Nella rassegna stampa di oggi:
1) PAPA/ Socci: da Fatima a Roma, la "rivoluzione" di Benedetto che cambia il volto della Chiesa - INT. Antonio Socci - mercoledì 19 maggio 2010 – sussidiario.net
2) IL MAGISTERO DEL PAPA E L’ORIGINE DELLA SPERANZA CRISTIANA - Soltanto la fede viva e limpida ci fa superare le peggiori tempeste - Benedetto XVI svolge la sua funzione con forza e capacità profetica che anche i critici ora riconoscono - CARLO CARDIA – Avvenire, 19 maggio 2010
3) «Mia figlia è comunque un dono» - A poche settimane dal parto, i medici dicono a Monica che la bimba che porta in grembo non sopravviverà. Invece, 17 anni dopo, è qui, con la sua dignità «intera e sacra». Come quella di Federica e Andrea, per la madre «miracoli viventi» - DAL NOSTRO INVIATO A CARPI (MODENA) – Avvenire, 19 maggio 2010
4) Da Vienna a Roma? Speriamo di no - di Marco Tosatti - 18/5/2010
5) 19 Maggio. Max Scheler e la fondazione filosofica del concetto di persona - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - lunedì 17 maggio 2010
6) Sondaggi e bioetica - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 19 maggio 2010
7) Satana e l'eternità dell'Inferno - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.roma.it
8) Il peccato? Figlio della lontananza da Dio. E' in atto una apostasia silenziosa, frutto di cattivi teologi che ingannano le coscienze. L'Inquisizione in sé non fu un male, sbagliati alcuni eccessi. Religioni orientali idolatriche - Bruno Volpe – dal sito Ponfifex.roma.it
9) LA “LEGGE ARIZONA”, UNA LEGGE DISCRIMINATORIA - Opposizione della Chiesa - di Omar Árcega
10) «Quel bimbo gemeva Basta aborti tardivi» - Roccella: da vietare dopo la 22esima settimana - il caso Rossano - In seguito alla vicenda del bimbo abortito vivo e lasciato per 24 ore senza assistenza, interpellanza di Luisa Santolini (Udc) e risposta del sottosegretario alla Salute - DI LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 19 maggio 2010
PAPA/ Socci: da Fatima a Roma, la "rivoluzione" di Benedetto che cambia il volto della Chiesa - INT. Antonio Socci - mercoledì 19 maggio 2010 – sussidiario.net
Domenica, in occasione del Regina coeli, 150mila fedeli si sono stretti attorno al Papa. Antonio Socci ha fatto con il sussidiario un bilancio dell’ultima «maratona» di Benedetto XVI, dal pellegrinaggio in Portogallo a piazza San Pietro per la preghiera coi movimenti.
Tutti i giornali non hanno mancato di sottolineare il valore di questo gesto di vicinanza al Papa da parte della Chiesa italiana. Qual è stata la sua prima impressione?
Mi è sembrata una manifestazione chiara della volontà di ascoltare e di seguire il Papa in un momento così delicato per la Chiesa e per la sua persona. Non è così scontato comprendere quello che Benedetto XVI sta cercando di trasmettere.
Si riferisce al tema del peccato? «Il vero nemico da temere e da combattere - ha detto Benedetto XVI - è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa». Lo aveva detto anche in Portogallo.
Sì, ma c’è il rischio che non capiamo la preoccupazione del Papa. Vale anche per quelli che sono più sensibili e più affezionati alla sua persona, e mi riferisco all’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio, in cui ha detto - con «autoironia» e affetto - che il Papa è «fuori linea». Dal suo punto di vista ha ragione, perché di fronte alla vicenda drammatica della pedofilia Benedetto XVI non si è messo a difendere la Chiesa dagli attacchi, anche se noi tutti avremmo avuto buoni argomenti per farlo.
Allora cos’è secondo lei che rischia di sfuggirci?
Il Papa non si è messo a denunciare il complotto. Anzi: Benedetto XVI è convinto che gli attacchi della stampa siano stati quasi una via usata da Dio per purificare il suo popolo. Ha cercato e sta cercando di far capire che la Chiesa non è un partito che ha bisogno di aver ragione, un’associazione umana che tiene innanzitutto a provare la bontà dei suoi membri. Quella del Papa è un’umiltà che difficilmente qualcun altro, dopo un secolo di orrori umani e politici, si può permettere come lui.
Cosa c’è alla base di questo atteggiamento di Benedetto XVI?
Questo Papa, proprio come Giovanni Paolo II, ha potuto chiedere perdono perché ha fede. Lo ha fatto capire nello scandalo pedofilia. La Chiesa non è una cosca mafiosa che ha bisogno di omertà: bisogna dire la verità sempre, anche quando è scomoda, imbarazzante o addirittura umiliante. Anche se ci fosse stato un solo caso di pedofilia, Benedetto XVI avrebbe pianto con le vittime e avrebbe confessato la verità.
Una scelta, insomma, in cui certo mondo cattolico (o simpatizzante) vede una resa delle armi.
La sfida si gioca non fuori, ma dentro il mondo cattolico. La condotta di certi vescovi su vicende di pedofilia negli anni passati, in cui hanno agito con buona intenzione ma decidendo di lavare i panni sporchi in famiglia, il Papa l’ha stigmatizzata. Non soltanto perché non è giusto nei confronti delle vittime, ma anche perché denota una concezione della Chiesa che manca di fede: sembra che la Chiesa per stare in piedi abbia bisogno della nostra menzogna. Ma Dio - ci fa capire il Papa - è più grande del cumulo di peccati che noi portiamo dentro la Chiesa. Dio non ha bisogno delle nostre menzogne, ma del nostro attaccamento alla verità e della nostra conversione. Con questa umiltà il Papa ha vinto gli attacchi e anche giornali che lo hanno attaccato, come il New York Times, lo hanno riconosciuto.
Il viaggio in Portogallo e gli scandali hanno riproposto in modo inevitabile il problema dell’interpretazione del terzo segreto di Fatima. La profezia, ha detto il Papa, non si riferisce al passato: essa non è conclusa. Che cosa implica questo per il modo di concepire la fede?
No, non direi che il collegamento era inevitabile. È stato il Papa, dopo questi mesi di sofferenza, a decidere di andare a Fatima per affidare la Chiesa nelle mani della Madonna. Ed è stato molto importante che in uno dei suoi principali discorsi abbia criticato l’eccesso di attenzione che c’è nella Chiesa per le strutture, l’organizzazione, il fare. Conta non il fare ma la fede, e riaffermarlo è sempre una rivoluzione perché da decenni viviamo in un mondo cattolico tutto ripiegato sui piani pastorali. Viene meno, di conseguenza, la percezione che è un Altro che fa la storia. Il Papa ha riorientato lo sguardo che dovremmo avere noi cristiani, soprattutto nel momento delle prove più difficili che ci vengono e che ci verranno richieste.
La Chiesa deve «ri-imparare la penitenza» e «accettare la purificazione», ha detto Benedetto XVI, aggiungendo che «il perdono non sostituisce la giustizia». Cosa vuol dire questo oggi per la Chiesa?
Il Papa ha corretto senza indugio quello che è stato un atteggiamento di moltissimi vescovi per decenni, che ha finito per non dare giustizia alle vittime e per esporre altri giovani agli abusi. Chi si macchia di questi delitti deve risponderne davanti alla giustizia di Dio e davanti a quella degli uomini. Ma la rivoluzione del Papa sta in una profonda de-clericalizzazione della Chiesa.
Il centro della Chiesa cioè non e il clero, ma Gesù Cristo.
Sì. E chi è chiamato ad un ministero nella Chiesa è un servo. Il Papa ha di mira l’atteggiamento tipico di un’ampia parte del ceto ecclesiastico, troppo incline a «proteggere» se stesso convinto - così facendo - di mettere al riparo il messaggio cristiano. È una difesa che troppo spesso non si vede scattare quando sono messe in discussione le verità di fede... Il clericalismo purtroppo è una malattia vistosa nella Chiesa cattolica odierna ed è trasversale, da «destra» a «sinistra».
A proposito della crisi europea Benedetto XVI ha accusato «un dualismo falso», quello di un positivismo economico che pensa di potersi realizzare senza la componente etica, che invece è «interna alla razionalità e al pragmatismo economico». Che ne pensa?
Da cardinale, Joseph Ratzinger aveva pubblicato un saggio in cui diceva che il principio di Adam Smith per cui ognuno perseguendo il proprio egoistico interesse automaticamente fa il bene comune, era altrettanto ideologico dell’ideologia marxista, perché lega il bene comune ad un meccanismo e non alla libertà. Il disastro finanziario del 2008 e le sue conseguenze di oggi confermano in modo drammatico quello che il Papa aveva previsto, cioè che il positivismo economico in qualche modo può essere accostato al disastro del comunismo. Della libertà umana, con il suo dramma di bene e di male, non si può fare a meno.
Secondo un recente rapporto Demos «il 62 per cento degli italiani considera inadeguata la risposta della Chiesa di fronte agli episodi di pedofilia» e scende ai minimi la fiducia nel Papa, colpito da un «calo di credibilità». Lo ha scritto lunedì su Repubblica Ilvo Diamanti.
Non mi pare che si debba dare troppa importanza a questo tipo di sondaggi. A dire il vero poi il Regina coeli di domenica sembra dimostrare il contrario. I veri fattori in gioco sono un Papa che ha dato una risposta sorprendente, sia per gli avversari ma anche all’interno della Chiesa, dove si fa fatica a capire che l’umiltà e la debolezza sono in realtà una forza. Il problema è sempre la fede: quando essa è affievolita, si ha bisogno di garantirsi delle certezze storiche in maniera diversa. Ecco perché molta gente comune secondo me è rimasta disorientata.
IL MAGISTERO DEL PAPA E L’ORIGINE DELLA SPERANZA CRISTIANA - Soltanto la fede viva e limpida ci fa superare le peggiori tempeste - Benedetto XVI svolge la sua funzione con forza e capacità profetica che anche i critici ora riconoscono - CARLO CARDIA – Avvenire, 19 maggio 2010
Per la Chiesa gli ultimi mesi sono stati mesi di sofferenza, di riflessione, ma anche di forte guida spirituale e pastorale di Benedetto XVI, il quale rivolgendosi ai giovani durante la Messa al Terreiro do Paço di Lisbona ha chiesto loro di cercare Gesù, di non dubitare mai della sua presenza, e ha aggiunto: «Vivete la vostra esistenza con gioia ed entusiasmo, sicuri della sua amicizia gratuita, generosa, fedele fino alla morte di croce. Dite (ai vostri coetanei) che è bello essere amico di Gesù e vale la pena di seguirlo». La fede e il rapporto con Gesù sono capaci di sciogliere le angosce, le ansietà, i dubbi, che in una fase critica hanno coinvolto molti fedeli, e il richiamo del Papa evoca la forza vera dei credenti, contro la quale né il peccato né le sue strumentalizzazioni possono imporsi e vincere. Nell’incontro di domenica, Benedetto XVI è tornato sul tema del peccato, ovunque si compia, l’ha messo al centro della scena per indicare che questo è il vero nemico dell’uomo e della Chiesa. La fede e il peccato sono rispettivamente la forza e il rischio per gli uomini di ogni tempo. La fede in Gesù è la prima e definitiva risorsa per chi vuole orientarsi, capire come il peccato si è insinuato anche nella Chiesa – perché questa vive nella storia e nella realtà di tutti giorni, e ne resta coinvolta ma non contaminata, ne subisce i contraccolpi ma non vi si piega –, capire perché i cattolici di tutto il mondo stanno confermando la fiducia nella comunità dei credenti e nelle loro guide spirituali, le quali hanno accettato e proposto la penitenza, invece del silenzio o della difesa corporativa, e sono andate incontro alle vittime per dare loro giustizia e conforto. Senza la fede tutto è possibile, anche farsi imbrigliare dal male, con la fede in Gesù la roccia resta salda e la coscienza più intima di ciascuno di noi si sente rasserenata nel proseguire il cammino di testimonianza nella società che ci circonda. Ancora in Portogallo, Benedetto XVI ha detto un’altra cosa che forse non è stata compresa adeguatamente nei commenti di questi giorni. Egli ha osservato che «spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzione; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?». È un richiamo che ci riguarda tutti, perché in qualche modo tutti noi siamo condizionati dalla mentalità e della cultura che ci sono vicine, che spingono a mettere fra parentesi la fede, avvolgendola in un involucro nel quale l’utilità, la convenienza, i riflessi esteriori (anche ecclesiali) prendono il sopravvento e offuscano una coscienza che deve invece restare legata alla fonte primaria della spiritualità cristiana. Mantenere viva e limpida la fede porta alla coerenza degli atti e dei comportamenti, induce all’umiltà e al riconoscimento delle colpe, alla loro riparazione, spinge a considerare la Chiesa come la comunità dei credenti che testimoniano la verità, non una realtà organizzativa con proprie leggi e propri interessi, pure legittimi. Benedetto XVI sta svolgendo in questo periodo la sua funzione di pastore universale con una forza e una capacità profetica che anche i critici della Chiesa cominciano a riconoscere, e ciò conferma la centralità della funzione pontificia che anche nei momenti critici aiuta, conforta, indirizza, coglie i punti essenziali dei problemi, impedisce che ci si scoraggi di fronte al male, ci si pieghi a tempeste che possono sembrare per un istante più grandi di noi. Non esistono tempeste che possano intaccare la fede, è Gesù stesso che illumina un cammino che resta nella storia, ma non si confonde con essa, chiede impegno ma anche riconoscimento della realtà amara e dolorosa del peccato, apre il cuore alla speranza e alla fiducia anche quando queste sembrano appannarsi. Forse non è un caso che il viaggio a Fatima sia stata l’occasione per il Papa di assolvere con tanta forza e sicurezza la sua missione di guida della Chiesa. Maria, e tutto ciò che essa rappresenta nel cuore di ogni cattolico e cristiano, costituisce oggi più di ieri un rifugio spirituale, una fonte di ispirazione che alimenta il magistero della Chiesa e rafforza la fede di tutti i credenti.
«Mia figlia è comunque un dono» - A poche settimane dal parto, i medici dicono a Monica che la bimba che porta in grembo non sopravviverà. Invece, 17 anni dopo, è qui, con la sua dignità «intera e sacra». Come quella di Federica e Andrea, per la madre «miracoli viventi» - DAL NOSTRO INVIATO A CARPI (MODENA) – Avvenire, 19 maggio 2010
La partorirai fra sette od otto settimane ed è deva stante, durante una visita di routine, sentirsi dire all’improvviso che tua figlia ha una microcefalia, non le si è sviluppato il cervello: «Io e mio marito en trammo nel panico – ricorda Monica – sbagliammo stra da per tornare a casa». Sentirsi dire che certamente quel la bimba «morirà appena dopo la nascita». Così, insie me al panico, monta la rabbia e nel mirino c’è sopra a tutti Dio: «La senti come una puni zione che non meriti». Sono passati diciassette anni, Sara ha gravissime difficoltà eppure, «attraverso un per corso dolorosissimo», quella che e ra «una croce si è trasformata in u na gioia», dice Monica. Sara sorride, gioca, cammina, stringe sua madre e suo padre e ne è stretta.
La Vita ha molte facce : alcune stra ne, altre (apparentemente) incom prensibili, altre ancora nascoste, al meno fintanto che qualcuno non de cida d’avere occhi per vederle. Sara è una di quelle facce : «Forse Dio ha voluto che questa bambina l’avessi mo proprio noi – va avanti sua mamma –. La punizione è diventata un dono». Ed è vero che tua figlia «è diversa dagli altri», ma lo è anche che «forse è migliore, pur a vendo un modo di comunicare fuori dagli standard». Non servirebbe nulla meno che un miracolo per rimet tere a posto le funzioni cerebrali di Sara: «Miracolo? E per ché mai dovremmo chiederlo, lei già è un miracolo co sì ». La dignità della vita di Sara? «È intera e sacra. È nel darle tutte le possibilità che ogni vita deve avere».
Sono leonesse le mamme come Monica. O come Tizia na (anche lei a Carpi perché 'protagonista' del corto metraggio 'Tremendamente Amati' di Antonio Capra, presentato qui), che ha Federica e Andrea entrambi con una malattia genetica gravemente, progressivamente, degenerativa: «Due miracoli viventi», li definisce anche lei, che Monica neppure la conosce. C’è chi a sua volta definirebbe Tiziana una specie di cieca, illusa, per necessità. E lei ri sponde implacabilmente logica: «Ho via via capito che senza certe situazioni e persone che ci hanno reso la vita difficile non saremmo quel che siamo adesso. La malattia mi ha fatto prendere coscienza che sono un essere umano che può guardare in alto, vedere il cielo e le stelle e la grandezza di Dio, come fanno Federica e Andrea». Ma an che queste bisogna decidere d’ave re occhi capaci di vederle.
Tempo fa proprio ad Andrea dovet tero fare la tracheotomia e l’aneste sista tuonò indignato dicendo che sarebbe stato acca nimento terapeutico: «Poi, appena riprese a respirare, Andrea gli fece un sorriso da un orecchio all’altro», ram menta Tiziana. Che ha capito come i giorni possano es sere tanto terribili quanto semplici: «Questa situazione, la nostra stessa vita, non la subiamo. La viviamo». ( P.Cio.)
Da Vienna a Roma? Speriamo di no - di Marco Tosatti - 18/5/2010
L'arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, che i media dipingono come fedelissimo di Papa Benedetto XVI, ultimamente sta facendo alla stampa dichiarazioni a dir poco sorprendenti.
L’ultima: ha detto di condividere "le preoccupazioni" del suo confratello mons. Paul Iby, vescovo di Eisenstadt nel Burgenland, il quale nei giorni scorsi si era detto a favore della revoca del celibato obbligatorio per i preti, giungendo ad affermare in una intervista al quotidiano austriaco Die Presse: "Per i preti sarebbe sicuramente un sollievo se l'obbligo del celibato venisse revocato".
Dato che c’era, Schönborn ha colto l’occasione per ribadire anche le sue accuse verso il cardinal Sodano: «"Quel che ho detto alla radio Orf lo ho ripetuto in un incontro 'off-the-records' con dei capi-redattori", ha detto il porporato in merito all'accusa di insabbiamento dell'inchiesta per pedofilia a carico del suo predecessore, il cardinal Hans Hermann Groer. "Ciò è poi stato pubblicato, sebbene si trattasse di un incontro 'off-the-records'. Ma rimango della mia opinione e non ho nulla da aggiungere a quello che ho già detto. E' così ed è stato detto tutto"» (Apcom, 18 maggio 2010).
Comunque, non è soltanto che Schönborn ha detto delle cose grosse. E' che queste cose – e qui sta il problema - continua a dirle. Ciò è veramente sorprendente!
Schönborn e il celibato: giusto parlarne...
L'arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schönborn, ha detto di capire "le preoccupazioni" del vescovo del Burgenland Paul Iby, che nei giorni scorsi si era detto per una revoca del celibato obbligatorio per i preti. "Le preoccupazioni sollevate dal vescovo Iby sono le preoccupazioni di tutti noi", ha dichiarato Schönborn a una conferenza stampa, sottolineando però che ciò non vuol dire, tuttavia, che si debba necessariamente condividere le soluzioni prospettate. Le parole dell'arcivescovo, riportate dall'agenzia cattolica Kathpress, sono state pronunciate a una conferenza stampa in chiusura di un congresso delle comunità parrocchiali svoltosi lo scorso fine settimana a Mariazell. Schönborn, che conosce bene e da lunga data Joseph Ratzinger, è considerato piuttosto vicino al Papa. Iby aveva detto che la revoca del celibato obbligatorio per i sacerdoti sarebbe sicuramente una cosa positiva, e che la Chiesa cattolica dovrebbe anche riflettere, in una prospettiva più lunga, anche sull'ipotesi di aprire il sacerdozio alle donne. "Sono felice di vivere in una Chiesa dove esiste libertà di espressione e di opinione", ha detto Schönborn, anche se "non necessariamente" - ha aggiunto - condividerebbe tutti gli approcci presentati dal suo collega Iby.
Nel corso della conferenza stampa, ha affermato che ''è del tutto legittimo parlare di questi temi'' e che i vescovi anzi lo dovrebbero fare non solo in Austria ma a livello di Chiesa universale. L'intervento dell'arcivescovo è stato riportato dall'agenzia cattolica austriaca Kathpress. Nel corso del meeting dei consigli parrocchiali alcuni vescovi, fra i quali mons. Paul Iby, si erano pronunciati a favore dell'abolizione del celibato obbligatorio dei sacerdoti, era inoltre stata sollevato, in prospettiva, anche il tema delle ordinazioni femminili. ''Come vescovi - aveva affermato nel corso del dibattito mons. Alois Schwarz della diocesi di Carinzia -, noi vogliamo parlare del problema celibato e diciamo a Roma che questo tema è sul tappeto''.
di Marco Tosatti - 18/5/2010
19 Maggio. Max Scheler e la fondazione filosofica del concetto di persona - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - lunedì 17 maggio 2010
Oggi 19 Maggio nel 1928, moriva Max Scheler, grande filosofo tedesco (n. 1874)
"I valori e i loro ordinamenti brillano non già nella «percezione interna» o nella introspezione (che ci dà solo elementi psichici), ma nello scambio vivo col mondo (sia esso psichico, fisico o altro ancora), nell’amore, nell’odio, ossia nella pienezza di quegli atti intenzionali. Ed è in ciò che è dato in questa forma che consiste il contenuto apriorico" (Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, I, II, A).
Di madre ebrea e padre protestante si convertì al cattolicesimo, anche se nell'ultima fase della sua vita se ne allontanò. Da giovane si appassionò alla lettura di Nietzsche e poi di Bergson. Studiò medicina a München e successivamente filosofia e sociologia a Berlino con Wilhelm Dilthey, Carl Stumpf e Georg Simmel. A Jena venne a contatto con il Neokantismo (soprattutto nelle sue dottrine etiche ed epistemologiche) e completò il dottorato sotto la guida di Rudolf Eucken nel 1897 con una tesi su "Contributi per stabilire le relazioni tra le relazioni logiche ed etiche" (Beiträge zur Feststellung der Beziehungen zwischen den logischen und ethischen Beziehungen"). Nel 1899 ottenne l'abilitazione con la tesi su "Il metodo trascendentale ed il metodo psicologico" ("Die transzendentale und die psychologische Methode"). Dal 1900 al 1913 fu molto vicino alla fenomenologia di Edmund Husserl, ma non si considerò mai un allievo di Husserl. Dal 1913 (uscita del primo volume del Formalismus) fino al 1927 (uscita di Essere e Tempo di Heidegger) fu considerato il maggior filosofo tedesco per le sue analisi sulla persona e sulla sfera affettiva (il fenomeno del risentimento, del pudore, della simpatia, dell'amare e dell'odiare, dell'umiltà, della meraviglia, della sofferenza, dell'angoscia della morte) in cui sviluppa e rivede molte tematiche nietzschiane con una sensibilità profondamente ispirata dal cristianesimo (per questo venne anche soprannominato il "Nietzsche cattolico"). Dopo il disastro della Prima guerra mondiale divenne un importante punto di riferimento del mondo culturale cattolico tedesco anche grazie all'uscita di "L'eterno nell'uomo". Anche successivamente alla presa di distanza dal cattolicesimo continuò a porre al centro dei suoi scritti il problema di Dio e del sacro, contrapponendosi sia al processo di desacralizzazione del mondo e alle varie forme di relativismo sia al dogmatismo etico. Per questo fu sempre di difficile collocazione, ma anche uno dei filosofi più segretamente influenti del XX secolo. Morì prematuramente a 53 anni.
Il metodo fenomenologico inaugurato da Edmund Husserl incise molto sulla filosofia tedesca della prima fase del Novecento: in particolare, si avvertiva l'esigenza di estendere l'applicazione del metodo fenomenologico anche ad altri ambiti dell'esperienza umana oltre a quello della conoscenza, in particolare alla vita emotiva e all'etica. E proprio di questo ambito si interessò Scheler
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Quello del sentimento costituisce un ambito autonomo dal conoscere, in quanto è dotato di contenuti originari propri, dati a priori e non derivati dalle conoscenze di dati di fatto. Gli atti del sentimento sono infatti correlati intenzionalmente ai valori, che sono qualità inerenti alle cose e sono oggetto di un'intenzionalità conoscitiva, distinta dalle forme di conoscenza proprie della percezione o dell'intelletto: si tratta dell' intuizione emozionale, dotata di un'evidenza, che non è minore dell'evidenza che gli atti del percepire o del ricordare e così via hanno dei loro oggetti. I valori costituiscono dunque un mondo oggettivo caratterizzato da proprie leggi a priori che è compito dell'etica mettere in luce e descrivere. .
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La vita morale consiste, invece, nella piena realizzazione della persona umana e, quindi, include costitutivamente sentimenti ed emozioni, in particolare la simpatia e l'amore. La persona è, per usare le parole di Scheler, “l’unità immediata del vivere per l’esperienza vissuta”: è, detto altrimenti, una “unità immediata covissuta”, ossia un’immediatezza unitaria avvertita tramite le molteplici esperienze che il soggetto vive rapportandosi agli altri. Anche nella definizione del concetto di persona, Scheler si oppone a Kant, per il quale la persona era riducibile all’Io ed era contraddistinta da una totale aseità trascendentale. Per Scheler, al contrario, il concetto di persona dev’essere distinto da quello di anima, la quale implica il dualismo anima/corpo: la persona è una “unità bio-psichica”, dice Scheler, ma poi finisce inavvertitamente per far prevalere il momento spirituale su quello fisico. Essendo essenzialmente attività, la persona è soprattutto spiritualità: e tra le varie persone sussistono differenze irriducibili le une alle altre. Ogni persona ha il suo destino, il suo carattere, i suoi compiti. Scheler precisa però che “lo spirito è impotente”, da solo non può creare alcunché: deve penetrare la dimensione fisica e dominarla secondo la gerarchia dei valori. Perché ciò possa avvenire, occorre appoggiarsi alla collaborazione delle altre persone, alla luce del fatto che sussiste un’ineludibile comunanza spirituale tra gli uomini. (Diego Fusaro)
Sondaggi e bioetica - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 19 maggio 2010
Una recente indagine IARD-SWG spiega, in termini numerici, quanto la bioetica funga da spartiacque tra credenti e non credenti.
Si scopre così, ad esempio, che il’88% dei non credenti si dichiara favorevole all’eutanasia, mentre soltanto il 29% dei cattolici praticanti accetta l’idea della dolce morte. Non cambia sostanzialmente la situazione in tema di aborto. Favorevoli l’87% dei non credenti e tendenzialmente contrari i cattolici praticanti, tra i quali solo il 22% esprime un consenso all’interruzione volontaria di gravidanza.
A favore della fecondazione assistita eterologa, invece, si schiera il 77% degli atei, mentre tra i cattolici praticanti solo il 31% la dichiara ammissibile. Interessante è il fatto che le opinioni degli agnostici non siano poi così lontane dai credenti che non si riconoscono in una chiesa e dai non praticanti. Le percentuali, ad esempio, di quanti dicono sì all’aborto, all’eutanasia e alla fecondazione assistita eterologa, tra gli agnostici, vanno dal 56 al 78%.
C’è, invece, un tema su cui la maggioranza degli intervistati, indipendentemente dalla propria appartenenza religiosa, si dice contraria. Si tratta della pena di morte. La quota più elevata di assensi emerge tra i cattolici non praticanti (36%), mentre per tutti gli altri si aggira attorno al 20%.
Il commento dell’indagine giunge alla conclusione che «tra gli atei è radicata l’opinione che l’uomo sia l’artefice unico delle proprie scelte e che spetti appunto ai singoli individui prendere decisioni anche in materia di vita e di morte».
La considerazione non è nuova e non aggiunge molto a quello che già si conosceva. Consente semmai di confermare quanto una prospettiva antropocentrica possa incidere nel campo della bioetica. L’individuo eretto a parametro morale di se stesso diventa artefice del proprio destino, faber suae quisque fortunae, padrone assoluto della propria esistenza.
Si comprende bene anche l’opinione sulla pena di morte.
In realtà non vi è alcuna contraddizione da parte dei non credenti.
La prospettiva antropocentrica, infatti, pretende che sia lasciata all’individuo e soltanto all’individuo la disponibilità della propria esistenza. Nella pena di morte, invece, la decisione ultima appartiene allo Stato. Ciò spiega come molti militanti in favore dell’eutanasia – ad esempio i radicali italiani – siano al tempo stesso strenui oppositori della pena di morte.
Per essi, infatti, soltanto l’individuo nella sua piena autodeterminazione può stabilire quando cessare di vivere e nessun’altra autorità – che si chiami Stato o Dio è indifferente – può arrogarsi il diritto di farlo al posto suo.
Il fatto è che la bioetica, oggi, è diventata un campo primario e cruciale della lotta culturale tra relativismo etico e responsabilità morale dell’uomo. Si tratta, come ricordava Benedetto XVI, di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l’uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio.
Si impone un aut aut decisivo, la scelta tra le due razionalità: quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell’immanenza. Ma è proprio la razionalità immanente dell’uomo, che pretende di essere misura di tutte le cose, a rischiare di apparire irrazionale, giacché giunge ad implicare un rifiuto deciso del senso e del valore della realtà. Non a caso la chiusura alla trascendenza si scontra con la difficoltà a pensare come dal nulla sia scaturito l’essere e come dal caso sia nata l’intelligenza.
La visione dell’individuo artefice del proprio destino, in realtà, lascia senza adeguata risposta i quesiti più profondi dell’animo umano. Infatti, è soltanto attraverso l’apertura al mistero di Dio, puro Amore, che può colmarsi la sete di verità e di felicità del cuore dell’uomo. E solo la prospettiva dell’eternità riesce a conferire valore autentico alla realtà, alla Storia e soprattutto al mistero della fragilità umana, della sofferenza e della morte.
Senza questa prospettiva l’uomo è destinato a smarrirsi.
In un interessante saggio del filosofo scozzese Alasdair MacIntyre, intitolato After virtue, la visione antropocentrica moderna viene contrapposta all’etica aristotelico-cristiana. MacIntyre paragona l’attuale società, in cui domina un esasperato soggettivismo ed una visione totalmente relativistica dell’etica, a quella che ha visto il tramonto dell’impero romano. Allora – secondo MacIntyre – fu la geniale intuizione di San Benedetto, alla luce dell’originale apporto del cristianesimo, a recuperare l’etica delle virtù praticata nella polis aristotelica, mentre fu proprio l’epoca moderna a mutare radicalmente la Weltanschauung benedettina, introducendo la visione illuminista di uomini separati e soggetti astratti. Visione totalmente opposta alla prospettiva di una società fondata su una dimensione comunitaria e unita da valori universalmente condivisi.
La pretesa di rendere l’uomo artefice del proprio destino, padrone di sé e del mondo, ha finito per distruggere la società. Lo spiega bene MacIntyre: «L’Io specificamente moderno, nell’acquistare la sovranità nel suo proprio reame, ha perduto i confini tradizionali che gli erano stati forniti da un’identità sociale e da una visione della vita come processo orientato
verso un fine prestabilito».
L’individuo sprofonda in una drammatica dimensione di solitudine e tenta disperatamente di trovare in se stesso una dimensione trascendente.
La tentazione di sostituirsi a Dio, del resto, è antica quanto l’uomo.
Riecheggia nelle parole del tentatore: «Eritis sicut dii», come nel mito di Prometeo. L’eterna tentazione di impadronirsi del segreto del fuoco sottraendolo agli dei, perché essi non possano più dominare l’uomo in virtù della supremazia dovuta al possesso esclusivo di quel segreto.
Ricordo di aver letto che proprio Karl Marx, quintessenza della modernità fino al delirio dell’ideologia che porta il suo nome, nella sua tesi di laurea in filosofia, conseguita il 15 aprile 1841 presso l’Università di Jena, dal titolo Differenz der demokritischen und epikurischen Naturphilosophie nebst einem Anhang (Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e di Epicuro con un’appendice), cita espressamente il verso del poeta greco Eschilo in cui il titano Prometeo, dopo il sacrilego furto del fuoco, afferma: «Io odio tutti gli dei». «La confessione di Prometeo», commenta Marx, «è la confessione della filosofia, il suo verdetto contro tutti gli dèi celesti e terrestri che non riconoscono l’autocoscienza umana come la deità suprema».
Epicuro è presentato da Marx come «il più grande illuminista greco», come colui che portò fino in fondo la critica della religione a favore dell'autocoscienza umana.
E se ci fossero dubbi sulla prospettiva prometeica di Marx, basterebbe leggere la sua poesia giovanile intitolata Menschenstolz, orgoglio umano: «Sdegnosamente, getterò il mio guanto / in faccia al mondo / e vedrò crollare questo gigante pigmeo / la cui caduta non spegnerà il mio ardore. / Poi come un Dio vittorioso andrò alla ventura /fra le rovine del mondo / e, dando alle mie parole potenza di azione, / mi sentirò uguale al Creatore».
Tutti sappiamo quale sia stata la “potenza creatrice” di Marx, e quali siano stati gli effetti devastanti che ha lasciato nella Storia dell’umanità. Ogniqualvolta l’uomo ha preteso di sostituirsi a Dio ha lasciato dietro di sé soltanto rovine, polvere e cenere. Ma questa – ahimè – è una lezione che l’umanità si ostina a non voler imparare.
Satana e l'eternità dell'Inferno - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.roma.it
La versione greca della Bibbia detta dei Settanta traduce "Satana" con il vocabolo "Diabolos", che significa "colui che divide (dal verbo greco diaballo) e corrompe". Il Nuovo Testamento presenta il diavolo come un essere attivo, abile, ingegnoso (Mt. 13, 19; Lc. 8,12; Es. 2, 14), seduttore e astuto (2 Cor. 11, 3), violento e collerico (Ap. 2, 10; 12). Gesù lo identifica con Beelzebul, principe dei demoni (Mc. 3, 2224); e l'Apocalisse (20, 2) lo identifica con questi termini: "Il dragone, l'antico serpente, cioè il diavolo, satana". Oggi il pensiero esoterico, nuovamente rinvigorito dalla diffusione in larghissimi strati della popolazioni di scritti di astrologia occulta e della Kabbalah diffusi dal New Age, parla di geni, ondine, fate, elfi e di altri demoni benigni. In realtà in quella scelta primordiale pro o contro Dio non vi fu posto per angeli neutrali. Il teologo Lessio, discepolo di Suarez, affermò decisamente: "L'opinione ...
... che vi siano dei demoni benigni (come pure geni elementari nel fuoco, nell'aria, nella terra) è contro la Sacra Scrittura e l'insegnamento della Chiesa, che riconosce solo demoni cattivi". Gli angeli decaduti o diavoli, essendo spiriti, hanno anche dopo il castigo divino quella savratemporalità ed extraspazialità che li rende superiori agli esseri umani. I diavoli, insegna S. Tommaso, hanno la naturale facoltà conoscitiva particolarmente brillante e quindi sono di gran lunga più intelligenti degli uomini.
l demoni sono molto più abili di tutti i nostri fisiologi e psicologi, sono più esperti e scaltri di tutti i nostri uomini politici. Dopo il peccato solo la volontà angelica è mutata. Con quella libera decisione presa al momento della prova con Dio o contro Dio, la volontà degli angeli rimane o confermata nella grazia o indurita nel peccato. Per Lucifero-Satana e il suo seguito, la punizione divina fu l'eterna dannazione. Non esiste dunque alcuna possibilità di salvezza per gli angeli ribelli. A questo riguardo c'è un falso pietismo verso i diavoli che crea molta confusione e alcuni teologi parlano dl una finale riabilitazione la salvezza dì tutti i diavoli come pure di tutti gli uomini malvagi grazie alla infinita bontà e misericordia di Dio.
Lo scrittore Giovanni Papini nel suo libro "Il diavolo" pubblicato negli anni 50 fece scalpore con una tesi a dir poco ardita. Papini affermava che Satana non può salvarsi da sé e Dio non può fare il primo passo; quindi agli uomini di buona volontà è offerta la possibilità di esercitare l'amore al nemico e con questo amore indurre Satana a manifestare il suo pentimento. In tal modo Dio lo perdonerà e ci libererà dal "male" come chiediamo nell'orazione domenicale. La verità è che la situazione di ribellione a Dio da parte degli spiriti malvagi è una scelta irrevocabile. I diavoli hanno rifiutato la signoria di Dio definitivamente, per l'eternità. La loro scelta irrevocabile nasce dalla loro natura di puri spiriti che per decidere non hanno bisogno di ragionamenti prolungati, ma scelgono immediatamente.
San Tommaso d'Aquino afferma: "Non c'è possibilità di pentimento per loro dopo la caduta come non c'è possibilità di pentimento per l'uomo dopo la morte". Sempre San Tommaso riguardo al destino ultimo ed alle scelte dei puri spiriti dichiara: "Permangono immutabili nel bene o nel male subito dopo la prima scelta, perché finisce in quel momento il loro status viatoris; né spetta alla natura della divina sapienza la comunicazione di un'altra grazia ai demoni con cui siano richiamati dal male della prima avversione, nella quale perseverano ormai in modo irrevocabile". Poiché il peccato degli angeli maligni fu molto più grave di quello degli uomini, molto più pesante fu il castigo loro inflitto. I diavoli, essendo spiriti, hanno un inferno peggiore degli uomini, molto più pesante fu il castigo loro inflitto.
I diavoli, hanno un maggiore dolore spirituale poiché si rendono più degli uomini, della eccellenza del bene perduto e dell'enormità della perfidia realizzata. L'inferno non deve essere visto tanto come una costrizione divina contro i demoni, ma come un prolungamento del combattimento degli spiriti maligni per il regno del male. L'inferno è la realizzazione piena dell'infelicità, di chi ha voluto guadagnare la sua vita, senza Dio, ma in realtà così facendo l'ha persa (Mt. l, 35). Il fallimento del Marxismo e del Nazismo nel XX secolo ci aiutano a capire meglio l'Inferno dei demoni. L'Ateismo marxista e il paganesimo occultista hitleriano con le loro false promesse hanno ingannato molti, ma alla fine entrambi hanno dimostrato di essere dei giganti con i piedi d'argilla. Queste due ideologie "diaboliche" hanno portato allo sterminio di decine di milioni di uomini nei lager e nei gulag rivelando così il loro perfido potere di distruzione e di degradazione del genere umano. Mentre Dio crea la vita, l'essere, i demoni realizzano il niente, il caos, la confusione e la perversione.
Attenzione: non è vero che gli spiriti maligni diffondono l'ateismo; essi non sono atei, sanno bene che Dio esiste ed è all'opera, nel loro progetto di destabilizzazione della terra, l'ateismo è solo un momento di transizione perché l'obiettivo che essi propongono è l'adorazione del male. Moolenburgh ha scritto: "L'inferno vuole sempre dominare e appena si vede il desiderio di dominazione accompagnato da quella che sembra un'idea brillante, si dovrebbe manifestare qualche sospetto. Invece dell'abolizione del proletariato, si instaura la dittatura del proletariato, e invece di una cooperazione, la costituzione di un ordine stabilito. Messo in parole povere: l'ispirazione maligna prima o poi conduce al sospetto e all'odio e infine all'oppressione e all'omicidio. L'ispirazione celeste invece conduce alla fiducia e all'amore reciproci".
Riguardo all'Inferno, il Nuovo Testamento insegna con la massima chiarezza che il destino degli uomini giusti e quello degli uomini empi dopo la morte e alla fine dei tempi sarà diverso. I Vangeli sono estremamente crudi al riguardo: "Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti". Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capi alla sinistra" (Mt. 25, 31-33). Il destino ultraterreno dei malvagi comporta l'esclusione definitiva di quella situazione che il Nuovo Testamento definisce "vita eterna": "Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt. 25, 41).
Il concetto di impedimento assoluto dei cattivi dal regno celeste di Dio è assai frequente in S. Paolo: "O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? " (1 Cor. 6, 9). Il senso delle formule di esclusione dal Paradiso sono talmente nette che non lasciano alcuna pretesa di salvezza da parte dei diavoli e dei malvagi. Riguardo all'inferno, dottrina della Chiesa Cattolica è assai chiara: esso è uno stato che tocca, nell'aldilà, a coloro che muoiono in uno stato di peccato mortale e d'inimicizia con Dio, avendo perso l'amicizia con Dio (grazia santificante) con un atto personale libero. L'idea che le pene dell'inferno debbano durare per un tempo assai lungo e poi terminare è stata condannata dai Sinodo di Costantinopoli. "Se qualcuno dice o Sostiene che il supplizio dei demoni e degli uomini empi è temporale e che avrà fine dopo qualche tempo o che vi sarà una restituzione o reintegrazione dei demoni e degli uomini empi, sia scomunicato". Per il cattolico medio inferno e fuoco eterno assumono il medesimo significato; la teologia, invece, distingue due tipi di pene: quella del danno e quella del senso. Il Catechismo della Chiesa cattolica così definisce al n. 1035 la pena del danno: "La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale l'uomo può avere la vita e la felicità, per le quali è stato creato e alle quali aspira". Oltre la pena del danno, la Bibbia afferma anche una pena del senso che tormenta diavoli e dannati e ne usa varie analogie: "lo stagno ardente di fuoco e di zolfo" (Ap. 21, 8), "la Geenna", "le tenebre esteriori, la morte eterna, un verme che non muore" (Mc. 9, 44.46.48). S. Tommaso commenta che nel peccato, oltre all'aspetto dell'allontanamento dell'amicizia di Dio, vi è anche un eccessivo e sbagliato attaccamento alle realtà create. La pena del senso corrisponde a questo atteggiamento disordinato.
La pena del senso più ricorrente nella Scrittura e nella tradizione teologica è il fuoco. Sant’Agostino lo definisce un fuoco misterioso perché, al contrario del nostro, è inestinguibile ed eterno, e perché ha il potere di tormentare sia i corpi sia gli spiriti. Il Magistero della Chiesa insegna che non si tratta di un fuoco metaforico, quale simbolo di dolori puramente spirituali, ma di un fuoco reale anche se non è da confondere con il nostro fuoco terrestre. Il Concilio di Firenze, inoltre, afferma che come il grado della felicità celeste è diverso nei singoli beati, secondo il grado dei loro meriti, così le pene dell' inferno saranno proporzionate al numero e alla gravità delle colpe. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, emanato da Benedetto XVI nel 2005, Al n. 108 afferma: “ Gesù accompagna la sua parola con segni e miracoli per attestare che il Regno è presente in lui, il Messia. Sebbene egli guarisca alcune persone, non è venuto per eliminare tutti i mali quaggiù, ma per liberarci anzitutto dalla schiavitù del peccato. La cacciata dei demoni annuncia che la sua Croce sarà vittoriosa sul “Principe di questo mondo” (Gv 12,31)”.
Don Marcello Stanzione
Il peccato? Figlio della lontananza da Dio. E' in atto una apostasia silenziosa, frutto di cattivi teologi che ingannano le coscienze. L'Inquisizione in sé non fu un male, sbagliati alcuni eccessi. Religioni orientali idolatriche - Bruno Volpe – dal sito Ponfifex.roma.it
Come ormai noto, domenica il Papa ha lanciato un severo monito al senso del peccato ed anche allo stesso che talvolta ha fatto capolino nella Chiesa cattolica. Ne discutiamo con il noto teologo e demonologo don Renzo Lavatori,docente. Professor Lavatori, il Papa ha ammonito contro il peccato e in particolare su quello all' interno della Chiesa cattolica: " reputo le parole del Santo Padre chiare, sagge e pertinenti. In effetti oggi il senso del peccato si é molto attenuato e questo mi sembra grave". Da che cosa dipende tale fenomeno?: " dal fatto che, a causa di una società spesso troppo tollerante, si é smarrito il senso della divisione tra bene e male, ci si é allontanati dalla legge naturale e in ultima analisi da Dio e dai suoi precetti. Manca il senso e la ricerca di Dio e dunque la volontà di avvicinarsi al sacro, siamo messi male". Ma il Papa ha lanciato questo suo allarme anche agli uomini di chiesa: " non fa differenza, perché ...
... uomini sono, con le loro debolezze e la nostra tendenza come diceva san Paolo, é orientata al male. L' uomo cerca di fare il bene, ma finisce con operare cose cattive. La Chiesa é una istituzione divina, composta da uomini con le loro debolezze e fragilità e dunque anche i ministri, per fortuna pochi, possono cadere in errori, anche molto gravi".
Esiste una generale rilassatezza verso il peccato?: " questo senza dubbio, ed é responsabilità della cultura relativista che impera. Ognuno crede di crearsi modelli suoi, e un emblema é la logora espressione: che male c'é. Alla stregua di una falsa libertà che scivola verso la irresponsabilità, si permette tutto".
Poi lancia una stoccata: " ma questo non é responsabilità dei soli fedeli, ma anche di uomini di chiesa e teologi. Oggi é in atto una apostasia silenziosa, il mondo e la tradizione cattolica spesso sono turbati da falsi profeti che lanciano teorie sconcertanti e quello che é peggio che queste resie, queste cose stravaganti, non vengono riprese con la dovuta energia e la fede dei deboli e semplici si turba. Molti si professano biblisti e teologi e non ne hanno titolo, si stravolge la teoria della resurrezione della carne e pochi se ne dolgono, insomma, persino i teologi hanno le loro brave colpe in questo clima di confusione generale".
Ed ecco quello che non ti aspetti: " esiste sempre una leggenda nera sul conto della Chiesa cattolica che andrebbe rivista e corretta".
Quale?: " la Inquisizione. Bene, questa istituzione non era sbagliata ed operava per il bene, per la difesa della sana dottrina in tempi molto simili agli attuali, serviva per mettere ordine. Tanto che alcuni santi furono anche inquisitori. Quello che scandalizzò e che certamente deviò dalla norma, furono alcuni metodi violenti e coercitivi contrastanti con la idea della misericordia, ma in sé stessa la Inquisizione fu un fatto positivo e direi persino necessario a quei tempi".
Oggi vanno di moda le religioni orientali, come mai?: " perché spesso la gente cerca altrove quel senso del sacro che noi cattolici per mania di modernità, non riusciamo a dare. Ma attenzione. Questi riti sono insidiosi, anti cattolici e molto spesso idolatrici e paganizzanti, fuorviano dalla retta dottrina della fede, attenzione".
Bruno Volpe
LA “LEGGE ARIZONA”, UNA LEGGE DISCRIMINATORIA - Opposizione della Chiesa - di Omar Árcega
CITTA' DEL MESSICO, martedì, 18 maggio 2010 (ZENIT.org).- Emigrare per questioni di lavoro è sempre una situazione di precarietà, ma diventa molto più grave se nel luogo in cui si arriva per lavorare per sopravvivere si viene perseguitati.
E' la situazione che hanno vissuto individui di vari etnie, culture e nazionalità che hanno costruito “il sogno americano”. La pressione era frutto di iniziative personali o di gruppo.
Con l'approvazione della legge SB-1070, nota come “Legge Arizona”, questa persecuzione diventa politica di Stato in questo territorio degli Stati Uniti, e si apre la porta alla sua adozione in altre zone.
E' questo il bilancio che fa di questa legge controversa, che dovrebbe entrare in vigore ad agosto, “El Trabajador Católico”, bimensile della Casa di Ospitalità Juan Diego di Houston (Texas). Nel suo numero di maggio-giugno, la pubblicazione sottolinea alcuni punti.
Conseguenze della legge
Permette che le forze dell'ordine arrestino qualsiasi persona perché sembra latina, cioè per le sue fattezze e/o per il colore della pelle. Obbliga anche il personale sanitario e del settore dell'insegnamento a denunciare alle autorità le persone che ricevono questo servizio nel caso in cui abbiano tratti non caucasici.
Permette istanze contro agenzie governative che ostacolino l'applicazione delle leggi sull'immigrazione e rende illegale contrattare persone senza documenti come lavoratori giornalieri o trasportarli conoscendone lo status legale.
Reazioni della società
Vari settori della società nordamericana hanno levato la voce contro questa disposizione, perché genera una dinamica di discriminazione ed esclusione. Nelle settimane seguite alla sua approvazione sono state organizzate marce di protesta in 70 città dell'Unione Americana e sono state convocate iniziative anche in vari Paesi latinoamericani.
Los Angeles, San Francisco, Portland e Austin sono le città che si sono unite al boicottaggio commerciale contro l'Arizona come forma di protesta. Si calcola che circa 60.000 bambini rimarranno abbandonati perché i loro genitori saranno espulsi o vedranno ridotte le proprie possibilità di lavoro.
La Chiesa leva la voce
Anche la Chiesa cattolica ha lanciato attraverso i suoi rappresentanti una condanna energica. Il Cardinale Roger Mahony, Arcivescovo di Los Angeles, l'ha definita una “legge nazista”, mentre il Vescovo di Phoenix, monsignor Thomas Olmsted, ha firmato alcune settimane fa un comunicato firmato anche da leader di varie denominazioni religiose in cui si avvertiva del pericolo di approvare una legge che faccia della discriminazione una politica di Stato.
Il 9 maggio la Rete Cattolica della Diversità Culturale, formata da Vescovi, religiosi, religiose e laici di tutte le etnie degli Stati Uniti, ha reso nota una lettera di sostegno ai Vescovi dell'Arizona in cui afferma che “questa legge indebolisce il tessuto sociale mediante la creazione di un'atmosfera di discriminazione contro alcuni membri della comunità, la creazione di profili delle minoranze e il timore delle persone di colore indipendentemente dalla loro condizione migratoria”.
Si lamenta anche la mancanza di leadership sia dei repubblicani che dei democratici a livello federale, e si chiede un'azione immediata sulla riforma migratoria perché “possiamo trovare la via da seguire affinché siano salvaguardati e protetti i diritti e la dignità degli esseri umani, inclusi gli illegali, così come l'integrità delle nostre frontiere”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
«Quel bimbo gemeva Basta aborti tardivi» - Roccella: da vietare dopo la 22esima settimana - il caso Rossano - In seguito alla vicenda del bimbo abortito vivo e lasciato per 24 ore senza assistenza, interpellanza di Luisa Santolini (Udc) e risposta del sottosegretario alla Salute - DI LUCIA BELLASPIGA – Avvenire, 19 maggio 2010
A ngelo (lo chiameremo così), abortito vo lontariamente il 24 aprile scorso all’o spedale di Rossano Calabro quando era un feto già di almeno 22 settimane, «è soprav vissuto senza alcuna cura per 24 ore, dodici del le quali in gran parte notturne, in grave ipoter mia », adagiato su una ciotola di metallo «pog giata su di un carrello». Un fatto che non ha gran ché scosso i media nazionali (mentre ha fatto scalpore su quelli internazionali), ma che nella ricostruzione del sottosegretario Eugenia Roc cella - chiamata a ri spondere a un’interpel lanza urgente della de putata Udc Luisa Santo lini - suona ancora drammatico. Coperto da un telo in attesa di esse re gettato tra i 'rifiuti speciali' dell’ospedale, Angelo è stato dimenti cato lì, finché il giorno dopo una dottoressa passata per caso non ha «percepito un rumore. Rimosso il telo potè veri ficare la presenza di un neonato» ancora capace di emettere gli ultimi gemiti. Dopo l’aborto - ha spiegato il viceministro alla Salute - «supponen do la diagnosi di morte certa non è stato chiamato né il pediatra né il rianimatore. Il neonato è sta to avvolto nel telo e adagiato su un fasciatoio in attesa di un suo trasporto nella camera mortua ria, e in tale luogo è rimasto», continuando a ge mere e lottare per la vita tutta la notte e il matti no successivo. Non solo un evento umanamente e moralmen te terrificante, ma anche una totale infrazione della legge 194 ('Norme per la tutela sociale del la maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza') che così dice: dopo i tre mesi di gra vidanza, è possibile abortire esclusivamente in due casi, ovvero quando la gravidanza compor ti un grave pericolo di vita per la donna, e quan do nel nascituro siano accertate anomalie non solo 'rilevanti' ma anche determinanti un 'gra ve pericolo per la salute fisica o psichica della donna'; non solo: quando ormai c’è la possibi lità che il nascituro abbia già vita autonoma (e alla 22esima settimana questo avviene già con u na certa frequenza) l’aborto può essere pratica to esclusivamente nel primo caso (grave perico lo per la vita della donna) e 'il medico che ese gue l’intervento deve adottare ogni misura ido nea a salvaguardare la vita del feto'. Angelo non aveva alcuna 'rilevante' malformazione, solo u na palatoschisi (il labbro leporino), eppure un medico del dipartimento di salute mentale di Cosenza ha dato il via libera, certificando in quel labbro leporino «un grave pericolo per la salute psichica» della madre. E di salvaguardare la sua vita nessuno si è comunque sognato.
«Non si è a conoscenza di cosa sarebbe succes so se fosse stato subito soccorso adeguatamen te in un ospedale attrezzato», ha rilevato la Roc cella, ricordando l’inutile corsa alla terapia in tensiva neonatale di Cosenza, «ma sicuramente ha dimostrato di aver avuto capacità di vita au tonoma, nonostante il completo abbandono». Per un aborto così a 'rischio sopravvivenza' «e ra necessario un ospedale e del personale at trezzato per grandi prematuri», ha ricordato. Di qui l’impegno del governo «che sta valutando quale strumento utilizzare per vietare gli aborti oltre la 22esima settimana di gravidanza, come ormai conviene l’intera comunità scientifica» (al la 24esima settimana il 50% dei feti ha già vita autonoma), «e affinché le interruzioni di gravi danza tra la 20esima e la 22esima settimana sia no effettuate solo presso unità ospedaliere con terapia intensiva neonatale». Perché se un altro feto sfuggisse alle maglie della morte e venisse al mondo vivo, riceva le stesse cure di qualsiasi bim bo nato prematuro, uguale a lui ma non chia mato aborto né rifiuto speciale.