 697.000 e allora, quando infuriava la distruzione, negli anni ’40, erano 678.000. Ma due terzi degli attuali «orfani» sono in realtà «orfani sociali», vale a dire i loro genitori sono ancora vivi. Lo ha dichiarato alla Duma Elena Mizulina, presidente della commissione parlamentare per la famiglia, le donne e i bambini.
Come si spiega questo paradosso? Due anni fa il Parlamento approvò una legge sull’assistenza agli orfani, e da allora «di quasi due volte è aumentato il numero delle restituzioni di orfani dalle famiglie adottive agli orfanotrofi». «Gli esperti – ha detto Mizulina – ritengono che ciò rappresenti uno schiaffo umanitario contro i bambini: prima i loro genitori biologici li hanno rifiutati, e poi anche quelli adottivi». Secondo la deputata, negli ultimi due anni sono stati restituiti agli orfanotrofi circa 30.000 bambini adottati.
Questa situazione si è creata perché nessuno si prende cura dei genitori adottivi, non offre loro varie forme di assistenza, afferma Elena Mizulina. Inoltre, a suo parere, le tendenze negative sono in gran parte provocate dalla «commercializzazione stessa del processo di adozione degli orfani».
«Molti – afferma la deputata – adottano dei figli per ottenere beni materiali che poi in realtà non arrivano, per cui i genitori adottivi si vedono incentivati a restituire i bambini, senza preoccuparsi dei danni psicologici che infliggono loro».
Una situazione dovuta al degrado sociale delle grandi città come Mosca e San Pietroburgo, dove molta gente, nelle periferie, ma non solo, vive ancora nelle “khrushchoby” (le “baracche di Khrusciov”), i casermoni costruiti in fretta negli anni ’60 del secolo scorso, oggi spesso fatiscenti o insufficientemente restaurati, a fronte dei nuovi condomini che sorgono in città o nei dintorni più attraenti (come la Rubljovka a Mosca per i “New Russians” e gli oligarchi). Una tale situazione riguardante l’abuso nel settore delle adozioni, si intreccia con dati ancora più drammatici che vengono denunciati, ma con scarso successo, da vari esponenti del mondo politico e dell’assistenza umanitaria.
Sono stati citati i dati forniti nei giorni scorsi alla radio Ekho Moskvy dal commissario per i diritti dell’infanzia Pavel Astakhov, il quale ha richiamato cifre che in sé non sono nuove, ma vengono per vari motivi quasi ignorate dai responsabili. Astakhov ha ricordato che nell’ultimo anno ben 100.000 e più bambini sono stati vittime di violenze da parte di adulti. «Noi – ha detto il commissario – ogni anno perdiamo circa 2.000 bambini che vengono uccisi (spesso in episodi legati alla criminalità organizzata, ndr) e circa 6.000 che vengono adottati fuori dalla Russia». Astakhov ha proposto che nel Paese venga riorganizzato e umanizzato il sistema di mantenimento e istruzione negli internati per i bambini che hanno problemi sociali in famiglia.
«Gli internati – ha lamentato il commissario – sono una forma di istituto molto chiusa, bisogna riorganizzarli, trasformarli in case-famiglia per bambini, costruite secondo il principio delle piccole famiglie. La riorganizzazione degli internati – ha aggiunto – è un nostro dovere per i bambini che vivono sotto la protezione dello Stato».
E poi c’è il problema dei bambini che scappano di casa e semplicemente scompaiono. «Spariscono e non si trovano più – ammette Astakhov. E ogni anno il loro numero aumenta. Sommando i casi degli ultimi anni arriviamo a circa 600 minori spariti nel nulla. Non dobbiamo dire che sono pochi: è una cifra enorme».
Avvenire 30 aprile 2010
Gli attacchi alla Chiesa figli di una cultura illuminista e della tradizionale ostilità calvisnista del nord Europa. L'amore di Dio é carità, ben diverso da quello degli uomini. Anche Cristo soffriva per amicizia - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
La Chiesa cattolica, dopo i recenti scandali di alcuni preti pedofili, é stata sottoposta a pesanti attacchi da parte di alcuni importanti organi di stampa, specialmente fuori di Italia. Di questo fenomeno, Pontifex ha parlato con il noto sociologo Francesco Alberoni. Professor Alberoni, che cosa pensa di questa ondata di critiche pesanti alla Chiesa cattolica?: " in tutta sincerità la cosa non mi stupisce molto considerato che esiste un settore ben preciso, specialmente al nord di Europa, tradizionalmente ostile al cattolicesimo ed antipapale". Di quali ambienti si tratta?: " di circoli molto vicini al protestantesimo calvinista che da sempre non ha visto di buon occhio la Chiesa cattolica e il primato del Papa nel particolare. Credo che in Europa il culmine sia rappresentato dall' Inghilterra, ma bisogna valutare anche Olanda, Belgio e Germania e in genere i Paesi scandinavi. Da qualche tempo in qua ci si é messa con ...
... determinazione la Francia e sotto l' egida di Zapatero, la Spagna". Ma anche il New York Times non ha scherzato affatto: " assolutamente no, anche negli Stati Uniti esistono correnti non favorevoli alla Chiesa e al Papa. Ma per quanto riguarda il NYT probabilmente bisognerebbe analizzare i suoi editori che sono inclini ai poteri massonici. Negli Usa la massoneria ha molta influenza".
E quali altri ostacoli ideologici cozzano contro la Chiesa?: " l ' Europa in special modo, fa i conti con la classica ostilità derivante dall 'illuminismo che non ha mai guardato bene alla Chiesa cattolica, essendo in preda alla furia razionalista. Dopo, un altro ostacolo, é stata la cultura marxista, chiaramente atea ed anticattolica per definizione. Ora queste correnti ideologiche stanno riapparendo favorite dalla sconcerto per i fatti relativi a qualche ministro del culto cattolico infedele".
Domenica alla messa é stata letta la pagina evangelica relativa all' amore di Dio, al comandamento nuovo dell' amore. Lei é uno specialista in tema di ammoramento ed amore. Come é l' amore di Dio?: " molto atipico rispetto a quello umano. Dio é carità, nel senso classico del termime, ovvero agape, servizio. Dio ama infinitamente, ma senza quei fermenti erotici e volitivi tipici dell' amore umano. Dio ama smisuratamente e senza chiedere nulla in cambio. Qui cambia molto rispetto all' Islam dove il loro Dio spadroneggia sugli uomini e nella quale religione non si trova alcuna traccia del libero arbitrio, se analizziamo il buddismo troviamo una ricerca della serenità, manca l' amore come servizio, nella cultura romana e greca dominava la filia, ovvero l' amicizia".
Ecco, appunto l' amicizia: " l' amicizia é una cosa importante ed un sentimento importante, ma molto diverso dall' innamoramento. L'amore é spesso gelosia, una sana gelosia che tale deve rimanere. Quando si esagera si cade nella patologia. Ma in quanto all' amicizia anche Cristo ha provato questo sentimento arrivando a piangere per Lazzaro".
Bruno Volpe
LA DURA LOTTA SPIRITUALE DEL CRISTIANO CONTRO SATANA - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.roma.it
L’ascesi mistica per salvarsi l’anima e quindi non andare, dopo la propria morte, con il demonio all’inferno è oggi purtroppo presa sottogamba anche nelle nostre parrocchie cattoliche. Chi parla dei diavoli o dell’inferno è considerato con commiserazione anche nei nostri ambienti religiosi come un tipo un po’ strano, un talebano fondamentalista, ultrareazionario… Se è un prete è certo o estremamente difficile cioè impossibile che faccia “ carriera ecclesiastica”… Noi apparteniamo a Cristo, siamo membra del Corpo di Cristo per quello che custodiamo in noi la presenza della grazia, per quanto ci comportiamo come Cristo lo desidera. Il peccato è già una grande colpa poiché scaccia la grazia dalla nostra natura, ma soprattutto perché essa rapisce ad un membro di Cristo la vita celeste. Ecco perché ci occorre realizzare la gravità delle nostre azioni quando, con leggerezza e spensieratezza, noi ci lasciamo privare della grazia ...
... e lasciamo Satana agire in noi poiché, come dice il Signore: “chi non è con me è contro di me!”. Non vi è un mezzo, se Cristo non è in noi, è l’Altro che prende il suo posto. San Gregorio di Nazianzio insegnava in questi termini a combattere Satana: “Se egli ti tenta con l’orgoglio, se ti mostra in un istante tutti i regni del mondo come a lui appartenenti, se egli te li offre a condizione che tu l’adori, disprezza quel miserabile, confida nel sigillo impresso nell’anima tua e digli: “Io sono l’immagine di Dio, ma non sono, come te, decaduto dalla gloria celeste a causa del mio orgoglio, io sono rivestito di Cristo, adorami! Con queste parole, egli sarà vinto e rientrerà confuso nelle tenebre”.
Nel suo libro: “Le meraviglie della grazia divina”, il teologo Scheeben (1835-1888) scrisse: “Se l’attrazione della grazia non è ancora abbastanza potente per rapire il tuo cuore, fremi almeno davanti alla spaventosa pesantezza che il peccato, privandoti della grazia, produce in te. Esso si pone come una nube opaca tra il sole divino e l’anima tua; in un istante, lo splendore della bellezza celeste di questa scompare; le virtù sono annientate, la veste dei figli di Dio è strappata. Giardino piacevole e soave, tu sei diventato un abisso nero e puzzolente dove alloggiano le salamandre ed i serpenti. Immagine del tuo Dio amabile, tu diventi immagine dell’Inferno e del Diavolo”.
“Il Diavolo è così repellente, diceva Nostro Signore a Santa Brigida, che se tu potessi vederlo nella sua pesantezza, cadresti inanimata o continueresti a vivere in atroci tormenti!”.
Quando il Signore è cacciato dalla nostra anima dal peccato, quel cristallo che era l’anima nostra diventa una massa di putrefazione. Questo fu rivelato a santa Teresa d’Avila. Cosa deve risentire il nostro Angelo custode alla vista di una tale trasformazione? Poiché egli è dotato di una sensibilità molto sottile e l’amore di Dio, cacciato da noi, gli fa male.
Tutti gli autori che hanno trattato di Demonologia danno quattro manifestazioni con le quali l’azione diabolica si fa sentire:
All’inizio, noi abbiamo la Tentazione. E’ la prima, è la più benigna di tutte le manifestazioni diaboliche.
Quella che è completamente al vertice, è la Possessione violenta e permanente. Ma tra le due, evidentemente, vi sono delle classificazioni generali, ed in ognuna di queste classificazioni, si può dire che vi siano tanti casi differenti come le persone, poiché Satana utilizza delle persone tali come esse sono col loro temperamento, la loro salute, le loro ricchezze e le loro mancanze. Tra la tentazione e la possessione, si possono distinguere: l’Infestazione e l’Ossessione.
Tutti sanno cos’è la Tentazione: Satana gioca sui nostri appetiti per rendere più appetibili i piaceri, sia della carne, sia quelli che procura la ricchezza, od allerta gli onori.
Sono i tre grandi tipi di tentazione. Accettarli, ricercarli in piena conoscenza di causa, in piena libertà, si chiama commettere un peccato.
L’Infestazione aggiunge qualcosa in più. Satana mette in giro quello che circonda la vittima desiderata. Egli vuole portarla alla stanchezza, si serve della malattia. Trascina ad una specie di disperazione il paziente, e quest’ultimo chiama la morte come una liberazione.
L’infestazione può essere esterna al malato quando questa si manifesta negli oggetti che lo circondano: gli spiriti che battono nelle case, i mobili che cambiano di posto … Il Curato d’Ars e Padre Pio ne sapevano qualcosa! E gli esorcisti possono citare casi molto espliciti.
Quanto all’Ossessione, essa prende il colpito dall’interno. Satana gioca con l’immaginazione, sulla memoria, sui sensi, agisce sul cervello, ha ostruito le facoltà dell’anima, senza comunque togliere ogni azione. Egli oscura l’intelligenza, le toglie da ciò stesso una parte della sua libertà. Imprime nell’immaginazione spaventose rappresentazioni. Pone nella “parte inferiore dell’anima”, la sola a cui abbia accesso, poiché, come dice san Francesco di Sales, si è sempre legati a Dio dalla “fine punta dell’anima”, delle false idee che non si possono cacciare, degli appetiti malsani, dei sentimenti infernali ai quali si immagina di acconsentire. L’anima crede odiare Dio, bestemmia, allorché ella guarda a sua insaputa, nella parte superiore, una repulsione forte, certamente volontaria e libera che la preserva dal peccato. Si vedono talvolta delle persone eccellenti che sono fortemente portate al suicidio, e giungono finanche a tentare di togliersi la vita, senza comunque eseguire quel disegno.
Nella Possessione interiore, violenta, i demoni s’impadroniscono dell’organismo umano. Essi dispongono delle membra, della lingua, dell’intero corpo che muovono a loro piacere, il più sovente, al dire degli esorcisti, addormentando la loro vittima e privandola di ogni conoscenza. Questa possessione può essere permanente o transitoria.
Vi è presso di essi, come un’invasione progressiva di Satana.
Ma il Demonio non può impadronirsi dell’anima stessa. Egli non giunge mai fino all’inanimazione completa del corpo. Egli non comunica la vita al corpo, l’anima continua a compiere questa funzione capitale.
Ma con un procedimento che ci sfugge, che ci rimane misterioso, egli si unisce al corpo inanimato. Pare che penetri fin nel più intimo del cervello e del sistema nervoso. Impedisce all’ammalato di agire a suo piacimento, sostituendosi ad essa, egli imprime alle membra i movimenti che vuole. Egli mette sulla fisionomia dei tratti caratteristici che sovente sono, pare, contro il suo volere, svelando le sue proprie emozioni, la colera, il suo orgoglio. Pare guardare con gli occhi del posseduto.
Satana è intimamente legato al corpo di cui si è impadronito; egli soffre del contatto di quel corpo con gli oggetti benedetti. Quando un esorcista spruzza l’acqua benedetta, è spaventoso osservare l’agitazione corporea del posseduto.
Il compianto Padre Mathieu (che oltre 40 anni fa ha registrato in francese una audiocassetta molto interessante: “Il diavolo esiste, io l’ho incontrato”), esorcista, con mandato di molti vescovi della Francia, raccontava il 15 febbraio 1976 nell’aula magna dell’Istituto Cattolico di Parigi, un esorcismo ch’egli aveva in quel tempo praticato: “Quando io gli ho lanciato l’acqua benedetta con un cucchiaino, egli si metteva ad urlare, soffriva nel volto con una violenza inimmaginabile. Quando si prendeva dell’acqua normale, egli si affrettava ad ingurgitarla. Mettetegli una medaglia, è spaventoso. E le reliquie in particolare, che io metto sul dorso, ebbene quello che esce da là sopra, è inimmaginabile!”.
I demoni imprimono così bene il loro proprio marchio sul corpo dei posseduti, che l’espressione varia da un demonio all’altro. Quando si ha l’esperienza, si può indovinare qual’è quello del demonio che ha preso il posto del posseduto e che fa le risposte, prima che sia stato forzato a nominarsi. E’ una unione stretta e come uno scimmiottare dell’Incarnazione del Verbo divino.
Il demonio che si è impadronito di un corpo non vi fa sempre un soggiorno abituale, a meno che non vi sia costretto da una forza superiore. Egli entra ed esce a suo piacimento. Come pure, quando vi risiede, la sua azione non è sempre la stessa. A momenti, egli rende il corpo del posseduto disteso come una barra d’acciaio, talvolta egli decuplica il suo peso a tal punto che non si può assolutamente sollevarlo.
I fenomeni di possessione variano secondo la potenza dei demoni possessori. Poiché i demoni sono lontani dal rassomigliarsi. Essi non hanno la stessa forza e la stessa malizia. La divisione in nove cori degli Angeli si ritrova certamente in inferno, poiché gli angeli ribelli hanno custodito la loro natura. Vi sono tra di essi delle differenze di cui no abbiamo idea, come intelligenza, come volontà, come capacità di resistenza, come potenza d’azione. Alcune possessioni esigono degli esorcisti una lotta opinabile, allorché alcune preghiere fanno fuggire i demoni dell’ultima zona.
I demoni sono lontani dal fare alla loro vittima tutto il male che vorrebbero, poiché se fosse stato lasciato libero corso alla loro malizia infernale, essi tratterebbero gli uomini come trattano i dannati nell’inferno. Essi entrerebbero da padroni presso tutti i Servi di Dio, li ridurrebbero all’impotenza, li ferirebbero, li ucciderebbero. Sarebbe una strage spaventosa.
Poiché il demonio è nel suo regno. Non bisogna dimenticare che Gesù ha chiamato Satana il “Principe del mondo”. Ora, noi siamo in questo mondo. La loro azione è incessantemente ostacolata dalla Provvidenza divina e felicemente! Essi non possono dispiegare che una piccolissima parte delle loro forze.
Padre Mathieu raccontava che, quando egli ordina a Satana di partire, negli esorcismi ch’egli fa, egli ha risposto molte volte: “Non posso, non ho il permesso di Dio!”. Così occorre un permesso particolare di Dio affinché i demoni possano esercitare le loro vessazioni.
Perché è stata loro lasciata questa libertà? E’ un mistero insondabile ed occorrerebbe che il Signore vi sveli il suo piano.
Il peccato mortale à la causa abituale della possessione. Ma, attenzione, è la porta che si apre. Questo non vuol dire che il demonio possa attraversarla.
Ma in mezzo ai peccati, ve ne sono che sembrano chiamare con efficacia speciale il castigo della possessione: sono l’infedeltà coniugale e l’apostasia dalla fede cristiana.
Padre Pio dice che niente preparava meglio alla possessione quanto il Sacrilegio Eucaristico. Vi è anche la persecuzione contro i Servi di Dio, l’empietà dei figli verso i loro genitori, il disprezzo di Dio e delle cose sacre, le profanazioni, le imprecazioni, le pratiche di stregoneria, i patti satanici. Evidentemente, se ci si dona a Satana, è molto più grave. Padre Mathieu cita ancora come conducente alla possessione diabolica l’appartenenza alle Sette che, nell’ora attuale, pullulano nella società.
Per dei secoli, i consacrati che recitavano per obbligo il breviario, hanno letto,nella preghiera di Compieta, le parole di san Pietro: “Siate sobri, vegliate, il vostro avversario, il Diavolo, come un leone ruggente, circola cercando chi divorare. Resistetegli, saldi nella fede, sapendo che le stesse sofferenze sono imposte alla vostra fraternità che è nel mondo”.
Noi tutti conosciamo quel passo dell’Apocalisse che descrive quella guerra spaventosa tra Michele, l’Arcangelo, ed il Dragone. “Ed egli fu gettato, il grande Drago, l’antico serpente, colui che si chiama Diavolo o Satana, colui che confonde il mondo intero, sulla terra ed i suoi angeli furono gettai con lui…”.
… Sulla terra. Ecco perché l’ultima richiesta del Padre Nostro è la seguente: “Liberaci dal Male” ossia dal Maligno. E noi avevamo fino al 1966 obbligatoriamente, alla fine di ogni Messa, la preghiera a san Michele imposta da Leone XIII: “Respingete nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni che errano nel mondo per perdere le anime!”.
Satana ha dovuto certamente ispirare la soppressione di questa preghiera all’Arcangelo che oggi l’associazione milizia di san Michele Arcangelo, tramite l’invio di migliaia di petizioni in Vaticano chiede al papa attuale di rimetterla di nuovo alla fine della celebrazione eucaristica …
Conoscendo il nemico, è più facile farvi fronte. Che possiamo temere di fronte all’inferno scatenato? “La donna ti schiaccerà la testa!”. La Madonna è con noi: invochiamola con fiducia nella lotta contro il potere delle tenebre.
Don Marcello Stanzione
SINDONE/ Il Volto Santo di Manoppello, l’altro viso di Gesù che sfida la scienza (e combacia con la Sindone) - INT. Heinrich Pfeiffer - lunedì 3 maggio 2010 – ilsussidiario.net
«La Sindone e il Volto Santo di Manoppello sono una sfida alla ragione umana». Il gesuita padre Heinrich Pfeiffer è cordiale e sorridente come sempre. Ricorda, nei suoi modi di fare, Benedetto XVI, di cui è amico da tempo: il docente della Pontificia Università Gregoriana, dove insegna Storia dell’Arte cristiana, ascolta in silenzio, parla lentamente, argomenta in modo lineare e razionale.
Specie, poi, se si tratta di dedicare un po’ di tempo all’argomento sul quale ha speso la sua vita di studioso: il volto di Gesù. In particolare, padre Pfeiffer è diventato uno dei massimi esperti mondiali della riproduzione del viso di Cristo nell’arte cristiana, a partire dai due oggetti considerati “originali”: la sacra Sindone di Torino, la cui ostensione in questi giorni sta richiamando centinaia di migliaia di fedeli, e il meno noto - almeno per il grande pubblico - Volto Santo di Manoppello, il panno con l’immagine di Gesù custodito nel piccolo paesino in provincia di Pescara, dove papa Ratzinger si è recato in pellegrinaggio il 1° settembre del 2006.
Se la Sindone è il telo che ha avvolto interamente il corpo di Gesù nel Sepolcro, il panno di Manoppello, secondo gli studi cui ha contribuito lo stesso padre Pfeiffer, è il fazzoletto posto sopra la Sindone: un’usanza antica riservata a personalità importanti, considerato anche il fatto che è un panno di bisso, un tessuto particolarmente prezioso, che si utilizzava in situazioni del tutto speciali. Si tratta di due immagini di cui la trappista tedesca suor Blandina Paschalis Schloemer, che attualmente vive proprio a Manoppello in eremitaggio, ha dimostrato la perfetta sovrapponibilità, convincendo nel tempo lo stesso Pfeiffer, il cui contributo alla conoscenza del Volto Santo nel mondo è stato decisivo.
Padre Pfeiffer, i due volti sono gli stessi? «Sono assolutamente identici, combaciano perfettamente, come ha dimostrato suor Blandina: la sovrapposizione è di 1 a 1. Dirò di più: i due reperti si leggono insieme: dalla loro sovrapposizione sono stati riconosciuti particolari importanti del volto di Gesù, come la barba, i capelli, le ferite e via dicendo. L’uno, in altri termini, ha bisogno dell’altro per essere letto».
Suor Blandina, in particolare, ha individuato almeno dieci punti di perfetta sovrapposizione: «In realtà - spiega il gesuita - sono molti di più, quelli indicati da suor Blandina sono probabilmente i più evidenti. Ma nei lavori di sovrapposizione, vengono a galla sempre nuovi punti di identità».
I due reperti sono mai stati accostati fisicamente? «No, in quanto si tratta di oggetti particolarmente delicati, e ogni manipolazione è sempre molto rischiosa. Le sovrapposizioni sono state fatte mediante immagini fotografiche fedeli».
In che anno lei è venuto a conoscenza del Volto Santo di Manoppello? «Era il 1986 quando organizzammo un piccolo pellegrinaggio in Abruzzo insieme ad alcuni amici e colleghi, dopo aver sentito parlare di questo panno. Giunto al santuario, sono rimasto semplicemente impressionato, e ho riconosciuto in quel volto quello della famosa “Veronica”, il panno conservato a San Pietro per secoli, scomparso durante il sacco di Roma nel 1527. Com’è noto, da quando è sparito, viene esposto ogni quinta domenica di Quaresima nella basilica petrina un panno completamente sbiadito, in cui non si vede assolutamente nulla, e questo perché i custodi della basilica, e gli stessi pontefici, avevano l’interesse a non interrompere il flusso di pellegrini che da sempre transitava a Roma per adorare quel volto».
Come questo panno sia arrivato a Manoppello è ancora oggetto di studio, e non mancano ipotesi accreditate come quelle del giornalista Saverio Gaeta, che ha ricostruito i vari passaggi e i colpi di scena legati ad una sparizione e una riapparizione del velo che assumono i contorni di un vero e proprio giallo.
Ma che cosa rappresenta il volto di Manoppello? «Si tratta del volto di Gesù al momento della sua resurrezione, mentre quello della Sindone ritrae Cristo sofferente dopo la sua passione. Entrambi i reperti sono un vero e proprio miracolo che sfida gli studiosi, in quanto sono fatti come se la luce avesse impressionato un supporto ma con due effetti diversi: nel caso della Sindone, come se avesse impressionato un negativo fotografico, in quello del Volto Santo, un positivo».
«Come sia stato possibile, nel caso della Sindone - spiega padre Pfeiffer - lo studio più accreditato rimane quello del professor Sebastiano Rodante, di Siracusa, il quale nel 1978 iniziò una serie di significativi esperimenti, a partire dal sudore di sangue. Le prove furono condotte su calchi, modellati a similitudine del volto sindonico, spruzzati di sudore di sangue, cosparsi di una miscela di aloe e mirra. La presenza di una soluzione di aloe e mirra ha poi liquefatto i coaguli di sangue sulla fronte del calco».
«L’osservazione che i coaguli sulla Sindone - continua lo studioso - non potevano lasciare nessuna traccia sulla Sindone stessa, portò Rodante ad adoperare un telo imbevuto della soluzione acquosa di aloe e mirra. I risultati ottenuti si avvicinavano in modo suggestivo all’impronta sindonica, in quanto fornivano una impronta simile ai coaguli della Sindone. Poi, durante esperimenti fatti anni più tardi utilizzando un negativo fotografico del telo torinese, si sono riprodotte le tracce dell’immagine del negativo sindonico».
«Insomma, la Sindone evidenzia al tempo stesso la natura umana e divina di Cristo, grazie alle macchie di sangue e all’immagine negativa. Quest’ultima, in particolare, per essere realizzata necessita di una fonte di energia, qualcosa che dirige i raggi e, infine, un supporto tipo una diapositiva.
«Stesso discorso vale per Manoppello: si tratta di un’immagine creata in modo anomalo, nel senso che gli studi hanno dimostrato che il Volto Santo non è un dipinto, ma un’immagine fatta con una tecnica assolutamente sconosciuta in tutta la storia dell’arte. Solo con la fede, allora, è possibile spiegare questa energia dentro un corpo morto. Ecco perché i due reperti sfidano la ragione, dimostrando i limiti della scienza».
Una delle cose che colpisce di più guardando i due volti è che la Sindone ha gli occhi chiusi, il Volto Santo li ha aperti: «In realtà - spiega Pfeiffer - non possiamo dire con certezza se la Sindone ha gli occhi aperti perché dipende dalle aspettative che noi abbiamo guardando quel volto: se pensiamo che sia di un morto, li vediamo chiusi, se pensiamo che sia di un vivente, li possiamo anche vedere aperti. È solo una nostra interpretazione».
La Sindone e il Volto Santo di Manoppello sono gli unici panni che hanno avvolto il corpo di Gesù? «No, c’è anche il sudario di Oviedo, in Spagna, e la cuffia conservata a Cahors, in Francia». Il secondo cingeva il volto di Gesù nel Sepolcro mentre il primo, secondo suor Blandina, era il panno utilizzato da qualcuno per asciugare il volto di Gesù ancora sanguinante, come dimostrano le impronte esterne di chi fece pressione sul naso per pulire il sangue e il siero fuoriusciti dal setto nasale.
La cosa sensazionale, al riguardo, è rivelata ancora da padre Pfeiffer: «Su tutti, e non escludo anche Manoppello come potrebbero dimostrare studi ulteriori, è stato rintracciato sangue del gruppo AB positivo, dunque con grande probabilità della stessa persona».
Il papa è stato a Manoppello nel 2006, e molti si aspettavano una sorta di “via libera” definitiva nell’identificazione del Volto Santo con la Veronica, ma così non è stato. Perché secondo lei? «Va detto che i due reperti ancora oggi non mettono del tutto d’accordo l’intera comunità ecclesiale. Penso che Benedetto XVI, da padre di tutta la Chiesa, abbia evitato di alimentare dibattiti interni anche nell’episcopato».
Padre Pfeiffer, un’ultima domanda: lei studia da sempre il volto di Gesù. Quali sono i caratteri di questo volto? «Il Volto Santo di Manoppello non è solo identico con la Veronica romana, ed esso non costituisce solo un’unica immagine con la Sindone, ma è anche uno dei due modelli fondamentali, rappresenta un prototipo per l’immagine di Cristo. Esiste un tipo classico dell’immagine del volto di Cristo così chiaramente delineato che, se visto anche solo una volta, lo si può riconoscere immediatamente in qualsiasi altra opera. Esso è caratterizzato da una testa alta con un naso lungo, da due bande di cappelli che cadono fino sulle spalle, da baffi e da una barba spesso bipartita. Gli occhi guardano leggermente in alto così da mostrare il bianco del globo oculare sotto la pupilla. Dobbiamo concludere, in contrasto con tanta ricerca degli studiosi dell’arte, che l’immagine di Cristo così individuale deve avere il suo modello. Per la struttura fortemente asimmetrica, il modello è la Sindone, o la Sindone insieme con il Volto Santo di Manoppello. Per gli occhi e tutti gli aspetti più vitali, l’unico modello è costituito dal Volto Santo”.
(Piergiorgio Greco)