venerdì 21 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Fuori dallo stato vegetativo: ora è cittadino onorario - La prossima settimana Pavia avrà tre cittadini in più. A chiederlo (e ottenerlo) sono stati gli stessi «pavesi di ogni estrazione sociale e colore politico», che in pochi giorni hanno raccolto 1.850 firme e si sono uniti in un Comitato spontaneo, «Pavia città della vita». Lo scopo: proporre al sindaco e al Comune di conferire la cittadinanza onoraria a Lucrezia ed Ernesto Tresoldi e al loro figlio Massimiliano, il giovane di Carugate (Milano) rimasto in stato vegetativo per dieci anni dopo un grave incidente d’auto e oggi, grazie a quei genitori, risvegliatosi da un lungo sonno ufficialmente senza sbocchi. - Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola – Avvenire, 20 maggio 2010
2) Avvenire, 20 maggio 2010, di Ilaria Nava - diritto & rovescio - Sulle «Dat» modifiche & dubbi
3) Il mistero della sofferenza secondo Pavel Florenskij - E Giobbe continua a piangere - Il 20 e il 21 maggio si svolge a Roma, nell'istituto Camillianum, il convegno "L'ateologia naturale. La sofferenza interpella la ragione e la fede". Uno dei relatori ha anticipato per il nostro giornale i temi del suo intervento. - di Lubomir Zák - L'Osservatore Romano - 21 maggio 2010
4) 20/05/2010 - ARABIA SAUDITA - Consiglio degli ulema: è un “peccatore” chi finanzia il terrorismo - I leader religiosi sauditi affermano che è “proibito” dalla legge islamica ogni atto eversivo, compreso il sostegno economico ai fondamentalisti. Nella norma vengono ripresi anche alcuni passi del Corano. Analisti musulmani: norma di facciata per l’Occidente, ma non ha efficacia.
5) Le tesi di Socci su Fatima infondate, nessuna traccia di apostasia nel mistero di Fatima. La tesi si basa su un apocrifo privo di credibilità. Papa Benedetto XVI e Bertone sono intellettualmente onesti, non avrebbero occultato niente, e perché? - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
6) Fatima, il dibattito sempre aperto - Gianni Toffali – Verona – dal sito Pontifex.roma.it
7) Indagine sulla pedofilia nella Chiesa - Intervista a Lorenzo Bertocchi, studioso di storia del cristianesimo di Antonio Gaspari (ZENIT) – dal sito Pontifex.roma.it
8) Avvenire.it, 20 Maggio 2010 - IL RICORDO - Ricoeur: il filosofo del perdono
9) Avvenire.it, 19 Maggio 2010 - 6 - Il matematico Boffi - Meglio l'algebra o Shakespeare?
10) «La rete di Scienza & Vita dalle città a YouTube» - di Pier Luigi Fornari – Avvenire, 20 maggio 2010
11) frasi sfatte - «Una famiglia come tutte le altre». Sicuri? - «Secondo i criteri americani, un fattore importante è quello dell’istruzione: gli ovuli di una studentessa di Harvard o Yale possono costare sino a tre volte di più». – Avvenire, 20 maggio 2010
12) Mal d’Europa - Mario Mauro - venerdì 21 maggio 2010 – ilsussidiario.net


Fuori dallo stato vegetativo: ora è cittadino onorario - La prossima settimana Pavia avrà tre cittadini in più. A chiederlo (e ottenerlo) sono stati gli stessi «pavesi di ogni estrazione sociale e colore politico», che in pochi giorni hanno raccolto 1.850 firme e si sono uniti in un Comitato spontaneo, «Pavia città della vita». Lo scopo: proporre al sindaco e al Comune di conferire la cittadinanza onoraria a Lucrezia ed Ernesto Tresoldi e al loro figlio Massimiliano, il giovane di Carugate (Milano) rimasto in stato vegetativo per dieci anni dopo un grave incidente d’auto e oggi, grazie a quei genitori, risvegliatosi da un lungo sonno ufficialmente senza sbocchi. - Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola - Avvenire, 20 maggio 2010
E’ ormai nota in tutta Italia la vicenda di Max, rimbalzata per la sua unicità su quotidiani e televisioni dal giorno in cui (il Natale del 2000) alzò una mano per abbracciare la madre e dire così al mondo 'sono tornato'. E se in questo ultimo anno alcune città hanno considerato l’idea di conferire la cittadinanza onoraria alla famiglia Tresoldi, Pavia – città universitaria di lunghissima tradizione medica – è arrivata per prima. Era passata l’una di notte di ieri quando il consiglio comunale esprimeva 26 voti favorevoli e un solo contrario (il consigliere Pd Guido Giuliani), davanti ai cittadini rimasti fino all’ultimo per assistere alla votazione.


La famiglia Tresoldi – si legge nella delibera – è «esempio ammirevole e simbolo di tutte le famiglie che condividono le medesime difficoltà e la sfida gioiosa per una piena accoglienza di vita in ogni sua fase e condizione». Lungo quei dieci anni, infatti, Lucrezia ed Ernesto non hanno mai smesso di curare un figlio cui la medicina non concedeva speranza, perso in uno stato vegetativo che allora si definiva ancora 'permanente'. E per non illuderli i neurologi spiegavano loro che Massimiliano era «come un tronco colpito dal fulmine, essiccato per sempre», che il suo cervello era «come una centralina cui hanno tagliato i fili: spento», che la sua coscienza era inesistente. Nonostante questo, per 365 giorni l’anno una schiera di cinquanta ragazzi volontari, gli amici del calcio, si sono organizzati in turni per non lasciarlo mai solo e continuare a dargli quell’assistenza che la famiglia non poteva pagare. Notte e giorno gli hanno parlato, lo hanno girato nel letto antidecubito, gli hanno mosso gambe e braccia perché non si atrofizzassero, incuranti del fatto che quel «tronco secco» non avrebbe mai dato risposte.


Invece nel Natale del 2000 le ha date, e adesso, nonostante le sue disabilità, Max riesce a raccontare che «in quei dieci anni io sentivo tutto ciò che avveniva nella mia stanza». Lo ha testimoniato anche a Pavia l’11 marzo, durante un convegno sugli stati vegetativi organizzato dal centro culturale 'Giulio Bosco' nell’aula magna dell’Università. «Sarebbe giusto iscrivervi simbolicamente nella popolazione della nostra città», aveva proposto dal pubblico l’assessore ai Servizi sociali e alla Famiglia, Sandro Assanelli. Nelle settimane successive un comitato spontaneo di cittadini aveva aderito all’iniziativa senza distinzioni politiche o ideologiche. Una trasversalità ripetutasi anche la notte scorsa in consiglio comunale, nonostante le intemperanze di una parte che ha lasciato l’aula al momento del voto. Sono infatti intervenuti con dichiarazioni di voto favorevole, a tratti toccanti e appassionate, i consiglieri del Pdl, della Lega e delle altre formazioni che sostengono la giunta di centrodestra, quelli dell’Udc, così come esponenti del Pd e dell’Idv.


I più soddisfatti sono i promotori del Comitato: «La cittadinanza onoraria vuole sottolineare la somiglianza tra l’impegno che la città di Pavia ha sempre dimostrato verso i malati, divenendo famosa in Italia e nel mondo per il suo Policlinico, e quello speso dalla famiglia Tresoldi e dagli amici volontari per Massimiliano». Così la loro iniziativa, «più che voler essere premiale verso questa famiglia, che non ne ha bisogno perché ha già avuto la gioia del risveglio del figlio, è finalizzata soprattutto a far sì che anche ogni altro malato pavese (e non) e ogni altra famiglia pavese (e non) che abbia malati 'in casa' non si sentano più soli ma avvertano la presenza e la vicinanza di un’intera città che li sostiene e li aiuta».
Dunque soprattutto un incoraggiamento alle famiglie con disabili perché sperino, a tutte le comunità perché se ne facciano carico, a tutte le altre città perché non rinuncino a premiare la cultura della vita contro quella della morte. «È la prima cittadinanza onoraria sostenuta dalla popolazione pavese, ed è bello questa sera condividere questi valori», ha detto Sandro Bruni (Pdl) a chiusura di un consiglio comunale diverso da tutti gli altri. «Anch’io ho sentito la testimonianza della famiglia Tresoldi quella sera e ho pianto», ha ricordato Carlo Guerini (Pdl). «Lavoro vicino a pazienti in stato vegetativo, conosco la sofferenza, è bello esprimere così un gesto di solidarietà», spiega il suo sì Andrea Albergati (Pd). «Avevo già firmato anche la petizione. Ora il Comune dia un riconoscimento anche a tutte le famiglie sofferenti di Pavia», ha aggiunto Vincenzo Vigna (Idv). «Stasera abbiamo parlato di valori... Dovremmo ricordarci che tutto ciò che facciamo in quest’aula dovrebbe essere a servizio della persona», ha concluso il sindaco, Alessandro Cattaneo. Che il 28 maggio alle 12 in Sala consiliare presiederà la cerimonia.
Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola



Avvenire, 20 maggio 2010, di Ilaria Nava - diritto & rovescio - Sulle «Dat» modifiche & dubbi
E’ terminato l’i ter dei lavori sulle «dispo sizioni in ma teria di al leanza tera peutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento» in commissione Affari socia li della Camera. Imminente, dopo il pare re favorevole delle altre commissioni, il pas saggio all’aula, previsto tra giugno e luglio dal presidente della commissione Giusep pe Palumbo. Invariati i riferimenti all’in violabilità della vita, anche nella fase fina le e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere, come il divieto di eutanasia, suicidio assistito e trat tamenti straordinari non proporzionati, ol tre alla priorità dell’alleanza terapeutica e del consenso informato.
Significative modifiche sono state in trodotte nell’articolo 3 (contenuti e li miti della Dat, durata di 5 anni). Qui si amplia la platea dei soggetti per cui va le la dichiarazione, che «assume rilievo nel momento in cui è accertato che il sog getto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguen ze » ossia una condizione che può anche non coincidere con l’incapacità perma nente di intendere e di volere e con lo sta to di interdizione legalmente accertato. Il

Il testo di legge sul fine vita uscito dalla commissione Affari sociali della Camera consolida alcuni punti fermi già fissati dal Senato Ma introduce alcune novità che aprono problemi di interpretazione


comma 3 specifica che nella Dat «può an che essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto a ogni o ad alcune forme par ticolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimen tale » andando in controtendenza rispet to alla precedente versione che sembrava circoscrivere maggiormente l’oggetto del le Dat, visto che la parola 'anche' non e ra presente.
Modifiche di rilievo anche su idratazio ne e alimentazione «nelle diverse for me in cui la scienza e la tecnica pos sono fornirle al paziente». Esse non pos sono formare oggetto di Dat e «devono es sere mantenute fino al termine della vita, a eccezione del caso in cui le medesime ri sultino non più efficaci nel fornire al pa ziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo». Un dettaglio che, se per alcuni è una sot­tolineatura che neppure per le forme di so stegno vitale sia ammissibile un accani mento, altri considerano un pericoloso ap piglio per ulteriori'eccezioni' frutto di in terpretazioni estensive.
Da segnalare le variazioni sul ruolo del medico curante, in particolare quando abbia un conflitto con il fiduciario. L’ar ticolo 7 prevede, contrariamente alla ver sione approvata in Senato, che il parere e spresso dal collegio di medici (nominato dalla direzione sanitaria dell’ospedale) chiamato a valutare la situazione sia «vin colante per il medico curante», il quale però «non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico». U na disposizione che ha destato perplessità per la devoluzione a 'tecnici' di casi limi te e situazioni controverse quali quelle su scettibili di sollevare un conflitto tra medico e fiduciario.

L’ altro aspetto da considerare è l’auto nomia del medico curante, che deve adeguarsi al parere del collegio salvo abbandonare il caso, opzione che la legge sembra contemplare quando nello stesso comma specifica che «il medico curante non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico». Il comma si chiude con una disposizione che dovrebbe essere la chiave interpretativa di quanto previsto in tutto il ddl e che riprende l’articolo 1, ossia che «resta comunque sem pre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana».


Il mistero della sofferenza secondo Pavel Florenskij - E Giobbe continua a piangere - Il 20 e il 21 maggio si svolge a Roma, nell'istituto Camillianum, il convegno "L'ateologia naturale. La sofferenza interpella la ragione e la fede". Uno dei relatori ha anticipato per il nostro giornale i temi del suo intervento. - di Lubomir Zák - L'Osservatore Romano - 21 maggio 2010
Pavel Florenskij, conoscendo di persona situazioni di precarietà e di ingiustizia, non poté non porsi pressanti interrogativi circa l'esistenza del male e il suo nesso con la fede in Dio. Un importante tentativo di offrire una prima risposta è nella celebre opera La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere (1914). Nel formularla, Florenskij è debitore di una metafisica e di un'ontologia dell'uni-totalità presenti già in Origene e in Massimo il Confessore (la teoria dei lògoi), e riproposte con nuovo entusiasmo da Solov'ev. Al centro di tali metafisica e ontologia sta l'idea dell'unità sostanziale di tutto ciò che esiste: ciascun particolare del reale è connesso, ontologicamente, con il tutto, in quanto ogni cosa ha in sé lo stesso identico ritmo di "vita". Tutto ciò che è fa parte, sul piano dell'essere, di un'unica rete i cui innumerevoli e sottilissimi fili conducono verso il misterioso abisso della vita: la casa eterna della Luce senza tramonto. La stessa che deposita i suoi potenti raggi, le sue divine "energie", in tutto ciò che è in essere.
La soluzione che Florenskij propone per affrontare la questione del male è intimamente connessa a una simile visione del reale. Per elaborarla, egli percorre la via della gnoseologia orientata a risolvere il problema dell'esistenza di una Verità assoluta e della sua conoscenza, Verità compresa come una sorta di fondamento dell'essere su cui "poggia" l'unità nella molteplicità di quanto esiste. Florenskij dimostra che tale Verità è non solo pensabile, ma che la sua descrizione teologica coincide con il dogma trinitario che egli interpreta in chiave relazionale. Per lui, il mistero dell'essere-uno e dell'essere-tre di Dio coincide col reciproco e totale rinnegamento di sé di ogni Persona divina di fronte alle altre due - quale gesto di un amore che ama gli altri più di se stesso - e al contempo con la reciproca elevazione, glorificazione, dell'una da parte delle altre due (quale gesto di un amore trionfante). In sintesi, è una Verità che Florenskij vede come atto-sostanza-relazione, ossia unità dinamica dei Tre totalmente diversi che sono unico Dio.
Ed è quest'unità trinitaria a rappresentare il fondamento ideale dell'ordine eterno dell'essere. Infatti, esiste veramente solo ciò che appartiene a esso: da un lato, a tale ordine partecipa, misteriosamente, tutto il creato in quanto posto in essere dalla volontà creatrice di Dio-Trinità; appartiene a esso l'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Colui che l'ha creato. Ne fa parte, inoltre, anche tutto ciò che l'uomo crea, in primis la sua personalità e poi tutte le concretizzazioni vitali e culturali delle sue idee. Questo, però, solo se tali creazioni umane rispecchiano la dinamica dell'ordine eterno dell'essere: l'amore per un altro da sé.
Florenskij interpreta la rivelazione di Dio in Gesù Cristo come parola ultima e definitiva su questa Verità e, insieme, come giudizio su ciò che, nel mondo, è destinato a perire, perché privo del legame con l'ordine eterno dell'essere. Questo è il destino del male. Quella realtà che non sopporta i criteri di tale ordine, che con esso non ha nessuna parentela. La terminologia religiosa la chiama "peccato", sottolineando così il legame tra il male e la libertà dell'uomo. Gli effetti devastanti del male, del peccato non sono fittizi. Eppure quanto all'ordine dell'essere, la consistenza ontologica di essi è effimera, nulla. E gli altri "mali"? Quali, a esempio, le catastrofi naturali o le malattie? Cosa rispondere al pianto di Giobbe che riecheggia senza fine da tutti gli angoli del mondo? Florenskij invita a rispettare il mistero di tali situazioni e a considerare l'esperienza del dolore parte essenziale della vita umana.
Certo, bisogna fare tutto il possibile per prevenire le catastrofi naturali, occorre lottare contro le malattie ed è necessario che si evitino sfortune di ogni tipo. Tuttavia, se tali eventi si verificano, essi vanno accolti come esperienze del tutto particolari della complessità del reale, che costringono l'uomo a guardare la vita come luogo dei numerosi paradossi, sì, i quali, però, non possono essere scomposti nei frammenti privi di un senso unitario. Nemmeno se si tratta del paradosso i cui due poli sono il vivere e il morire. In merito Florenskij cita Dostoevskij: "In tutto c'è il mistero di Dio", anche nella sofferenza più atroce e nella morte.
Una simile impostazione del problema del male non dispensa comunque dall'interrogarsi sul Dio Creatore. Egli può essere pensato ancora come Onnipotente? Dov'è Lui quando il creato viene devastato, quando l'uomo soffre e, soprattutto, quando l'innocente, pugnalato dal sanguinario aguzzino, lancia l'ultimo grido di dolore? Forse ha abbandonato l'opera delle Sue mani?
La riposta di Florenskij è affine a quella di quanti in Russia - da Dostoevskij fino a Bulgakov e Karsavin - hanno parlato di un Dio "umile", misteriosamente rispettoso di fronte alla volontà e all'attività "creativa" degli uomini, amministratori degli spazi di vita da Lui progettati proprio per loro. Dio si comporta come chi dopo aver depositato nel terreno dell'essere la "moneta" della Sua stessa immagine, lascia che siano gli uomini a cercarla e moltiplicarla, o a ignorarla e seppellirla ancora di più. Da parte sua Florenskij predica la fedeltà a questa "terra", a questo mondo. Per lui la storia della salvezza, che culmina con la rivelazione di Dio-Trinità in Cristo, è un invito a credere nella bontà intrinseca della vita in sé e di tutto il creato. Invito a riscoprire Dio presente nel mondo e ad aprirgli la porta come a un umile pellegrino che pazientemente attende dietro la soglia. Quel Dio che con la potenza del Creatore è pronto a donare all'uomo la sapienza originaria che Egli depositò nelle radici dell'essere: l'ingegnosa sapienza dell'amore trinitario.
Allo stesso tempo, Florenskij insegna che, nelle situazioni di male e di ogni tipo di sofferenza, la via aurea dell'avvicinamento dell'uomo a Dio e all'ordine eterno dell'essere è la povertà di sé, da comprendere nel senso più profondo della parola biblica anawîm. Essa consiste in un totale spogliamento di sé, nello strappare da sé il proprio "io sono", "io voglio", "io penso", vissuto non tanto come gesto di autoumiliazione ascetica, quanto piuttosto come scelta di essere un dono di amore per un altro. In altri termini, si tratta di uscire da sé, per offrire lo spazio del proprio essere a un altro da sé. Il che, però, coincide con l'entrare soavemente nello spazio di vita di un altro e con la misteriosa ricreazione di una rinnovata coscienza di sé. Con la Sua morte e risurrezione, Gesù Cristo ha reso possibile proprio quest'esperienza di verità della vita. Come dice Massimo il Confessore: "Colui che ha conosciuto il mistero della croce e del sepolcro conosce anche le ragioni essenziali di tutte le cose".
La fede di Florenskij in Dio Amore e la sua fedeltà alla "legge nuova" nelle condizioni disumane e terrificanti del gulag staliniano sono la migliore apologia della sua teodicea trinitaria. Una teodicea scritta e vissuta con la ferma convinzione che non vi è altra via verso il superamento definitivo del male che l'amore.
(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2010)


20/05/2010 - ARABIA SAUDITA - Consiglio degli ulema: è un “peccatore” chi finanzia il terrorismo - I leader religiosi sauditi affermano che è “proibito” dalla legge islamica ogni atto eversivo, compreso il sostegno economico ai fondamentalisti. Nella norma vengono ripresi anche alcuni passi del Corano. Analisti musulmani: norma di facciata per l’Occidente, ma non ha efficacia.
Riyadh (AsiaNews/Agenzie) – Finanziare il terrorismo è “vietato dalla Sharia islamica” ed è quindi “un crimine punibile”. E’ una condanna senza attenuanti quella emessa dal saudita Consiglio degli ulema anziani, che riunisce i più autorevoli leader religiosi del Paese. Il Consiglio, di nomina governativa, definisce “proibito” dalla legge islamica ogni atto di terrorismo, anche “l’aiuto o il tentativo di commettere un atto terroristico di qualsiasi tipo” e costituisce per questo “un crimine punibile”.
La norma emanata dagli Ulema intende dissipare ogni dubbio o incomprensione su cosa significhi “sostenere i terroristi” e li bolla come “peccatori”. Esperti musulmani di politica internazionale ritengono però che la risoluzione sia “un messaggio all’Occidente”, per mostrare che l’Arabia Saudita è impegnata nella lotta al terrorismo. Tuttavia, essi sottolineano che è più una norma di facciata, piuttosto che una misura efficace per sconfiggere le frange fondamentaliste.
Per dare maggiore fondamento alla risoluzione vengono inoltre segnalati alcuni passi del Corano, in cui emerge la necessità di seguire “pietà e virtù” e si condanna chi “aiuta altri a peccare”. Tuttavia, gli analisti ritengono che la fatwa “avrà poca presa” su quanti finanziano gruppi terroristi.


Le tesi di Socci su Fatima infondate, nessuna traccia di apostasia nel mistero di Fatima. La tesi si basa su un apocrifo privo di credibilità. Papa Benedetto XVI e Bertone sono intellettualmente onesti, non avrebbero occultato niente, e perché? - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
A seguito della visita del Papa a Fatima, il noto e bravo Antonio Socci( che comunque era e resta un signor giornalista degno della massima stima e considerazione) ha rilanciato la tesi dell' apostasia nel segreto di Fatima che porta di riflesso a dubitare della sua integrale lettura ed anche della esistenza di un quarto eventuale testo. Ne discutiamo con il noto mariologo, uno degli studiosi più seri ed accreditati in campo internazionale, il professor Stefano De Fiores, sacerdote. Professor De Fiores, ha letto le tesi ultime di Antonio Socci?: " sì e con l' attenzione che esse meritano. Con lui, giornalista comunque serio e mirante al bene della Chiesa, rispettoso della dottrina, é possibile polemizzare, nel rispetto delle diversità. In sostanza, non condivido le sue tesi, ma reputo Socci una persona intellettualmente onesta". Che cosa pensa della sua tesi?: " non se avrà a male, e spero voglia replicarmi con il garbo che ... gli é solito se penso ad una totale infondatezza, ad una tesi che non ha pezze di appoggio, ma neppure a livello di esegesi o letteriario".

Spieghi perchè: " nel testo non si legge da nessuna parte di un riferimento alla apostasia, come alla stessa pedofilia, per essere obiettivi. Ma rimanendo alla apostasia, questa idea viene fuori da un aprocrifo privo di ogni credibilità e al quale, per motivi forse misteriosi o di dietrologia, si dedica eccessiva importanza".

Qual é il fulcro del mistero?: " la idea centrale é la persecuzione nei confronti della Chiesa cattolica e questa effettivamente si é avverata, avviene oggi e penso che accadrà anche nel futuro. ma quello di Fatima non é un messaggio di terrore, bensì di speranza. Alla fine il bene vince sul male, come del resto l' Apocalisse é un libro ottimista e non di paura".

Ma secondo lei le velate " accuse " di Socci ad eventuali coperture sul testo sono meritevoli di attenzione?: " le ribadisco che stimo Socci e lo giudico un cattolico attento e in piena ortodossia, ma ogni tanto prende delle impuntature che non hanno ragion di essere. Le rispetto, come ogni opinione non eretica va accettata, ma non condivido. Papa Benedetto XVI e lo stesso cardinale Bertone sono persone intellettualmente oneste, ora mi spieghi lei per quale ragione mai avrebbero dovuto nascondere o coprire. Non ne vedo proprio il motivo. L' apostasia alla quale pensa Socci, forse, é la perdita del senso della fede ed allora sarebbe giusto chiamarla secolarizzazione, ma non apostasia. La Chiesa non é mai caduta in questo, semmai qualche rappresentante che é caduto in errori isolati, ma arrivare ad una generalizzazione, lo trovo ardito e lo reitero, infondato dal punto di vista di studioso. Spesso, per motivi anche ammirevoli, si seguono idee che finiscono col danneggiare la chiesa. E non intendo l' accanimento di Socci su questo tema".

Socci ha polemizzato con lei: " vero, ma sempre in termini civili come é suo stile. Libero di farlo, di rimanere nei suoi convincimenti ed io nei miei. Le sue tesi sono teologicamente prive di fondamento, quando testi alla mano mi dimostrerà il contrario dirò che aveva ragione. Oggi il tenore letterale dei misteri non lo conforta".

Che cosa pensa delle persecuzioni?: " lo ho detto, ci sono state, ci sono, abbiamo avuto tanti martiri e altri ne avremo. La Chiesa sa soffrire". Ci avviciniamo alla Pentecoste, qual é il ruolo di Maria?: " nel cenacolo vi erano varie categorie di persone insieme agli Apostoli e Maria, che però sono i soli ad essere citati. Maria in realtà lo Spirito Santo lo aveva già ricevuto con l' Annunciazione".
Bruno Volpe


Fatima, il dibattito sempre aperto - Gianni Toffali – Verona – dal sito Pontifex.roma.it
Parlando dei segreti di Fatima durante il viaggio in Portogallo, Benedetto XVI ha dichiarato che “ la profezia sul papa ucciso e il macello di cardinali e vescovi riguarda non il passato, ma il nostro futuro prossimo”. Grandissima delusione e grande panico per quella parte di curia accomodante, conciliante, buonista e irenista che sino al giorno prima della clamorosa rivelazione di Ratzinger, aveva fatto carte false per far bere all’opinione pubblica che il terzo segreto di Fatima riguardava il passato. E pensare che Segretario di stato cardinal Sodano, il 13 maggio 2000, nell’annunciare solennemente al mondo la pubblicazione del terzo segreto, spiegando che coincideva con l’attentato al papa del 1981 e le persecuzioni del Novecento, disse: “Le vicende a cui fa riferimento la terza parte del ‘segreto’ di Fatima sembrano ormai appartenere al passato”. Pure l successore Bertone a pagina 79 di un suo volume se ne uscì fuori con ...un perentorio “L’accanimento mediatico è quello di non volersi capacitare che la profezia non è aperta sul futuro, si è realizzata nel passato, nell’evento indicato (l’attentato al papa). Non ci si vuole arrendere all’evidenza”. Ora invece papa Benedetto XVI ci ha spiegato l’esatto opposto, che cioè il terzo segreto riguarda eventi successivi all’attentato del 1981, come l’attuale scandalo della pedofilia e anche eventi che stanno tuttora nel nostro futuro. E’ facile intuire lo sconcerto di quella parte di chiesa progressista, tanto severa, inquisitoria e giustizialista con i “colleghi” del passato (vedi il plauso per il mea culpa del papa polacco, cui però l’attuale successore di Pietro prese le distanze), quanto acquiescente, conciliante e omertosa con il clero del presente.

E giusto per essere più esplicito, alludendo alla probabilità di un quarto segreto di Fatima sino ad oggi maldestramente occultato dalle gerarchie vaticane, papa Benedetto ha aggiunto che” Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa”.

Che alludesse alla cosiddetta crisi della Chiesa? E’ facile intuire che il papa si riferiva ai lupi travestiti da pecore citati dai vangeli, vale a dire a quella nutrita schiera di falsi ministri di Cristo, che pur operando in seno alla Chiesa, la usano per fini impropri e personali (pedofilia, carriera, arricchimento, etc) e soprattutto per infangarla e delegittimarla dall’interno. “Le sofferenze della Chiesa che si annunciano” dunque, altro non sono che le conseguenze del tradimento perpetrato da non pochi ecclesiastici che hanno preferito consegnarsi ed arrendersi alla logica e alle lusinghe (tentazioni) del mondo, piuttosto che rimanere fedeli al bi millenario Magistero della Chiesa.

Ora che il Pontefice ha aperto una porta che molti volevano lasciare chiusa (a dire il vero, già spalancata dalla denuncia che fece nella Via Crucis del 2005 riguardante la molta spazzatura presente nella Chiesa), non sarebbe auspicabile che Benedetto XVI si adoperasse a portare a termine un’operazione di pulizia che non tocchi prettamente la piaga degli abusi sessuali (a detta di molti, il male minore), ma anche nel mettere un freno ai ben più gravi peccati di apostasia e di false dottrine cattoliche, proclamate da troppi ecclesiastici infedeli e impostori?
Gianni Toffali – Verona


Indagine sulla pedofilia nella Chiesa - Intervista a Lorenzo Bertocchi, studioso di storia del cristianesimo di Antonio Gaspari (ZENIT) – dal sito Pontifex.roma.it
Quanti casi di pedofilia si sono registrati all’interno della Chiesa cattolica? E quanti sono quelli verificatisi nella società? Chi promuove una cultura della pedofilia? E come ha fatto questa cultura a contaminare anche parti della Chiesa cattolica? Per rispondere a queste come ad altre domande su un tema così delicato e spinoso Francesco Agnoli, Massimo Introvigne, Giuliano Guzzo, Luca Volonté e Lorenzo Bertocchi hanno appena pubblicato il saggio “Indagine sulla pedofilia nella Chiesa” (edizioni Fede & Cultura) Per approfondire il tema in questione, ZENIT ha intervistato uno degli autori, Lorenzo Bertocchi, studioso di storia del cristianesimo, collaborare del blog www.libertaepersona.org/dblog/. Quanti sono i casi di pedofilia nella Chiesa? Bertocchi: Se anche vi fosse un solo caso è ovvio che sarebbe già troppo e all’interno della Chiesa chi ha dimostrato di aver idee ben chiare a tal proposito è proprio Benedetto XVI. ...

Ciò premesso credo sia utile capire le dimensioni del fenomeno e nella prima parte del libro (“Indagine sulla pedofilia nella Chiesa” – Ed. Fede e Cultura) Massimo Introvigne ci aiuta a inquadrare il problema. Negli Stati Uniti ad esempio, secondo autorevoli indagini accademiche, dal 1950 al 2002 i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia risultano 958 su oltre 109.000 preti, ma le condanne si riducono drasticamente fino ad un numero di poco inferiore a 100.

Padre Lombardi, in una sua dichiarazione del 10 marzo scorso, citava il caso dell’Austria dove, in uno stesso arco temporale, le accuse accertate e riconducibili alla Chiesa ammontano a 17, mentre per altri ambienti si sale a 510. Questi numeri possono dire molto o nulla, tuttavia mostrano senz’altro una tendenza che permette di sgonfiare l’ipotesi che per la Chiesa Cattolica vorrebbe fare “di tutta l’erba un fascio”.

Meriterebbe poi un discorso a parte il tema delle false accuse, come ad esempio i casi di don Giorgio Covoni, di due suore bergamasche, di padre Kinsella e suor Nora Wall in Irlanda, tutti accusati di abusi e poi assolti. Questi fatti sono importanti perché testimoniano le dinamiche non sempre chiare in cui prende corpo l’accusa.

E nella società?

Bertocchi: Leggendo i dati sembra che la piaga pedofilia sia veramente diffusa e impressionante. In un rapporto dell’OMS - Global Estimates of Health Consequences due to Violence Against Children (Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2006) - si indica ad esempio che per il 2002 nel mondo si potevano stimare circa 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini minorenni costretti in diverse forme di abuso nell’ambito sessuale.

Un rapporto ONU, presentato all’Assemblea generale il 21 luglio 2009, focalizza, invece, l’attenzione sulla situazione nel web: su scala mondiale il numero di siti on-line di natura pedo-pornografica cresce a ritmi vertiginosi, ad esempio se nel 2001 erano 261.653, nel 2004 se ne recensivano ben 480.000, tendenza che viene confermata anche consultando i report annuali dell’Associazione Meter di don Di Noto.

Questo dato relativo ad Internet mi sembra paradigmatico visto il ruolo ormai assunto dal web nella nostra vita sociale. Prende così consistenza l’idea che il tipo di campagna mediatica condotta per far passare la Chiesa Cattolica come luogo per eccellenza della pedofilia contenga una buona dose di pregiudizio.

Quale cultura promuove la pedofilia?

Bertocchi: Al centro del problema c’è quella “cultura del sesso” che, specialmente a partire dal cosiddetto ’68, ha promosso una vera e propria rivoluzione tesa ad “abolire i tabù”. La diffusione della pornografia, che in qualche modo rappresenta la bandiera di questa rivoluzione, è sotto gli occhi di tutti. La mentalità dominante oggi è quella che giustifica la pratica di unioni sessuali di ogni tipo, frutto di un pensiero che trova le sue radici in De Sade, Freud, Fromm, Reich, Marcuse, ecc., quelli che potremmo definire profeti dell’esaltazione dell’orgasmo.

Nel nostro libro è Francesco Agnoli che porta diversi esempi di come ancora oggi questa cultura sia viva e rappresentativo è il caso del partito olandese pro-pedofili da poco sciolto per carenza di firme e non per divieto legale. In radice la rivoluzione sessuale di quegli anni si poneva l’obiettivo di attaccare ogni tipo di autorità, a partire da quella di Dio e questo purtroppo ha lasciato un segno anche all’interno della Chiesa.

Come, quando e perchè la cultura favorevole alla pedofilia è penetrata nei seminari e nella Chiesa?

Bertocchi: L’indicazione la può fornire proprio la lettera che Benedetto XVI ha scritto ai cattolici d’Irlanda dove, oltre ad affrontare il problema di casi di pedofilia nel clero irlandese, il Santo Padre ricerca anche le radici del fenomeno. Nel suo argomentare egli fa riferimento anche al fatto che “il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II fu a volte frainteso”. Sicuramente c’è un richiamo a quel periodo degli anni ’60/’70 del secolo scorso in cui la cosiddetta “apertura al mondo” ha condotto la Chiesa ad un indebolimento della fede e ad una progressiva secolarizzazione.

L’attacco sociale condotto al principio di autorità, famoso lo slogan “vietato vietare”, si è insinuato nella Chiesa e così nei seminari dove una certa interpretazione ha finito per confondere la disciplina con il dialogo; il risultato è stato una maglia più larga nella selezione dei candidati al sacerdozio.

Il Card. Caffarra a tal proposito ha precisato: “che la Chiesa si dia dei criteri per discernere chi ammettere e chi non ammettere al sacerdozio è un diritto che nessuno può ragionevolmente negarle” (“La Verità chiede di essere rivelata” – Rizzoli 2009). Oggi più che mai questo diritto va esercitato. Chi pensasse però che il problema è il celibato dei preti dovrebbe quantomeno spiegare come mai nel clero protestante, che può sposarsi, vi siano casi di abusi sessuali non inferiori a quelli del clero cattolico.

Perchè la pedofilia organizzata e praticata con il turismo sessuale non fa rumore e non si riesce a fermare?

Bertocchi: Una indagine dell’ECPAT ha rilevato che nel mondo circa 80 milioni di turisti all’anno si muovano in cerca di un’offerta sessuale. Secondo Intervita – Onlus italiana – sarebbero 10 milioni i minori coinvolti in questo mercato planetario che muove un giro d’affari stimato in 12 miliardi di dollari.

L’indagine dell’Università di Parma realizzata per ECPAT indica l’identikit del “turista tipo” che non è certo un mostro: nel 90% dei casi ha tra i 20 e i 40 anni, di cultura medio alta, buon livello di reddito, molto spesso è sposato. Le vittime, invece, hanno un’età compresa fra gli 11 e i 15 anni nel caso delle bambine e 13 – 18 per i maschi.

Questo tipo di “turismo” in molti paesi è considerato un reato, ma ciononostante si tratta di un’industria molto florida e proprio per il fatto di essere “un’industria” rende difficile fermare il fenomeno. Però c’è anche un motivo più radicale che va indagato in quella “cultura del sesso” di cui parlavo poco fa, vi sono espressioni politiche che sono portabandiera di tematiche nate in quella “cultura” e che si muovono come una vera e propria lobby.

Qual è il confine tra realtà e falso moralismo?

Bertocchi: Gran parte delle nostre società post-moderne ormai accetta o giustifica la distruzione di embrioni in quanto non li considera esseri umani, commercia in ovuli e spermatozoi come fossero biscotti, teorizza la mascolinità e la femminilità come semplici etichette culturali, diffonde la pornografia come una forma di divertimento e vorrebbe fare della morte assistita una scelta nobile.

Per una sorta di perversione della verità oggi ci troviamo di fronte ad una confusione etica di proporzioni tali che la realtà si perde nel soggettivismo. Così appunto vediamo che la condanna del comportamento immorale dei religiosi proviene dallo stesso ambiente culturale che è pronto ad accettare ogni arbitrio del singolo. Le ragioni sono di tipo ideologico, ma anche di tipo economico come dimostrano quegli studi legali americani che hanno guadagnato miliardi di dollari grazie all’uso spregiudicato dell’accusa di pedofilia.

Come valutare la linea di tolleranza zero adottata dal Pontefice Benedetto XVI?

Bertocchi: La determinazione del Santo Padre a voler fare chiarezza mi pare esemplare, indica una via di trasparenza che non solo è valida per la Chiesa, ma lo dovrebbe essere per tutti i settori della società che hanno avuto o hanno a che fare con questo triste fenomeno.

Nelle meditazioni per la Via Crucis del 2005 l’allora Card. Ratzinger mostrava chiaramente la necessità di “far pulizia” dentro la Chiesa, volontà però non giustizialista, ma desiderio di vera giustizia per far risplendere ancora di più la Sposa di Cristo “una, santa, cattolica e apostolica”.

Questo “stile” lo si può riscontrare in tutto il magistero di Benedetto XVI, la sua ricetta di purificazione si muove a 360°: l’ermeneutica della continuità, l’allargamento della razionalità, l’esempio del Curato d’Ars per l’Anno sacerdotale, l’attenzione alla liturgia, la tolleranza zero contro lo scandalo pedofilia, ecc. Il problema semmai è quello di leggere il suo insegnamento prendendo solo ciò che è più vicino alle proprie idee, omettendo di considerarlo integralmente.

In che modo la Chiesa cattolica potrà superare lo sgomento e la sfiducia così largamente diffusi tra la gente?

Bertocchi: Tutti i cattolici sono chiamati a ritornare ai fondamenti della fede per essere autentici testimoni del Signore Risorto o, come dice Luca Volontè, “chiara deve essere la coscienza della compagnia di Cristo” che ci accompagna quotidianamente. Nel suo recente viaggio apostolico a Fatima il Santo Padre ha affermato che la Chiesa soffre per cause “interne”.

Certamente faceva riferimento alle ferite provocate dai casi di abusi sessuali, ma credo anche alla necessità di una chiarezza dottrinale essenziale per un ritorno ai fondamenti. Oggi purtroppo questa chiarezza non è scontata e anche questo confonde la gente.

Mi trovo d’accordo quindi con le conclusioni che indica Agnoli nel saggio: preghiera, recupero del senso del soprannaturale, efficace esercizio del governo della Chiesa e, aggiungo, un profondo recupero del senso del peccato. “Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa” ha detto Benedetto XVI dopo il Regina Caeli del 16 maggio.

Disgraziatamente in molta catechesi il tema “peccato” è sempre meno di moda, travolto da tanta psicologia e tanta sociologia. Riconoscersi peccatori però è la via per accogliere la Misericordia di Dio. Carità nella Verità, non c’è altro modo per donare speranza agli uomini del nostro tempo.

Intervista a Lorenzo Bertocchi, studioso di storia del cristianesimo di Antonio Gaspari (ZENIT)


Avvenire.it, 20 Maggio 2010 - IL RICORDO - Ricoeur: il filosofo del perdono
Era un venerdì, il 20 maggio di cinque anni fa, quando nelle prime ore del mattino si spegneva nella sua abitazione di Châtenay Malabry, presso Parigi, nel complesso edilizio Les Murs Blancs che Emmanuel Mounier aveva fatto costruire per i più stretti collaboratori della rivista Esprit, il filosofo Paul Ricoeur (1913-2005), l’erede spirituale di Edmond Husserl e dell’esistenzialismo cristiano. Stelle polari della sua formazione furono, non a caso, Emmanuel Mounier, Gabriel Marcel e Karl Jaspers.

Ricoeur fu, tra l’altro, il filosofo di riferimento per la rivista Concilium nei primi anni della sua nascita, soprattutto per teologi di rango come Karl Rahner, Yves Marie Congar e Edward Schillebeeckx. Allevato dai nonni nella fede protestante, Ricoeur era nato nel 1913 a Valence ed era stato fatto prigioniero dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Vicino al socialismo cristiano di André Philip, aveva insegnato in varie università: dalla Sorbona a Lovanio e negli Stati Uniti a Yale e Chicago. Oppositore di ogni forma di totalitarismo, memorabili rimangono le sue denunce contro le atrocità perpetuate nelle guerre di Algeria degli anni Cinquanta e di Bosnia nel 1992.

Ora, a 5 anni dalla scomparsa, rimangono soprattutto vivi i suoi insegnamenti di filosofo e di uomo di dialogo a cominciare dai suoi saggi più famosi, solo per citarne alcuni, come Finitudine e colpa o Il conflitto delle interpretazioni. Di questo ne è convinto uno dei suoi più affezionati discepoli, Domenico Jervolino, oggi docente di ermeneutica e filosofia del linguaggio all’università Federico II di Napoli: «Quello che mi ha sempre affascinato del suo pensiero è stata la ricerca attorno al tema del soggetto, della soggettività da ricomprendere e reinterpretare nel suo rapporto con l’alterità. Forse la sua grandezza maggiore è stata, a mio avviso, quella di credere che la filosofia non deve mai bastare a se stessa ma deve trarre linfa anche dalle tradizioni ricevute, dalle scienze dell’uomo e dal nostro inconscio e proprio da tutto ciò che è altro dalla filosofia».

Un lascito, quello di Ricoeur, da riscoprire soprattutto per come ha introdotto la ricerca filosofica nel difficile terreno della psicoanalisi, soprattutto quella di stampo freudiano: «Ricoeur trova in Freud l’interlocutore privilegiato, che pone in questione una coscienza troppo sicura di sé e mette in gioco anche le cosiddette "pulsioni inconsce". Non a caso, assieme a Freud, considera Nietzsche e Marx i cosiddetti "maestri del sospetto" perché capaci di scoprire che sotto il soggetto c’è qualcosa d’altro, una maschera dove il soggetto risulta essere un "testo tutto da decifrare"».

Dal canto suo un altro discepolo, il professore emerito di storia della Filosofia all’università di Roma Armando Rigobello, oltre a collocare Ricoeur come «continuatore ideale del personalismo comunitario di Mounier, in un certo senso» anche per il comune «pudore della testimonianza», mette in evidenza la sua attenzione alla trascendenza nonché l’affinità al magistero cattolico e alla Bibbia: «Ricoeur si è abbeverato ai testi sacri di cui si fa interprete. Fondamentale in lui l’esegesi della Parola. Costante è nei suoi scritti il confronto con la trascendenza, la ricerca filosofica e l’esperienza religiosa. Ricoeur è soprattutto preoccupato di difendere i suoi scritti dall’accusa di costruire una cripto-teologia, anche se riconosce che le motivazioni profonde dei temi da lui trattati nascono dalle convinzioni religiose». In ultima analisi – è la conclusione di Rigobello – «la sua filosofia è aperta alla trascendenza, anche se non la fonda».

Ma per capire nel profondo il pensiero e l’ermeneutica biblica ricoeuriana bisogna affrontare un argomento nodale della sua ricerca: il perdono. Proprio su questo tema si è soffermato, con un ampio articolo su La Civiltà Cattolica, nel settembre scorso, il gesuita e filosofo della Gregoriana Giovanni Cucci: «Il perdono dice qualcosa dell’essere stesso. Per Ricoeur lo si può cogliere soltanto in un’economia del dono, frutto di quella che chiama "logica della sovrabbondanza". Il perdono ne è il versante supremo, esso manifesta il riferimento non solo a una colpa commessa, ma anche alla dignità del suo autore, nella fiducia che egli potrà fare di più e meglio di quanto compiuto, potrà essere diverso da se stesso. Come dice Ricoeur con una formula suggestiva: «Tu vali molto più delle tue azioni"».

Un «auditore della Parola», un «pensatore responsabile» un «filosofo sulla scia del magistero di Giovanni Paolo II»: sono tante le definizioni ma anche i ricordi che tornano alla mente del cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio consiglio per la Cultura. La sua amicizia con Ricoeur è incominciata a Parigi negli anni Settanta, durante i molti seminari sull’ecumenismo all’Institut Catholique, e poi è continuata a Castelgandolfo nei tanti convegni estivi con Giovanni Paolo II assieme a Hans Georg Gadamer ed Emmanuel Lévinas fino all’ultimo incontro, nel luglio 2003, con la consegna al filosofo di Valence del prestigioso Premio Paolo VI, in Vaticano, da parte di papa Wojtyla; che mise in evidenza la forte affinità di ricerca di Ricoeur con l’enciclica Fides et Ratio.

«Con quel riconoscimento – rivela il cardinale – si è voluto onorare il filosofo, amante dei testi sacri, attento alle tendenze più significative della cultura contemporanea ma anche un uomo di fede impegnato nella difesa dei valori umani e cristiani». Di quella giornata Poupard ricorda un particolare: «Dietro indicazione di Ricoeur l’importo del premio è stato devoluto alla Fondazione John Bost, di area evangelica, che dal 1848 si occupa di handicappati, anziani e di altri soggetti in difficoltà, circa un migliaio di persone. In quel gesto è emerso il Ricoeur meno conosciuto, il suo grande stile cristiano dove si manifesta evangelicamente la frase: "Coloro che tutti respingono, io li accoglierò nel nome del mio Maestro". Tutto questo dimostra che era non solo un accademico puro, un idealista ma anche un uomo pratico e attento al prossimo. Per me è stato il massimo filosofo del nostro tempo e un uomo di grandissima umanità e umiltà». La mente del professore Jervolino corre all’ultimo incontro a Parigi, un mese prima della morte, con il suo antico maestro: «È stato lucido fino alla fine. Mi chiedeva sempre della politica italiana. Ricordo che era un divoratore di giornali, in particolare Le Monde.

Seguiva le vicende della vita perché voleva rimanere vivo fino all’ultimo, mantenersi attivo fino alla fine, contro la passività e tutte le forme di degrado. In fondo ha esaudito così la sua aspirazione, quella di mantenersi "vivo fino alla morte". Un’espressione che ha dato il titolo alla sua ultima opera, pubblicata dopo la sua scomparsa».


Avvenire.it, 19 Maggio 2010 - 6 - Il matematico Boffi - Meglio l'algebra o Shakespeare?
Giandomenico Boffi è, da parecchi anni, l’unico professore ordinario di Algebra in ruolo presso una facoltà di Economia in Italia (prima alla "G. d’Annunzio" di Chieti e Pescara, attualmente alla Luspio di Roma). E già questo forse spiega la sua convinzione che il rapporto tra la cultura scientifica e la cultura umanistica non sia poi così squilibrato a favore della prima. Boffi contesta inoltre che esista «una cosiddetta cultura scientifica» contrapposta a «una cosiddetta cultura umanistica». Per essere più persuasivo, cita l’aneddoto che ha come protagonista Charles P. Snow, scienziato e scrittore inglese. Quando in una conversazione veniva fuori la questione dell’ "ignoranza" degli scienziati nelle materie umanistiche, Snow faceva un piccolo esperimento. Domandava ai suoi colleghi umanisti: quanti di voi conoscono la seconda legge della termodinamica? e che cosa sapete della massa o dell’accelerazione? Silenzio imbarazzato. Allora lui: «Sul versante umanistico, allo stesso livello di difficoltà, è come se io vi avessi chiesto: avete letto un’opera di Shakespeare? sapete leggere?». E quelli restavano confusi. Boffi coordina da anni a livello nazionale un gruppo di scienziati, filosofi e teologi, nel quadro del progetto Sefir (Scienza e fede sull’interpretazione del reale) che persegue un approccio interdisciplinare alla realtà.

Professore, conoscenza scientifica e conoscenza umanistica dissotterrano l’ascia di guerra? «Scientismo» da un lato e «umanesimo» dall’altro sarebbero ai ferri corti. È una voce che gira.
«La dissociazione tra conoscenza scientifica e conoscenza umanistica è stata dannosa, come osservava Snow parlando delle cosiddette "due culture". E ancora non abbiamo valorizzato in modo equilibrato tutte le sfaccettature della cultura umana, che è unica. Ma non sono dell’idea che sia in corso una particolare ripresa delle ostilità. E comunque non identificherei i due contendenti con le parole scientismo e umanesimo, che tra l’altro richiedono una definizione accurata».

L’umanesimo è una tendenza di pensiero che esalta il valore e la dignità dell’uomo e si propone la formazione completa, integrale, della persona umana, ponendo accanto alla scienza e alla tecnologia l’educazione di tipo filosofico, letterario e artistico, basata sui classici. Questa posizione sarebbe sotto attacco da parte di ideologie che propugnano l’egemonia della scienza in tutti i campi.
«Se si pensa all’umanesimo in termini così vasti, che comprendono sia la conoscenza umanistica che quella scientifica, dubito che ci sia oggi molta gente che lo voglia attaccare consapevolmente. I problemi possono nascere piuttosto dal significato che si attribuisce alle espressioni "formazione integrale", "persona umana"».

Esiste una pressione tendente a ridurre, nelle scuole, lo spazio dei classici, la cui funzione educativa è innegabile?
«Non direi che si eserciti una forte pressione di questo genere, ma che ci sia la rinnovata consapevolezza che il sapere umanistico non è l’unica componente dell’umanesimo ampio poco fa da lei tratteggiato. Personalmente riconosco volentieri la funzione educativa dei classici (tra i quali inserirei la Bibbia), ma attribuisco una forte valenza educativa anche alla matematica e alle scienze. Occorre trovare un delicato equilibrio tra esigenze altrettanto legittime. E si possono nutrire opinioni diverse sulle soluzioni concrete. Anche all’epoca di Giovanni Gentile si manifestarono dissensi importanti. Vito Volterra non approvava la penalizzazione inflitta agli insegnamenti di matematica e scienze, persino nel liceo scientifico».

Molti sostengono che, nella formazione dello scienziato, l’insegnamento delle scienze umane (della filosofia, in particolare) abbia oggi scarso rilievo.
«Se ci riferiamo all’insegnamento impartito nelle facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, di ingegneria e simili (frequentate per lo più da giovani che non saranno scienziati) non credo che la marginalità sia sorprendente. È marginale anche la matematica in tanti corsi di studio di scienze sociali e umane. Questa situazione riflette il modello tradizionale della nostra università (diverso da quello anglosassone). L’idea che lo ispira è che si acquisisce una cultura generale nella scuola secondaria e che all’università ci si concentra su discipline specialistiche».

Intravede uno spiraglio per garantire anche all’università un ruolo delle discipline umanistiche nella formazione dello scienziato?
«Un significativo spazio di dialogo fra scienze umane e scienze "dure" è stato aperto con l’introduzione, dieci anni fa, di una quota di crediti universitari a scelta completamente libera dello studente. Forse questo spazio non è stato ancora ben sfruttato. La vita accademica, poi, si compone anche di tanti momenti formativi, istituzionali e non, che sono sganciati dall’insegnamento ufficiale, ma risultano ugualmente importanti. Non dobbiamo infine dimenticare che una formazione profondamente specialistica è oggi indispensabile per ogni studioso che voglia raggiungere livelli riconosciuti su scala internazionale».

Secondo alcuni, c’è il rischio che il ricercatore, se nella sua formazione non si è arricchito e completato con il contributo delle discipline umanistiche, possa arrivare a praticare un tipo di scienza non solo anti-umanistica ma «anti-umana».
«Non ritengo che abbia molto senso parlare di una scienza che sia "anti-qualcosa" di per sé. Credo tuttavia che, quando la formazione di uno studioso è troppo unilaterale (si tratti di uno scienziato carente sotto il profilo umanistico, o di un umanista carente sotto il profilo scientifico), ci sia effettivamente il pericolo di atteggiamenti non coerenti con l’ideale di umanesimo prima tratteggiato. Più precisamente, credo che ogni persona colta - accanto alla necessaria specializzazione professionale - dovrebbe avere qualche dimestichezza con i classici, con la matematica e le scienze, con le arti, con la teologia. Ma attenzione: forse sono più numerosi gli umanisti carenti di formazione scientifica, che gli scienziati carenti sotto il profilo umanistico. E la diffusa ignoranza in merito ad aspetti anche elementari della scienza contribuisce non poco a propagare modi di pensiero scorretti in merito al significato della scienza stessa».

E infine: l’Europa non sembra interessata a riproporre i classici come modelli di conoscenza...
«Sempre tenendo presente che l’umanesimo va ben al di là del solo sapere umanistico, si nota soprattutto incertezza sulle caratteristiche dell’umanesimo europeo. Ad un umanesimo pieno non bastano infatti i classici, e neppure i saperi scientifici, le arti. Occorre una visione sinfonica di tutto questo, e che sia aperta a Dio».
Luigi Dell'Aglio


«La rete di Scienza & Vita dalle città a YouTube» - di Pier Luigi Fornari – Avvenire, 20 maggio 2010
Uno «stile di so brietà, una larga condivisione al vertice e nelle associazioni locali a servizio e a tutela della vita di ogni essere umano, della sua intrinseca dignità e dei suoi fondamentali diritti, dal concepimento alla morte naturale». È l’identikit dell’associazione Scienza & vita come lo delinea il suo copresidente, Lucio Romano, alla vigilia del settimo incontro nazionale delle associazioni locali, venerdì, cui seguirà sabato la quarta assemblea generale nella quale, con una lectio magistralis di Francesco D’Agostino sarà messa a tema «La sofferenza come problema relazionale».

Un terreno sul quale siete stati e siete impegnati in prima linea.

Certo: basta citare la campagna «Liberi per vivere. Amare la vita fi no alla fine», lanciata nell’aprile dello scorso anno e conclusa a di cembre, dopo oltre trecento in contri organizzati a livello locale, con un convegno ricco di inter venti di altissimo livello, a co minciare da quello del presidente emerito della Corte costituziona le, Cesare Mirabelli. Un appello, quello di «Liberi per vivere», che abbiamo declinato rigorosamen te nel corso del dibattito parla mentare sulle dichiarazioni anti cipate di trattamento, avendo co me filo conduttore l’'alleanza di cura', la cura che, senza differen ze tra persone, deve essere riser vata anche a quanti sono anziani, malati, non autosufficienti o con gravi disabilità.

Anche sul fronte dell’aborto, si deve far fronte a metodiche sem pre più sofisticate che tendono a banalizzarlo...

Infatti l’immissione sul mercato della pillola abortiva Ru486 ri chiede una vigilanza del rispetto del protocollo che impone il regi me di ricovero ordinario fino al l’avvenuta espulsione del feto, in ogni regione. Quella sostanza chi mica in realtà è usata per un’of fensiva culturale: la progressiva ba nalizzazione dell’aborto, come sta avvenendo ora anche con la co siddetta 'pillola del dopodoma ni', la EllaOne, che impedisce l’an nidamento entro 120 ore (cinque giorni) dal rapporto, con un in tervento ancor più ritardato delle 72 ore del Norlevo, la 'pillola del giorno dopo'. La ditta famaceuti ca produttrice l’ha definita «una pietra miliare» nella cosiddetta 'contraccezione di emergenza'. L’operazione culturale è evidente.

A cosa si punta?

A chiudere il cerchio che va dall’a borto alla contraccezione, per tor nare con maggior vigore all’abor to presentato appunto come con traccezione. In questo senso van no le sperimentazioni della Ru486 come contraccettivo d’emergenza. Non a caso EllaOne appartiene al lo stesso gruppo farmacologico della Ru486.

Come articolare la risposta cul turale?

Con una maggiore sinergia dei sa peri presenti nelle nostre associa zioni, incrementando l’opera di formazione delle attività locali, potenziando le relazioni con le i stituzioni e le società scientifiche, accrescendo la presenza nei me dia. Tra l’altro, nello scorso mar zo è stato creato il canale «Scien za& VitaItalia» su YouTube. Ma l’o biettivo principale resta quello di sviluppare, con un lavoro interdi sciplinare, un progetto culturale rigorosamente fondato.

E sul piano più propriamente formativo?

Dal novembre 2009 aderiamo al progetto nazionale di «Educazio ne in medicina» (Ecm) in qualità di provider: siamo cioè riconosciuti come associazione formativa per i medici e per tutto il comparto sanitario. Diffondiamo cinque mila quaderni di Scienza & Vita in edizione cartacea e altrettanti in versione elettronica: siamo ar rivati al settimo numero. Per chi vuole documentarsi è a disposi zione la nostra biblioteca con te sti di tutte le discipline interessa te ai nostri campi di intervento, e la disponibilità delle riviste più importanti a livello internaziona le. La capillarità della nostra azio ne è assicurata dalle associazioni locali che hanno raggiunto quota cento, ma nuove adesioni sono in vista.

Guardando al futuro?

Intendiamo realizzare una serie di interventi culturali sui temi della bioetica e del biodiritto, mante nendo una impostazione pre-po litica. Riteniamo nostro compito anche fornire risposte puntuali ai temi che andranno via via emer gendo all’attenzione dell’opinio ne pubblica.

E la cifra della sobrietà cui allu deva all’inizio?

Vuol dire pacatezza nella propo sizione delle argomentazioni, non lasciandosi coinvolgere nelle con trapposizioni polemiche, senza nulla omettere, però, nel rigore delle argomentazioni, nella preci sione dei contenuti, nella coeren za con i valori.

Alla vigilia del duplice appuntamento annuale con gli «stati generali» dell’associazione, il copresidente Lucio Romano tira le somme delle iniziative degli ultimi mesi (in primis «Liberi per vivere») e ipotizza il futuro: «Maggiore sinergia dei saperi nelle nostre realtà locali, incrementare l’opera di formazione, potenziare le relazioni con le istituzioni e le società scientifiche, più presenza nei media»



frasi sfatte - «Una famiglia come tutte le altre». Sicuri? - «Secondo i criteri americani, un fattore importante è quello dell’istruzione: gli ovuli di una studentessa di Harvard o Yale possono costare sino a tre volte di più». – Avvenire, 20 maggio 2010
Sandro Sechi, «la Repubblica», 11 maggio.
Sandro racconta di come diventerà padre insieme a Erik. Titolo: «La gravidanza di due padri gay. 'Così nascerà la nostra Rachel'. Un italiano, un americano e un utero in affitto. 'Saremo una famiglia come tutte le altre'». Scrive Natalia Aspesi: «Rachel Maria Sechi Mercer nascerà attorno alla seconda metà di agosto a Boston: una bambina con due nomi, due cognomi, forse due nazionalità, ma anche due padri: e le madri? Ancora due, una biologica, una surrogata: ma per l’anagrafe, nessuna. Sul certificato di nascita, Rachel Maria risulterà figlia di Sandro Sechi, nato a Sassari 40 anni fa, e di Erik Mercer, nato 41 anni fa nel Massachusetts». Gli ovuli della donatrice sono stati fecondati con il seme di entrambi, e i due non vogliono sapere chi sia il padre biologico della bambina. La madre biologica è una «bellissima ragazza metà italiana e metà americana» che resterà anonima. E questo è il modo lineare, semplice, naturale di nascere nel 2010.
Se vi pare. (T.G.)


Mal d’Europa - Mario Mauro - venerdì 21 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Un’attenta analisi delle misure appena approvate in sede europea rivela come, di fatto, il 9 maggio, nel giorno della festa dell’Europa, sono nati gli “eurobond”. Nei prossimi anni, investitori e banche dovranno finanziare circa 2.500-3.000 miliardi di titoli di Stato a medio e lungo termine in euro, di cui 550 miliardi circa saranno emessi da Spagna, Portogallo e Irlanda.
Il recente piano per il salvataggio dell’euro interviene dunque a questo proposito, per convincere il mercato della sostenibilità e della liquidità del mercato finanziario europeo. Per prima cosa ci sarà maggiore rigore sui programmi di rientro e di risanamento dei conti pubblici, a partire da Spagna e Portogallo, i due paesi che, notoriamente, restano in scia alla Grecia nella classifica dei paesi più colpiti dalla crisi economica.
I controlli saranno più rigorosi sull'andamento delle finanze pubbliche con le proposte della Commissione europea sul nuovo Patto di Stabilità. Da ultimo l’erogazione di prestiti (che di fatto possiamo definire eurobond) da parte della Commissione europea attraverso il bilancio UE (fino a 60 miliardi), del Fondo monetario internazionale (250 miliardi), e di un nuovo strumento gestito dai Governi dell’area euro (Special Purpose Vehicle per 440 miliardi) per tutti quei paesi che non avranno accesso al mercato.
L’apertura agli eurobond, unita ai giudizi positivi espressi dall’Eurogruppo dopo la riunione del 17 maggio sono certamente segnali di buon auspicio. Ma la strada è ancora molto lunga e impervia. Soprattutto se le cure nei confronti di quest’Europa malata diventassero un’abitudine.
In altre parole, la solidarietà giustamente dimostrata non deve assolutamente offrire l’immagine di un‘Unione europea che violando i trattati si riduce a pagare il conto di quei paesi che sacrificano al consenso effimero di una stagione la responsabilità nei confronti del futuro dei propri cittadini.
Quello che serve è una Commissione europea indipendente e autorevole nei confronti dei governi che truccano i conti. Una Commissione europea che imponga nuove regole per i mercati finanziari. Un’Europa che richiami con fermezza gli Stati alla responsabilità e quindi a una stabilità che vada a vantaggio delle generazioni future.
Dobbiamo convincerci una volta per tutte che questa crisi non è stata prodotta da un eccesso di Europa, ma al contrario, è stata il frutto della supponenza degli stati nazionali e della debolezza dell’Europa. La crisi è stata causata quindi da una tremenda insufficienza di Europa. Gli errori che sono stati commessi nella fase di costruzione dell’euro lo dimostrano: è paradossale infatti che la moneta unica non venga ancora abbinata a politiche comuni su mercato fiscale e pensionistico.
Tutti questi buoni propositi, per non cadere nel vuoto, oggi e nel futuro, devono essere parte di una strategia politica che anticipa gli avvenimenti e non ci costringe a rincorrerli.