martedì 25 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) VITA ARTIFICIALE/ 1. Chiamiamola "genomica", ma per una vera cellula ci vuol ben altro... - INT. Giorgio Dieci, Paolo Tortora - lunedì 24 maggio 2010 – ilsussidiario.net
2) Ossessione etica - Graziano Tarantini - lunedì 24 maggio 2010 – ilsussidiario.net
3) Avvenire.it, 24 Maggio 2010 – PROLUSIONE - Bagnasco: «Cattolici, soci fondatori dell'Italia unita»
4) IL PONTEFICE SOSTIENE IL MOVIMENTO PER LA VITA - di Antonio Gaspari - ROMA, lunedì, 24 maggio 2010 (ZENIT.org).- Domenica 23 maggio, Benedetto XVI ha salutato con affetto i militanti del Movimento per la Vita che hanno affollato piazza san Pietro in occasione della preghiera dell'Angelus.
5) Tra Roma e Mosca è nata una santa alleanza - Obiettivo comune: la "nuova evangelizzazione" dell'Europa. Una delegazione della Chiesa ortodossa russa in visita in Vaticano, che pubblica un'antologia degli scritti del patriarca. Sempre più vicino un incontro tra Kirill e Benedetto XVI - di Sandro Magister
6) 26 Maggio. Heidegger, il nichilismo e l'ontologia greca. - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - lunedì 24 maggio 2010
7) PSICOLOGIA - Vita eterna per le bugie soprattutto se "rettificate" - Uno studio dimostra che le rettifiche avvalorano le convinzioni esistenti, anche se palesemente false. Si tratta di un meccanismo mentale di autodeterminazione che condiziona anche le votazioni politiche - di SARA FICOCELLI – dal sito http://www.repubblica.it/scienze/2010/05/23/news/bugie_lunga_vita-4277234/
8) Se l'aborto diventa banale routine - Benedetta Frigerio – dal sito pontifex.roma.it
9) PROFANAZIONI EUCARISTICHE e MESSE NERE - Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.
10) Aspetti scientifici ed etici della biologia sintetica - Quella strana voglia di riprogrammare la natura - di Roberto Colombo - L'Osservatore Romano - 24-25 maggio 2010
11) Bagnasco sugli abusi sessuali: due lodi e un consiglio - 24 maggio 2010 alle 17:13 - Archiviato in Varie – dal blog di Luigi Accattoli - http://www.luigiaccattoli.it
12) Cei, Bagnasco esorta all'impegno comune - L'auspicio di una politica per le famiglie senza la quale l'Italia andrà verso «un lento suicidio demografico» - Fausto Gasparroni - ROMA - © Copyright Gazzetta del sud, 25 maggio 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
13) Un commissario a Propaganda Fide - Il Papa prosegue nel disegno di rinnovare la Curia e sgombrare ombre dopo lo scandalo della "cricca". Nuove strategie prima del concistoro di dicembre. Ratzinger preferisce cardinali lontani dai palazzi di Roma. - Andrea Gagliarducci - © Copyright Il Tempo, 24 maggio 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
14) Peccatori, ma non ipocriti - Pigi Colognesi - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
15) IL CASO/ In tv c'è una pubblicità pro-aborto che si ispira ad Adolf Hitler - Gianfranco Amato - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
16) DIBATTITO/ Perché non è la scienza a dire cos’è bene e cos’è male? - Andrea Staiti - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
17) Avvenire.it, 25 maggio 2010 - Polemiche, suggestioni e i veri nodi dell’istruzione italiana - E se provassimo a dibattere di quel che la Scuola deve dare? - Davide Rondoni
18) Avvenire, 25 Maggio 2010 - LA DIFESA DELLA VITA - Mortalità materna, dati nascosti «pro aborto» - Riccardo Cascioli
19) Avvenire.it, SANITA' - "Donazione samaritana", sì del ministro - «Ma con qualche raccomandazione»
20) Avvenire.it, 25 Maggio 2010 – IDEE - Il male di Giobbe giunge sino al '900 - Philippe Nemo
21) LA CHIESA E L’ORIZZONTE DELLA SPERANZA - IMPEGNI AI QUALI NON SI PUÒ VENIR MENO - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 25 maggio 2010


VITA ARTIFICIALE/ 1. Chiamiamola "genomica", ma per una vera cellula ci vuol ben altro... - INT. Giorgio Dieci, Paolo Tortora - lunedì 24 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Ci vuol altro per inneggiare alla vita artificiale: «Si può solo parlare di "genomica artificiale", nel senso che, con un impressionante dispiego di mezzi e fondi, è stato risintetizzato chimicamente un intero genoma». Questa la reazione di chi si occupa quotidianamente di biochimica alla notizia, rimbalzata venerdì scorso su tutti i media con titoli del tipo: “Ecco l’inizio della vita artificiale: costruita la prima cellula sintetica”. Il fatto è che di singoli geni sintetici si avvalgono spesso anche i ricercatori che operano in laboratori ben più modesti di quelli guidati da Craig Venter. Cosa significa allora la cellula sintetica annunciata dallo scienziato -imprenditore americano?

Dal punto di vista tecnico è stato sostituito il DNA del microrganismo Mycoplasma mycoides con un DNA completamente “costruito” in laboratorio. Una costruzione, altamente dispendiosa in termini economici e di tempo, ma che viene già fatta da tempo da aziende specializzate nel settore della produzione di geni artificiali. Come sottolinea Giorgio Dieci, biochimico dell’Università di Pavia, «Il genoma sintetico non è nuovo concettualmente: è nuova solo la scala (miliardaria) dell'operazione. Si tratta solo di una applicazione su vastissima scala di ciò che già avviene in tantissimi laboratori al mondo grazie alla tecnologia creata da Frederick Sanger diversi anni fa: nessuno si stupisce di questo, è routine”.

Vero è che l’enfasi con la quale la notizia è stata diffusa, almeno inizialmente, può facilmente indurre nell’errore di pensare che la cellula creata da Venter sia totalmente artificiale. Ciò che la stampa non ha enfatizzato è che la cellula ricevente non è stata progettata in laboratorio, ma era una preesistente cellula naturale. Si è così creata un’immagine meccanicistica, che vede Venter mettere insieme pezzo per pezzo i componenti della cellula sino ad ottenerne una uguale identica a quelle “naturali”.

La realtà è completamente diversa. Come ci spiega il professor Dieci: «Una cella sintetica dovrebbe essere una cellula assemblata a partire da tutti i suoi componenti (tutti i suoi lipidi, metaboliti, proteine, acidi nucleici, ioni, polisaccaridi, acqua ecc.). Uso il condizionale perché questo obiettivo è lontanissimo anche per coloro che ci lavorano da sempre. Quella usata dagli uomini di Venter è una cellula fatta e finita, non costruita da loro, a cui hanno fatto un trapianto totale di DNA».

Il concetto fondamentale da avere ben chiaro è che ogni cellula esistente in questo mondo nasce da un'altra cellula: lo stampo per ogni nuova cellula è la cellula madre, da cui deriva nella sua integralità. Nessuno mai è riuscito a costruire ex novo una cellula solo a partire dal suo DNA. Come sottolinea Paolo Tortora, biochimico dell’Università Bicocca di Milano, «tutte le componenti della cellula interagiscono tra di loro in modo estremamente sottile e sofisticato. A tutt’oggi noi comprendiamo ben poco di tale rete di interazioni, che è in ultima analisi uno degli aspetti essenziali della vita, anche nelle forme più elementari. Non basterebbe quindi sintetizzare tutte le componenti chimiche citate per produrre una cellula, ma bisognerebbe assemblarle in modo tale che potessero interagire nel modo appropriato. E così, di pari passo che le nostre conoscenze sui sistemi biologici progrediscono, è come se l’aspetto essenziale del fenomeno vita arretrasse di pari passo, restando a tutt’oggi inafferrabile».

Ci vuol altro quindi per parlare di creazione e per consacrare il lavoro di Venter come spartiacque nella definizione del concetto di vita. Non siamo quindi di fronte a una pietra miliare della storia della biologia: scoperte di molto minore risonanza mediatica l'hanno cambiata molto più profondamente. Qui, a rigore, non si dovrebbe neppure scomodare l’espressione “scoperta scientifica”: si è trattato del successo di un poderoso progetto tecnoscientifico, raggiunto dalla Synthetic Genomics grazie all’impiego massiccio di potenti computer e strumentazione di elevate prestazioni. Siamo però a una tappa importante in ambito biotecnologico, soprattutto per le applicazioni che si prospettano; anche se su tempi molto lunghi e con tante altri traguardi da superare.
Venter - con la sua abilità di business man che sa inserirsi nei trend più gettonati - ha dichiarato che la sua nuova tecnologia potrà portare a progettare batteri salva ambiente da utilizzare come fabbriche viventi di biocarburanti o per liberare acque e terreni da sostanze inquinanti (a proposito, la Synthetic Genomics ha già siglato accordi con la BP, quella del petrolio nel Golfo del Messico), o realizzare alghe che assorbono anidride carbonica.

In realtà l’esperimento di Venter rappresenta un progresso importante in termini di potenzialità applicative. Come ricorda Tortora, «già da tempo si modifica il genoma di microrganismi secondo un progetto predeterminato, portandoli a produrre molecole di vario tipo o a modificarne di altre presenti nell’ambiente. Si producono così antibiotici, proteine terapeutiche, biocarburanti; oppure si creano microrganismi capaci di degradare composti inquinanti». La performance di Venter pone dunque le basi per un potenziamento sempre più grande di queste applicazioni biotecnologiche esistenti e già in atto in molti laboratori. Tuttavia, la presunzione di aver messo le mani sul mistero della vita riducendolo alla sola componente biochimica e la spregiudicatezza nel trascurare tanti fattori implicati nelle nuove tecnologie, non saranno certo i migliori compagni di viaggio in questa avventura.
(a cura di Daniele Banfi e Mario Gargantini)


Ossessione etica - Graziano Tarantini - lunedì 24 maggio 2010 – ilsussidiario.net
L’etica è diventata la parola magica di molti discorsi e analisi. Un ingrediente quasi obbligato per essere allineati al politicamente corretto così in auge. Che si tratti di finanza, di politica, di economia, di organizzazione della società, se di fianco c’è l’aggettivo “etico” allora tutto sembra assumere una patente di rispettabilità.
Ciò che in altri casi è liquidato con il termine spregiativo di “affari” o come ricerca del potere, quando coinvolge i banditori dell’etica viene automaticamente nobilitato come “senso del dovere” o “imperativo della coscienza”.
In realtà dietro tale tendenza mi pare si nasconda una grande ipocrisia. Quella di pensare che tutto possa essere demandato al rispetto di alcune regole astrattamente definite. L’esito di questo modo di vedere le cose è un moralismo risentito che in genere prende di mira i comportamenti altrui, ma tende ad auto-assolvere chi lo predica.
È singolare che tutta l’enfasi sull’etica sia una caratteristica solo degli ultimi due decenni. Prima non ci si è mai posti il problema e tale fatto dovrebbe già suscitare qualche sospetto su questa improvvisa conversione. Forse nel passato si era più immorali di oggi? Si rubava di più? Non credo.
Del resto la crisi che stiamo vivendo adesso con tutti i suoi aspetti patologici, si è manifestata dopo un decennio caratterizzato proprio dal fiorire di discorsi sull’etica e dall’adozione di codici etici. Abbiamo assistito senza colpo ferire prima a un clamoroso uso delle regole per giustificare le peggiori degenerazioni e, poi, al moltiplicarsi delle regole stesse per cercare di riprendere, senza grande successo, il controllo della situazione.
Purtroppo ci si è illusi di rimediare con un soprassalto etico agli effetti perversi di un individualismo sociale ed economico che ha fatto dell’homo homini lupus di Hobbes il suo modello. Il fallimento di questa impostazione è davanti a noi. Non ci saranno mai abbastanza regole, pur necessarie, per ammaestrare i lupi. La vera tragedia è aver pensato di riempire con l’etica un vuoto lasciato da qualcos’altro.
La storia letteraria, artistica e del pensiero del resto ha molto da insegnarci. È piena di portaborse del potere che hanno prodotto opere immortali, mentre di tanti uomini virtuosi e incorruttibili, alieni da ogni compromesso, non è rimasta traccia. La realtà sfugge sempre alle camicie di forza che le si vogliono imporre siano esse di tipo ideologico o etico. E grazie a Dio è così.
Per questo motivo è ancora più necessario puntare sull’educazione, cioè sulla costruzione di un adeguato rapporto fra l’io e gli altri. L’etica in tale prospettiva può essere sempre e solo conseguenza della profondità con cui si sente la vita, di come se ne avverte la bellezza e il mistero. Se così non è, diventa soltanto un orpello funzionale alla conservazione del proprio potere.
Nel suo recente viaggio in Portogallo Benedetto XVI ha osservato: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?”.
Il Papa si rivolge ai credenti, ma l’orizzonte che indica riguarda tutti. Non ci invita a seguire delle regole, ma a preoccuparci della sostanza, di ciò che dà sapore alla vita.


Avvenire.it, 24 Maggio 2010 – PROLUSIONE - Bagnasco: «Cattolici, soci fondatori dell'Italia unita»
La Chiesa italiana ha affrontato e affronta la questione della pedofilia attraverso l’«inderogabile compito di fare giustizia nella verità, consapevoli che anche un solo caso in questo ambito è sempre troppo, specie se il responsabile è un sacerdote». Ad assicurarlo è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ha dedicato a questo tema quasi la metà della prolusione all’Assemblea dei vescovi. «In nessuna stagione», le parole del cardinale, «la Chiesa ha inteso sottovalutare» il «dramma della pedofilia», e l’episcopato italiano ha «prontamente recepito» le «direttive chiare e incalzanti che da tempo sono impartite dalla Santa Sede» improntate alla «determinazione a fare verità fino ai necessari provvedimenti, una volta accertati i fatti».

In concreto, la Chiesa italiana ha intensificato «lo sforzo educativo nei riguardi dei candidati al sacerdozio e il rigore del discernimento servendosi anche delle migliori acquisizioni della scienze umane, la vigilanza per prevenire situazioni non compatibili con la scelta di Dio e la dedizione al prossimo, una formazione permanente del clero adeguata alle sfide». Quanto ai casi accertati, l’intento è quello di «dare sempre seguito alle disposizioni della legge civile» arrivando fino alla «rapida dimissione dallo stato clericale», per i casi più gravi.

«L’opinione pubblica come le famiglie – è il messaggio centrale del card. Bagnasco – devono sapere che noi Chiesa faremo di tutto per meritare sempre, e sempre di più, la fiducia che generalmente ci viene accordata anche da genitori non credenti o non frequentanti. Non risparmieremo attenzione, verifiche, provvedimenti; non sorvoleremo su segnali o dubbi; non rinunceremo a interpretare, con ogni premura e ogni scrupolo necessari, la nostra funzione educativa». «Sulla integrità dei nostri preti, del nostro personale religioso, dei nostri ambienti – ha spiegato il presidente della Cei – noi non possiamo transigere perché essa sta al cuore delle nostre scelte di dedizione al Signore e di servizio ai fratelli. E bisogna dire che i nostri sacerdoti, per come stanno in mezzo al popolo, per come operano, per come si spendono, sono la gloria della nostra Chiesa. I casi di indegnità che fin qui sono emersi e – Dio non voglia – potranno ancora emergere, non possono oscurare il luminoso impegno che il clero italiano nel suo complesso, da tempo immemore, svolge in ogni angolo del Paese».

Per la Chiesa italiana, l’esempio da seguire è quello del Papa, fin da cardinale «intransigente con ogni sporcizia» e che a Lisbona ha chiesto un «esame di coscienza» e un’opera di «purificazione» e di «conversione» per un peccato che viene «dall’interno della Chiesa».

La sfida educativa. Oggi serve «una generazione di adulti che non fuggano dalle proprie responsabilità perché disposti a mettersi in gioco, a onorare le scelte qualificanti e definitive, a cogliere la differenza abissale tra il vivere e il vivacchiare». Ne è convinto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che si è soffermato sul tema principale dell’Assemblea dei vescovi: gli Orientamenti pastorali 2011-2020, incentrati sulla dimensione educativa, per «interpretare la propria missione senza complessi e senza menomazioni», ma orientandosi «verso un orizzonte cruciale della vita di oggi», nell’ottica di «un confronto e uno scambio sinergico con la comunità civile». Il compito degli adulti, secondo i vescovi, consiste nel «superare incertezze e reticenze, per recuperare una nozione adeguata di educazione che si avvicini alla paideia, cioè ad un processo formativo articolato ma mai evasivo rispetto alla verità dell’essere, ad una capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ad una concreta disciplina dei sentimenti e delle emozioni». Come dimostrano anche alcuni gravi episodi di cronaca, quella attuale è «una situazione in cui il vuoto di valori sfocia immediatamente, senza più stadi intermedi, nel disagio se non nella disintegrazione sociale». In questo contesto, l’impegno ad educare è decisivo sotto il profilo non solo ecclesiale, ma anche storico, sociale e politico.

Unità d'Italia. «L’unità del Paese resta una conquista e un ancoraggio irrinunciabili: ogni auspicabile riforma condivisa, a partire da quella federalista, per essere un approdo giovevole, dovrà storicizzare il vincolo unitario e coerentemente farlo evolvere per il meglio di tutti». E’ la posizione dei vescovi italiani sull’imminente 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Tale anniversario, ha spiegato il card. Bagnasco, «è significativo non perché l’Italia sia un’invenzione di quel momento, ossia del 1861, ma perché in quel momento, per una serie di combinazioni, veniva a compiersi anche politicamente una nazione che da un punto di vista geografico, linguistico, religioso, culturale e artistico era già da secoli in cammino». «A nessuno è certamente ignoto – ha puntualizzato il presidente della Cei – che cosa comportò il realizzarsi del disegno di uno Stato finalmente unitario per la Chiesa cattolica». Riferendosi alle «annose traversie» della «questione romana», Bagnasco ha osservato che «a nessun altro popolo è stato domandato, in termini storici, ciò che è stato richiesto al popolo italiano. Ma anche nessun altro popolo ha ricevuto, in termini spirituali e culturali, quello che ha ricevuto e riceve l’Italia». Lo stesso presidente Napolitano non ha esitato a riconoscere «il grande contributo che la Chiesa e i cattolici hanno dato, spesso pagandone alti prezzi, alla storia d’Italia e alla crescita civile del Paese». Superare le contrapposizioni che residualmente affiorano – ha spiegato il cardinale – significa accettare che l’unità è stata soprattutto il coronamento di un processo ardito e coerente, l’approdo ad un risultato assolutamente prezioso, che impone tuttavia a ciascuna componente un’autocritica onesta e proporzionata alla quota di fardello caricato sul passo comune». È «l’interiore unità» e la «consistenza spirituale del Paese» ciò che preme ai vescovi, che si dicono «certi» che «i credenti in Cristo continueranno a sentirsi, oggi come ieri, oggi come nel 1945 all’uscita dalla guerra, oggi come nel 1980, nella fase più acuta del terrorismo, tra i soci fondatori di questo Paese». Di qui l’auspicio che i 150 anni dall’unità d’Italia «si trasformino in una felice occasione per un nuovo innamoramento dell’essere italiani, in una Europa saggiamente unita e in un mondo equilibratamente globale». «Niente, nel bagaglio che ci distingue, può essere così incombente da annullare il nostro vincolo nazionale», ha ammonito il presidente della Cei, secondo il quale occorre, nello stesso tempo, «essere lucidi» quanto allo «strumento» moderno dello Stato che, «per i compiti oggi esigiti, va non solo preservato ma affinato e reso sempre più efficiente». Per questo «servono visioni grandi», a partire dalla capacità di «alimentare la cultura dello stare insieme», vincendo «paure o resistenze».
La sentenza sul Crocifisso. Una sentenza “discussa”, accolta “con lo stupore dell’incredulità”, in quanto frutto “di un malinteso senso della laicità”. Così il card. Bagnasco ha definito la sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo sull’esposizione del Crocifisso nelle scuole italiane. Tale dispositivo, secondo i vescovi, “è segnale del tentativo di affermarsi di un’interpretazione della laicità stessa preclusiva del fatto religioso, che verrebbe relegato nel privato, avendo negata ogni visibilità sociale, quale presunto fattore di divisione”. “Tutto il contrario di ciò che positivamente il Crocifisso è”, il commento di Bagnasco. Di qui l’auspicio di “una lungimirante rettifica” in sede di ricorso nel prossimo mese di giugno, “in forza anche delle ragioni che in modo autorevole e competente sono state espresse in diverse sedi, essendosi trattato di un pronunciamento che non solo contraddice la giurisprudenza consolidata della stessa Corte, ma trascura del tutto – fino a negarle – le radici iscritte nelle costituzioni, nelle leggi fondamentali sulla libertà religiosa e nei concordati della stragrande maggioranza dei Paesi membri”. La presenza del Crocifisso nei luoghi pubblici, ha puntualizzato inoltre Bagnasco, “risale, per l’Italia, alla stagione risorgimentale e non certo come fatto confessionale ma come elemento fondato sulla tradizione religiosa e sui sentimenti del popolo italiano”.

Suicidio demografico. “L’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico: oltre il cinquanta per cento delle famiglie oggi è senza figli, e tra quelle che ne hanno quasi la metà ne contemplano uno solo, il resto due, e solamente il 5,1 delle famiglie ha tre o più di tre figli”. A lanciare il grido d’allarme è stato oggi il card. Bagnasco, che ha indicato ”due realtà fondanti e strutturalmente strategiche”: la famiglia e il lavoro. Per la Cei, il matrimonio tra un uomo e una donna - su cui è fondata la famiglia – è un “bene inalterabile” che “va difeso e continuamente preservato quale crogiuolo di energia morale, determinante nel dare prospettive di vita al nostro presente”. Gli “scenari preoccupanti” attuali, e le previsioni non incoraggianti “sotto il profilo sociale e culturale” manifestano, dunque, l’urgenza di “una politica che sia orientata ai figli, che voglia da subito farsi carico di un equilibrato ricambio generazionale”. Di qui l’appello della Cei ai responsabili della cosa pubblica “affinché pongano in essere iniziative urgenti e incisive”: “Proprio perché perdura una condizione di pesante difficoltà economica, bisogna tentare di uscirne attraverso parametri sociali nuovi e coerenti con le analisi fatte”, a partire dal quoziente familiare. La Chiesa, da parte sua, si impegna a livello pastorale “per radicare ancor più la coscienza dei figli come doni che moltiplicano il credito verso la vita e il suo domani.

Uno sforzo per uscire dalla crisi. “Il protrarsi della crisi economica mondiale si sta rivelando sorprendentemente tenace”, e “i provvedimenti ultimamente adottati in sede comunitaria hanno da un lato arrestato lo scivolamento verso il peggio, dall’altro però stanno imponendo nuove ristrettezze a tutti i cittadini”. Dinanzi a questo scenario, la Cei – tramite il card. Bagnasco – lancia un appello ai “responsabili di ogni parte politica” a “voler fare un passo in avanti, puntando ad un responsabile coinvolgimento di tutti”. Il lavoro “spesso oggi latita”, la denuncia del cardinale, “creando situazioni di disagio pesante nell’ambito delle famiglie giovani e meno giovani, in ogni regione d’Italia, e con indici decisamente allarmanti nel Meridione”. Per questo i vescovi chiedono “un supplemento di sforzo e di cura all’intera classe dirigente del Paese: politici, imprenditori, banchieri e sindacalisti”. La Chiesa, da parte sua, “fa tutto ciò che può inventando anche canali nuovi di aiuto, ma è ovviamente troppo poco rispetto ai bisogni”. “L’uscita dalla crisi non significherà nuova occupazione”, il grido d’allarme dei vescovi: di qui l’appello a “procedere, senza ulteriori indugi, a riforme che producano crescita”, per “potenziare le piccole e medie industrie, metterle in rete, qualificare il settore della ricerca e quello turistico, potenziare l’agricoltura e l’artigianato, facilitare il mondo cooperativistico”.


IL PONTEFICE SOSTIENE IL MOVIMENTO PER LA VITA - di Antonio Gaspari - ROMA, lunedì, 24 maggio 2010 (ZENIT.org).- Domenica 23 maggio, Benedetto XVI ha salutato con affetto i militanti del Movimento per la Vita che hanno affollato piazza san Pietro in occasione della preghiera dell'Angelus.
“Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i membri del Movimento per la Vita, che promuove la cultura della vita e concretamente aiuta tante giovani donne a portare a termine una gravidanza difficile”, ha affermato il Papa.
“Cari amici - ha ribadito Benedetto XVI -, con voi ricordo le parole della Beata Teresa di Calcutta: "Quel piccolo bambino, nato e non ancora nato, è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato".
I dirigenti e i militanti del Movimento per la Vita erano presenti con bandiere e striscioni su cui campeggiava lo slogan “Guardiamo al futuro dell’Italia con gli occhi dei bambini”, sulle magliette avevano scritto “pro life-pro peace”, sui foulard “chi salva una vita salva il mondo intero”, mentre sui cartelli comparivano vignette del tipo “se mi avessero fatto nascere avrei voluto chiamarmi Ettore, ma non mi hanno fatto nascere e mi hanno chiamato ‘terapeutico'”.
Un centinaio di militanti del MpV portavano carrozzine per la metà vuote - a ricordo degli oltre 5 milioni di aborti dall'introduzione della legge 194 trentadue anni fa - e metà piene con tanti bambine e bambine, per sperare in azioni come quelle compiute dai Centri di Aiuto alla Vita (CAV) che hanno salvato 120.000 bambini, le loro mamme e i loro papà dal dramma dell’aborto.
La presenza dei militanti a piazza San Pierto per l’Angelus con il Papa ha concluso i tre giorni di mobilitazione delle associazioni MpV, Scienza & Vita e Forum delle Associazioni Familiari per l'anniversario della legge 194.
Nella giornata di sabato 22 maggio, al Convegno “Tempo di riforme. E la legge 194? Le responsabilità della comunicazione nella difesa della vita” Carlo Casini, presidente del MpV, ha spiegato che i cattolici “non si rassegneranno mai alla pratica dell’aborto” e per questo motivo rinnovano il loro impegno a salvare dove è possibile più mamme bambini.
Francesco Belletti, Presidente del Forum della Associazioni Familiari, ha esordito affermando che i cattolici sono molto più attenti “a far crescere la foresta piuttosto che all’albero che cade”, un attitudine che dovrebbe ispirare anche il mondo dell’informazione, sempre più condizionato dalla tentazione di far conoscere solo le notizie cattive e morbose.
In merito agli effetti delle legge 194 che in Italia regola l’interruzione volontaria di gravidanza, Pino Morandini, vicepresidente del Movimento per la Vita, ha fatto appello al mondo dell’informazione affinché la smetta di raccontare bugie.
“L’idea che la 194 abbia determinato una forte diminuzione degli aborti – ha precisato – è falsa”.
Secondo Morandini, se si guardano ai numeri forniti di rapporti annuali forniti dal Ministero della Sanità, non solo si evince che la percentuale degli aborti è ancora altissima con una media di 356 al giorno, ma non si tiene neanche conto dell’utilizzo di 370.000 confezioni di pillole del giorno dopo.
“Facendo un po’ di calcoli, - ha sostenuto Morandini – si evince che ci sono almeno 30-40.000 aborti in più”.
“Non ha fondamento – ha aggiunto il vicepresidente del Mpv – l’asserzione secondo cui la più diffusa contraccezione farebbe diminuire gli aborti”.
“In Francia e Gran Bretagna – ha aggiunto Morandini - dove la contraccezione è molto più praticata che nel nostro Paese gli aborti invece di diminuire stanno aumentando vertiginosamente”.
“Se c’è una riduzione degli aborti – ha concluso –, è dovuto all’azione del volontariato cattolico e dalla diffusione del magistero delle Chiesa”.
Il prof. Giancarlo Blangiardo ha mostrato come il crollo demografico in Italia sia cominciato esattamente dall'entrata in vigore della legge 194. Il docente ha poi spiegato che la popolazione italiana sta diminuendo e che sta cambiando il rapporto tra giovani e anziani: sempre meno giovani e sempre più anziani.
Il prof. Ettore Gotti Tedeschi, Presidente dello IOR (Istituto Opere Religiose), non è potuto intervenire al convegno ma ha inviato un video registrato in cui ha spiegato in dettaglio come all’origine della crisi economica che sta colpendo il mondo intero non ci sia solo l’uso sbagliato degli strumenti finanziari, ma anche e in massima parte il crollo delle nascite.
Gotti Tedeschi, banchiere e docente di economia, ha spiegato che il crollo delle nascite ha cambiato la composizione della popolazione. Ci sono meno giovani che accedono al mondo del lavoro e della produttività e più persone che escono dal mondo del lavoro per anzianità.
Questo provoca una minore produttività, un rallentamento del ciclo di sviluppo sociale, quindi meno coppie si sposano, meno coppie fanno figli e dall’altro aumentano i costi fissi perchè le persone che invecchiano hanno un costo maggiore in termini di pensioni e sanità.
In conclusione Gotti Tedeschi ha affermato: “Signori, tanti anni fa abbiamo pensato che non facendo figli saremmo diventati più ricchi. Saremmo stati meglio. E’ successo esattamente il contrario: non facendo figli, siamo diventati più poveri e staremo male per molto tempo”.
Il dott. Bruno Mozzanega ha raccontato di come i Centri di Aiuto alla Vita abbiano salvato dall’aborto 120.000 tra bambini e bambine, ed ha sottolineato la gravissima minaccia rappresentata dalla nuove pillole abortive come Ru486, Ellaone ecc.
In particolare il ginecologo Mozzanega ha messo in guardia dall’uso irresponsabile e diffuso del Cytotec (misoprostol) un farmaco per l’ulcera, utilizzato in realtà come abortivo.
Mozzanega ha spiegato che il Cytotec può essere utilizzato come abortivo bypassando tutte le procedure previste dalla legge 194 per l’interruzione di gravidanza.
“Si riesce ad avere in farmacia, anche senza ricetta - ha precisato Mozzanega -, funziona oltre il 90% dei casi, e nei pochi casi restanti si procede al ricovero dichiarando un aborto spontaneo”.
“Questa procedura è un modo per praticare aborti illegalmente, con gravissimi rischi per la salute di chi usa il Cytotec”, ha sottolineato.
Carlo Casini ha concluso l’incontro spiegando che garantire il diritto alla vita è una questione culturale e civile. Culturale, perchè pur con leggi simili il caso della Polonia e della Croazia dimostrano che se c’è una rinascita civile di speranza nella società, gli aborti crollano di numero.
Per quanto riguarda la questione legislativa, Casini ha ribadito l’impegno del movimento e dei cattolici presenti al parlamento per far scrivere al numero uno del codice civile che la persona va riconosciuta dal concepimento fino alla morte naturale.


Tra Roma e Mosca è nata una santa alleanza - Obiettivo comune: la "nuova evangelizzazione" dell'Europa. Una delegazione della Chiesa ortodossa russa in visita in Vaticano, che pubblica un'antologia degli scritti del patriarca. Sempre più vicino un incontro tra Kirill e Benedetto XVI - di Sandro Magister
ROMA, 24 maggio 2010 – Tra breve Benedetto XVI creerà un nuovo "consiglio pontificio" espressamente dedicato alla "nuova evangelizzazione". Non per i paesi di missione dove già opera la congregazione "de propaganda fide". Ma per i paesi di antica cristianità oggi in pericolo di perdere la fede.

A questa iniziativa papa Joseph Ratzinger vuole legare il suo pontificato. E fu questo il principale argomento su cui egli discusse una mattina di primavera del 2009, a Castel Gandolfo, con quattro cardinali di peso da lui chiamati a consulto: Camillo Ruini, Angelo Bagnasco, Christoph Schönborn e Angelo Scola, quest'ultimo il più risoluto nel proporre l'istituzione del nuovo ufficio.

Intanto, però, un grande alleato si è già unito al papa dal di fuori della Chiesa cattolica, in questa impresa di nuova evangelizzazione.

Questo grande alleato è la Chiesa ortodossa russa.

Nel pomeriggio di giovedì 20 maggio, subito prima che nell'aula delle udienze, in Vaticano, iniziasse il concerto offerto a Benedetto XVI dal patriarcato di Mosca, il presidente del dipartimento delle relazioni esterne di questo patriarcato, il metropolita Hilarion di Volokolamsk (nella foto), proprio questo ha detto al papa: che la Chiesa cattolica non sarà sola nella nuova evangelizzazione dell'Europa scristianizzata, perché avrà al suo fianco la Chiesa russa "non più concorrente ma alleata".

Il rapporto positivo che si è instaurato tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa di Roma è una delle conquiste più strabilianti del pontificato di Benedetto XVI. Strabiliante anche per la sua rapidità. Basta infatti ritornare indietro di solo un decennio per registrare il gelo che regnava tra le due Chiese.

A una domanda di www.chiesa sui motivi che hanno portato a questo straordinario cambiamento, il metropolita Hilarion ha risposto indicandone tre.

Il primo motivo, ha detto, è la persona del nuovo papa. Un papa che raccoglie "una stima positiva dall'insieme del mondo ortodosso russo", pur pervaso da secolari sentimenti antiromani.

Il secondo motivo è la comune visione circa la sfida posta a entrambe le Chiese dalla scristianizzazione di paesi che in passato erano il cuore della cristianità.

E il terzo motivo è il concorde affidamento alla grande tradizione cristiana, come via maestra per la nuova evangelizzazione.

Alla domanda circa un incontro – il primo della storia – tra i capi delle due Chiese di Roma e di Mosca, Hilarion ha risposto che "è un desiderio, una speranza e dobbiamo lavorare perché avvenga". Ha aggiunto che dovranno prima essere appianati alcuni ostacoli, primi fra tutti i contrasti tra le due Chiese in Ucraina, ma si è detto fiducioso che l'incontro avverrà presto: "non tra un patriarca e un papa qualsiasi, ma tra il patriarca Kirill e papa Benedetto".

Una prova di quanto si siano avvicinate le posizioni dei capi delle due Chiese è data da due libri usciti a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, che non hanno precedenti nella storia.

Il primo è stato pubblicato lo scorso dicembre dal patriarcato di Mosca e riporta in russo e in italiano i principali testi di Ratzinger sull'Europa, prima e dopo la sua elezione a papa, con un'ampia introduzione scritta dal metropolita Hilarion.

Il secondo, uscito pochi giorni fa, è pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e raccoglie dei testi di Kirill prima e dopo la sua nomina a patriarca, sulla dignità dell'uomo e i diritti della persona, con una introduzione dell'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cultura.

Un brano dell'introduzione di Hilarion al primo volume è stato riprodotto a suo tempo da www.chiesa. E un estratto di un testo di Kirill del secondo volume è riprodotto qui sotto.

Entrambe le pubblicazioni sono state promosse da un'associazione internazionale con sede a Roma: "Sofia: Idea Russa, Idea d'Europa". La quale anima un'accademia italo-russa, "Sapientia et Scientia" inaugurata lo scorso 20 maggio nel quadro delle "Giornate della cultura e della spiritualità russa" tenute a Roma da una delegazione del patriarcato di Mosca guidata dal metropolita Hilarion.

Le Giornate hanno avuto due momenti culminanti. Il primo il 19 maggio, nei locali della nuova chiesa ortodossa russa di Santa Caterina di Alessandria, costruita pochi anni fa a Roma a poca distanza dal Vaticano. Lì il metropolita Hilarion, l'arcivescovo Ravasi e il cardinale Walter Kasper, presidente del pontificio consiglio per l'unione dei cristiani, hanno discusso sul tema: "Ortodossi e cattolici in Europa oggi. le radici cristiane e il comune patrimonio culturale di Oriente e Occidente".

Il secondo momento importante è stato il concerto offerto al papa il 20 maggio dal patriarca Kirill I. Sono stati eseguiti brani di grandi musicisti russi dell'Ottocento e Novecento, come Mussorgskij e Rimski-Korsakov, ?ajkovskij e Rachmaninov. Commentandoli al termine del concerto, Benedetto XVI ha sottolineato "il legame stretto, originario, tra la musica russa e il canto liturgico". Un legame ben visibile anche nel suggestivo "Canto dell'Ascensione", sinfonia per coro e orchestra in 5 parti composta dal metropolita Hilarion, eseguita nello stesso concerto e molto apprezzata dal pubblico e dal papa.

Nel suo messaggio, il patriarca Kirill ha ricordato che in Russia, "negli anni delle persecuzioni, quando la maggioranza della popolazione non aveva accesso alla musica sacra, queste opere, assieme ai capolavori della letteratura russa e delle arti figurative, hanno contribuito a portare l’annuncio evangelico, proponendo al mondo laico ideali di grande levatura morale e spirituale".

E Benedetto XVI, nel suo discorso finale, ha rimarcato come nei brani musicali ascoltati "già si realizza il confronto, il dialogo, la sinergia tra Oriente e Occidente, come pure fra tradizione e modernità". Un dialogo tanto più urgente per tornare a far respirare l’Europa a "due polmoni" e restituirle la consapevolezza delle sue radici cristiane.

Sia Benedetto XVI che il metropolita Hilarion sono arciconvinti che anche l'arte cristiana sia veicolo di evangelizzazione e fermento di unità tra le Chiese.

Prima di arrivare a Roma a incontrare il papa, Hilarion ha fatto tappa a Ravenna, Milano, Torino e Bologna. La prima di queste città fu capitale dell'impero cristiano d'Oriente in Italia, e le sue basiliche ne sono meravigliosa testimonianza. Nella sua conferenza del 19 maggio, Hilarion ha raccontato d'aver ammirato nei mosaici di Ravenna "lo splendore di una Chiesa in armonia, ancora non ferita dalla divisione tra Oriente e Occidente". E ha aggiunto: "Se questa armonia fu reale per i nostri antenati, può essere reale anche per noi. Se non sapremo ricreare l'armonia evocata dai mosaici di Ravenna, la colpa sarà solo nostra".

Ecco dunque qui di seguito un estratto del primo dei testi del patriarca Kirill raccolti nel volume pubblicato nei giorni scorsi dalla Libreria Editrice Vaticana.

Un'altra parte di questo testo è uscita su "L'Osservatore Romano" del 17-18 maggio 2010.

L'originale in russo è uscito su "Nezavisimaja Gazeta" del 16-17 febbraio 2000.


26 Maggio. Heidegger, il nichilismo e l'ontologia greca. - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - lunedì 24 maggio 2010
Nel 1976 il 26 maggio muore uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, Martin Heidegger (Meßkirch, 26 settembre 1889 – Friburgo in Brisgovia, 26 maggio 1976).
Il pensiero di Heidegger, pur nella sua complessità, è incentrato sulla ripresa dell'ontologia e sulla sottolineatura della radicale trascendenza dell'essere (inteso più come concetto-limite che come realtà) rispetto all'ente. In questo senso Heidegger ritiene che l'intera metafisica tradizionale debba essere criticata e superata grazie alla riscoperta dell'essere come irriducibile differenza che si cela, negandosi, in ogni singolo oggetto o persona, pur rivelandosi nella temporalità della storia.

L'uomo, acquisendo coscienza della propria finitezza di fronte alla possibilità della morte, può superare l'angoscia che ne deriva solo recuperando il nesso fondamentale che lo lega all'essere. Heidegger definisce la "Cura" questo compito dell'uomo che, in quanto esserci, cioè in quanto progetto calato nell'esistenza, deve custodire e rivelare l'essere. Nella storia contemporanea, tuttavia, l'umanità vive un pericolo fondamentale: il senso dell'essere viene smarrito a causa sia della manipolazione dell'ente operata dalla tecnica, sia della scarsa attenzione che l'uomo di oggi pone al linguaggio. La questione della tecnica ed il grande valore assegnato da Heidegger alla poesia sono perciò due tematiche fondamentali in cui si sviluppa la riflessione ontologica di questo importante pensatore tedesco.

Per esporre il suo pensiero ci serviamo soprattutto dell'intervento di Diego Fusaro sul sito "La filosofia e i suoi eroi"

Martin Heidegger (1889-1976) ha una formazione giovanile di stampo teologico e religioso, molto influenzata dall'ambiente familiare, e questa matrice teologica resterà costante in tutto il suo pensiero; la sua fu una vita piuttosto regolare, segnata da pochi eventi, tra i quali il più importante fu senz'altro l'adesione al nazismo: ciò ha fatto molto discutere e proprio per via di quest’adesione, dopo il 1945, Heidegger fu emarginato dagli ambienti culturali tedeschi.

Il suo pensiero è – tuttavia – al centro dei temi sui quali oggi ci si confronta: il nichilismo dell’Occidente, il primato dell’apparato scientifico-tecnologico e il tentativo di superare il relativismo.

Nell'ontologia tradizionale le strutture fondamentali della realtà non avvengono, ma sono: ad avvenire sono i fatti, mentre, secondo quella tradizione avviata da Parmenide, l'essere in quanto tale è statico; in una concezione del genere, nota Heidegger, l'essere e il tempo sono due concetti che si escludono a vicenda, poiché l'essere è atemporale e il tempo è la dimensione del divenire.
Il fatto stesso che Platone parlasse in una sola opera (Il Timeo) del tempo e in essa non trattasse dell'essere (le idee), attesta la tradizionale inconciliabilità delle nozioni di essere e di tempo.
Si deve pertanto tornare all'epoca in cui per la prima volta si è commesso tale errore per porre ad esso un riparo: ma è, dice Heidegger, un qualcosa di ben più profondo di un semplice errore. Infatti, non solo è un errore dell'essere, ma è anche un erramento dell'essere, il quale ha una sua storia e che, quindi, non è definito una volta per tutte; viceversa, l'essere segue un suo percorso lungo il quale, di volta in volta, si manifesta in modo diverso e i modi in cui esso si manifesta all'uomo sono in continua trasformazione, sicché ci si trova di fronte ad un erramento che è, al contempo, dell'essere e dell'uomo. E anche se la metafisica è stata un errore, cioè un modo errato di manifestarsi dell'essere, ciò non toglie che in determinate epoche storiche l'essere non poteva che manifestarsi in quel modo: in particolare, l'epoca della metafisica, iniziata con Platone e chiusasi con Nietzsche (compreso), è l'epoca in cui l'essere si è, paradossalmente, manifestato sotto forma di oblio e di smarrimento. Come senz'altro si ricorderà, Nietzsche non solo aveva mutato il contenuto della verità: ne aveva stravolto la nozione stessa. Heidegger, in modo analogo, compie un'operazione simile e mette in luce l'esistenza di due concetti diversi di verità: un concetto metafisico di verità, e uno ontologico. Il concetto metafisico intende la verità come correttezza, ossia corrispondenza tra ciò che abbiamo nella nostra mente e ciò che è presente nella realtà esterna. La verità metafisicamente intesa tende allora a configurarsi come dominio dell'oggetto da parte del soggetto. Questa concezione della verità, invalsa con Platone, si è protratta per tutto il corso della storia, fino a Nietzsche compreso: se infatti concepiamo la verità metafisica come controllo e dominio dell'oggetto, allora siamo indotti a interpretare in senso metafisico perfino il pensiero scientifico e tecnico. La scienza e la tecnica, infatti, si configurano come estremizzazione dell'atteggiamento metafisico, in quanto si propongono di dominare concettualmente e materialmente un oggetto esterno al soggetto. Nietzsche stesso (a cui Heidegger dedica due volumi intitolati "Nietzsche") appare come il prodotto estremo dell'era metafisica: lo si evince benissimo dalla nozione nietzscheana di "volontà di potenza", nozione secondo la quale viene meno l'importanza dell'essere e viene portato all'estremo il dominio concettuale del mondo da parte del soggetto; infatti, venendo a mancare l'essere, il soggetto si impone e propone interpretazioni potenti, che promuovono la vitalità e risultano sganciate dall'essere. Nietzsche stesso, del resto, dava un giudizio altamente positivo della tecnica, la quale, come abbiam visto, è un'espressione fortissima della metafisica.
L'atteggiamento ontologico, invece, lo troviamo in un'altra accezione del termine verità: Heidegger, come suo solito, scava all'interno delle parole per riportare in superficie significati nascosti; la parola su cui egli compie ora tale operazione è la parola greca aletheia ("verità"); essa, letteralmente, è costituita dall' alfa privativa e dal verbo lanthano ("nascondere"), cosicché la verità è ciò che non sta nascosto. Nell'interpretazione heideggeriana, l' aletheia è il non-nascondimento dell'essere; ma non nel senso che sta all'uomo rimuovere il velo che occulta la verità (cioè l'essere), come invece era per Schopenhauer. Al contrario, è l'essere stesso che si disvela: e non è un caso che l'ontologo per eccellenza, Parmenide, nel suo ipotetico viaggio narrato nel testo "Perì fuseos " incontrava diverse divinità (simboleggianti l'essere) che si toglievano da sole il velo che le copriva, senza che fosse il filosofo a compiere tale operazione.
Il “merito” fondamentale di H. perciò è quello di mostrare la contraddittorietà della metafisica, esito cui tutto il pensiero moderno aspira, a partire dall’ontologia greca. La grande visione epistemica che si è costruita con Platone, Aristotele, Tommaso e con il pensiero medievale e che ha dato origine alla scienza moderna e alla tecnologia come sua espressione più alta, sono infatti possibili solo a spese di una dimenticanza dell’essere, che porta il pensiero occidentale ad ignorare la “differenza ontologica” tra ente ed essere e ad attribuire a Dio le caratteristiche di un superente. La crisi di quella metafisica, ben evidenziata da Nietzsche, porta l’Occidente ad un orizzonte nichilistico entro il quale la volontà di potenza resta arbitra della verità delle cose, avendole ridotte con la scienza ad oggetti su cui esercitare il suo dominio.
Heidegger spiega così la necessità con cui il pensiero contemporaneo nega la metafisica greca e tutto ciò che ne consegue (cristianesimo e scienza compresi). Le domande che il suo pensiero ci pone sono alla base delle riflessioni di E. Severino, che, in modo distinto e più radicale di Heidegger, identifica il divenire greco e la sua ontologia come origine della follia dell’Occidente e come necessità a partire dalla quale può manifestarsi il destino: la dimensione non alienata del pensiero che si costruisce sul principio di Parmenide e non sul parricidio di esso da parte di Platone e che mostra come follia il pensiero dell’Occidente.


PSICOLOGIA - Vita eterna per le bugie soprattutto se "rettificate" - Uno studio dimostra che le rettifiche avvalorano le convinzioni esistenti, anche se palesemente false. Si tratta di un meccanismo mentale di autodeterminazione che condiziona anche le votazioni politiche - di SARA FICOCELLI – dal sito http://www.repubblica.it/scienze/2010/05/23/news/bugie_lunga_vita-4277234/
Mettere un'informazione sbagliata in circolazione è un po' come sciogliere una goccia di petrolio nell'oceano: potrà rendersi invisibile frammentandosi in mille parti, ma non scomparirà mai. Per spiegare la meccanica che sta dietro l'immortalità delle "bugie" e i motivi per cui, malgrado le smentite, ci sarà sempre qualcuno disposto a dargli credito, gli scienziati politici Brendan Nyhan dell'università del Michigan e Ann Arbor e Jason Reifler della Georgia State University di Atlanta hanno condotto alcuni esperimenti chiedendo ai partecipanti di leggere notizie false contenenti dichiarazioni fuorvianti di alcuni politici, e assegnando poi ad alcuni, a caso, una versione dell'articolo contenente delle rettifiche.

"Dai risultati ottenuti - ha spiegato Brendan Nyhan al New York Times - è emerso che la diffusione di rettifiche non solo non elimina i fraintendimenti ma anzi li fa peggiorare. In un esperimento, ad esempio, abbiamo riscontrato che la porzione di elettori conservatori che credono che i tagli alle tasse dell'ex presidente George W. Bush abbiano contribuito alla crescita economica è salita dal 36% al 67% proprio quando questa notizia è stata smentita. Le persone tendono ad accanirsi contro la correzione delle informazioni già messe in circolazione e alle quali avevano dato credito. Paradossalmente le smentite rafforzano i fraintendimenti".

Lo studio americano, presentato al meeting annuale dell'American Political Science Association, è partito dai dati raccolti dal collega James H. Kuklinski, che nel 2000 illustrò la differenza tra disinformazione e cattiva informazione, concludendo che spesso gli elettori basano le preferenze politiche su false informazioni ritenute attendibili, e dai ricercatori Charles S. Taber e Milton Lodge, che nel 2006 dimostrarono con una serie di sondaggi che spesso i cittadini rifiutano di credere alle opinioni contrastanti con le loro, anche se è dimostrato che sono vere. Nyhan, Arbor e Reifler hanno condotto la propria ricerca con una serie di quattro esperimenti, suddividendo i volontari in gruppi e riscontrando come sia praticamente impossibile far cambiare idea a qualcuno smentendo un'informazione ritenuta fino a quel momento attendibile.

Dalle cause scatenanti della guerra in Iraq alla riforma sanitaria di Obama, sono tanti gli esempi di notizie false, poi corrette, che hanno continuano e continuano a circolare come vere sul web, sui giornali e quindi tra le opinioni della gente. E questo, come nel 2007 spiegò in un altro studio Brian J. Gaines, è un meccanismo di ragionamento che ha a che vedere con l'autodeterminazione. "Sono due i procedimenti mentali che regolano l'assimilazione delle informazioni", ha spiegato Nyhan. "Innanzitutto chi le riceve va alla ricerca di pregiudizi: quando leggiamo qualcosa cerchiamo in realtà una conferma ai nostri preconcetti, qualcosa che avvalori le nostre convinzioni. Non una vera informazione. Il secondo procedimento scatta invece al momento dell'eventuale smentita: noi lo chiamiamo backfire effect ("effetto ritorno di fiamma") ed è quel meccanismo mentale che porta a rafforzare le proprie convinzioni proprio perché qualcuno le ha messe in discussione o controdimostrate". Come diceva Mark Twain, "non è ciò che non sai a crearti dei problemi, ma ciò che sai per certo".
(23 maggio 2010)


Se l'aborto diventa banale routine - Benedetta Frigerio – dal sito pontifex.roma.it
Dall’America a casa nostra aumentano le donne che interrompono due, tre, anche più di quattro gravidanze. E non sono povere, ignoranti e immigrate. L’analisi di Borgna e un’inedita indagine italiana. «Le teenager usano l’aborto ripetuto come forma contraccettiva, alcune hanno interrotto la gravidanza quattro o anche più volte». È l’attacco di un articolo del quotidiano Daily Mail, che nel dicembre 2009 denunciò la preoccupante deriva insieme a tutti i principali giornali britannici, senza però ottenere troppa eco fuori dalla madrepatria. Tra le poche voci a rilanciare l’allarme quella di Irene Vilar, la donna che con il best seller Scritto col mio sangue ha sconvolto gli Stati Uniti raccontando dei suoi quindici aborti. Nell’intervista apparsa sull’ultimo numero di Tempi, la Vilar conferma che, secondo le ultime ricerche, la metà delle donne che hanno abortito in Canada e in America lo hanno fatto anche sei o sette volte ...

... e gran parte di loro è istruita e benestante. Le rare e poco pubblicizzate statistiche sulla “recidiva” degli aborti costringono a non sottovalutare il fenomeno circoscrivendolo a pochi casi eccezionali. Perché se è vero che «le dipendenze, le nevrosi e i comportamenti ripetuti compulsivamente sono sempre esistiti, la loro diffusione massiccia e le forme che assumono non possono essere slegate dal contesto culturale in cui viviamo», spiega a Tempi Eugenio Borgna, psichiatra e libero docente di Clinica delle malattie nervose e mentali a Milano.

L’ossessione del controllo

La presenza della nuova piaga è emersa per la prima volta in una ricerca pubblicata nel 2004 relativa alla popolazione del Nord America. Del milione e mezzo di aborti dichiarati negli States nell’anno in cui sono stati effettuati gli studi, la metà era successiva a una o più interruzioni volontarie di gravidanza precedenti. Quasi il 20 per cento delle donne era invece al terzo aborto, il 10 aveva interrotto la gravidanza addirittura quattro volte o più. E mentre il 40 per cento delle recidive era diplomato e il 39 laureato, una percentuale simile confessava apertamente di non utilizzare alcun metodo contraccettivo.

Un dato che smentirebbe la presunta correlazione fra l’accesso e la conoscenza della contraccezione e il contenimento dell’aborto, come confermano anche i risultati del tutto simili ottenuti dalle ricerche sulla popolazione canadese svolte nel 2005 dalla University of Western Ontario sulla scia delle pubblicazioni americane.

Il Vecchio Continente, invece, sembra non voler prendere atto della tendenza, visto che le pubblicazioni europee più recenti risalgono ai primi anni Novanta, quando ancora i numeri di recidiva non destavano troppe preoccupazioni. In Italia, però, nel 2009 la rivista scientifica Ostetricia e Ginecologia, con un articolo ignorato dalla stampa, ha sollevato il problema, seppur minimizzando e accentuando il fatto che la maggioranza dei casi di recidiva si riscontra fra le straniere.

Ma il dato, relativo al 2007, resta grave se si tiene conto che il tasso di abortività delle italiane è più basso in generale di quello delle straniere. Si legge che fra le recidive italiane (21,5 per cento), il 18 per cento ha fatto ricorso all’interruzione di gravidanza per ben tre volte, mentre l’11 ha abortito anche più di quattro volte.

Nel corso di alcune indagini svolte a Ginevra (i cui risultati sono citati da Ostetricia e Ginecologia) è emerso poi che fra le cause del fenomeno vi sono problemi di personalità volubile, «una triade psicologica» caratterizzata da «una tendenza alla depressione, un grande senso di dipendenza e una forte passività. Soprattutto quest’ultima, associata ad un frustrante desiderio di essere più intraprendenti e più capaci di controllo» della propria vita. Dagli studi ginevrini viene inoltre escluso che le differenze culturali ed economiche siano fattori incidenti sulla tendenza a ripetere l’aborto.

I numeri allarmanti di Mentova

Nel suo libro Irene Vilar si definisce una ex “aborto-dipendente”. E se ci fosse anche questo aspetto patologico nelle tendenze rilevate dalle ricerche?

Borgna rifugge le semplificazioni: «Il rifiuto della maternità è una forma di controllo della propria vita, ma è un atto responsabile e volontario. Dire che l’aborto è un disturbo rischia di farci concludere che non c’è responsabilità in chi lo compie. C’è un aspetto di libertà che rimane». Ma il ricorso all’aborto non rischia di diventare un comportamento compulsivo epocale come l’anoressia? «I comportamenti ossessivi ripetuti sono sempre esistiti (penso a nevrosi come il gioco d’azzardo o l’alcolismo), anche se ora sono aumentate le percentuali dei disturbati e questo è da attribuire all’insicurezza dilagante e alla mancanza di un’educazione affettiva adeguata, come conferma Vilar».

Queste nevrosi, «già presenti sin dall’antichità», hanno assunto nuove dimensioni e caratteristiche per via di fattori culturali specifici, «per via di un iper-individualismo, che rifiuta l’alterità in nome della libertà, propagandato massicciamente negli anni Sessanta. La forte enfasi sul corpo tipica della nostra epoca fa sì che ci giochiamo la nostra identità attraverso quest’ultimo. Così oggi se ci si vuole esprimere o dire qualcosa lo si fa molto di più attraverso la fisicità. Se poi la nostra identità è fragile, per sentirci adeguati dobbiamo adattare il nostro corpo a quello propagandato come “migliore” dai mezzi di comunicazione, ovvero quello evanescente».

Se il combinato tra l’ossessione del corpo e l’identità fragile influisce sui nuovi disturbi alimentari, «è stata la cosiddetta liberazione sessuale, lo slogan secondo cui “il corpo è mio e lo gestisco io”, a spingerci a credere che per essere liberi e affermarci bisogna sbarazzarsi degli altri, figli compresi». Borgna lega poi il rifiuto della contraccezione a una forma di ribellione estrema per cui si arriva ad accettare un dolore maggiore piuttosto che adottare precauzioni: «L’aborto – conferma lo psichiatra – è usato sempre più come metodo contraccettivo perché il fatto di non accettare alcun vincolo è arrivato all’esasperazione. Così anche la contraccezione, che doveva servire a liberare la donna dalla maternità, oggi è sentita come una forma di schiavitù del proprio corpo». Siamo intrappolati in noi stessi, come il mitologico Narciso.

«Il rifiuto ossessivo dell’essere madri è da attribuirsi proprio al narcisismo, all’incapacità di accettare l’altro da sé, che legata alla repulsione per la contraccezione si esprime di conseguenza nella ripetizione dell’aborto. Il problema del rifiuto della maternità, però, sta a monte ed è presente anche nella donna che abortisce una sola volta. Anche se magari poi impara a evitare la gravidanza con altri mezzi e nasconde più facilmente il suo disagio».

A breve saranno pubblicati i risultati di alcune analisi concluse nel 2010 e relative alla Provincia di Mantova. I dati raccolti testimonierebbero che la tendenza riscontrata in America e Regno Unito esiste anche in Italia. Le donne che hanno abortito volontariamente più di due volte (42 per cento) sarebbero il doppio di quelle che lo hanno fatto una volta sola (22). Ci sarebbe inoltre parità fra recidive straniere e italiane, in gran parte donne coniugate (44 per cento) e diplomate o laureate (37).

Chissà se a questa allarmante ricerca seguirà un’indagine nazionale più approfondita.
Benedetta Frigerio


PROFANAZIONI EUCARISTICHE e MESSE NERE - Carlo Di Pietro – dal sito pontifex.roma.it
Come abbiamo già detto, nelle Messe Nere viene orrendamente profanata la SS. Eucarestia. Ma mentre prima le Ostie consacrate venivano rubate per profanarle in questi riti in onore di Satana, adesso con la concessione della Comunione sulla mano, non c'è più bisogno di rubare di notte la SS. Eucarestia Perché le Ostie consacrate le ricevono tranquillamente in mano dagli stessi Sacerdoti. I malintenzionati approfittano della Comunione sulla mano e, fingendo di portarsi l'Ostia consacrata alla bocca, la fanno abilmente scivolare nella manica, nel taschino, nel fazzoletto o nella borsa, etc. e poi la portano ai maghi (o ai fattucchieri) per profanarla e farci fare le fatture a morte; oppure vendono l'Ostia consacrata (50 mila ed anche a 100 mila lire l'una) ai membri di sètte sataniche e col ricavato molti comprano anche la droga. Nelle Messe Nere le Ostie consacrate vengono profanate nei modi più orribili al canto di inni ...

... a Satana, per esempio: "Salve vincitore dell'infame Cristo", "Vieni, o dio Satana, a distruggere il tiranno Cristo", "Onore e gloria al nostro salvatore Satana" e simili!

Nelle Messe Nere, celebrate quasi sempre di notte e che si stanno diffondendo a macchia d'olio, l'altare è costituito da una donna nuda. Le persone che vi partecipano si consacrano a Satana, spesso fanno anche sacrifici umani, poi fanno anche la ributtante comunione satanica. La Messa Nera si conclude poi con un'orgia collettiva...

Mi sono capitati casi di possessione diabolica, lunghi e difficili da guarire Perché venivano celebrate periodicamente delle Messe Nere ai danni di queste persone possedute. Infatti quando facevo la preghiera: "Preghiera contro ogni male" a pag. 45, alla frase: "...caccia da N. le Messe Nere", il posseduto urlava e si dimenava in modo furibondo, dicendomi tra insulti e volgarità di non dire quelle parole.

C'è una triste considerazione da fare: nelle Messe Nere le ostie non consacrate non sono accettate. Ciò vuol dire una cosa molto semplice: la presenza reale di Gesù nell'Ostia santa - negata o messa in dubbio da tanti cattolici - è invece creduta fermissimamente dagli adoratori di Satana che, infatti, la profanano nei modi più orrendi! Chi ha orecchi per intendere, intenda... Anche nel mondo cattolico, purtroppo, avvengono molte profanazioni della SS. Eucarestia come prova Padre Enrico Zoffoli nel suo sconcertante libro: Eresie del Movimento Neocatecumenale. [tratto da un testo di Don Pasqualino Fusco]
Carlo Di Pietro


Aspetti scientifici ed etici della biologia sintetica - Quella strana voglia di riprogrammare la natura - di Roberto Colombo - L'Osservatore Romano - 24-25 maggio 2010
Sono stati recentemente pubblicati in forma elettronica dall'autorevole rivista "Science" i risultati e la metodologia di una ricerca sperimentale condotta dallo studioso e imprenditore statunitense John Craig Venter e dai suoi collaboratori presso l'istituto da lui stesso fondato nel 2006 in Rockville (Maryland) e in San Diego (California). Come si legge nel titolo dell'articolo, l'oggetto della ricerca è la "creazione di una cellula batterica controllata da un genoma sintetizzato chimicamente". Il risultato è stato conseguito attraverso il disegno, la preparazione chimica delle sequenze nucleotidiche (più di mille, ciascuna costituita da 1080 basi del Dna), l'assemblaggio di un cromosoma artificiale rappresentativo degli elementi genomici essenziali di quello del batterio Mycoplasma mycoides, la causa della pleuropolmonite essudativa contagiosa dei bovini, e il suo trasferimento nella cellula di un altro batterio, il Mycoplasma capricolum (agente infettivo per la stessa malattia nelle capre), ottenendo così un nuovo microorganismo, Mycoplasma mycoides Jcvi-syn1.0, genotipicamente predeterminato e capace di autoreplicarsi in vitro. Si tratta del primo rilevante traguardo di uno dei progetti più ambiziosi e discussi della "biologia sintetica", quello di produrre cellule con caratteristiche inesistenti in natura e finalizzate a impieghi biotecnologici. Il modello adottato per questo esperimento è elementare, perché si tratta della cellula più semplice (procariote), dotata di un solo cromosoma e con il minor numero di geni (circa un migliaio, dei quali un quinto non essenziali). Non è, dunque, affatto scontato che il risultato conseguito possa essere raggiunto anche per cellule più complesse, di tipo eucariote (come quelle dei vegetali e degli animali), il cui genoma è distribuito in numerose coppie di cromosomi e contiene decine di migliaia di geni.
Il termine "biologia sintetica" è stato introdotto nel 1974 dal genetista polacco Wacraw Szybalski, ma i programmi sperimentali di quella che è identificata anche come "biologia dei sistemi", "biologia costruttiva" e "sinbiologia" hanno preso avvio solo due decenni orsono. La disciplina, dallo statuto ancora troppo giovane e incerto per trovare accoglienza unanime nell'arena delle "scienze e tecnologie della vita", sta suscitando un vivace interesse e crescente consenso nella comunità scientifica internazionale, tra le imprese biotecnologiche e in alcuni circoli culturali, sociali, economici e politici. Non mancano, però, coloro che, con documentati e robusti argomenti, sollevano dubbi e interrogativi circa il significato, gli scopi, gli esperimenti e le potenziali applicazioni della biologia sintetica rispetto alle diverse forme della vita sulla Terra (monere, protisti, funghi, vegetali e animali), sia sotto il profilo della valutazione scientifica e tecnologica dell'impresa conoscitiva e operativa e del rapporto tra i benefici attesi e i costi prevedibili per l'uomo, la società e l'ambiente, sia per quanto concerne gli aspetti antropologici ed etici dei progetti, dei materiali e metodi della ricerca empirica, del trasferimento dei risultati e dei rischi connessi ai processi produttivi e ai possibili usi di interesse agroalimentare, zootecnico, ecologico, farmaceutico, sanitario (in particolare, nanomedicale) e bioingegneristico dei prodotti e delle tecnologie della biologia sintetica.
La maggior parte delle definizioni (più propriamente sono delle dichiarazioni programmatiche) della biologia sintetica ricorrono a un duplice aspetto teorico e sperimentale: l'ideazione e realizzazione di "entità biologiche" sinora inesistenti e la "riprogrammazione" di quelle che già si ritrovano sulla Terra. Per esempio, alcuni ricercatori interpretano la biologia sintetica come "la progettazione e la costruzione di componenti, apparati e sistemi biologici nuovi e la riprogettazione per scopi utili di sistemi biologici esistenti, naturali", mentre altri parlano di "ingegnerizzazione delle componenti e dei sistemi biologici che non esistono in natura e di reingegnerizzazione di elementi biologici esistenti". Non ci troviamo, però, di fronte a una riedizione ed estensione dell'ingegneria genetica sviluppatasi nell'ultimo quarto del secolo scorso, rispetto alla quale gli stessi cultori della biologia sintetica tendono a differenziarsi sia metodologicamente (adozione di strumenti e approcci più formalmente e proceduralmente ingegneristici di quelli della cosiddetta "ingegneria" genetica), sia materialmente (gli interventi non riguardano solo alcuni elementi del genoma, come nel caso della ingegneria genetica, ma la progettualità e la manipolazione coinvolgono tutti i livelli di organizzazione dei sistemi biologici semplici e complessi, sia nelle singole unità strutturali e funzionali che nella architettura globale dei componenti subcellulari, delle cellule, dei tessuti e delle strutture superiori).
Questa distinzione rispetto alle biotecnologie genomiche (ma anche a quelle di altre specializzazioni della biologia molecolare chiamate "omiche", quali la proteomica, la glicomica, la lipidomica, la membranomica e la metabolomica) non manifesta esclusivamente un'istanza accademica o corporativa, né assume solo il compito di attirare l'attenzione sociale e di raccogliere finanziamenti espressamente dedicati ai progetti della biologia sintetica, ma corrisponde a una concezione e una prospettiva di sviluppo della ricerca teorica e sperimentale sui fenomeni della vita e della relativa tecnologia dei processi vitali che è differente e presenta problemi scientifici e culturali specifici e inediti, i cui risvolti antropologici, etici, sociali e politici hanno iniziato solo recentemente a essere studiati e discussi pubblicamente. Una mancata o inadeguata considerazione degli aspetti di novità scientifica e tecnologica della biologia sintetica rispetto alle discipline biologiche ormai consolidate e alle relative biotecnologie, così come delle implicazioni filosofiche, teologiche, morali e giuridiche legate al nuovo paradigma per lo studio delle proprietà e della plasticità informazionale e materiale delle unità morfofunzionali del vivente e dei sistemi biologici complessi, costituirebbe una trascuratezza dell'intelligenza della storia attuale delle scienze e dei suoi sviluppi futuri, anticipati dagli esiti preliminari già conseguiti, e rappresenterebbe una miopia antropologica, etica e politica che ci costringerebbe - ancora una volta, come già accaduto in passato - a rincorrere affannosamente i temi e i problemi suscitati dai risultati sempre più rapidamente prodotti dalla ricerca scientifica tecnologica, anziché precederli e accompagnarli attraverso una riflessione di ampio respiro e di solido fondamento filosofico e teologico.
La possibilità che cellule e, forse, anche organismi pluricellulari con strutture e proprietà inedite nel mondo vivente possano venire assemblati, fatti sviluppare ed eventualmente riprodurre a partire da un programma genetico preordinato, progettato in silico e inscritto attraverso il codice degli acidi nucleici in cromosomi artificiali, e mediante l'impiego di componenti subcellulari o prebiotiche, ottenute per sintesi chimica oppure isolate da materiale biologico naturale, rappresenta una sfida alla concezione della vita come una realtà che non è creata dall'uomo a sua discrezione e piacimento, ma è un "già dato" che si riproduce secondo leggi e dinamiche proprie (per esempio, quelle della ereditarietà dei caratteri morfofunzionali e della architettura conservativa delle macromolecole biologiche) che l'uomo ha imparato a conoscere e anche a sfruttare, ma che non aveva sinora tentato di decostruire e ricostruire secondo un "disegno creativo" da lui stesso elaborato per uno scopo strumentale.
Nel contesto di questa provocazione culturale, risulta significativa anche la scelta iconografica di alcune copertine di studi o riviste (la più recente è quella di "The Economist", in riferimento all'esperimento di Venter e collaboratori). Esse rappresentano il progetto della biologia sintetica attraverso un riarrangiamento grafico dell'affresco del Buonarroti raffigurante la creazione di Adamo nella cappella Sistina; rielaborazione nella quale si allude a una pretesa sostituzione della mano dell'uomo a quella di Dio. La simbologia non è nuova, ma costituisce una rivisitazione di quella del playing God ("giocare a fare Dio") attorno alla quale è ruotato il vivace e inconcluso dibattito sui progetti biotecnologici che prevedono la manipolazione del genoma e dei processi di riproduzione degli organismi viventi. Tuttavia, nel caso della biologia sintetica, la dimensione "creativa" dei determinanti empirici costitutivi del vivente e delle catene di causalità fisica e chimica dei processi vitali assurge a un ambizioso ruolo che non ha precedenti nella storia della biologia e delle biotecnologie. Ogni rinascente tentazione materialistica e riduzionistica delle scienze della vita presenta aspetti particolarmente inquietanti quando non è possibile escludere che il progetto arrivi, in futuro, a riguardare anche elementi e strutture del corpo umano, in particolare quelle che determinano le caratteristiche somatiche e psichiche del soggetto. Appare urgente un lavoro culturale per "evitare il rischio di un diffuso riduzionismo genetico, incline a identificare la persona esclusivamente con il riferimento all'informazione genetica e alle sue interazioni con l'ambiente. È necessario ribadire che l'uomo sarà sempre più grande di tutto ciò che forma il suo corpo" e che ogni essere umano "è molto di più di una singolare combinazione di informazioni genetiche". Così, "la generazione di un uomo non potrà mai essere ridotta a una mera riproduzione di un nuovo individuo della specie umana, così come avviene con qualunque animale. Ogni apparire nel mondo di una persona è sempre una nuova creazione" della mano di Dio (Benedetto XVI, Discorso, 21.02.2009).
Un secondo aspetto dei progetti di costruzione o ricostruzione di cellule e organismi viventi è costituito dalla individuazione e valutazione delle opportunità offerte da questi "artefatti biologici" per la prevenzione, la diagnosi e la terapia di malattie dell'uomo, dell'animale e delle piante e, allo stesso tempo, dei rischi che l'impiego e la proliferazione incontrollata di cellule e organismi non integrati nei delicati ecosistemi ambientali potrebbe far correre all'ambiente stesso e anche, direttamente o indirettamente all'uomo. Singoli studiosi e alcuni comitati e organismi nazionali e internazionali individuano come decisivo per la questione etica posta della biologia sintetica il rapporto tra, da una parte, l'esigenza di tutelare la varietà e l'integrità delle forme in cui si manifesta la vita sulla Terra e i delicati equilibri ecologici tra le diverse specie viventi, e, dall'altra, l'opportunità di migliorare le condizioni di vita e di salute dell'uomo e di intere popolazioni. Tuttavia, essi sembrano incapaci di riconoscere e abbracciare un orizzonte condiviso di senso e una domanda di bene che sono accessibili alla retta ragione e interpellano la libertà di ogni persona che, nella propria coscienza, è chiamata a un discernimento etico di fronte alle sfide poste dagli arditi sviluppi delle tecnologie. "Se l'uomo perde il senso della vita e la sicurezza degli orientamenti morali smarrendosi nelle nebbie dell'indifferentismo, nessuna politica potrà essere efficace nel salvaguardare congiuntamente le ragioni della natura e quelle della società. È l'uomo, infatti, che può costruire e distruggere, può rispettare e disprezzare, può condividere o rifiutare. Anche i grandi problemi posti (...) dalle biotecnologie vanno affrontati non solo come problemi "tecnici" o "politici", ma, in radice, come "problemi morali"" (Giovanni Paolo ii, Discorso, 11.11.2000). Per questo, la Chiesa, pur ammirando e incoraggiando l'autentico progresso di ogni forma di conoscenza scientifica e tecnologica, non si stanca di ricordare che è illusorio rivendicare la "neutralità morale" della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche e di richiamare che non tutto ciò che è tecnicamente possibile e politicamente approvato è anche, per queste sole ragioni, degno dell'uomo e moralmente ammissibile. "Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr. Efesini, 3, 16; ii Corinzi, 4, 16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo" (Benedetto XVI, Spe salvi, n. 22).
(©L'Osservatore Romano - 24-25 maggio 2010)


Bagnasco sugli abusi sessuali: due lodi e un consiglio - 24 maggio 2010 alle 17:13 - Archiviato in Varie – dal blog di Luigi Accattoli - http://www.luigiaccattoli.it
“Il nostro primo pensiero, la nostra prima attenzione è nei confronti delle vittime [degli abusi sessuali da parte di appartenenti al clero cattolico]: ancora una volta esprimiamo a loro tutto il nostro dolore, il nostro profondo rammarico e la cordiale vicinanza per aver subito ciò che è peccato grave e crimine odioso“: così due ore addietro il cardinale Angelo Bagnasco ad apertura dell’assemblea della Cei. Ed è il primo passo che merita consenso. Il secondo è questo, riferito al papa: “Noi Vescovi sappiamo di dover ringraziare il Papa per quanto ha fatto e sta facendo in ordine all’esemplarità della Chiesa e dei suoi ministri. Egli è il Pastore all’altezza delle sfide, che affronta con credibilità e lucidità questo tempo difficile; è il maestro che parla della verità di Dio e rivela il giusto rispetto per la verità sugli uomini; è il testimone della carità, come della trasparenza che la carità esige. Non c’è cedevolezza in lui nei riguardi di pressioni esterne, ma un’assunzione di responsabilità proporzionata al suo mandato“. A queste due lodi aggiungo un consiglio che riguarda l’urgenza per la Cei di costituire un referente unico nazionale e di avviare un’operazione verità prima che sia troppo tardi: sviluppo l’idea nel primo commento a questo post.

Luigi Accattoli scrive,
24 maggio 2010 @ 17:13

[Segue dal post] “L’opinione pubblica come le famiglie devono sapere che noi Chiesa faremo di tutto per meritare sempre, e sempre di più, la fiducia che generalmente ci viene accordata anche da genitori non credenti o non frequentanti. Non risparmieremo attenzione, verifiche, provvedimenti; non sorvoleremo su segnali o dubbi; non rinunceremo a interpretare, con ogni premura e ogni scrupolo necessari, la nostra funzione educativa“: è un altro passo della prolusione del cardinale Bagnasco ed è ben detto, ma credo si debba fare di più. Molti temono l’emergere di casi italiani simili a quelli dell’Austria e della Germania, se non dell’Irlanda e degli Usa. Si dovrebbe invece argomentare e operare in favore dello svelamento, purchè ovviamente i fatti siano reali. Sarebbe anzi bene che la nostra Conferenza episcopale prendessero delle iniziative di indagine e studiasse qualche “operazione verità” prima che sia troppo tardi. La nomina di un referente nazionale, come avvenuto in altri paesi, non sarebbe fuori luogo. Un’informazione trasparente sui casi accertati, come anche l’offerta di un contatto e di una fattiva consulenza a chi ha subito torti potrebbero essere tra i suoi compiti.

Luigi Accattoli scrive,
24 maggio 2010 @ 17:14

[Segue dal primo commento] A chi considerasse fuori luogo il mio allarme sul domani per quanto riguarda l’Italia, ricordo le parole che ha dedicato al nostro paese il “promotore di giustizia” della Congregazione per la dottrina della fede, il prete maltese Charles J. Scicluna, cioè l’uomo di Chiesa che ne sa di più: “Finora in Italia il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa” (intervista ad Avvenire del 13 marzo 2010).


Cei, Bagnasco esorta all'impegno comune - L'auspicio di una politica per le famiglie senza la quale l'Italia andrà verso «un lento suicidio demografico» - Fausto Gasparroni - ROMA - © Copyright Gazzetta del sud, 25 maggio 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
Di fronte a una crisi economica «sorprendentemente tenace», serve un impegno comune «di ogni parte politica», e soprattutto servono «riforme che producano crescita», per affrontare efficacemente l'emergenza-lavoro, e una «politica orientata ai figli» – con provvedimenti come il quoziente familiare – senza la quale l'Italia andrà incontro a «un lento suicidio demografico».
Ha usato toni drammatici il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, aprendo in Vaticano i lavori della 61. assemblea generale dei vescovi italiani, nel suo appello per un impegno bipartisan contro gli effetti della crisi e per politiche adeguate a favore della famiglie e dell'occupazione.
Oltre il 50% delle famiglie oggi è senza figli, quelle con figli per quasi la metà ne hanno uno solo, il resto due e solo il 5,1% ne ha tre o più: è quanto fa dire a Bagnasco, nella prolusione, che «l'Italia sta andando verso un lento suicidio demografico», contro il quale «urge una politica che sia orientata ai figli, che voglia da subito farsi carico di un equilibrato ricambio generazionale». Il capo dei vescovi chiede «ai responsabili della cosa pubblica» iniziative urgenti e incisive», e anche se c'è la crisi «questo è paradossalmente il momento per farlo», perdurando «una condizione di pesante difficoltà economica» dalla quale bisogna tentare di uscire attraverso parametri sociali nuovi e coerenti». Per Bagnasco, è il quoziente familiare «l'innovazione che si attende e che può liberare l'avvenire della nostra società».
Il lavoro «è tornato ad essere una preoccupazione che angoscia e per la quale chiediamo un supplemento di sforzo e di cura all'intera classe dirigente del Paese: politici, imprenditori, banchieri e sindacalisti». Bagnasco sottolinea come i provvedimenti adottati in sede Ue «hanno da un lato – pare – arrestato lo scivolamento verso il peggio, dall'altra però stanno imponendo nuove ristrettezze a tutti i cittadini». L'appello ai «responsabili di ogni parte politica» è a «voler fare un passo in avanti» puntando al «responsabile coinvolgimento di tutti nell'opera che si presenta sempre più ardua».
E se si dice che «l'uscita dalla crisi non significherà nuova occupazione», questa è «una ragione decisiva» per procedere «senza indugi» a «riforme che producano crescita», a mettere in campo risorse per gli investimenti, a sostenere le pmi, l'artigianato, la ricerca, il turismo, l'agricoltura, il mondo cooperativistico.
«L'unità del Paese resta una conquista e un ancoraggio irrinunciabili – ha detto Bagnasco –: ogni auspicabile riforma condivisa, a partire da quella federalista, per essere un approdo giovevole, dovrà storicizzare il vincolo unitario e coerentemente farlo evolvere per il meglio di tutti».
Il capo dei vescovi ha ripetuto che la Chiesa non risparmierà «energie morali né culturali» per partecipare al «significativo anniversario» dei 150 anni dell'Unità d'Italia. «È l'interiore unità e la consistenza spirituale del Paese ciò che a noi vescovi oggi preme», ha detto Bagnasco, secondo cui i cattolici «continueranno a sentirsi, oggi come ieri, oggi come nel 1945 all'uscita dalla guerra, oggi come nel 1980, nella fase più acuta del terrorismo, tra i soci fondatori di questo Paese».
Il presidente della Cei, per il quale nella storia unitaria e anche nella «questione romana» «la Provvidenza guidò gli eventi», ha anche auspicato che «i 150 anni dall'Unità d'Italia si trasformino in una felice occasione per un nuovo innamoramento dell'essere italiani, in una Europa saggiamente unita e in un mondo equilibratamente globale».
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha commentato: «Condivido le parole di Bagnasco, sulla centralità della famiglia. Il Comune di Roma si è già attivato in questa direzione, a partire dal quoziente familiare. La settimana scorsa, insieme a Parma, Varese e Bari, a cui si sono unite altre città, abbiamo dato vita al network di città per la famiglia».
Per il responsabile Welfare del Pd Giuseppe Fioroni: «Le parole del cardinale Bagnasco sul reale stato di sofferenza delle famiglie e dei lavoratori fanno giustizia della negazione della crisi che sin qui il governo ha portato avanti. Per queste parole non servono commenti plaudenti della maggioranza: servono risorse vere da stanziare, un fisco equo e un impegno serio del Parlamento».
© Copyright Gazzetta del sud, 25 maggio 2010


Un commissario a Propaganda Fide - Il Papa prosegue nel disegno di rinnovare la Curia e sgombrare ombre dopo lo scandalo della "cricca". Nuove strategie prima del concistoro di dicembre. Ratzinger preferisce cardinali lontani dai palazzi di Roma. - Andrea Gagliarducci - © Copyright Il Tempo, 24 maggio 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
Un possibile commissariamento di Propaganda Fide, in attesa della nomina ufficiale del successore del cardinal Ivan Dìas, l'attuale prefetto? L'ipotesi circola, e sembra trovare conferma nell'incontro dello scorso giovedì tra Benedettto XVI e il cardinale indiano.
Chiamato da fuori la Curia nell'ambito dell'operazione rinnovamento, Dìas si ritrova, senza ancora aver terminato un quinquennio alla guida del suo dicastero, in condizioni di salute tali che la sua sostituzione sembra essere imminente. E questo proprio mentre Propaganda Fide si ritrova nell'occhio del ciclone (mediatico) per l'inchiesta su Angelo Balducci, tra i tre consultori laici della Congregazione. L'ipotesi di un commissariamento gira, ma è remota. Chi conosce bene il Vaticano sostiene che le notizie sul caso sono venute fuori dall'esterno, non certo dall'interno. E che viene puntato il dito su situazioni che «fanno parte più di un modo di fare, non del mondo degli affari: a quei livelli, tutti hanno contatti con tutti».
Certo è che la questione di Propaganda Fide si inserisce all'interno di un più generale ricambio della Curia. Dìas cambierà, per motivi di salute. Ma il concistoro di dicembre (in cui si nomineranno nuovi cardinali, e in cui le berrette rosse parleranno della situazione generale della Chiesa) è atteso al varco da tutti: già l'Osservatore Romano ha messo le mani avanti, citando Pasquino in un articolo che parlava delle nomine cardinalizie: «La difficoltà non sta in "der fabbrica i cappelli, ma in der trovà le teste de appiccicajieli"». E Poletto, cardinale di Torino, quando è stata ventilata l'ipotesi che il prossimo vescovo di Torino non sarebbe stato fatto cardinale, si trincerato in un: «La nomina dei cardinali non è legata alla diocesi, ma è di competenza del Papa».
Cambierà, tra gli altri, il prefetto di un dicastero chiave, la Congregazione dei Vescovi, che passerà dal cardinal Re al cardinal Pell, non proveniente dalla Curia. Benedetto XVI, nelle sue nomine, ha sempre prediletto uomini fuori dagli schemi, in un'operazione di rinnovamento che di certo non gli ha creato simpatie. Tanto che alcuni osservatori «interni» guardano con sospetto il comportamento di alcuni cardinali: da quello di Sodano, la cui difesa del Papa il giorno di Pasqua è stata considerata come una volontà di mostrare la sua forza, a quello di Bagnasco, attivissimo e visibile come non mai, apparso come «il difensore ad oltranza del vecchio establishment pur non facendone del tutto parte», fino al cardinale di Vienna Schoenborn, che in più incontri ha dettato l'agenda della Chiesa che verrà. Ma Schoenborn, si fa anche notare, è molto vicino al Papa.
E il suo recente attacco a Sodano potrebbe non essere altro che un avvertimento che il Papa non ha intenzione di prestarsi al gioco di potere intorno a lui.
© Copyright Il Tempo, 24 maggio 2010


Peccatori, ma non ipocriti - Pigi Colognesi - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
La provocazione l’ha lanciata Pierluigi Battista dalle colonne del Corriere della Sera del 16 maggio: più si indaga sulla privata biografia di scrittori, poeti, intellettuali del Ventesimo secolo, più si scopre la sgradevole coesistenza in loro di opere eccelse e comportamenti meschini.
La lista è lunga e deprimente. C’è il drammaturgo anticapitalista che osanna il regime (fintamente) egualitario dell’Unione Sovietica e intanto mette al sicuro i soldi in Svizzera. C’è il premio Nobel che non ha il coraggio di dire una parola per salvare un amico dal lager (sovietico) e c’è il grande filosofo che di parole ne dice fin troppe perché un collega nel lager (nazista) ci vada a finire. C’è chi distrugge con ogni mezzo la reputazione di in concorrente e chi, dichiarandosi libertario, tratta la compagna come una schiava.
È salutare che la contraddizione emerga. Per lo meno si evita di fare degli intellettuali una casta di intoccabili, posti dalla genialità (quando c’è) delle loro opere al di sopra di ogni valutazione morale. E siccome l’incoerenza sembra non fare distinzione fra destra, centro e sinistra, magari la si smetterà anche di usare le debolezze morali di chi sostiene un’idea per attaccare quell’idea, invece che contrastarla per quello che è.
Bisogna però evitare di fare di ogni erba un fascio. Un conto è il cedimento, anche grave, di un momento; un altro è una posizione sbagliata mantenuta sistematicamente. Un conto è cedere ad una azione malvagia per paura ed un altro è pianificarla a lungo per invidia. Insomma, anche nel mondo degli intellettuali c’è tutta la varietà e la ricchezza di sfumature che caratterizza la drammatica vita morale di ogni uomo. Vedere questo dramma nel mondo, per altri versi inarrivabile, della genialità artistica aiuta a capire due cose.

Il bene – e quindi anche la grande arte - non è un prodotto completamente nostro. Una volta intervistai il pittore Salvatore Fiume; gli chiesi se poteva spiegarmi come nasceva in lui un quadro. Mi disse: «Non lo so. È un dono». Certamente non pensava, lui non credente, di riecheggiare santa Teresina di Lisieux: «Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me».
D’altra parte il male è ben radicato in noi. «Grande è la sua potenza», dice la strega nel Dies irae di Dreyer. La vera differenza – per gli artisti più eccelsi e per noi gente comune – è tra chi non vuole ammettere questa radice cattiva e chi sì. I primi sono costretti ipocritamente a nascondere a sé e agli altri il proprio limite; e finiscono per teorizzare che non è tale. Gli altri accettano al ferita.
Penso ad esempio a Dmitrij Šostakovič, il grande compositore russo che non ha mai avuto il coraggio di opporsi o anche solo di non osannare platealmente il regime di Stalin. Ma non ha teorizzato o giustificato questa debolezza. Ne ha accettato il bruciore, fino a utilizzarlo per la sua propria produzione artistica. Ed infatti ciò che di lui più commuove non sono le roboanti colonne sonore per film di propaganda, ma le struggenti e intime musiche da camera.
E, forse, la sua disgrazia vera è stata quella di non aver nessuno cui poter dire, dolosamente tranquillo: «Confesso…».


IL CASO/ In tv c'è una pubblicità pro-aborto che si ispira ad Adolf Hitler - Gianfranco Amato - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Ieri sera alle 22.10, per la prima volta nel Regno Unito, è andata in onda un’allusiva reclame abortista sulla rete televisiva Channel 4.
L’occasione ghiotta è stata il debutto di una nuova trasmissione di gioco a premi, “The Million Pound Drop”, condotta dalla nota presentatrice Davina MacCall, destinata a far salire l’indice di ascolto alle stelle.
Con una cinica e astuta operazione di marketing, la potente lobby abortista Marie Stopes International (MSI) ha colto al volto l’opportunità di farsi pubblicità, approfittando dell’audience elevata e con il pretesto di «aiutare le donne a compiere una scelta più consapevole circa la propria gravidanza e salute sessuale».
Così, tra un intervallo e l’altro della seguitissima trasmissione, si è reclamizzato l’aborto come fosse un normale detersivo. Solo che al posto di un fustino, l’immagine che è andata in onda era quella di una ragazza dallo sguardo preoccupato, ferma alla fermata dell’autobus, sulla quale campeggiava la scritta «Jenny Evans è in ritardo». Allusione, di pessimo gusto, al ciclo mestruale. Seguiva la scena, in pieno stile politically correct, di una donna frettolosa con due bimbi piccoli, accanto alla scritta «Katty Simons è in ritardo», e poi di una solitaria ragazza di colore seduta al bar, accompagnata dalla scritta «Shareen Butler è in ritardo». Seguivano, infine, i riferimenti per contattare telefonicamente o via e-mail MSI, mentre una voce fuori campo spiegava: «Se hai un ritardo mestruale potresti essere in cinta, e se non sei sicura di cosa fare in caso di gravidanza, Maries Stopes International ti può aiutare». Tipico esempio di pubblicità ingannevole, dato che MSI non dà nessun altro “aiuto” se non quello di praticare l’interruzione di gravidanza, e per di più (circostanza occultata nello spot) a pagamento.
Per comprendere, del resto, le reali intenzioni dei promotori, è sufficiente leggere il titolo del comunicato stampa che annunciava l’iniziativa sul sito ufficiale di MSI: «Per la prima volta assoluta in Gran Bretagna una pubblicità televisiva sugli “abortion services”».
Questa vicenda impone alcune riflessioni. La prima di carattere legale. È interessante, infatti, capire come sia stato aggirato il divieto di pubblicità commerciale per le cliniche abortive, espressamente previsto dal codice della pubblicità (advertising code). Il Broadcast Committee of Advertising Practice (BCAP), l’ente che si occupa della materia, in questo caso ha stabilito che il termine “commerciale” possa escludere l’applicazione del divieto alle organizzazioni non profit. Ciò significa, secondo il BCAP, che la stessa natura giuridica di Marie Stopes International, formalmente una fondazione senza scopo di lucro, la esclude dal divieto, nonostante il fatto che essa effettui anche servizi privati a pagamento. È grazie a questa generosa interpretazione benevola delle norme sulla pubblicità da parte del BCAP, che ieri sera è potuta andare in onda la reclame che abbiamo visto. Interpretazione tanto benevola, quanto decisamente forzata.
Per capire, infatti, l’esatta natura “non profit” di Marie Stopes International, basta considerare alcuni dati. I “volontari” dell’aborto pretendono ben 80 sterline per una consultazione telefonica. La cifra, ovviamente, aumenta in caso di consulto di persona. Inutile ricordare, peraltro, che tutte le consultazioni fatte dalle associazioni pro-life sono, invece, assolutamente gratuite.
I prezzi di MSI arrivano anche a 1.720 sterline per un aborto da eseguirsi tra le 19 e le 24 settimane. Gli ultimi dati ufficiali di bilancio relativi al 2008 indicano che l’organizzazione abortista riceve circa 100.000.000 di sterline l’anno, molte delle quali (circa 30 milioni) attraverso fondi pubblici, a titolo di rimborso per «servizi sanitari in campo sessuale e riproduttivo». Marie Stopes International pratica circa 65.000 aborti l’anno, più o meno un terzo di tutti gli aborti realizzati nell’Inghilterra e nel Galles, con un giro d’affari decisamente significativo.
Mi hanno colpito anche i numeri relativi alle retribuzioni degli operatori di MSI. Ben ventidue di loro percepiscono uno stipendio superiore a 60.000 sterline l’anno (lo stipendio medio nel Regno Unito si aggira attorno alle 25.000 sterline), mentre un dirigente arriva a prendere persino 210.000 sterline l’anno. Niente male davvero per una Charity!
La seconda riflessione cui ci induce l’episodio di ieri sera è relativa all’opportunità di una simile reclame. Bisogna innanzitutto partire dal dato statistico secondo cui in Gran Bretagna una gravidanza su cinque si conclude con un aborto. È difficile, pertanto, immaginare che le donne siano completamente all’oscuro in materia, e che sia necessaria un’adeguata opera di informazione. Il numero impressionante di 200.000 aborti l’anno dovrebbe, semmai, porre un problema contrario, ovvero quello di un’opportuna informazione circa le possibili alternative all’interruzione della gravidanza.
Per questo mi è apparsa davvero insopportabile la faccia di bronzo di Julie Douglas, direttore Marketing (già questa carica la dice lunga sulla natura non profit) della Marie Stopes International, quando ha dichiarato che «nonostante il fatto che una donna su tre nel Regno Unito abbia avuto almeno un aborto nella propria vita, il tema non è ancora oggetto di un’aperta ed onesta discussione».
La pubblicità di ieri sera, a prescindere dal cinismo utilitaristico di chi l’ha commissionata, si è tradotta, di fatto, nell’inaccettabile banalizzazione di un tema estremamente delicato. Non è questo, certamente, il metodo più appropriato per affrontare la traumatica esperienza dell’interruzione di una gravidanza. Per non parlare dei rischi di una possibile escalation al ribasso. Chi può ora negare, ad esempio, alle organizzazioni pro-life di chiedere una pubblicità televisiva sui rischi dell’aborto per la salute delle donne? O sulle possibili alternative all’aborto?
Dio ci risparmi lo squallido spettacolo di una guerra televisiva sulla tragedia dell’aborto, a colpi di spot nell’intervallo pubblicitario di una banale trasmissione a quiz. Preoccupa anche il cupo futuro cui potrebbe condurci una simile deriva. Non mi meraviglierei, infatti, se il prossimo passo dovesse essere la pubblicità per l’eutanasia e per le cliniche in cui si pratica il suicidio assistito.
Quest’ultima affermazione introduce la terza riflessione che intendevo proporre. In Italia, probabilmente, ad un’organizzazione come Marie Stopes International non sarebbe mai stato erogato un solo euro di fondi pubblici e sarebbe stata bandita dalla televisione di Stato, per il solo fatto del nome che porta.
Tutti dovrebbero sapere, infatti, che Marie Stopes (1880-1958) è stata una delle più deliranti figure nel campo dell’eugenetica del XX secolo. Nella sua opera Radiant Motherhood (1920), tanto per fare un esempio, la Stopes ha invocato la sterilizzazione «dei soggetti totalmente inadeguati alla riproduzione», mentre nell’altro suo capolavoro, The Control of Parenthood (1920), vero e proprio manifesto degli eugenisti, ha teorizzato il concetto di «purificazione della razza».
Letteralmente affascinata dalle farneticazioni eugenetiche naziste, nel 1935 Marie Stopes ha partecipato al Congresso Internazionale sulla Scienza della Popolazione tenutosi a Berlino ed organizzato dalla propaganda razzista del Terzo Reich. Anche le posizioni antisemite della Stopes furono aspramente criticate, persino da altri pionieri del movimento per il controllo delle nascite, tra cui Havelock Ellis. Non per nulla Marie Stopes si dichiarava una devota fan del Führer. Nel 1939, esattamente un mese prima che la Gran Bretagna entrasse in guerra con la Germania, la pasionaria della razza pura inviò al dittatore nazista alcune poesie accompagnandole da queste compiacenti parole: «Carissimo Herr Hitler, l’Amore è la più grande cosa del mondo: vorrebbe accettare da me questi versi e permettere ai giovani della Sua nazione di leggerli?».
Per capire meglio il personaggio, basti dire che Marie Stopes è arrivata a diseredare il proprio figlio Harry per il fatto di aver sposato una donna miope, ovvero un «essere geneticamente difettoso».
Non mostrò mai nessunissimo segno di pentimento neppure in punto morte, avvenuta nel 1958, e lasciò la maggior parte del suo patrimonio personale alla Eugenics Society, organizzazione i cui scopi ben traspaiono dal nome. Per chi voglia approfondire il tema consiglio la lettura dell’interessante articolo di Gerard Warner pubblicato sul Telegraph del 28 agosto 2008, dal titolo significativo: «A Marie Stopes si perdona il suo razzismo eugenetico perché era anti-life».
In Gran Bretagna, in realtà, non si sono limitati a perdonarla. Nel 2008 le regie poste britanniche hanno dedicato un’emissione di francobolli celebrativi proprio a Marie Stopes, in quanto Woman of Distinction. Ci si può ancora meravigliare di ciò che sta accadendo al di là della Manica?


DIBATTITO/ Perché non è la scienza a dire cos’è bene e cos’è male? - Andrea Staiti - martedì 25 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Spiegare la filosofia a dei teenager americani è un’esperienza singolare. Non avendo fatto filosofia alle superiori non sono abituati all’idea che ci siano semplicemente «problemi da filosofi» e «parole da filosofi». Pertanto, tutte le volte che introduci un nuovo problema filosofico per prima cosa sei costretto a chiederti come fargli capire che si tratta di un problema reale, altrimenti ti guarderanno sbigottiti per il resto dell’ora. Le alternative qui sono due: O spremersi le meningi per trovare degli esempi pirotecnici oppure chiedersi in prima persona se il problema in questione è un problema reale e perché.
Mi sono trovato in una situazione del genere qualche settimana fa dovendo introdurre alla mia classe di matricole il problema del naturalismo e, in particolare, la critica al naturalismo formulata da Edmund Husserl (1859-1938), il filosofo sul quale lavoro da diversi anni. Detto in breve, il naturalismo è la posizione per cui tutto quello che esiste è natura o riconducibile alla natura, laddove per natura si intende la realtà fisica studiata dalle scienze.
Il che significa, per esempio, che quando pensiamo 2+2 = 4 la correttezza di quest’equazione è interamente fondata su fatto empirico - l’atto mentale di aggiungere 2 a 2 che conduce all’atto mentale di pensare 4 - il quale a sua volta è fondato su un fatto fisiologico - una determinata scarica di neuroni nel nostro cervello. Se avessimo un cervello fatto in un’altra maniera 2+2 potrebbe fare cinque o verde, oppure potrebbe non esserci affatto un 2 da sommare a un altro 2.
Va da sé che se per il naturalista addirittura le verità logiche e matematiche vanno intese in questo senso, altri ambiti d’azione della ragione umana, quali la deliberazione e la scelta, sono da considerarsi al più delle pie illusioni. Buona parte del lavoro filosofico di Husserl consiste nel tentare di superare le assurdità insite in questa posizione.
Ora, come spiegare tutto questo ai miei teenager americani? Qual è il vero problema del naturalismo, quello vivo, che il vero filosofo non inventa ma al più subisce? Che cos’è il naturalismo? Un’epistemologia traballante? Un determinismo morale?
Ironicamente, rimuginavo queste domande mentre spingevo il carrello tra le corsie di un supermercato, cercando così di ottimizzare i tempi per tenere il passo con i ritmi accademici americani. Alla cassa arriva la risposta: tra le varie riviste esposte noto il nuovo numero di Knowledge, la popolare rivista di divulgazione scientifica della BBC. In copertina spicca una mela rossa morsicata con i sette vizi capitali incisi sulla buccia. Il titolo suona: Nati per peccare. La scienza spiega perché è bene essere cattivi. Più interessante della malizia antibiblica un po’ grossolana e del pasticcio categoriale del titolo (religione, epistemologia e morale combinate insieme in un cocktail che avrebbe fatto rizzare i capelli al buon Kant) è la seguente domanda: perché il lettore medio di Knowledge si aspetta che sia la scienza a spiegargli che cosa è bene e che cosa è male?
Ho fatto questa domanda in classe. Paul alza la mano e risponde: «Professore, ma perché se ci sono risposte a domande del genere, la scienza prima o poi dovrà essere in grado di trovarle!». Bravo Paul. Questo è il vero volto del naturalismo. Come Husserl comprese sempre più profondamente negli ultimi anni della sua vita, prima di essere un problema epistemologico, morale o fenomenologico il naturalismo è un problema culturale: un insieme di speranze mal riposte. È la speranza che il metodo scientifico-naturale, mostratosi così potente nello spiegare i fenomeni della realtà fisica, possa infine dar forma a tutte le movenze della ragione e condurla sulla strada sicura della scoperta della verità.
Ma il metodo delle scienze naturali, spiega Husserl, era nato originariamente come tecnica di indagine speciale all’interno di un compito razionale di portata ben più ampia. La cultura occidentale nasce sotto la stella della filosofia in Grecia con un compito: l’elaborazione a tutto campo di verità riconoscibili e accettabili da ogni soggetto razionale e non meramente condivise in base a costumi tradizionali. In altre parole, la cultura occidentale nasce dotata di un assetto motivazionale ben preciso e positivamente ambizioso: cercare la verità di tutto ciò che c’è (e “ciò che c’è” spazia dalle stelle nel cielo notturno alla forma di vita comune più umana alla questione se vi siano o meno degli dei e un aldilà).
Questo assetto motivazionale si è progressivamente alterato quando la forza della ragione ha cominciato a venire investita soltanto in un campo: l’indagine quantitativa della natura in nome di un progetto di dominio e aumento del benessere. Ma, continua Husserl, come un organo del corpo si ammala quando smette di assolvere alla propria funzione specifica, così una cultura si ammala quando smette di assolvere al compito cui la sua origine la destina. Nel caso della cultura occidentale questa malattia è il naturalismo: un’ipertrofia della ragione quantitativa e induttiva che, in base ai suoi innegabili successi in campo fisico, ha preteso e pretende di erigersi ad unica forma espressiva legittima della nostra vocazione razionale. E così ci troviamo a nutrire speranze segrete e desiderare che la scienza si pronunci su quello che ci sta più a cuore e ci dica, ad esempio, cosa è bene e cosa è male.
Husserl scriveva che «le mere scienze di fatto creano meri uomini di fatto». E tuttavia anche gli uomini di fatto nutrono la speranza segreta che le scienze naturali li elevino un giorno dalla sfera di ciò che è meramente empirico alla sfera del senso e del valore. È questa speranza - per lo più implicita e inconscia - che li spinge ad acquistare riviste come Knowledge.
«Professore, ma quindi quello che Husserl non condivide è che ci sia un solo modo di usare la ragione per scoprire cose vere? E come si fa a riattivare quei modi di usare la ragione che sono stati trascurati da quando si è affermato il naturalismo?». Poco prima che finisca l’ora è questa la domanda di Paul, che decidiamo di lasciare aperta per la prossima volta. Mentre esco sorrido tra me e me: già soltanto questa domanda è il segno che Paul (insieme a Husserl) si è lasciato il naturalismo alle spalle.


Avvenire.it, 25 maggio 2010 - Polemiche, suggestioni e i veri nodi dell’istruzione italiana - E se provassimo a dibattere di quel che la Scuola deve dare? - Davide Rondoni
È finito il campionato di calcio, e pure la coppa di Champions league è finita in gloria. Però è ancora in corso il campionato, per così dire, più appassionante e faticoso per molti. No, non penso al Giro d’Italia, che sta riscoprendo tratti eroici. Ma a quell’altro Giro, o Tour o "campionatissimo" che è l’anno scolastico. Tantissimi bambini e ragazzi sono alle ultime battute di un impegno importantissimo, e non pochi sono quelli che tremano e tremeranno per il verdetto finale. Di scuola e dei suoi problemi si parla spesso in questi tempi sulle cronache, ma quasi sempre in modo superficiale e più per faccende economiche.

Ieri, con un occhio alla colonnina di mercurio a settembre e tutti e due al bilancio turistico nazionale, ha tenuto polemicamente banco la ritornante ipotesi di far rientrare scolari e studenti in classe il primo ottobre, come i "remigini" d’un tempo. E non si placa il batti e ribatti sulla infelice uscita del leader del Pd Bersani che ha usato un linguaggio scurrile per attaccare l’azione del ministro Gelmini. Che è criticabile, va da sé, come ogni azione riformatrice, ma sarebbe meglio che i politici usassero un linguaggio meno basso per motivare i lori giudizi.

L’uscita di Bersani ha poi un secondo effetto grave. La discussione si sta infatti incentrando sulle scuse che il segretario dovrebbe o no alla signora ministro, invece che entrare nel merito delle scelte sostanziali che si stanno compiendo.

Proprio ieri, per esempio, sono stati depositati al Consiglio di Stato i contenuti dei programmi della "nuova scuola superiore" impostata dal governo e dai suoi esperti. Sappiamo che ci sono state discussioni anche vivaci all’interno e fuori delle Commissioni che hanno valutato su che cosa si formeranno gli italiani di domani. Ecco, questo sarebbe una questione su cui sarebbe interessante un vivo, acceso (e non banale) confronto. Si stanno decidendo infatti cose che possono disegnare il volto dell’Italia futura e dei suoi abitanti – sempre più meticci – definendo le competenze che la scuola offrirà loro. A coloro che spendono parole su come onorare l’identità italiana, come ricomprenderla alla luce dei tanti cambiamenti e sulla prossima ricorrenza dell’Unità politica del Paese, consiglierei meno retorica e più attenzione a queste faccende.

C’è stata, in particolare, discussione sulla opportunità di offrire ai ragazzi dei vari Licei una formazione che segua l’esistenza di un "canone" della nostra letteratura. Come dire: ci sono degli imprescindibili autori che un ragazzo deve poter incontrare a scuola e che sono la colonna vertebrale e il tessuto nervoso e muscolare della nostra lingua e della nostra cultura. Da Dante a Manzoni, da Tasso ad alcuni grandi del Novecento come Montale, Ungaretti, Saba per venire infine più vicino ai giorni nostri. Alcuni non sono d’accordo con questa impostazione, e oppongono all’idea che un ragazzo debba avere delle competenze su tale canone il fatto che egli maturi delle "abilità" su un percorso che l’insegnante imposta a suo piacimento. Alla proposta del Ministero che svolge un discorso dove le competenze linguistiche e quelle letterarie seguono uno sviluppo, vengono opposte una serie di tabelle dove si sottolinea la necessità di avere abilità per sfogliare un dizionario così come un romanzo.

Non c’è spazio per riassumere, qui, il valore dell’impostazione ministeriale e le implicazioni di tale discussione. Né per tornare su una mia proposta sovversiva a riguardo dell’insegnamento della letteratura nelle scuole secondarie – da render libero e facoltativo e assegnato a educatori in grado di appassionare i giovani alla lettura e all’arte – per salvare dallo scempio che in genere a scuola subiscono i nostri capolavori. Ma sarebbe bello che invece di invettive e offese sguaiate di un leader a un ministro, i politici dessero segno di avere a cuore il destino del Paese, e quindi della scuola, esponendo argomenti, idee e proposte in merito a quanto ci assumiamo la responsabilità di trasmettere ai più giovani. Il Ministero alla dine ha fatto la sua parte. E gli altri ? Questa sì sarebbe una bella discussione, finalmente più interessante. Pretendiamo troppo?
Davide Rondoni


Avvenire, 25 Maggio 2010 - LA DIFESA DELLA VITA - Mortalità materna, dati nascosti «pro aborto» - Riccardo Cascioli
La mortalità materna nel mondo è in netto calo, ma qualcuno non vuole che si sappia. La prima affermazione viene da un nuovo studio condotto da ricercatori delle Università di Washington e di Brisbane, pubblicato recentemente dalla rivista medica britannica The Lancet, secondo cui le donne morte per complicazioni legate alla gravidanza e al parto sono scese a 342.900 nel 2008 dalle 526.300 del 1980.

Ancora un’enorme tragedia, per la gran parte evitabile, ma la situazione è per fortuna in miglioramento. Eppure, il direttore dello stesso Lancet, Richard Horton, ha denunciato forti pressioni per «ritardare la pubblicazione della ricerca». Horton non ha voluto fare nomi, ma ha detto che rappresentanti di organizzazioni "per la salute della donna" sono preoccupati che la pubblicità a questi "successi" possa disincentivare gli investimenti in tal senso.

In realtà, da anni statistiche non aggiornate sulla mortalità materna vengono usate in ambito delle Nazioni Unite per dimostrare la necessità di liberalizzare l’aborto come mezzo per la "maternità sicura". La ricerca pubblicata da The Lancet smentisce però questo approccio. I motivi del calo della mortalità materna vengono infatti attribuiti a diversi fattori: minori tassi di fertilità in alcuni Paesi; aumento del reddito, che si traduce in migliore nutrizione e accesso ai servizi sanitari; miglioramento nell’educazione delle donne; maggiore disponibilità di "assistenti specializzati" (persone con formazione sanitaria) per aiutare le donne durante il parto.

I ricercatori hanno analizzato la mortalità materna in 181 Paesi dal 1980 al 2008, utilizzando qualsiasi materiale disponibile per ricostruire la "storia" dei singoli Paesi. Globalmente il tasso di mortalità materna è sceso da 422 decessi (ogni 100mila parti sani) nel 1980 a 320 decessi nel 1990 fino a 251 nel 2008. Prendendo in esame il periodo 1990-2008 si vedono importanti diversità da regione a regione: al massimo miglioramento registratosi alle Maldive (un calo dell’8,8%) fa da contraltare il drastico peggioramento dello Zimbabwe (+5.5%). I tassi peggiori, non sorprendentemente, si registrano nell’Africa Sub-sahariana, ma nel 2008 oltre la metà delle donne morte per complicazioni legate alla gravidanza si è concentrata in sei Paesi: India, Nigeria, Pakistan, Afghanistan, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo. In India e Cina comunque si sono avuti rilevanti miglioramenti, al punto che hanno contribuito in modo significativo al calo dei tassi di mortalità: in India, nel 1980 morivano 677 donne ogni 100mila parti sani; nel 2008, le morti si sono ridotte a 254. In Cina si è invece passati da 165 decessi a 40.

Un altro dato interessante messo in rilievo dalla ricerca è l’ampia porzione di decessi causati dall’Aids: almeno 60mila l’anno, il che spiega anche l’aumento dei tassi di mortalità materna in Africa orientale e meridionale. Al netto dell’infezione da Hiv, quindi, le donne morte per cause legate alla gravidanza e al parto nel 2008 sono state 281.500.

Nello studio pubblicato da The Lancet non si parla mai di aborto, ed è questo il motivo per cui la ricerca ha creato una controversia con Paesi e organizzazioni che sostengono la legalizzazione diffusa dell’aborto. La riduzione della mortalità materna di tre quarti tra il 1990 e il 2015 è infatti uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sottoscritti dai 191 Paesi delle Nazioni Unite. E finora le statistiche che davano una cifra stabile di oltre mezzo milione di donne morte ogni anno per la gravidanza sono state usate per dimostrare la necessità della legalizzazione dell’aborto all’interno del progetto "maternità sicura". I risultati della ricerca dimostrano invece quanto questo approccio sia ideologico e non supportato dai fatti. Anzi, a spulciare fra le tabelle si scopre che la liberalizzazione dell’aborto potrebbe essere un fattore aggravante della mortalità materna.

Si potrebbe ad esempio notare che Usa, Canada e Norvegia (che hanno visto un lieve aumento dei tassi) hanno tra le legislazioni più liberali in materia, ma spicca soprattutto il caso del Sud Africa. Nel 1980 il tasso di mortalità materna era di 208 decessi per 100mila parti sani: nel 1990, il tasso si è quasi dimezzato, scendendo a 121 decessi; dal 1996 il Sudafrica si è dotato di una delle legislazioni sull’aborto più permissive del Continente africano e il tasso di mortalità, che nel 2000 era già risalito a 155 morti, nel 2008 è schizzato a 237. Al contrario, i tassi di mortalità materna calano e si mantengono bassi nei Paesi dove l’aborto è fortemente limitato o proibito, come in America Latina. O come in Sri Lanka che, con una delle leggi più restrittive al mondo, ha un tasso di 30 morti per 100mila, il più basso di tutta l’Asia meridionale e del Sud Est; o come in Africa dove Mauritius tra il 1980 e il 2008 ha visto diminuire di 4 volte il tasso di mortalità, e resta 20 volte più basso di quello della pur poverissima Etiopia, il cui governo ha liberalizzato l’aborto su pressione internazionale.
Riccardo Cascioli


Avvenire.it, SANITA' - "Donazione samaritana", sì del ministro - «Ma con qualche raccomandazione»
Dopo il Comitato nazionale di bioetica, anche il Consiglio superiore di sanità ha espresso un parere sulla cosiddetta donazione samaritana. «Il Css ritiene ammissibile questa possibilità con alcune raccomandazioni». Lo ha reso noto il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, durante la presentazione delle Giornate nazionali per la donazione e trapianti di organo.

«Nel parere viene raccomandato – spiega Fazio – la valutazione psicologica e psichiatrica del donatore, il rispetto della privacy, nessun contatto tra donatore e ricevente».

Numero dei donatori in flessione - Il numero dei donatori di organi nei primi mesi del 2010, e in particolare a marzo e aprile, ha registrato una flessione del 3,4% rispetto al 2009. Tuttavia vi è da segnalare il dato positivo del calo dello opposizioni ai trapianti: sempre meno gente cioè dice no alla donazione di organi di un proprio congiunto. A renderlo noto è Alessandro Nanni Costa, direttore del centro nazionale trapianti, alla presentazione delle Giornate nazionali per la donazione e trapianti di organi. «C'è stata una leggera flessione nei donatori utilizzati per i trapianti - spiega - tuttavia va detto che si tratta di numeri riferiti fino al 30 aprile 2010, che si pongono quindi in maniera intermedia tra quelli registrati nel 2008 e nel 2009. Possiamo dire che il bilancio è dunque di luci e ombre, ma comunque il nostro paese si pone, per numero di donazioni, dietro alla Spagna e più o meno a livello della Francia».

Il dato positivo sottolineato dal direttore del Cnt riguarda il calo delle opposizioni ai trapianti. Se nel 2009 il numero dei no è stato di 707, nei primi mesi del 2010 è di 648, «il che ci fa stimare una proiezione del calo delle opposizione dell'8,3%». Per la prima volta negli ultimi anni è inoltre sceso sotto i 9 mila il numero dei pazienti in lista di attesa per un trapianto. «Un dato senz'altro positivo - conclude - ma che ci fa dire che il sistema è più o meno in equilibrio, considerando questo parziale calo delle donazioni e quello delle opposizioni. Non bisogna dimenticare infine che spesso vi sono molti donatori non idonei per la loro età avanzata».


Avvenire.it, 25 Maggio 2010 – IDEE - Il male di Giobbe giunge sino al '900 - Philippe Nemo
Se il Libro di Giobbe figura nella Bibbia, è perché mette in scena un dialogo memorabile con Dio che costituisce un ulteriore avanzamento della Rivelazione. Esso affina e precisa l’idea di Dio, la de-paganizza, la libera della concezione meccanica del Dio-Giustiziere. Rivela l’"umanità" di Dio e delinea in anticipo la figura di Cristo. Dio vi si scopre infatti come un essere libero e che ci vuole liberi, quindi "debole" in questo senso e desideroso di assumere questa debolezza. Permette la prova del male estremo, per farci scoprire la legge dell’amore e per persuaderci del nostro destino sovrannaturale. Ho già studiato in altra sede questa dimensione teologica del libro . Ora, vorrei analizzarne un altro aspetto, cioè che la prova salutare inviata a Giobbe è una malattia.

Giobbe è «colpito da una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo» (2, 7). È senza dubbio una lebbra, poiché è costretto ad abbandonare la città, a recarsi in un posto isolato, «nella cenere», dove si gratta con un coccio. La malattia lo consuma, decompone il suo corpo sotto i suoi occhi. Non è previsto alcun rimedio umano a questo male. La malattia è ritenuta incurabile. Essa è l’equivalente dei nostri cancro, Aids, sclerosi a placche, ecc., in fase terminale. La morte appare ineluttabile. L’epilogo ci dice che la situazione di Giobbe verrà ripristinata, che avrà nuovi figli, nuove greggi, e che vivrà ancora centoquarant’anni, il che suppone che egli avrà recuperato la salute (42, 10-17). Ma si tratta di resti di un apologo orientale edificante estraneo al proposito principale. Nei dialoghi che costituiscono il corpo del libro, non si prende in considerazione la guarigione, ma, ed è ben diverso, una redenzione («So che il mio vendicatore è vivo; […] [e che] vedrò Dio», 19, 25-26). Giobbe sarà forse resuscitato; ma, sulla terra, non sarà guarito, e lo sa.

Sappiamo che la malattia è spesso all’origine della fede o è una causa di approfondimento decisivo della fede, perfino di vocazioni religiose o profetiche. Anche la vecchiaia può essere occasione di un ritorno a una fede dimenticata, quando le scadenze fatali si avvicinano. L’ateismo moderno prende questi fatti a pretesto, per sostenere che la fede è solo un’illusione prodotta dalla debolezza umana. Ora, poiché molti uomini non sono deboli e attraversano la vita senza subire prove maggiori, il passaggio attraverso la fede non avrebbe nulla di necessario e la problematica religiosa potrebbe e dovrebbe essere esclusa dall’agenda intellettuale dell’umanità. Questa argomentazione dell’ateismo si è nutrita in modo singolare, negli ultimi due secoli, dei successi spettacolari della medicina, che hanno fatto credere a molti che fossero vicini i tempi in cui, con la guarigione quasi di tutti i mali, Dio sarebbe sparito definitivamente dall’orizzonte.

Ora, il Libro di Giobbe rifiuta da subito questa idea. Esso ci obbliga a pensare che sia la vita "normale" a essere un’illusione, un divertissement nel senso di Pascal, e che la malattia, ricoprendo il ruolo di rivelatore, abbia un insostituibile valore di verità. Infatti, dall’analisi della sua malattia e dai fallimenti delle tecniche umane per prevenirla o guarirla, Giobbe trae la convinzione che la malattia non è un caso, ma, in un certo senso, la norma segreta della vita, l’elemento nel quale vive in permanenza il mondo, e che Dio stesso, lungi dall’aver la serenità che l’idolatria gli attribuisce, non ne è affatto esente.

Quel che emerge dalle straordinarie descrizioni dei capitoli 12, 21 o 24 è che il mondo è malato. Sulla Terra, nulla funziona. Invece di esistere un ordine, una Legge turbati soltanto a titolo eccezionale da qualche peccatore smarrito che basterebbe richiamare all’ordine, il mondo va, in sostanza, di traverso. I cattivi prosperano e primeggiano, i giusti sono indigenti, nudi, sfruttati, i bambini innocenti muoiono senza motivo, i paesi sono governati da folli. Il discorso rassicurante degli amici è quindi menzognero, come tutta la teodicea. Questo può essere trasposto in epoca moderna, in cui il discorso della scienza e della tecnica ha sostituito la " tecnica religiosa" con tre amici: neppure la scienza spiega tutto, la tecnica medica non guarisce tutto, il suo scacco è tanto più chiaro che, siccome guarisce di fatto molte malattie, la sua impotenza a guarirne alcune è più evidente e fatale.

Ma, d’altra parte, anche Dio non sta bene ! Giobbe ne ha l’intuizione intima. Comprende che Dio ha creato l’uomo per amore, ma l’amore è ferita e malattia, come viene detto nel Cantico dei Cantici. E quindi se si prende sul serio l’idea che Dio crei per amore, occorre concludere che Dio è ferito e malato. Poiché non vuole essere amato per forza, dal momento che l’amore ha senso solo nella libertà reciproca, Dio ha bisogno che la sua creatura sia libera ed egli la crea tale. La malattia di Giobbe avrà avuto come frutto questa visione mistica originale e grandiosa che sarà sostituita e sviluppata da tutta la tradizione cristiana. Anche san Paolo porrà come tesi che la creazione è sostanzialmente imperfetta: «Tutta la creazione geme fino a oggi nelle doglie del parto» (Rm 8, 22-23). Sant’Agostino dirà che l’uomo non può raggiungere la serenità, che è un «cuore privo di quiete» (De civ. Dei, XIX, 26), e che sarà così fino a quando Dio e l’uomo non avranno combattuto insieme il male fino alla vittoria finale e fatto trionfare definitivamente l’amore.

Questa verità avrebbe potuto essere raggiunta dalla semplice riflessione astratta ? Certamente no. L’alterazione drammatica della personalità antropologica, sociale o psicologica di Giobbe ha avuto come effetto di lasciar sussistere in lui solo il suo animo, cioè l’unica istanza suscettibile di decisione morale e di speranza escatologica. La malattia ha fatto passare Giobbe in una specie di fuoco che ha bruciato in lui tutto ciò che non era essenziale.
Philippe Nemo


LA CHIESA E L’ORIZZONTE DELLA SPERANZA - IMPEGNI AI QUALI NON SI PUÒ VENIR MENO - FRANCESCO D’AGOSTINO – Avvenire, 25 maggio 2010
Densa, come sempre, la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco alla 61ª Assemblea Generale della Cei. Le parole che egli ha pronunciato si muovo no tutte nell’orizzonte della speranza: non la speran za, a volte dolce, ma ingenua di chi cerca di rimuove re le sofferenze del presente, augurando a sé e agli al tri un generico futuro 'migliore', ma la speranza cri­stiana, di chi sa che sperare in modo autentico signi fica mettere alla prova se stessi con un serio e fiducio so operare nel mondo. Molteplici i temi trattati nella prolusione. A molti ap­parirà predominante, e non a torto, quello della pe dofilia, affrontato dal cardinale in modo limpido ed e splicito e soprattutto in stretta connessione con le in dicazioni che provengono dagli insegnamenti e dalle indicazioni pastorali del Papa. Il tema è conturbante, ma la Chiesa non deve esitare ad affrontarlo; non è del mondo che il cristiano deve aver paura, ma del pec cato e delle sue tragiche conseguenze, nella consape volezza che la più autentica risposta che è possibile da re al peccato, cioè la penitenza, appartiene anche es sa all’ordine della grazia. Più che sulla pedofilia, sem bra però opportuno soffermarsi oggi su altri due temi, non perché siano più rilevanti di questo, ma perché in essi, più ancora che in quello della pedofilia, siamo messi in grado di percepire la specificità dell’approc cio ecclesiale a questioni che possiedono una rilevan za non solo antropologica, ma più spiccatamente 'ci vile'; questioni, cioè, per le quali alcuni potrebbero pensare che un intervento da parte della Chiesa deb ba essere ritenuto inessenziale, se non addirittura su­perfluo.

Non è così. La prima questione è quella demografica. Il presiden te della Cei non rinuncia ai toni che gli sono propri, ca ratterizzati da una pacata fermezza. Ma non è possi bile sottovalutare la forza di un’affermazione che egli fa, quella secondo la quale l’Italia sta andando «verso un lento suicidio demografico». All’affermazione se guono le cifre che le danno sostanza: oltre il cinquan ta per cento delle famiglie oggi è senza figli; tra quelle che ne hanno, la metà ha un figlio solo; solo il cinque per cento delle famiglie con prole ha tre o più figli. Il cardinale non usa molte parole per spiegare il signifi cato antropologico di questi dati: se viene meno la co scienza del valore che ha l’aver figli viene inevitabil mente meno la percezione del valore della vita stessa. I figli, dice Bagnasco, sono «doni che moltiplicano il cre dito verso la vita e il suo domani»; essi sono, in altre parole, il segno che la vita ha un senso e che ha un sen so lottare per darle un senso. Il necessario e doveroso impegno dello Stato nel sostegno delle famiglie non va visto quindi solo in chiave economico-politica, ma in un orizzonte più ampiamente antropologico.

L’altra grande questione affrontata è quella dell’ormai prossimo anniversario dell’unità d’Italia: un tema sul quale, dice il presidente della Cei, è doveroso con frontarsi «da persone adulte». Che l’ unità del Paese sia una conquista irrinunciabile è un dato acquisito, così come è da ritenere acquisito che l’unità non vada in terpretata come il prevalere di un progetto su altri pro getti, ma come il «coronamento di un processo», di un lungo processo nazionale, culturale, artistico, e so prattutto religioso; un processo di cui i cattolici sono stati protagonisti, al punto da poterli qualificare – con un’ espressione a suo modo ardita – «tra i soci fonda tori di questo Paese». Anche le questioni più laceran ti che hanno tormentato tante coscienze nel corso del processo risorgimentale sono ormai ricomposte: l’e splicita citazione dei nuovi accordi concordatari tra Stato e Chiesa del 1984 serve a sottolineare come, an che in questo ambito, la «pacificazione» sia ormai com pletamente raggiunta. Tutte queste osservazioni, av verte però il cardinale, vanno intese non come rivolte verso il passato, ma come aperte al futuro, perché il no stro «stare insieme» si radichi sempre di più nella vo lontà di «volersi reciprocamente più bene». Questo è il grande insegnamento, nello stesso tempo 'politico' e 'meta-politico' che, tramite le parole di Bagnasco, la Chiesa rivolge a tutti i cittadini: il nostro vincolo na zionale non si fonda su meri interessi, o su accordi po litico- procedurali, né meno che mai sulla condivisio ne di sentimenti nazionalistici o narcisistici. Esso si fonda sulla consapevolezza che esiste un bene comu ne di noi italiani, un bene che va costantemente pro mosso attraverso riforme concrete e intelligenti. A que sto impegno i cattolici non vogliono, né possono ve nir meno.