lunedì 10 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: MARIA, MADRE E MODELLO DELLA CHIESA - Intervento in occasione del Regina Caeli
2) BENEDETTO XVI: LA VERGINE MARIA, IL FIORE PIÙ BELLO DELLA CREAZIONE - Annuncia la sua prossima visita a Fatima
3) Avvenire.it, 9 Maggio 2010 - In cammino verso Roma - Domenica prossima a san Pietro Per pregare col Papa
4) L’Angelo di Fatima e l'Eucaristia - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.roma.it
5) Non scherziamo col diavolo - Le principali tappe e caratteristiche del satanismo moderno. Domande che molti si pongono ma che spesso non trovano risposte - Massimo Introvigne - Il Timone n.92 – dal sito Pontifex.roma.it
6) J’ACCUSE/ L’aborto banale, la nuova moda dei moderni benpensanti - Carlo Bellieni - lunedì 10 maggio 2010 – ilsussidiario.net
7) LA STORIA/ Gianluca, Cesare, Riccardo, Patricio e David: quando la disabilità crea un evento – Redazione - lunedì 10 maggio 2010 – ilsussidiario.net
8) Sempre più labile la tutela dell’embrione - DA RICCIONE (RIMINI) - PAOLO GUIDUCCI – Avvenire, 9 maggio 2010
9) Maria Apparizioni, segno di contraddizione - di René Laurentin – Avvenire, 9 maggio 2010
10) Maria Apparizioni, segno di contraddizione - di René Laurentin – Avvenire, 9 maggio 2010 - Le visioni mariane sono l’argomento teologico meno scientificamente studiato, il più nascosto e controverso. Ci sono ottime e serie ragioni per cui esse disorientano e sono combattute: quando radunano le masse l’amministrazione civile si mobilita perché turbano l’ordine pubblico, mentre per la ricerca universitaria sono dei non-luoghi, a metà tra illusioni e fenomeni sociologici Nel corso dei secoli non solo le rivelazioni dei veggenti si sono moltiplicate, ma hanno acquistato significati sempre più vasti. - Guadalupe è considerata la base della cultura meticcia del Nuovo Mondo; La Salette ha mobilitato grandi spiriti, da Don Bosco a Rimbaud, Bloy e Claudel; Lourdes ridiede valore alla priorità dei poveri secondo il Vangelo; Fatima ha profetizzato fin dal 1917 l’implosione del comunismo
BENEDETTO XVI: MARIA, MADRE E MODELLO DELLA CHIESA - Intervento in occasione del Regina Caeli
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 9 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della recita del Regina Caeli insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Maggio è un mese amato e giunge gradito per diversi aspetti. Nel nostro emisfero la primavera avanza con tante e colorate fioriture; il clima è favorevole alle passeggiate e alle escursioni. Per la Liturgia, maggio appartiene sempre al Tempo di Pasqua, il tempo dell’"alleluia", dello svelarsi del mistero di Cristo nella luce della Risurrezione e della fede pasquale; ed è il tempo dell’attesa dello Spirito Santo, che scese con potenza sulla Chiesa nascente a Pentecoste. Ad entrambi questi contesti, quello "naturale" e quello liturgico, si intona bene la tradizione della Chiesa di dedicare il mese di maggio alla Vergine Maria. Ella, in effetti, è il fiore più bello sbocciato dalla creazione, la "rosa" apparsa nella pienezza del tempo, quando Dio, mandando il suo Figlio, ha donato al mondo una nuova primavera. Ed è al tempo stesso protagonista, umile e discreta, dei primi passi della Comunità cristiana: Maria ne è il cuore spirituale, perché la sua stessa presenza in mezzo ai discepoli è memoria vivente del Signore Gesù e pegno del dono del suo Spirito.
Il Vangelo di questa domenica, tratto dal capitolo 14 di san Giovanni, ci offre un implicito ritratto spirituale della Vergine Maria, là dove Gesù dice: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). Queste espressioni sono rivolte ai discepoli, ma si possono applicare al massimo grado proprio a Colei che è la prima e perfetta discepola di Gesù. Maria infatti ha osservato per prima e pienamente la parola del suo Figlio, dimostrando così di amarlo non solo come madre, ma prima ancora come ancella umile e obbediente; per questo Dio Padre l’ha amata e in Lei ha preso dimora la Santissima Trinità. E inoltre, là dove Gesù promette ai suoi amici che lo Spirito Santo li assisterà aiutandoli a ricordare ogni sua parola e a comprenderla profondamente (cfr Gv 14,26), come non pensare a Maria, che nel suo cuore, tempio dello Spirito, meditava e interpretava fedelmente tutto ciò che il suo Figlio diceva e faceva? In questo modo, già prima e soprattutto dopo la Pasqua, la Madre di Gesù è diventata anche la Madre e il modello della Chiesa.
Cari amici, nel cuore di questo mese mariano, avrò la gioia di recarmi nei prossimi giorni in Portogallo. Visiterò la capitale Lisbona e Porto, seconda città del Paese. Meta principale del mio viaggio sarà Fátima, in occasione del decimo anniversario della beatificazione dei due pastorelli Giacinta e Francesco. Per la prima volta come Successore di Pietro mi recherò a quel Santuario mariano, tanto caro al Venerabile Giovanni Paolo II. Invito tutti ad accompagnarmi in questo pellegrinaggio, partecipando attivamente con la preghiera: con un cuore solo ed un’anima sola invochiamo l’intercessione della Vergine Maria per la Chiesa, in particolare per i sacerdoti, e per la pace nel mondo.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i partecipanti alla 30.ma Maratona di Primavera – Festa della Scuola Cattolica, guidati dal Cardinale Vicario Agostino Vallini. Cari amici – dirigenti, docenti, alunni e genitori delle scuole cattoliche di Roma, del Lazio e di altre parti d’Italia –, vi auguro di concludere nel modo migliore l’anno scolastico. Soprattutto, vi incoraggio a tenere sempre alta la qualità dell’istruzione e dell’educazione nelle vostre scuole, che sono un patrimonio prezioso per la Chiesa e per l’Italia. Grazie di essere venuti! Saluto i vari gruppi parrocchiali: la sosta presso la tomba di san Pietro rafforzi la fede e lo spirito di comunione. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
BENEDETTO XVI: LA VERGINE MARIA, IL FIORE PIÙ BELLO DELLA CREAZIONE - Annuncia la sua prossima visita a Fatima
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 9 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Vergine Maria è la discepola più perfetta, il fiore più bello nato dalla creazione. Con queste parole Benedetto XVI ha introdotto questa domenica la tradizionale recita del Regina Caeli con i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.
Il Papa ha parlato del suo imminente viaggio in Portogallo, questa settimana.
“Meta principale del mio viaggio sarà Fatima, in occasione del decimo anniversario della beatificazione dei due pastorelli Giacinta e Francesco. Per la prima volta come Successore di Pietro mi recherò a quel Santuario mariano, tanto caro al Venerabile Giovanni Paolo II. Invito tutti ad accompagnarmi in questo pellegrinaggio”:
Il Pontefice ha ricordato la tradizione cristiana di dedicare il mese di maggio a Maria, tradizione che “si intona bene” a questa epoca dell'anno, in cui arriva la primavera, in coincidenza con la Pasqua e la Pentecoste.
Maria, ha affermato il Papa, “è il fiore più bello sbocciato dalla creazione, la 'rosa' apparsa nella pienezza del tempo, quando Dio, mandando il suo Figlio, ha donato al mondo una nuova primavera”.
Allo stesso tempo, è “protagonista, umile e discreta, dei primi passi della Comunità cristiana: Maria ne è il cuore spirituale, perché la sua stessa presenza in mezzo ai discepoli è memoria vivente del Signore Gesù e pegno del dono del suo Spirito”.
Per i cristiani, ha ricordato Benedetto XVI, “è la prima e perfetta discepola di Gesù. Maria infatti ha osservato per prima e pienamente la parola del suo Figlio, dimostrando così di amarlo non solo come madre, ma prima ancora come ancella umile e obbediente”.
“Per questo Dio Padre l’ha amata e in Lei ha preso dimora la Santissima Trinità”, ha aggiunto. Ricordando, inoltre, il brano evangelico in cui Gesù promette il dono dello Spirito Santo, “come non pensare a Maria, che nel suo cuore, tempio dello Spirito, meditava e interpretava fedelmente tutto ciò che il suo Figlio diceva e faceva?”.
“In questo modo, già prima e soprattutto dopo la Pasqua, la Madre di Gesù è diventata anche la Madre e il modello della Chiesa”, ha concluso.
Avvenire.it, 9 Maggio 2010 - In cammino verso Roma - Domenica prossima a san Pietro Per pregare col Papa
Stanno organizzandosi. I voli e i treni dal Nord e dal Sud sono già pieni. Molti ragazzi partiranno all’alba, in pullman: sbarcheranno in piazza san Pietro giusto in tempo per il Regina Coeli, e torneranno a casa a notte. Una faticaccia. Ma vogliono andare dal Papa, domenica 16 maggio; vogliono essere insieme a lui. Pregando: con Benedetto XVI e per la Chiesa, cioè per ognuno di noi. E per quelli che hanno sofferto il terribile male che lo stesso Benedetto ha denunciato; e perfino per chi ha compiuto quel male – in una misericordia che è incomprensibile e scandalosa ai giusti, e agli "onesti".
Stanno per mettersi in cammino, verso Roma. Già a Torino, domenica scorsa, attorno al Papa si è vista una gran folla, un popolo di ragazzi, famiglie, bambini, vecchi, che lo ha abbracciato all’ingresso in piazza San Carlo con un lungo applauso. Dalla tribuna della stampa, i giornalisti stranieri osservavano stupiti quell’accoglienza; chiedendosi come mai, dopo settimane di attacchi e accuse, ancora tanta gente gremiva una piazza per il Papa. (Sembrava anzi che quell’accoglienza fosse più calda del solito. Che la gente, vedendone la faccia stanca, e più evidente il peso degli anni in questo tempo di burrasca, gli volesse più bene).

A Roma, domenica, come si va da un padre; con la premura con cui si accorre da un padre che si vede anziano, e affaticato sotto un grande peso. Come avendo iniziato a comprendere quale desiderio anima quest’uomo, e che cosa lo spinge all’audacia di parole come quelle ai cattolici di Irlanda, che ci hanno fatto tremare. Perché svelavano il male e il dolore come il bisturi di un chirurgo che apre una piaga. E chiedevano penitenza, e umana giustizia. E tuttavia, quella lettera non si concludeva con questa domanda. Perché, come scriveva Benedetto alle vittime degli abusi, «nulla può cancellare il male che avete sopportato».

Umanamente, nulla. Solo Cristo, aggiungeva il Papa, «ha il potere di perdonare persino il più grande dei peccati, e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali».

È dentro questa certezza che si spiega perché in tanti andranno al Regina Coeli, domenica. Per dire: siamo con te e siamo con la Chiesa, e anche con chi proprio da uomini di questa nostra Chiesa è stato tradito. Perché in nessun luogo fuori di qui è data la promessa di una misericordia, che è più forte di ogni colpa. Perché nessuno, al di fuori del Dio in cui crediamo, ha il potere «di perdonare perfino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali», come ha scritto Benedetto agli irlandesi. (E a Torino, anche, davanti alla Sindone, ha spiegato come dal buio più oscuro possa venire la luce. Come da quel lenzuolo, ombra di un morto crocefisso, icona della ferocia umana; eppure quanta luce ne emana, così che in milioni vanno a cercare quel volto).

Si metteranno in cammino sabato notte, o domenica all’alba, coi panini, e la cerata per la pioggia di questo maggio fradicio. Si stringeranno dentro al Colonnato. E intorno. Mostrando che cosa è la Chiesa, davvero. Non quell’oscura cupola di potere che immaginano i giornali americani, o la fantasia di Dan Brown. La Chiesa non è riducibile a un umano "potere", e non basterebbe un Watergate a rovesciarla. La Chiesa è "corpo di Cristo", è un popolo. Un popolo che si tramanda da duemila anni la certezza che Cristo ha vinto la morte.

Che la sua misericordia è più forte di ogni tradimento e dolore.
Benedetto XVI è la voce che afferma questa verità, in un mondo che sembra travolto dal nichilismo disperato o dall’ansia, a volte rabbiosa, di una giustizia che sempre ci sfugge. Per lui e con lui, con la Chiesa, al Regina Coeli, domenica. Attorno al padre. A testimoniare, ancora, che un’altra vita, dentro un altro sguardo, è possibile.
Marina Corradi


L’Angelo di Fatima e l'Eucaristia - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.roma.it
Il Santissimo Sacramento è la chiave della terza apparizione dell'Angelo, che apparve di nuovo ai ragazzini quando stavano fuori a prendersi cura delle loro pecore. Nonostante ciò, trovarono il tempo per recitare il rosario e l'orazione dell'Angelo. Cosa l'Angelo doveva ancora annunciare? Aveva già insegnato loro come pregare e come dovevano esprimere il loro amore per mezzo del sacrificio. Ed essi erano estremamente generosi nella preghiera e nel sacrificio. Però chi può superare Dio in generosità? Tutto ciò che Lui ci dà e ci toglie in questa vita è relazionato con quel dono perfetto alla sua propria Persona, che pregustiamo innanzitutto nel Santissimo Sacramento. Quando l'Angelo appare in "Loca de Cabeço", "reggeva un calice fra le sue mani, con sopra un'Ostia, dalla quale fuoriuscivano gocce di sangue che cadevano nel calice". L'Angelo lascia fluttuare nell'aria il calice e l'Ostia e si prostra a terra con i ragazzi, ...
... recitando tre volte la seguente preghiera: "Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, i sacrilegi e l'indifferenza con la quale Lui stesso è offeso. Per i meriti infiniti del suo Santissimo Cuore e per intercessione dell'Immacolato Cuore di Maria, vi chiediamo la conversione dei poveri peccatori".
In seguito l'Angelo si alza, prende l'Ostia e la dà a Lucia, mentre a Giacinta e Francesco fa bere il contenuto del calice. Facendo questo dice: "Ricevete il Corpo e bevete il Sangue di Gesù Cristo, che tanto orribilmente è offeso da ingrati uomini. Espiate i loro peccati, consolate il loro Dio!". Ancora una volta si prostra al suolo con i ragazzi, ripete tre volte l'orazione alla Santissima Trinità e scompare.
Così come la prima preghiera: "Dio mio, io credo..." è il riassunto di tutta la Legge e dei Profeti, poiché mostra in forma di preghiera un'espressione perfetta dell'amore a Dio e al prossimo, così la nuova preghiera: "Santissima Trinità..." è una raccolta di tutto il Nuovo Testamento che consiste nella rivelazione della Santissima Trinità e della morte in croce del Figlio di Dio fatto uomo. La sua morte ci è presentata quotidianamente nel santo sacrificio della messa e nella Santa Comunione. Le preghiere dell'Angelo sintetizzano la dottrina essenziale dell'Antica e della Nuova Alleanza: sono, nel loro fondamento, orazioni bibliche.
La preghiera alla Santissima Trinità serve molto bene come preparazione a ricevere la Santa Comunione e anche come azione di grazie dopo averla ricevuta. I sacramenti di Cristo, in modo efficace, suscitano grazie in tutti quelli che li ricevono con una retta intenzione. Però questa apertura a Dio nei sacramenti è distinta in ogni persona, ciò spiega perché tanta gente che anno dopo anno riceve la Santa Comunione, anche così non arriva alla santità: perché collabora in poca misura con la grazia e non si prepara adeguatamente alla venuta di Cristo nella sua anima. Se pregassimo con questa orazione e con altre preghiere formulate in modo simile assieme al nostro Angelo Custode, senza nubi avremmo maggior profitto spirituale delle nostre Sante Comunioni, e se pregassimo di più per gli altri, essi riceverebbero a loro volta grazie più ricche, per poter rispondere ai sacramenti di Cristo con più magnanimità.
Come è triste quando in molte anime il momento della comunione si riduce ad un deglutire l'Ostia. Invece di parlare intimamente con Gesù nel proprio cuore, la gente guarda con curiosità quel che succede nella chiesa, guardando l'orologio e, appena terminata la messa, si corre verso l'uscita.
Qui l'Angelo ci insegna a dare a Dio un'azione di grazie adeguata. Una tradizione della Chiesa ci raccomanda di restare in azione di grazie, almeno per 15 minuti. Sant’Alfonso Maria dei Liguori raccomandava ai sacerdoti di fare un'ora di ringraziamento dopo la messa. Il tempo in cui abbiamo il nostro Signore, Gesù Cristo esclusivamente per noi in "udienza privata" è innegabilmente il tempo prezioso della nostra giornata. Se gli uomini non sanno approfittare della sua presenza eucaristica nei loro cuori, difficilmente potranno infiammarsi di un grande amore a Dio in altre occasioni.
La missione dell'Angelo è quella di condurci a Dio e al luogo che Lui ci ha preparato. Dio è sempre presente nel Santissimo Sacramento in Corpo e Sangue, Anima e Divinità, in ogni tabernacolo della terra. Cristo, il Verbo Incarnato di Dio, assume la forma di pane e vino per poter entrare in noi come alimento e per essere così la nostra vita e il nostro cammino verso il Padre.
In tutto questo, l'Angelo è un amico ricco di premure, un messaggero e un mediatore inviato da Dio, che deve portare le anime a questa unione personale con Lui e formarle nella magnanimità dell’amore. L’Angelo è come Giovanni Battista, che si rallegra quando sente la voce dello sposo Gesù Cristo, il cui cammino preparò e alla cui presenza si ritira con riverenza nell’anima.
Una vita spirituale consiste essenzialmente nella crescita nell’unione con Dio. Una fede che agisce attraverso l’amore è la chiave per la santità. Tutto il resto è di secondaria importanza. Esiste la tentazione di pensare: “Oh se anch’io ho avuto tali visioni celesti e apparizioni, allora di sicuro sarò un santo!”. Però né le visioni, né le apparizioni straordinarie fanno germogliare i santi, ma solo ed unicamente quella misteriosa collaborazione della nostra libera volontà con la grazia di Dio. La Divina Provvidenza ci invita tutti alla santità e dona ad ognuno di noi le grazie e i mezzi per il risultato di questa grande fine. L’imitazione di Cristo, di Sua Madre e dei santi è il cammino più sicuro verso il cielo. Quando Dio interagisce con il nostro mondo profeticamente, come fece a Fatima tramite l’Angelo e Maria Santissima, non dobbiamo dimenticare che Egli, come Dio, è sempre fra di noi in tutto ciò che facciamo e pensiamo.
Essere fra di noi in forma divina, non bastò alla urgenza del suo amore. Anche lui voleva sempre stare in mezzo a noi con la sua umanità. In ogni tabernacolo del mondo egli si trova presente in Corpo e Sangue, Anima e Divinità, amandoci, aspettandoci e desiderando che il nostro amore gli corrisponda. La terza apparizione dell’Angelo è una grande dimostrazione di questo amore di nostro Signore, egli non solo vuole restare nel tabernacolo, ma vuole anche visitare e abitare nel nostro cuore.
Secoli di Giansenismo contribuirono affinché i cuori degli uomini restassero freddi. Pochi rischiavano di ricevere la santa comunione con frequenza. Di fronte all’insistenza parziale della maestà di Dio, gli uomini dimenticarono ciò che Papa Pio X con molto tatto esprimeva: “Il desiderio di Cristo e della Chiesa è che tutti si avvicinò al santo banchetto quotidianamente, con il fine superiore che i fedeli, uniti a Cristo tramite il sacramento, ottengano da Lui la forza di resistere alle loro passioni carnali e di purificarsi dalle macchie delle loro cadute quotidiane e per evitare quei peccati che più abbattono e quelli che piega la debolezza umana, - di modo che il principale obiettivo non è che si tributi al Signore l’onore e la riverenza dovuti, o che la Santa Comunione sia amministrata come riconoscimento o ricompensa per le virtù di quelli che la ricevono. Da qui che il concilio di Trento chiama l’Eucaristia “il mezzo di salvezza, per liberarci dalle nostre mancanze quotidiane e preservarci dal peccato mortale” (Pio X, Sacra Tridentina Synodus, 20 dicembre 1905). Queste parole del Papa Pio X ci aiutano ad arrivare ad una comprensione più profonda della ragione per cui l’Angelo, dopo i suoi insegnamenti sulle preghiere sul sacrificio come mezzo per ottenere il perdono dei peccati, porta ai ragazzini il Santissimo Sacramento dell’Altare, che è il sacramento perfetto della salvezza.
L’Angelo, dando ai pastorelli il Santissimo Sacramento, dà loro anche un insegnamento profetico sulla Sua posizione nella nostra vita spirituale. Vogliamo chiarire brevemente alcuni punti importanti.
Qui non si tratta soltanto di un intervento straordinario dell’Angelo nell’amministrare la Santa Comunione ai ragazzi – altre persone nella storia della Chiesa, come San Gerardo Maiella, ricevettero la Santa Comunione per mezzo di un Angelo – bensì che in questo caso egli dà la loro prima Santa Comunione a Francesco e Giacinta. Perché l’Angelo fa questo? Lucia aveva già ricevuto la sua prima comunione all’anno precedente. Appena glielo permisero, - nonostante sapesse il catechismo meglio di tutti gli altri ragazzini - , benché erano del parere che lei, a sei anni, fosse molto giovane per questo.
Sette anni prima, il Santo papa Pio X aveva ordinato che i ragazzini che avevano raggiunto l’uso della ragione (più o meno a sette anni) dovevano essere ammessi alla Santa Prima Comunione. Pio X dimostrò che questo doveva essere la volontà di Cristo: “Lasciate che i fanciulli vengano a me, non impediteglielo! perché se non diventerete come bambini non entrerete mai nel regno di Dio” (Mc 10,14). In qualche modo, questo decreto non era nuovo, che i bambini ricevessero la comunione era già praticato nella Chiesa antica. Il Quarto Concilio del Laterano (1215) e, anche più tardi, il Concilio di Trento, insegnarono che si doveva permettere ai bambini che fossero arrivati all’uso della ragione di ricevere la Santa Prima Comunione. L’apparizione dell’Angelo fu un segnale dell’urgenza del Cielo, che fino ad allora aveva negato la comunione ai bambini (sette secoli, dal 1215 al 1916!), e ora, all’inizio del ventesimo secolo, doveva essere introdotta e realizzata per la via più rapida. Era un grande desiderio di Papa Pio X che i bambini non venissero privati del tenero amore di Cristo nella Santissima Eucaristia, perché allora “privi di questo forte aiuto e circondati da molteplici tipi di tentazioni, potevano perdere la loro innocenza e cadere in cattive abitudini già prima di ricevere la Prima Comunione” (Cfr. Quam Singulari, 1910). In modo profetico l’Angelo effettua il decreto papale, invitando Giacinta e Francesco a ricevere la loro Prima Santa Comunione in tenera età.
È da considerare il fatto che l’Angelo dava l’eucaristia sotto le due specie di pane e vino, cioè dà l’Ostia, il corpo di Cristo, a Lucia e, a Giacinta e Francesco il calice con il Preziosissimo Sangue. Per questo possiamo dire che fu l’Angelo di Fatima che “ancora una volta” introduce nella chiesa occidentale la Comunione sotto le due specie. I riti orientali della Chiesa cattolica mantennero sempre la comunione sotto le due specie, talvolta in parte, perché quasi sempre ha sofferto di persecuzioni, mentre questo non è stato il caso della Chiesa latina. È ovviamente chiaro che riceviamo nella sua totalità Cristo, Corpo, Sangue, Anima e Divinità, in ognuna delle due specie, come insegnò sempre la Chiesa. Se di questo volessimo cercare un fondamento simbolico, sarebbe il seguente: il pane è simbolo di vita e, per questo, una partecipazione alla vita di Cristo, mentre il sangue “che sarà versato per voi” è un simbolo adeguato del sacrificio e della morte di Gesù.
Bere dal calice di Gesù significa partecipare alla sua sofferenza. Questo simbolismo viene trasmesso dall’Eucaristia. Così l’operare dell’Angelo alla vigilia della rivoluzione comunista è profetico, poiché l’ateismo pagano del XX secolo sparge più sangue e porta più martiri in Cielo rispetto a tutte le persecuzioni messe insieme nei secoli anteriori. Il XX secolo è stato veramente il secolo dei martiri della Chiesa, per questo, possiamo guardare con ottimismo al nostro secolo ventunesimo, giacché il sangue dei martiri può solo indicare una nuova grande primavera e un rifiorire della fede e della grazia nella Chiesa.
Don Marcello Stanzione
Non scherziamo col diavolo - Le principali tappe e caratteristiche del satanismo moderno. Domande che molti si pongono ma che spesso non trovano risposte - Massimo Introvigne - Il Timone n.92 – dal sito Pontifex.roma.it
Se lo definiamo come l'adorazione in forma rituale del personaggio noto nella Bibbia come il diavolo o Satana, il satanismo è un fenomeno tipicamente moderno, da non confondere con i riferimenti al diavolo in contesti del tutto diversi come la stregoneria del Medioevo. Si manifesta per la prima volta nel gruppo attivo ai margini della corte del re di Francia Luigi XIV (1638-1715) intorno a Catherine La Voisin (11680). Con l'aiuto di un sacerdote cattolico rinnegato, l’abbé Étienne Guibourg (1603-1683), la La Voisin organizza per dame di corte le prime "Messe nere" nelle quali il diavolo è adorato per ottenere favori o vantaggi materiali. La La Voisin è condannata a morte, mentre Guibourg muore in carcere. Questo episodio, scandaloso ma circoscritto, acquista un'enorme notorietà europea grazie alle gazzette, in un'epoca in cui la stampa comincia a diventare socialmente importante. Così sorgono, sia pure in proporzioni ...
... modeste, imitatori. "Messe nere" e altre cerimonie sataniche sono celebrate nel Settecento in Italia - nel Ducato di Modena, ai margini più discutibili dell'eresia quietista -; in Inghilterra, fra i libertini che si riuniscono all'abbazia di Medmenham intorno al ministro delle Finanze sir Francis Dashwood (1708-1781), che danno tuttavia al satanismo un'impronta ludica, razionalista e anti-clericale; e forse in Russia, dove peraltro le fonti sono scarse.
Nell'Ottocento le informazioni sul satanismo sono incerte e ambigue, e provengono spesso da personaggi che - pure avendo veramente indagato nella subcultura satanista - talora ne fanno in qualche modo parte, ovvero mescolano la fantasia con la realtà, come il giornalista Jules Bois (1868-1943).
Quest'ultimo è uno dei principali informatori del romanziere Joris-Karl Huysmans (1848-1907), che nel 1891 pubblica il romanzo Là-bas ("Nell'abisso"). Questo testo contiene la più famosa descrizione letteraria di una "Messa nera", che è servita da modello a numerosi satanisti in carne e ossa.
Nel romanzo, Huysmans ha utilizzato - certo rielaborandole - informazioni relative alle esperienze negli ambienti satanisti della sua amica Berthe Courrière (1852-1917), in seguito alle quali egli riteneva credibili le accuse rivolte al sacerdote belga Louis Van Haecke (1829-1912) - la cui effettiva colpevolezza costituisce ancora oggi argomento di fervente dibattito fra gli storici - di celebrare Messe nere e di essere, in realtà, un importante capo satanista. L'intera vicenda scuote profondamente Huysmans che, miscredente al momento della sua inchiesta e della pubblicazione del romanzo. Si converte e diventa un buon cattolico.
Il caso Taxil
Léo Taxil (1854-1907), un massone autore di virulente opere anticlericali di carattere pornografico, nel 1885 annuncia la sua clamorosa conversione al cattolicesimo. Dopo la pubblicazione di Là-bas di Huysmans e attingendo abbondantemente all'opera del romanziere belga, produce, con alcuni collaboratori, in pochi anni decine di opere e migliaia di pagine in cui rivela le attività dei palladisti che, ispirati direttamente da Satana, guidano segretamente la massoneria e controllano numerosi governi europei.
Molti avversari della massoneria gli credono, ma non tutti; altri - nello stesso mondo cattolico - sospettano un inganno. Finalmente, di fronte alle pressioni, Taxil il 19 aprile 1897 confessa in una conferenza a Parigi di avere semplicemente simulato la sua conversione e di avere completamente inventato la storia del palladismo per prendersi gioco dell'estrema credulità di certi cattolici.
La vicenda di Taxil rimane problematica e oscura - è certo che abbia abilmente mescolato documenti veri e falsi, mentre rimane un dubbio sulle sue motivazioni ultime - ma, per quanto riguarda il satanismo, il prevedibile effetto è quello di fare riemergere satanisti autentici che - per paura di essere confusa con le provocazioni del famoso impostore - la stampa, nei primi anni del ventesimo secolo, tratta perfino con simpatia. È il caso di Maria de Naglowska (1883-1936), che apre a Parigi un Tempio di Satana, descritto con singolare indulgenza dalla stampa e giustificato da una complessa quanto bizzarra teologia.
Sono anche questi gli anni in cui si esercita sull'ambiente satanista l'influenza di Aleister Crowley (1875-1947). A rigore non satanista, in quanto non crede all'esistenza del diavolo - e anzi polemico con i satanisti, che accusa di credere al "nemico", cioè alla Bibbia cristiana -, Crowley influenza in modo decisivo John Whiteside Parsons (1914-1952), un ingegnere e scienziato californiano, celebre esperto di esplosivi, che elabora nella Loggia Agape un culto dell'Anticristo prima di saltare in aria nell'esplosione del suo laboratorio.
Con Parsons ci troviamo alla vigilia del vero e proprio satanismo contemporaneo, che nasce con un cineasta underground di Hollywood, Kenneth Anger, e con il suo amico Anton Szandor LaVey (1930-1997), fondatori nel 1961 di un'organizzazione chiamata Magic Circle e nel 1966 della Chiesa di Satana. Negli stessi anni Mary Ann Maclean (1931-2005) e suo marito Robert de Grimston Moor (nato nel 1935 e tuttora vivente) fondano a Londra The Process, un'organizzazione oggi non più esistente costruita intorno a una teologia "luciferiana" particolarmente sofisticata. I primi anni della Chiesa di Satana di LaVey sono quelli del maggiore successo giornalistico, grazie all'adesione di personalità di Hollywood.
La Chiesa di Satana è peraltro piagata, sin dalle sue origini, da problemi interni ed esterni. All'interno si sviluppa una tensione tra il satanismo "razionalista" di LaVey, che interpreta sostanzialmente Satana come il simbolo di una rivolta razionalista e atea contro la religione e la morale, e un'ala "occultista", il cui leader è il luogotenente stesso di LaVey, Michael Aquino (all'epoca colonnello dell'esercito americano, specializzato in guerra psicologica e disinformazione). Queste tensioni portano nel 1975 a uno scisma e alla fondazione da parte di Aquino del Tempio di Set.
Da questo satanismo degli adulti, che si articola in gruppi che hanno una continuità dottrinale e rituali, capi identificabili, sedi, talora anche pubblicazioni, si deve distinguere un satanismo giovanile, talora chiamato satanismo "acido", per la sua associazione assai frequente con la droga. Quest'ultimo è composto da gruppuscoli di giovani, privi di una continuità organizzativa e rituale e di contatti con i gruppi del satanismo organizzato, che mettono in scena rituali satanici "selvaggi" o caserecci sotto l'influsso di film, trasmissioni televisive, fumetti, musica. I due filoni - adulto e giovanile -hanno tra loro collegamenti solo indiretti. Ma degli eccessi del secondo il primo non può dirsi innocente, perché gioca il tipico ruolo del "cattivo maestro".
Il problema del "satanismo giovanile"
Nei gruppi giovanili è più facile che sia completamente perso il senso del limite fra metafora e realtà, e che quindi - spesso sotto l'influsso della droga - si trascenda in atti di violenza carnale, e in casi molto rari (ma non inesistenti) si verifichino anche sacrifici umani, come mostra il gravissimo episodio italiano delle Bestie di Satana venuto alla luce in Lombardia nel 2004 con la scoperta di almeno tre omicidi perpetrati da un gruppuscolo di satanisti del Varesotto. Il caso di Varese è un monito per tutti quelli che dimenticano che il satanismo - se rischia talora di essere sopravvalutato nelle sue dimensioni quantitative - non è però mai innocuo.
In Italia, prima del caso delle Bestie di Satana, un campanello d'allarme era del resto già suonato il 7 giugno 2000 con il caso di Chiavenna (Sondrio), li quando una religiosa della congregazione delle Figlie della Croce - Suore di Sant'Andrea, suor Maria Laura Mainetti (1939-2000), era stata uccisa da tre ragazze, tutte minorenni, che avevano dichiarato di voler sacrificare la suora a Satana. La religiosa - di cui è iniziato nel 2005 il processo di beatificazione - era morta chiedendo a Dio di perdonare le sue assassine. Le tre ragazze non erano in contatto con nessun gruppo organizzato di satanisti, e avevano tratto da Internet i loro rituali fai da te.
Neppure le Bestie di Satana facevano parte, peraltro, di potenti network nazionali o internazionali di satanisti: i processi lo hanno esplicitamente escluso. Forse i media farebbero bene a sottolinearlo, perché ipotizzando fantasiosi complotti mondiali dietro questi drammi dello squallore giovanile il rischio è che qualcuno - specie tra i giovani psicologicamente e culturalmente più deboli - rimanga non solo spaventato ma affascinato.
Il modo più efficace di mettere in guardia i giovani è quello di mostrare questi satanisti del "fai da te" criminale per quello che sono: perdenti senza onore e senza idee, non potenti principi delle tenebre ma - molto letteralmente, e nel senso peggiore del termine - poveri diavoli.
Bibliografia
Massimo Introvigne, I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo, Sugarco, 2010.
Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, L'ora di Satana, Piemme, 2009.
Don Gino Oliosi, Il demonio come essere personale, Fede & Cultura, 2008.
P. Morene Fiori O.P., Spiritismo, satanismo, demonologia, Aleph edizioni, 2009.
Annalisa Colzi, Come Satana corrompe la società. Con intervista esclusiva a P. Gabriele Amorth, Città ideale, 2009.
Massimo Introvigne - Il Timone n.92
Avvenire.it, umanesimo e scienza - 7 Maggio 2010 - 4 - Il latinista Oniga - Virgilio & Socrate sotto le Torri gemelle
«La società dei consumi ha bisogno di individui ignoranti, isolati e insoddisfatti, quindi facilmente manipolabili dagli apparati di potere della scienza e della tecnica. Perciò i classici sono guardati con sospetto: insegnano a ragionare con la propria testa. Tutto questo avviene in nome del primato dell’economia sull’etica». Parla Renato Oniga, uno dei maggiori latinisti italiani, ordinario di lingua e letteratura latina all’università di Udine. Con i suoi libri (come Contro la post-religione. Per un nuovo umanesimo cristiano, Fede&Cultura) stigmatizza la «dilagante propaganda antiumanistica e anticristiana». A Venezia, al convegno «Paideia-Humanitas: i classici per la scuola dell’Europa», ha affermato che «bisogna riproporre in forme rinnovate lo spirito del Rinascimento e dell’Umanesimo, universalmente riconosciuto come uno dei punti più alti toccati dalla civiltà italiana». Oniga sta elaborando il metodo neo-comparativo per confrontare la struttura linguistica dell’idioma di Virgilio con quella delle lingue moderne e per sviluppare l’utilità del latino adattandolo ai tempi attuali.
Professore, il distacco conflittuale tra conoscenza scientifica e conoscenza umanistica ha arrecato danni alla cultura negli ultimi due secoli. Da qualche anno si tenta (per esempio nelle università cattoliche) di riannodare il dialogo tra scienza, filosofia e teologia. Ma ora, nonostante sia diffuso il desiderio di rilanciare un ponte fra le «due culture», una parte degli scienziati dissotterra l’ascia di guerra. Lo scientismo attacca l’umanesimo?
«Si tratta di un fenomeno sorprendente. All’interno dell’università, tutti avvertono l’esigenza di saldare le istanze della scienza con quelle dell’umanesimo. Perfino nell’area tecnologica si è consapevoli che le applicazioni debbano rivolgersi sempre a favore dell’uomo, e mai contro. Fuori dal mondo accademico, invece, nelle librerie e nelle edicole, perfino nei supermercati e negli autogrill, una certa saggistica esibisce una petulante polemica anti-umanistica, la nuova teologia di una scienza che pretende di farsi chiesa».
Storicamente l’umanesimo è una grande tradizione che mira a costruire un mondo basato sulla ragione, sulla libertà, sul genio e sui sentimenti dell’uomo e a difenderne la dignità e il valore. L’attacco contro l’umanesimo sembra un’impresa antistorica. E allora perché viene sferrato?
«Il teologo John Haught ha ipotizzato che si tratti di una reazione all’attentato alle Torri Gemelle. Lo sdegno contro un crimine orrendo, ammantato da motivazioni religiose, avrebbe indotto a pensare che si debba farla finita con l’umanesimo e con le religioni, sempre in guerra tra loro, per abbracciare la religione universale e pacifica della scienza. Ma la scienza è stata così "pacifica" da convivere perfino con il nazismo... Per sua natura è moralmente neutra. Solo l’umanesimo e la religione possono indurci ad affermare che la vita umana è il bene più prezioso. Probabilmente, le motivazioni dell’attacco contro l’umanesimo sono assai meno nobili».
Di che cosa si tratta? Perché cresce la pressione diretta a ridurre lo spazio del sapere umanistico nelle scuole? Nessuno può negare la funzione educativa dei classici.
«Soprattutto la scuola media superiore si trova oggi sotto pressione; è a rischio il suo tradizionale ruolo di formazione globale della persona. Lo spazio della cultura classica è ridotto al minimo. Le nozioni classiche e cristiane di cultura disinteressata, coscienza storico-critica, valori letterari e artistici, appaiono un residuo del passato, cose inutili se non pericolose. La società dei consumi ci vuole acriticamente obbedienti, anzi succubi. I classici permettono invece di smascherare le ideologie, come lo scientismo».
Ma come nasce l’uomo di scienza? L’insegnamento delle discipline umanistiche (della filosofia, in particolare) quanto contribuisce alla sua formazione? Oggi questo tipo di educazione integrale (scienze umane e scienze «dure») non viene più assicurato?
«Nell’insegnamento universitario, la specializzazione è necessaria. L’università dovrebbe condurre gli studenti ai livelli più avanzati della conoscenza e della ricerca scientifica. La formazione di base dovrebbe essere già avvenuta nei cicli precedenti dell’istruzione. Purtroppo, questa formazione scolastica sta venendo a mancare; un numero crescente di giovani arriva all’università senza avere mai studiato seriamente il latino o la filosofia. Non sappiamo come colmare le lacune, c’è anche il rischio che si vada verso una licealizzazione dell’università, che sarebbe deleteria».
Se la formazione degli scienziati è carente sotto il profilo umanistico, il ricercatore non rischia di diventare portatore di una scienza anti-umanistica (o addirittura «anti-umana»)?
«Sì, è a rischio la stessa qualità della ricerca scientifica. Vorrei citare il libro di Giorgio Israel che non è né umanista né cristiano ma le cui analisi mi sento di condividere: Chi sono i nemici della scienza? (Lindau). L’analisi dimostra come in passato la scuola umanistica non abbia mai impedito che l’Italia producesse scienziati di prim’ordine. Al contrario, il trionfo dello scientismo ci ha condotti al fallimento, proprio nel settore scientifico. Sono gli stessi scienziati a riconoscere che, senza una più ampia prospettiva umanistica, la scienza finisce per ridursi a quella che Israel chiama "malascienza": una concezione mitica e magica, che non produce più vere scoperte, ma solo propaganda sterile e auto-compiaciuta».
L’umanesimo contiene le radici della cultura occidentale. Ma l’Europa sembra indifferente all’attacco ai classici.
«Giustamente Benedetto XVI ha denunciato il pericolo di un’Europa che ormai odia sé stessa. Io colgo in questo clima la più evidente degenerazione di una certa idea di modernità. Chi rifiuta l’antichità, dopo qualche tempo viene travolto dalla sua stessa critica; tutto finisce per autodistruggersi. Come ha detto lo storico François Furet, stupisce la capacità infinita dell’Occidente di avere figli che detestano la società in cui sono nati, ma non sanno prospettare alternative. L’intellettuale responsabile dovrebbe fare semplicemente il proprio mestiere: trasmettere alle nuove generazioni quello che è il loro patrimonio culturale, dove si trova il peggio ma anche il meglio di ciò che l’umanità abbia mai saputo creare. Mi capita spesso di cogliere negli studenti, appena scoprono certi capolavori classici, un sincero entusiasmo, ma anche una meraviglia per il fatto che nessuno gliene abbia mai parlato prima. Le alternative alla miseria della cultura dominante ci sono, basta cercarle nei classici».
Luigi Dell'Aglio
J’ACCUSE/ L’aborto banale, la nuova moda dei moderni benpensanti - Carlo Bellieni - lunedì 10 maggio 2010 – ilsussidiario.net
L’aborto continua a far notizia. Giorgio Montefoschi scrive sul Corriere della Sera del 5 maggio che dietro la banalizzazione dell’aborto c’è qualcosa di inquietante. “Chi può negare - scrive - che la precocità, la disinvoltura, la mancanza di ogni consapevolezza, il travalicamento di ogni equilibrio nel rapporto fra la sessualità e il sentimento amoroso è il primo gradino che può condurre alla soppressione della vita?”.
C’è una banalizzazione del sesso alla base dell’aborto? Certo che c’è qualcosa, ma forse è anche più inquietante di quanto spiega Montefoschi, e lo chiamerei una paura assoluta dell’altro. Già: un’incapacità che diventa paura e fobia, come accade per le cose ignote; e l’altro (il fidanzato, il figlio) è l’ignoto per eccellenza, ma dato che ci hanno raccontato che l’ignoto non esiste e che la vita è tale solo nella misura in cui possiamo maneggiarla, gestirla, sezionarla, misurarla, allora l’altro non deve esistere se non entra nelle mie categorie; deve scomparire.
Si chiama pedofobia nel caso dei bambini, che sono diventati i grandi esclusi di questa società: sono invisibili, accettati solo a certe condizioni, sono di troppo perché la vita deve essere dedita solo a ciò che è misurabile e comprabile. L’avversione verso questo “tu” che è il “tu” per eccellenza, il bambino, ha il volto dell’infinità di precauzioni che troviamo sul mercato per evitare che venga concepito, cui non fa contrappeso un pari numero di agevolazioni ad aver figli.
E si finisce con lo stupirsi addirittura che dopo un aborto - è successo di recente - gli batta il cuore (gli batteva due minuti prima nell’utero, cosa pensate che sia cambiato dopo “l’espulsione”?), o ci si stupisce che non sia quella perfezione che abbiamo vagheggiato a tavolino (la gravidanza si immagina solo garantita e perfetta) e si chieda l’aborto per malattie curabili (succede anche questo).
Certo che dietro la banalizzazione dell’aborto c’è altro, ma non un fenomeno “attivo” come potrebbe essere la “voglia di divertirsi”, ma un fenomeno assolutamente passivo: la solitudine da un lato, e dall’altro la fuga dettata dalla paura di un “tu”, che nessuno insegna a chiamare per nome.
E questa fuga è alla base anche della banalizzazione del sesso: sesso libero, ma figli vietati, traguardo lontano e impossibile, dunque sesso svuotato come giocare una partita di pallone senza le porte, senza la prospettiva di un “tu-uomo” con la prospettiva della fusione totale e di un “tu-figlio” che cresce in sé.

E allora gli dicono che il figlio deve essere solo “una scelta” e questo ritornello lo imparano sui banchi di scuola; nessuno le obbliga (fortunatamente non più) a procreare contro voglia, e per questo ci piacerebbe che procreassero quando e quanto davvero vogliono, invece vengono incoraggiate a guardare con diffidenza e orrore questa loro capacità, ad averne paura, ad aver paura del loro figlio, della loro figlia futura, a tremare all’idea di diventare mamme.
Il sesso non è banalizzato, è svuotato. È un vero terrorismo che rende incapaci i giovani di leggere nel sesso questo “tu”, e li rapina del senso e del gusto.


LA STORIA/ Gianluca, Cesare, Riccardo, Patricio e David: quando la disabilità crea un evento – Redazione - lunedì 10 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Gianluca Pirrotta è un pittore giovane e promettente. Ventinovenne, palermitano d’origine ma romagnolo d’adozione, ha l’arte nelle vene e uno stile unico, oltre che un talento creativo, doti che gli hanno consentito di essere tra i 26 artisti che parteciperanno al premio Euward.
La mostra-premio, che si terrà all’Haus der Kunst di Monaco di Baviera dal 18 novembre 2010 al 9 gennaio 2011, e che è stata fondata nel 2000, è un appuntamento triennale che consente ad artisti outsider, spesso sconosciuti, di promuovere il loro talento e di far conoscere le loro opere al grande pubblico.
Ma Gianluca, così come gli altri candidati al Premio Euward, ha qualcosa che lo rende “particolare” e un po’ “diverso” da tutti noi, o forse solo semplicemente speciale: è un disabile mentale. Non ha mai imparato a leggere e sa scrivere solo il suo nome e altre parole che copia, ma ha sempre dimostrato una spiccata predisposizione per la pittura.
Nei disegni inserisce elementi della sua vita: la casa e la famiglia alla quale è molto legato, i suoi amici e anche le medaglie che vince nelle competizioni sportive (infatti Gianluca pratica nuoto agonistico e spesso si classifica tra i primi tre atleti). Dal 1999 frequenta il centro diurno Emmanuel della Cooperativa sociale Nazareno, una realtà rivolta a persone con disabilità, con disturbo mentale e a persone svantaggiate in genere, nata nel novembre del 1990 per volontà dei genitori degli ospiti, degli operatori del centro e dei rappresentanti di alcune associazioni di disabili, con lo scopo principale di promuovere una nuova cultura che aiuti a rompere le barriere che separano il mondo dell’handicap dal resto del mondo.
Grazie al suo dono, Gianluca è da sempre uno dei protagonisti del Festival internazionale delle Abilità differenti, un’iniziativa dedicata al mondo della disabilità nata per l’esigenza di far conoscere al pubblico l’esperienza di quotidiana scoperta della ricchezza nella differenza e giunta quest’anno alla sua dodicesima edizione.
Nelle cornici di Carpi, Correggio, Modena e Bologna, le quattro città in cui si tiene l’evento, che ha preso inizio domenica 2 maggio per concludersi domenica 30 maggio, si intreccia così la vita di Gianluca con quella di Cesare, Riccardo, Patricio, David e tantissimi altri artisti italiani e stranieri, disabili e non, che si cimentano in pièce teatrali, spettacoli di danza, mostre d’arte e convegni.
Le giornate del Festival sono dedicate al confronto tra varie esperienze con la formula dei workshop diretti a centri socio-riabilitativi e alle scuole, al concorso “Open festival” dedicato ad artisti emergenti in varie discipline (teatro, musica, danza) e ai convegni, mentre la fascia serale propone una rosa di spettacoli.

Il titolo di quest’anno, “Fatti di verità”, auspica che il Festival sia l’occasione di trovare nell’incontro con l’altro la possibilità di entrare in contatto con persone autenticamente in ricerca della propria soddisfazione, nella consapevolezza dell’aderenza alla propria realtà, alla propria libertà e alla propria verità.
Nell’ottica del reinserimento sociale, nonché della valorizzazione delle persone disabili, il Festival internazionale delle Abilità differenti è scaturito all’interno di un percorso riabilitativo quasi come evento naturale e spontaneo o, come dice il presidente della Cooperativa sociale Nazareno, Sergio Zini, “come un’iniziativa generata dalle scintille che i ragazzi hanno innescato, dalla loro voglia di entrare in contatto col mondo e di mostrare ciò che sanno e possono fare. Uno strumento per rapportarsi con la realtà, prendendo consapevolezza dello spirito che guida ogni ragazzo e delle sue enormi potenzialità”.
Così Cesare, Riccardo, Patricio, David e tutti gli altri attori e artisti, che saranno presenti con i loro contributi al Festival, diventeranno i protagonisti, attraverso la loro arte e la loro corporeità, di un dialogo con il pubblico. Un dialogo non sempre possibile nella società a causa di barriere architettoniche e mentali che spesso impediscono a questi uomini e donne di instaurare un rapporto “normale” con il mondo.
Il Festival internazionale delle Abilità differenti rappresenta, quindi, per gli stessi protagonisti il modo di penetrare nel mondo e di superare, attraverso arte, musica e danza i limiti che, forse, Gianluca e Cesare, dipingendo, e Patricio, ballando, non percepiscono nemmeno.
(Francesca Glanzer)

Sempre più labile la tutela dell’embrione - DA RICCIONE (RIMINI) - PAOLO GUIDUCCI – Avvenire, 9 maggio 2010
La sentenza della Consulta letta dai Centri per la fecondazione come libertà di congelamento
L’ orizzonte della medicina ri produttiva, già di per sé tutt’altro che sereno, un an no dopo la sentenza della Consulta (n.151/2009) che ha giudicato par­zialmente incostituzionali i commi 2 e 3 dell’articolo 14 della legge 40, appare oggi ancora più increspato. E nell’applicazione della legge 40 così modificata so no già evidenti ulteriori segni di confusione: anziché tutelare il bilanciamento tra la madre e il neoconce pito embrione, il destino di quest’ultimo è sempre più opinabile «caso per caso» secondo il giudizio del me dico. È uno dei «risultati» emersi durante il 2° Con gresso unificato delle otto società scientifiche italiane di medicina della riproduzione che si è concluso ieri a Riccione.

La Consulta ha cancellato l’obbli go di creare al massimo tre em brioni, e di trasferirli in utero tut ti in una volta, decretando «l’au tonomia e responsabilità del me dico nello stabilire il numero ne cessario di embrioni da impian tare – ha ricordato Filippo Ubal di, responsabile del centro G.en.e.r.a. – e il ricorso al congelamento di quegli em brioni prodotti ma non impiantati per scelta medica». Quando il medico valuta che è meglio impiantare un embrione alla volta, che fine fanno gli altri embrioni prodotti, soprattutto nel caso in cui già il primo im pianto si risolva in una gravidanza? Secondo quanto è emerso dal questionario riguardo alle strategie dei Centri sulla procreazione medicalmente assistita (P ma), presentato durante il convegno, 39 centri hanno iniziato a congelare ovociti dopo la sentenza, mentre 14 non congelano. Al questionario hanno risposto 128 centri sui 196 contattati «ma senza completare del tut to le schede» ha rilevato Paola Anserini (Ospedale S. Martino di Genova). «Riscontriamo nei pazienti una forte preoccupazione sul futuro degli embrioni in so prannumero, il futuro degli embrioni congelati» ha ammesso Andrea Borini ( Tecnobios di Bologna).

Per quanto riguarda i risultati della Pma dopo la sen tenza, il 50% dei centri dichiara un miglioramento, mentre per il 29,2% sono rimasti invariati e il 20,8% non esprime giudizio, perché non ritiene di aver da ti comparativi significativi. Sul tasso di gravidanze multiple, il 40% circa dei centri afferma che è invariato, il 26,6% non è ancora in grado di valutare gli effetti e solo il 26,6% afferma che è diminuito. «Se la riduzio ne del tasso di gravidanze multiple doveva essere u no dei fattori positivi della modifica della legge, mi pa re che ciò non si sia verificato» fa notare Eleonora Por cu, responsabile del Centro di fecondazione del Po liclinico Sant’Orsola di Bologna. E durante il conve gno è emerso che anche gli orientamenti dei centri sul numero degli ovociti da inseminare sono tutt’al tro che univoci. Fanno discutere anche i risultati di uno studio realiz zato da tre centri di medicina della riproduzione: Hu manitas di Milano, Tecnobios procreazione di Bolo gna e G.en.e.r.a. di Roma. Il gruppo di studio ha valu tato 6.976 cicli di trattamento per fecondazione in vitro. Secondo Fi lippo Ubaldi si è osservato «un au mento di gravidanze riproduttive passando dal 20,2 al 22,2% e una riduzione degli aborti, dal 24,1 al 20,4%». Tradotto in numeri, sem pre secondo Ubaldi, «dopo la sen tenza 151 sarebbe possibile una gravidanza in più ogni 52 tratta menti ». Poiché in Italia si eseguono circa 40mila trat tamenti l’anno, «si ha un aumento – è la teoria di U baldi – di più di 700 bambini ogni anno». Un risulta­to scientificamente quantomeno dubbio, ottenuto proiettando in maniera impropria i numeri di soli tre centri sul resto delle cliniche italiane (circa 200, dei quali il 48,4% privati, il 40% pubblici, i restanti con venzionati), che in materia di Pma si comportano in maniera molto differente. Anche sul numero delle gra vidanze c’è qualche riserbo: l’aumento dal 20,2% al 22,% è una variazione statistica davvero significativa? «E qual è il prezzo da pagare? – si chiede Enrico Masi ni, responsabile servizio maternità difficile della As­sociazione Papa Giovanni XXIII –. La legge garantisce l’embrione, ma la diagnosi preimpianto finalizzata a selezionare l’embrione migliore da impiantare, porta come conseguenza il congelamento e l’abbandono, quando non direttamente l’eliminazione, degli em brioni scartati».



Maria Apparizioni, segno di contraddizione - di René Laurentin – Avvenire, 9 maggio 2010 - Le visioni mariane sono l’argomento teologico meno scientificamente studiato, il più nascosto e controverso. Ci sono ottime e serie ragioni per cui esse disorientano e sono combattute: quando radunano le masse l’amministrazione civile si mobilita perché turbano l’ordine pubblico, mentre per la ricerca universitaria sono dei non-luoghi, a metà tra illusioni e fenomeni sociologici Nel corso dei secoli non solo le rivelazioni dei veggenti si sono moltiplicate, ma hanno acquistato significati sempre più vasti. - Guadalupe è considerata la base della cultura meticcia del Nuovo Mondo; La Salette ha mobilitato grandi spiriti, da Don Bosco a Rimbaud, Bloy e Claudel; Lourdes ridiede valore alla priorità dei poveri secondo il Vangelo; Fatima ha profetizzato fin dal 1917 l’implosione del comunismo
Le apparizioni sembrano costituire un tema fondamentale sotto vari punti di vista. Esse costellano la Bibbia e strutturano la Rivelazione stessa. Dio parla e appare al patriarca Abramo, a Mosé e ai Profeti, a Gesù Cristo, agli apostoli Pietro e Paolo e ad altri cristiani negli Atti degli Apostoli; insomma, da un capo all’altro delle Scritture. Le apparizioni del Cristo risorto sono il culmine e il compimento del Vangelo. E, come insegna l’apostolo Paolo (1Cor 15), sono il fondamento della fede. Le apparizioni della Vergine sono all’origine di molti santuari e di importanti pellegrinaggi (Guadalupe, Aparecida, La Salette, Lourdes, Fatima) e occupano, a vario titolo, un posto di spicco nell’attualità. La letteratura sulle apparizioni si è moltiplicata, in proporzioni senza precedenti, a partire dal dibattito degli anni ’80. Tutto questo sembrerebbe riservare loro un posto d’onore; e invece tutto sconsiglia di occuparsene. Esse rimangono ancor oggi, nella Chiesa cattolica, un segno di contraddizione (Lc 2,35), ad eccezione di quelle che emergono alla fine e tardivamente, e che danno origine ai più grandi santuari della cristianità. «Quando il bambino appare, la cerchia familiare applaude con somma gioia», scriveva Victor Hugo. «Quando la Vergine appare», la cerchia familiare non applaude, ma è turbata e inquieta. A Lourdes, dieci giorni dopo la prima apparizione, il 21 febbraio 1858, la guardia campestre Callet afferra Bernadette Soubirous per la mantella e la trascina per sottoporla ai tempestosi interrogatori del commissario di polizia Jacomet, e in seguito a quelli del procuratore imperiale Dutour e del giudice Ribes. Lo Stato si mobilitò per reprimere, dal prefetto ai ministri fino all’imperatore Napoleone III, che era in vacanza sui Pirenei e che si rese popolare mettendo fine alle barriere, ai processi e alle beghe amministrative che si erano moltiplicati durante l’estate del 1858. A Pontmain (1871) il generale de Charrette minacciò i bambini con la sua sciabola. A Fatima, ai giovani veggenti venne intimato di ritrattare, e furono poi imprigionati per impedire l’apparizione del 13 agosto 1917. E così di seguito, in una copiosissima serie di notizie. Le apparizioni non sono viste con occhio più benigno nella Chiesa. A Lourdes, il 2 marzo 1858, in occasione della sua prima visita in canonica, Bernadette fu respinta da una di quelle tonanti collere che talvolta infiammavano il parroco Peyramale, benché fosse un uomo di cuore, attento prima di tutto ai poveri. A Pontmain i veggenti furono minacciati dal vescovo di dannazione eterna. Le apparizioni, dunque, sono l’argomento teologico meno scientificamente studiato, il più nascosto e controverso. Ci sono ottime e serie ragioni per cui le apparizioni disorientano e vengono combattute. Quando un’apparizione fa radunare le masse, a Lourdes come a Fatima, l’amministrazione civile si mobilita, è normale. Il fatto è che un assembramento massiccio ed apparentemente passionale perturba l’ordine pubblico. Il «principio di precauzione» invita a mettervi fine, anche se si può arrivare a farlo proprio e a canalizzarlo. Lo Stato reagisce come la natura, secondo l’acuta constatazione fatta da Jacques Monod, premio Nobel per la biologia, nel suo famoso libro «Il caso e la necessità»: quando un caso (una mutazione biologica) fa la sua comparsa in un genere, intervengono i meccanismi di rigetto per ridurlo alla necessità; eliminandolo oppure assimilandolo all’ordine ripetitivo delle strutture stabilite di generazione in generazione. Questo principio universale regge anche l’ordine amministrativo e sociale. E analoghe sono le soluzioni: eliminazione o integrazione. Così Guadalupe, Lourdes e Fatima sono diventate, dopo l’iniziale emarginazione e contestazione, istituzioni di portata nazionale, sia sul piano secolare che su quello religioso. Per ogni veggente, le apparizioni sono comunicazioni con l’aldilà, inaccessibili ai normali mezzi sensoriali. Esse sono quindi, per la ricerca universitaria, dei non-luoghi. Se, tuttavia, si sofferma su di esse, è per riportarle ed inquadrarle al suo livello, secondo il metodo scientifico che non prende in considerazione, né in sociologia né in medicina, le presunte cause soprannaturali: il diavolo o il Buon Dio. Alcuni le definiscono come racconti di cui è necessario stabilire la genesi interna e specifica sul piano letterario o semiotico: studio di una tradizione folclorica o di una struttura di cui si esaminano le varianti, ma soprattutto gli stereotipi. Per altri, molto meno numerosi (medici e psicologi) questi fenomeni che solo il veggente percepisce sono fenomeni psicologici che devono essere considerati alla stregua di allucinazioni, di sogni, o di fantasticherie. Fino ad ora si è trascurato il fatto che studi encefalografici delle estasi hanno escluso queste tre spiegazioni. Altri ancora definiranno le apparizioni come fenomeni antropologici e tenteranno di collocarli in questo quadro umano, senza soffermarsi sul riferimento personale, perfino trascendente che per i veggenti costituisce l’essenziale. Se le apparizioni occupano un simile posto nella storia, da circa quattro millenni, l’approccio attuale non rischia forse di essere riduttivo, se non addirittura diffamatorio, nei confronti dei veggenti e dei gruppi umani che si impongono all’attenzione? Il problema è spinoso; la medicina è diventata una scienza alla fine del XVI secolo, quando fondò l’«eziologia»: lo studio delle cause, escludendo le cause soprannaturali, divine o diaboliche, estranee al nostro cosmo. Per questo motivo la maggior parte dei medici (anche cristiani) si rifiutano di riconoscere non solo un «miracolo» (cosa che non è di loro pertinenza), ma anche il carattere «inspiegabile» di una guarigione; uno scienziato, infatti, per principio, non abdica mai al suo ruolo di fronte all’incomprensibile: cerca instancabilmente la spiegazione finché non la trova: non esiste l’inesplicabile, esiste solo l’inesplicato. Il ricorso a un «deus ex machina» è la negazione stessa del metodo scientifico. In questo quadro continua, in modo disagevole, lo studio delle guarigioni presunte miracolose, esaminate dai comitati scientifici a Lourdes o a Roma in vista delle cause di canonizzazione, che richiedono la constatazione dei miracoli.

Anche gli esorcisti, testimoni di malattie stranamente inesplicabili, dialogano con i medici, senza che lo studio di questi fenomeni sia mai stato trattato scientificamente. Le consultazioni della Chiesa per dare ai «miracoli» uno statuto scientifico si scontrano con questa difficoltà, e con la stessa complessità del termine «miracolo» che i Vangeli chiamano «segno» o/e prodigio («sêmeia kai terata»). Nel 1900 si risolvevano i problemi a partire da principi a priori: «Non ho mai trovato l’anima sotto il mio bisturi» (un chirurgo del 1900); o ancora: «Sono stato in cielo e non ho visto Dio» (Gagarin). La scienza attuale, alle prese con la relatività, le relazioni di incertezza, eccetera, è passata dal razionalismo semplicista e dallo «scientismo» a una razionalità più diffusamente aperta all’ignoto, senza però rinunciare alla ragione e all’esigenza di non ammettere nulla che non sia fondato e verificato mediante l’esperienza.

Paradossalmente, la Chiesa è fra le istituzioni più riservate su questo ambito religioso e spirituale, apparentemente ad essa essenziale e familiare. Ora, a tutti i livelli, la pastorale normalmente soffoca le apparizioni, provocando così tensioni e conflitti spesso duraturi (oggi sono numerosi, da Dozulé e San Damiano a Medjugorje, o anche Damas/Soufanieh, che la Chiesa ortodossa locale aveva prima accettato poi rifiutato). Questa opposizione e questa riserva della Chiesa sono motivate da fondamenti irrecusabili, di cui è necessario avere piena conoscenza e piena coscienza. Prima imponente constatazione: le apparizioni non hanno un loro posto tra le numerose discipline universitarie che hanno un ruolo di spicco nella Chiesa. Le apparizioni posteriori al Vangelo sono ignorate dalla teologia dogmatica: non sono oggetto di «fede divina» ma di «fede umana», scriveva il futuro Benedetto XIV nel XVIII secolo. Esse sono extra e sub teologiche, quindi marginali. Prendiamone atto. La teologia fondamentale poi le ignora: esse non figurano tra i «dieci luoghi teologici» che sono le fonti della fede, secondo Melchior Cano (XVI secolo). Egli non le nomina nemmeno tra i «luoghi annessi» come «la filosofia, il diritto, la storia» ritenuti alla stregua di strumenti. Il primo Codice di Diritto Canonico (1917) trattava negativamente questo ambito: proibiva qualsiasi pubblicazione sulle apparizioni non riconosciute e puniva con la scomunica i trasgressori. Questi due canoni sono stati aboliti il 14 ottobre 1966 e il nuovo Codice semplicemente non parla più di apparizioni.

In breve, non sono più interdette, ma sono diventate un non-luogo canonico. Sono in fondo alla scala dei valori della Chiesa; nonostante l’interesse loro accordato da numerosi pastori e fedeli che ne riconoscono e ne raccolgono i frutti, esse non hanno trovato il loro posto e non hanno mai suscitato una ricerca di una levatura degna di questo nome tra i grandi teologi.


Questo è dovuto ad alcune ragioni fondamentali. Secondo l’analisi di Karl Rahner, la tradizionale emarginazione delle apparizioni non è un riflesso elementare né un semplice meccanismo di rigetto amministrativo. Essa è causata da ragioni ufficiali e fondamentali: prima di tutto, la frase di Gesù Cristo all’apostolo Tommaso. Questo discepolo non accettava la resurrezione di Cristo: «Finché non avrò messo il dito nelle sue piaghe, non crederò». Gesù gli si manifesta, lo invita ironicamente a controllare, e conclude: «Beati coloro che credono senza avere visto» (Gv 20, 29). Cristo non si fa garante dei veggenti, ma dei credenti. È l’ultima delle beatitudini, al termine dell’ultimo Vangelo: il cristiano non vede, crede in Dio sulla parola. Qualunque eccezione sembra quindi deplorevole, anche se le apparizioni hanno un posto considerevole nel Nuovo Testamento. Questo motiva la legittima opposizione della Chiesa e dei grandi mistici alla dottrina degli illuminati e alle pulsioni dell’immaginazione; è necessaria quindi la prudenza. Ma «prudenza» non significa «diffidenza» né «pusillanimità», «bocciatura» o «tergiversazione». In ogni caso la Chiesa, che considera essenziali il Vangelo e i sacramenti, avanza una grande riserva sulla veggenza dell’aldilà. Essa oppone la certezza divina, fondata sulla Parola e sulla luce divine, alle apparizioni, perché queste ultime sono solo manifestazioni occasionali e discutibili della potenza divina. Nonostante queste svalutazioni, le apparizioni hanno una grande importanza di fatto nella Chiesa, a molti livelli e a molti titoli. La Bibbia è un tessuto di apparizioni e di visioni, è la sua trama. Il Nuovo Testamento inizia con l’apparizione di un angelo al sacerdote Zaccaria (Lc 1,5-23), il messaggio dell’angelo Gabriele alla vergine Maria (Lc 1,25-38) e quello di un angelo del Signore ai pastori di Natale (Lc 2,8-19). La Trasfigurazione di Cristo è accompagnata dall’apparizione di Mosè e di Elia (Mt 17,3); un angelo assiste Gesù durante la sua agonia (Lc 22,43). C’è di più: le manifestazioni visive del Cristo risorto agli apostoli (anche se così simili alle altre, dal punto di vista fenomenologico e psicologico) vengono considerate come il fondamento stesso della fede secondo l’apostolo Paolo (1Cor 15,1-53). Ci si può chiedere se non ci sia una certa forzatura, perfino una mancanza di logica tra la sistematica svalutazione delle apparizioni attuali e la valorizzazione dogmatica di quelle del Cristo risorto (di cui gli apostoli dubitarono: Lc 24,11 e Mc 16,11; Lc 24,16.37-38; Gv 20,25-28 ; Mt 28,17; Gv 21,5; At 20; Mc 16,14; citiamo questi versetti nell’ordine cronologico dei successivi dubbi, dal mattino di Pasqua all’Ascensione) – e lo diciamo senza misconoscere le loro differenze. Le apparizioni di Cristo costellano anche la storia della Chiesa nascente: da Stefano (At 7,56) a Pietro, Paolo e ad altri, secondo gli Atti degli Apostoli. Alcune apparizioni della Vergine hanno fondato i maggiori santuari e pellegrinaggi della Chiesa cattolica (con l’eccezione di Roma): Guadalupe in Messico (più di 10 milioni di pellegrini all’anno), Aparecida in Brasile, Lourdes (5 milioni di pellegrini all’anno), Fatima, eccetera. Ancora, le apparizioni sono continuate, nella Chiesa, nel corso dei secoli fino ad oggi, con una moltiplicazione senza precedenti negli ultimi tempi. C’è di più: nell’epoca moderna – fatto nuovo – molte apparizioni hanno un’importanza profetica, storica e culturale innegabile, durevole e considerevole: Guadalupe è considerata anche dagli storici indipendenti dal cristianesimo come il fondamento della cultura e della civiltà meticcia del Nuovo Mondo, il continente cattolico dove risiede la metà dei battezzati della Chiesa romana. Oppure La Salette (1846), che ha mobilitato grandi spiriti: Pio IX sostenne il riconoscimento di questa apparizione; Leone XIII riconobbe e sostenne Mélanie nelle sue tribolazioni e nel suo esilio; numerosi vescovi, santi oggi beatificati e canonizzati (Don Bosco, sant’Annibale Di Francia che prese Mélanie come cofondatrice) e una schiera di altri personaggi di spicco del XX secolo: Arthur Rimbaud, Léon Bloy, Jacques Maritain, Paul Claudel e Louis Massignon. Lourdes ridiede valore alla priorità dei poveri secondo il Vangelo, nel momento in cui la capacità elettorale e civile era misurata dalle rendite, secondo lo slogan artificiale: «Arricchitevi» (Guizot). Bernadette Soubirous apparteneva alla famiglia più povera della città: i gendarmi avevano arrestato suo padre per l’unica ragione che «il suo stato di miseria» lo rendeva «presunto colpevole» del «furto» di farina commesso presso il fornaio Maisongrosse. E poi Fatima: ha profetizzato fin dal 1917 l’implosione del comunismo nascente e la fine delle persecuzioni. Pio XII e Giovanni Paolo II si sono sottomessi a più riprese a questo messaggio. Hanno dato ordine a tutti i vescovi di fare simultaneamente la consacrazione richiesta da Lucia, e si sono assunti altri impegni senza precedenti, facendo rivelare (attraverso terzi, è vero) la visione del sole nel giardino del Vaticano (Pio XII) e il «segreto di Fatima» (Giovanni Paolo II). Le apparizioni hanno avuto forti impatti nella vita pubblica, a tutti i livelli. Lourdes ha determinato il tracciato della rete meridionale delle ferrovie francesi.

Il governo marxista della Jugoslavia, radicalmente contrario alle apparizioni di Medjugorje, ne ha tuttavia compreso l’utilità nazionale, al punto da progettare la realizzazione di un aeroporto nelle vicinanze. Lourdes rimane un geyser di creatività: ha promosso su larga scala il viaggio di malati paralitici, sottoposti a dialisi o dipendenti dal polmone d’acciaio, ciechi, alienati, eccetera, con immensi benefici umani, compresi benefici medici, mobilitando ogni anno migliaia di barellieri, infermieri, medici. Le apparizioni hanno acquisito anche un marchio scientifico.

L’esame dei veggenti mediante l’uso dell’elettroencefalogramma, che io ho chiesto che venisse utilizzato per la prima volta in Europa nel 1984 e poi in America del Nord e del Sud, ha rivoluzionato la conoscenza che si aveva dell’estasi. Questa nuova interazione tra le scienze contemporanee e le apparizioni inviterebbe ad assumere più integralmente queste ultime come un fenomeno umano non solo medico, ma parimenti psicologico (attinente anche agli ambiti della psicanalisi, della sociologia religiosa, della storia delle mentalità e dell’etnologia). Dal momento che nessun fenomeno rimane escluso dall’esame scientifico e che tutti devono essere studiati nel modo più completo possibile, non sarebbe meglio risolvere il contrasto tra questa importanza di fatto delle apparizioni (premiata da una immensa letteratura) e la loro svalutazione o emarginazione che abbiamo constatato? Questa messa in disparte, dovuta all’ambiguità polivalente del fenomeno, esige un superamento, tanto più che la radicale opposizione tra le ideologie della Chiesa e quelle dello scientismo è ormai superata.