Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: “NON C’È PENTECOSTE SENZA LA VERGINE MARIA” - Intervento in occasione del Regina Caeli
2) OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica mattina presiedendo nella Basilica Vaticana la Santa Messa della solennità di Pentecoste.
3) “GUARDARE ALLA SINDONE SIGNIFICA LASCIARSI GUARDARE DAL SIGNORE” - Don Paolo Tomatis spiega il rapporto tra Sindone e liturgia - di Chiara Santomiero
4) UNA POLITICA REGIONALE PER LA TUTELA DELLA MATERNITÀ E DEI CONCEPITI - ROMA, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica, pubblichiamo l’intervento della dottoressa Lodovica Carli all’incontro che si è tenuto venerdì 21 maggio al Palazzo della Regione Lazio a Roma sul tema: “Regioni: quali politiche per la vita?”.
5) I RISVOLTI NEGATIVI DELLA FECONDAZIONE IN VITRO - di padre John Flynn, L.C. - ROMA, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- L’opposizione della Chiesa cattolica alla fecondazione in vitro (FIV) è ben nota, ma recentemente alcune di queste pratiche sono oggetto di critiche anche da parte di osservatori laici.
6) S.E. Card. Carlo Caffarra - Giorno nazionale del Timone - Intervento in occasione del ricevimento del premio "Defensor Fidei" 2010 - Oreno di Vimercate (Mi), 22 maggio 2010
7) Benedetto XVI parla al mondo laico col linguaggio illuminato del vero liberale - di Raffaele Iannuzzi - © Copyright L'Occidentale, 24 maggio 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
8) La pedofilia nella Chiesa? Una macchinazione di Satana, entrato nella Chiesa e nel Vaticano. L' omosessualità come ogni peccato, é demoniaca. Il teologo Maggi? Vittima di seduzioni del maligno. Riti orientali? Demoniaci - Bruno Volpe – dal sito pontifex.roma.it
BENEDETTO XVI: “NON C’È PENTECOSTE SENZA LA VERGINE MARIA” - Intervento in occasione del Regina Caeli
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica recitando la preghiera mariana del Regina Caeli insieme a migliaia di pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano.
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Cari fratelli e sorelle!
Cinquanta giorni dopo la Pasqua, celebriamo la solennità della Pentecoste, in cui ricordiamo la manifestazione della potenza dello Spirito Santo, il quale – come vento e come fuoco – scese sugli Apostoli radunati nel Cenacolo e li rese capaci di predicare con coraggio il Vangelo a tutte le genti (cfr At 2,1-13). Il mistero della Pentecoste, che giustamente noi identifichiamo con quell’evento, vero "battesimo" della Chiesa, non si esaurisce però in esso. La Chiesa infatti vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento. La Pentecoste si rinnova in modo particolare in alcuni momenti forti, a livello sia locale sia universale, sia in piccole assemblee che in grandi convocazioni. I Concili, ad esempio, hanno avuto sessioni gratificate da speciali effusioni dello Spirito Santo, e tra questi vi è certamente il Concilio Ecumenico Vaticano II. Possiamo ricordare anche il celebre incontro dei movimenti ecclesiali con il Venerabile Giovanni Paolo II, qui in Piazza San Pietro, proprio nella Pentecoste del 1998. Ma la Chiesa conosce innumerevoli "pentecoste" che vivificano le comunità locali: pensiamo alle Liturgie, in particolare a quelle vissute in momenti speciali per la vita della comunità, nelle quali la forza di Dio si è percepita in modo evidente infondendo negli animi gioia ed entusiasmo. Pensiamo a tanti convegni di preghiera, in cui i giovani sentono chiaramente la chiamata di Dio a radicare la loro vita nel suo amore, anche consacrandosi interamente a Lui.
Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. Così è stato all’inizio, nel Cenacolo, dove i discepoli "erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui" – come ci riferisce il libro degli Atti degli Apostoli (1,14). E così è sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Ne sono stato testimone anche pochi giorni fa, a Fatima. Che cosa ha vissuto, infatti, quell’immensa moltitudine, nella spianata del Santuario, dove tutti eravamo un cuore solo e un’anima sola, se non una rinnovata Pentecoste? In mezzo a noi c’era Maria, la Madre di Gesù. E’ questa l’esperienza tipica dei grandi Santuari mariani - Lourdes, Guadalupe, Pompei, Loreto - o anche di quelli più piccoli: dovunque i cristiani si radunano in preghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito.
Cari amici, in questa festa di Pentecoste, anche noi vogliamo essere spiritualmente uniti alla Madre di Cristo e della Chiesa invocando con fede una rinnovata effusione del divino Paraclito. La invochiamo per tutta la Chiesa, in particolare, in quest’Anno Sacerdotale, per tutti i ministri del Vangelo, affinché il messaggio della salvezza sia annunciato a tutte le genti.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Ieri, a Benevento, è stata proclamata Beata Teresa Manganiello, fedele laica, appartenente al Terz’Ordine Francescano. Nata a Montefusco, undicesima figlia di una famiglia di contadini, trascorse una vita semplice e umile, tra le faccende di casa e l’impegno spirituale nella chiesa dei Cappuccini. Come san Francesco d’Assisi cercava di imitare Gesù Cristo offrendo sofferenze e penitenze per riparare i peccati, ed era piena di amore per il prossimo: si prodigava per tutti, specialmente per i poveri e i malati. Sempre sorridente e dolce, a soli 27 anni è partita per il Cielo, dove già il suo cuore abitava. Rendiamo grazie a Dio per questa luminosa testimone del Vangelo!
La memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, ci offre - domani 24 maggio - la possibilità di celebrare la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Mentre i fedeli che sono in Cina pregano affinché l'unità tra di loro e con la Chiesa universale si approfondisca sempre di più, i cattolici nel mondo intero - specialmente quelli che sono di origine cinese - si uniscono a loro nell’orazione e nella carità, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori particolarmente nella solennità odierna.
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i membri del Movimento per la Vita, che promuove la cultura della vita e concretamente aiuta tante giovani donne a portare a termine una gravidanza difficile. Cari amici, con voi ricordo le parole della Beata Teresa di Calcutta: "Quel piccolo bambino, nato e non ancora nato, è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato". Saluto la delegazione del Comune di Vedelago (provincia di Treviso), gli alunni di scuola elementare di Casarano, l’associazione "Il Disegno" di Cesena e gli scout di Cetraro. A tutti auguro una buona festa di Pentecoste, una buona domenica e una buona settimana.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
OMELIA DI BENEDETTO XVI NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE - CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica mattina presiedendo nella Basilica Vaticana la Santa Messa della solennità di Pentecoste.
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Cari fratelli e sorelle,
nella celebrazione solenne della Pentecoste siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero. Facciamo nostra, dunque, e con particolare intensità, l’invocazione della Chiesa stessa: Veni, Sancte Spiritus! Un’invocazione tanto semplice e immediata, ma insieme straordinariamente profonda, sgorgata prima di tutto dal cuore di Cristo. Lo Spirito, infatti, è il dono che Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i suoi amici; il primo e principale dono che ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo.
Di questa preghiera di Cristo ci parla il brano evangelico odierno, che ha come contesto l’Ultima Cena. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,15-16). Qui ci viene svelato il cuore orante di Gesù, il suo cuore filiale e fraterno. Questa preghiera raggiunge il suo vertice e il suo compimento sulla croce, dove l’invocazione di Cristo fa tutt’uno con il dono totale che Egli fa di se stesso, e così il suo pregare diventa per così dire il sigillo stesso del suo donarsi in pienezza per amore del Padre e dell’umanità: invocazione e donazione dello Spirito s’incontrano, si compenetrano, diventano un’unica realtà. «E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre». In realtà, la preghiera di Gesù – quella dell’Ultima Cena e quella sulla croce – è una preghiera che permane anche in Cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre. Gesù, infatti, vive sempre il suo sacerdozio d’intercessione a favore del popolo di Dio e dell’umanità e quindi prega per tutti noi chiedendo al Padre il dono dello Spirito Santo.
Il racconto della Pentecoste nel libro degli Atti degli Apostoli – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11) – presenta il "nuovo corso" dell’opera di Dio iniziato con la risurrezione di Cristo, opera che coinvolge l’uomo, la storia e il cosmo. Dal Figlio di Dio morto e risorto e ritornato al Padre spira ora sull’umanità, con inedita energia, il soffio divino, lo Spirito Santo. E cosa produce questa nuova e potente auto-comunicazione di Dio? Là dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa. Questo è l’effetto dell’opera di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento, il "biglietto da visita" della Chiesa nel corso della sua storia universale. Fin dall’inizio, dal giorno di Pentecoste, essa parla tutte le lingue. La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane.
Da questo, cari fratelli, deriva un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana: quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo. Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso. Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire "tecnica". La Bibbia, infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9) che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione. La Chiesa è per sua natura una e molteplice, destinata com’è a vivere presso tutte le nazioni, tutti i popoli, e nei più diversi contesti sociali. Essa risponde alla sua vocazione, di essere segno e strumento di unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1), solo se rimane autonoma da ogni Stato e da ogni cultura particolare. Sempre e in ogni luogo la Chiesa dev’essere veramente, cattolica e universale, la casa di tutti in cui ciascuno si può ritrovare.
Il racconto degli Atti degli Apostoli ci offre anche un altro spunto molto concreto. L’universalità della Chiesa viene espressa dall’elenco dei popoli, secondo l’antica tradizione: "Siamo Parti, Medi, Elamiti…", eccetera. Si può osservare qui che san Luca va oltre il numero 12, che già esprime sempre un’universalità. Egli guarda oltre gli orizzonti dell’Asia e dell’Africa nord-occidentale, e aggiunge altri tre elementi: i "Romani", cioè il mondo occidentale; i "Giudei e prosèliti", comprendendo in modo nuovo l’unità tra Israele e il mondo; e infine "Cretesi e Arabi", che rappresentano Occidente e Oriente, isole e terra ferma. Questa apertura di orizzonti conferma ulteriormente la novità di Cristo nella dimensione dello spazio umano, della storia delle genti: lo Spirito Santo coinvolge uomini e popoli e, attraverso di essi, supera muri e barriere.
A Pentecoste lo Spirito Santo si manifesta come fuoco. La sua fiamma è discesa sui discepoli riuniti, si è accesa in essi e ha donato loro il nuovo ardore di Dio. Si realizza così ciò che aveva predetto il Signore Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Gli Apostoli, insieme ai fedeli delle diverse comunità, hanno portato questa fiamma divina fino agli estremi confini della Terra; hanno aperto così una strada per l’umanità, una strada luminosa, e hanno collaborato con Dio che con il suo fuoco vuole rinnovare la faccia della terra. Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare (cfr Es 3,2). E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore.
Un Padre della Chiesa, Origene, in una delle sue Omelie su Geremia, riporta un detto attribuito a Gesù, non contenuto nelle Sacre Scritture ma forse autentico, che recita così: «Chi è presso di me è presso il fuoco» (Omelia su Geremia L. I [III]). In Cristo, infatti, abita la pienezza di Dio, che nella Bibbia è paragonato al fuoco. Abbiamo osservato poco fa che la fiamma dello Spirito Santo arde ma non brucia. E tuttavia essa opera una trasformazione, e perciò deve consumare qualcosa nell’uomo, le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni con Dio e con il prossimo. Questo effetto del fuoco divino però ci spaventa, abbiamo paura di essere "scottati", preferiremmo rimanere così come siamo. Ciò dipende dal fatto che molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere, del possedere e non del donarsi. Molte persone credono in Dio e ammirano la figura di Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede. C’è il timore di dover rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze che ciò comporta.
Cari fratelli e sorelle, abbiamo sempre bisogno di sentirci dire dal Signore Gesù quello che spesso ripeteva ai suoi amici: "Non abbiate paura". Come Simon Pietro e gli altri, dobbiamo lasciare che la sua presenza e la sua grazia trasformino il nostro cuore, sempre soggetto alle debolezze umane. Dobbiamo saper riconoscere che perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita, è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente. Chi si affida a Gesù sperimenta già in questa vita la pace e la gioia del cuore, che il mondo non può dare, e non può nemmeno togliere una volta che Dio ce le ha donate. Vale dunque la pena di lasciarsi toccare dal fuoco dello Spirito Santo! Il dolore che ci procura è necessario alla nostra trasformazione. E’ la realtà della croce: non per nulla nel linguaggio di Gesù il "fuoco" è soprattutto una rappresentazione del mistero della croce, senza il quale non esiste cristianesimo. Perciò, illuminati e confortati da queste parole di vita, eleviamo la nostra invocazione: Vieni, Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo, per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
“GUARDARE ALLA SINDONE SIGNIFICA LASCIARSI GUARDARE DAL SIGNORE” - Don Paolo Tomatis spiega il rapporto tra Sindone e liturgia - di Chiara Santomiero
TORINO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Questa domenica, 23 maggio, è l’ultimo giorno della Solenne Ostensione della Sindone del 2010. Il percorso per la venerazione dei fedeli è rimasto aperto sino alle 13.00, e la porta centrale della Cattedrale è stata chiusa alle 14.00. Alle 16.00 è iniziata la concelebrazione eucaristica di chiusura, presieduta dal Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo di Torino e Custode pontificio della Sindone, con i Vescovi del Piemonte.
Dei segni caratteristici di questa celebrazione di chiusura e del rapporto tra Sindone e liturgia ZENIT ha parlato con don Paolo Tomatis, direttore dell’Ufficio liturgico dell’Arcidiocesi di Torino.
In che termini si può parlare di un rapporto tra Sindone e liturgia?
Tomatis: La Sindone – un’immagine sacra particolare che ha i tratti di un’icona ma anche di una reliquia - è stata oggetto di venerazione fin dalla sua comparsa. Il culto ufficiale nasce intorno al 1500 e si diffonde in terra sabauda con testi propri che richiamano alla Passione di Cristo e con un giorno liturgico di commemorazione che è il 4 maggio.
Più interessante, al di là della questione storica, è interrogarsi su cosa voglia dire celebrare davanti alla Sindone. Si è discusso molto riguardo a un oggetto la cui esposizione è temporanea e periodica e questo è il motivo per cui non si pone tanto il collegamento tra la liturgia – che è un atto della vita ordinaria – e la Sindone che rimane custodita, nascosta nella sua teca.
Certamente si pone la questione di quale tipo di gesto portare davanti alla Sindone e se alla Sindone si possa tributare lo stesso onore che si tributa alla croce con il gesto dell’adorazione, non solo della venerazione. In quanto immagine, noi offriamo alla Sindone un culto di venerazione, ma in quanto colui che è rappresentato è Cristo crocifisso, adoriamo colui che nella Sindone è raffigurato.
Da qui nascono i gesti della preghiera, dell’inginocchiarsi o della celebrazione dell’Eucarestia davanti alla Sindone. Essa ha alcune affinità con il mistero della liturgia nella misura in cui è mistero che rinvia alla croce e la liturgia è celebrazione della Pasqua e della Passione di Cristo. La Sindone, però, è anche mistero di luce, in quanto rimanda non soltanto alla morte di Gesù ma al contempo al telo abbandonato dal Risorto. Nel chiaroscuro dell’immagine sindonica possiamo contemplare non solo il mistero della croce, ma anche la luce della Pasqua perché nei Vangeli abbiamo notizie della Sindone quando il corpo non c’è più. Essa ci richiama al corpo risorto di Cristo.
Quanto pesa la questione dell’autenticità?
Tomatis: Proprio la liturgia, per certi aspetti, fa sì che noi siamo liberi di venerare la Sindone al di là della sua autenticità. La liturgia, infatti, ha affinato una teologia dell’immagine sacra – che è la teologia dell’icona e non solo – che non ha bisogno dell’autenticità storica ma della verità teologica. Quando noi portiamo in processione una statua con le reliquie di un santo non è così decisivo che le reliquie siano autentiche: il culto resta intatto nella sua verità, che passa dal segno a colui che dal segno e nel segno è significato.
In questo senso la liturgia tratta la Sindone come un’icona e come una reliquia; infatti il testo dell’inno che è stato composto per quest’Ostensione da Anna Maria Galliano, parla della Sindone come “nobile icona” e come “mistica impronta” dove l’allusione che è tipica del segno - cioè il rimando simbolico dell’icona e dell’impronta misteriosa -, rende possibile, accessibile e anche veritiero il culto, al di là di quella che è l’autenticità storica. La verità teologica non ha bisogno dell’autenticità storica.
Gli ortodossi hanno una visione ancora più forte grazie a una teologia che distingue meno il tema dell’autenticità storica e della verità teologica, ma parla della verità tout court. La Sindone, per il mondo liturgico ortodosso, è qualcosa di molto più familiare che per noi in quanto, ad esempio, il c.d. corporale - cioè la tovaglia in cui si posa il sacramento del corpo del Signore -, reca disegnato proprio una Sindone. La scena della deposizione del corpo del Signore sul corporale esplica un rimando simbolico tra la tovaglia che riceve l’ostia consacrata - il corpo del Signore - e il telo che ha accolto il corpo del Signore. In questo senso, la Sindone appartiene all’ordinario della liturgia del mondo ortodosso e per questo i fedeli vi sono molto affezionati.
Sono previsti dei segni particolari nella celebrazione eucaristica di chiusura dell’Ostensione?
Tomatis: Due segni particolari: durante l’atto penitenziale l’assemblea sarà rivolta verso la Sindone. Inoltre, al momento dell’offertorio – in posizione centrale tra l’offerta delle intenzioni contenute nella preghiera dei fedeli e l’offerta dei dono eucaristici – verrà portato all’altare un cesto con le intercessioni, le fotografie, le preghiere lasciate durante l’Ostensione dai pellegrini di tutto il mondo.
Nella liturgia eucaristica la sfida è cogliere nel segno stesso dell’Eucarestia il sacramento del corpo donato raffigurato nella Sindone. Abbiamo lavorato molto insieme con un gruppo di architetti torinesi e dei designer di Vicenza per elaborare un calice e una patena per questa Ostensione, usati in tutte le celebrazioni eucaristiche. Il disegno del calice suggerisce in modo evocativo il telo che avvolge il corpo del Signore, così come il calice stesso avvolge il sacramento del sangue di Gesù. Una sottile lamina d’argento avvolge il calice e ne fa intravedere l’oro sottostante, così come noi siamo invitati a vedere attraverso il chiaroscuro della croce di Cristo l’oro della Resurrezione.
Abbiamo cercato di lavorare sui grandi simboli della liturgia più che su segni aggiunti, convinti che la liturgia ci parla della Sindone.
Durante le Vie Crucis del periodo dell’Ostensione si è cercato, in particolare, un dialogo con i linguaggi dell’arte contemporanea…
Ogni venerdì c’è stata una Via Crucis che dalla Piazzetta reale è arrivata sul sagrato della cattedrale e quindi dentro la chiesa, avendo come filo rosso e simbolo il lenzuolo che è immagine di Gesù e anche del sepolcro vuoto. All’inizio si tratta di un lenzuolo che asciuga le lacrime della Passione di Gesù, un lenzuolo della consolazione, evocato attraverso le figurazioni astratte eseguite da una compagnia di danza perché in piazza si è cercato di attivare quei linguaggi che possono parlare a tutti, credenti e non credenti. L’idea è che tutti possano essere attirati dentro la storia della Passione di Gesù attraverso attori professionisti recitanti, una coreografia, elementi musicali. Il lenzuolo, poco per volta, diventa il corpo di Gesù sulla croce e il corpo di Gesù tra le braccia della Madonna la cui desolazione è stata drammatizzata sul sagrato del duomo. La via crucis ha riunito, così, i linguaggi contemporanei ai tratti delle sacre rappresentazioni popolari. La conclusione è quella di andare alla Sindone come in un’ultima stazione - che richiama il sepolcro vuoto -, allo stesso modo di Giovanni e Pietro che entrano ma, si dice del discepolo amato, “vide solo le bende e il sudario e credette”. Anche noi siamo entrati in duomo alla fine della via crucis per contemplare la Sindone e vedere e credere, con un parallelo tra la chiesa che custodisce la Sindone e il sepolcro che ha accolto il lenzuolo di Gesù.
L’obiettivo di far dialogare i linguaggi dell’arte contemporanea ha colto nella danza, in modo particolare quella contemporanea, la capacità di creare figure ed esprimere sentimenti attraverso il corpo che si slancia pur rimanendo nella sobrietà necessaria allo spazio della preghiera.
L’Ostensione può svolgere una funzione educativa rispetto alla preghiera e la liturgia?
Tomatis: Guardare alla Sindone significa anche lasciarsi guardare dal Signore, così come nel linguaggio dell’icona guardarla è lasciarsi guardare da Colui che è raffigurato. Il dono della Sindone è l’evento spirituale di poter stare davanti al Signore e all’immagine che interpella ogni grado di fede e di situazione differenziata. Il pellegrinaggio da sempre è in grado di accomunare grandi, piccoli, turisti, vicini, lontani, credenti, non credenti; è veramente cattolico nel senso dell’universalità.
Penso che però ci possa essere anche un altro obiettivo: ritrovare un’attenzione alla preghiera davanti all’immagine. In un mondo in cui siamo segnati dall’immagine in movimento, la fede può ritrovare nel suo dna l’immagine come connaturata alla preghiera.
L’immagine non è indispensabile – possiamo celebrare una Messa in uno spazio vuoto perché l’unica immagine necessaria è quella dell’uomo che è immagine di Dio -, però essa è connaturale nella misura in cui il Figlio di Dio è immagine del Padre, e, come diceva il patriarca Atenagora, il cristianesimo è la religione dei volti, quindi cerca il volto, cerca l’immagine. Oggi è necessario un cambiamento d’immaginario nello spazio liturgico, nell’immaginario della fede: abbiamo bisogno di immagini significative che siano non solo devozionali, didattiche, ma epifaniche, che ci mostrino Colui che si è mostrato a noi.
UNA POLITICA REGIONALE PER LA TUTELA DELLA MATERNITÀ E DEI CONCEPITI - ROMA, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica, pubblichiamo l’intervento della dottoressa Lodovica Carli all’incontro che si è tenuto venerdì 21 maggio al Palazzo della Regione Lazio a Roma sul tema: “Regioni: quali politiche per la vita?”.
La relazione è stata curata dalla dottoressa Carli per conto e in rappresentanza del Forum delle Associazioni Familiari.
La dottoressa Lodovica Carli è ginecologa, dirigente Medico Primo livello, docente scuola di formazione insegnanti, Presidente del Forum delle Associazioni Familiari della Puglia, referente scientifico dell'associazione La Quercia Millenaria.
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La riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato alle Regioni compiti sempre più ampi di autonomia e di responsabilità diretta in settori particolarmente importanti per la vita dei cittadini. La tutela della salute e in particolare la cura della vita umana, in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, è senza dubbio uno di questi.
Proponiamo perciò un’ulteriore riflessione sul tema della applicazione della legge 194/78, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza”.
Dal titolo stesso della legge, oltre che dalla sua lettera, traspare il principio per cui lo Stato si impegna a privilegiare la nascita e a tutelare la possibilità per ogni donna di vivere la sua maternità. Non a caso, la 194 vieta l’interruzione volontaria di gravidanza a scopo eugenetico, ed esprime chiaramente la volontà del legislatore di prevenire l’IVG anche in fase post-concezionale, lì dove (art.5) descrive minuziosamente gli interventi dissuasivi e i tentativi di ricerca di alternative all’intervento che devono essere messi in atto dal medico o dal consultorio familiare cui la donna si rivolge: lo Stato e la società civile devono cioè impegnarsi a prevenire ogni causa di abortività volontaria!
In questi anni, d’altronde, si è registrato un progressivo mutamento nell’atteggiamento dell’universo femminile che è approdato ad una idea di libertà non più disgiunta dal valore della maternità, tanto che si è molto attenuata la contrapposizione tra i diritti della madre e quelli del nascituro, in favore dei quali si sono registrati numerosi pronunciamenti giurisdizionali nazionali ed internazionali.
Infine, la situazione demografica nazionale ed in particolare quella della Puglia, penultima regione italiana per tasso di fecondità, impone il tentativo di non rinunciare a nessun bambino.
In realtà, la prima parte della legge 194, dedicata esplicitamente alla prevenzione delle IVG è stata in questi anni ampiamente disattesa, non trovando coerente e concreta applicazione. Ciò assume particolare rilevanza in forza della recente introduzione della RU 486 nella induzione farmacologica della interruzione volontaria della gravidanza. Infatti, la necessità di somministrare il mifepristone entro il 49° giorno di amenorrea, così come stabilito dall’AIFA, ripropone drammaticamente il problema della congruità dei tempi necessari a mettere in atto gli interventi dissuasivi, pensati proprio per tutelare il diritto di nascere del feto, e la libertà di diventare madre della donna.
L’adozione della RU 486 può quindi fortemente ostacolare l’integrale applicazione della legge 194 e specialmente dei suoi artt 1 e 5, in considerazione della esiguità dei tempi a disposizione degli operatori socio-sanitari per mettere in atto gli interventi finalizzati alla rimozione delle cause di aborto e le misure di sostegno alla maternità.
Non è perciò da sottovalutare il rischio che, con l’utilizzo della RU 486, l’IVG si realizzi senza le misure previste dalla 194, accentuando così la solitudine della donna, protagonista suo malgrado di una scelta totalmente privatizzata, davanti alla quale le istituzioni e la società civile rinunciano di fatto a qualsiasi tentativo di contrasto.
Ciò evidentemente riguarda anche la tutela della salute della donna che sceglie l’IVG, lì dove i noti rischi di emorragie e sepsi secondari all’uso del mifepristone rendono necessario il monitoraggio clinico della paziente, fino alla completa espulsione del feto, così come chiaramente indicato dal Consiglio Superiore di Sanità nella seduta del 18 marzo 2010.
Proponiamo pertanto alcune misure urgenti per l’attuazione di concrete politiche di contrasto all’abortività nelle nostre Regioni:
1. In forza della natura pienamente umana dell’embrione fin dal concepimento, così come scientificamente e biologicamente attestato, la Regione deve impegnarsi a tutelare e promuovere il diritto alla vita di ogni essere umano, fin dal concepimento.
Proponiamo quindi la redazione di apposite Linee Guida regionali di applicazione della 194, che regolino e verifichino l’efficacia del colloquio del medico o dell’operatore psico-sociale consultoriale cui la donna si rivolge per chiedere l’IVG.
Esse devono prevedere il monitoraggio delle modalità di svolgimento del colloquio, la regolare (anche se anonima) registrazione delle cause inducenti la donna a richiedere l’IVG, per la messa in atto di mirate politiche preventive, delle proposte alternative offerte alla donna e dell’esito del colloquio stesso.
Tutto ciò, sia pur nel pieno rispetto della privacy della donna, deve essere registrato su apposite schede e trasmesso alle autorità regionali competenti per l’opportuno approfondimento, da restituire con apposita relazione annuale regionale al consiglio regionale, per la messa a punto di misure di contrasto e di adeguate modalità di governance. Va garantita effettivamente la settimana di attesa dal rilascio del certificato alla prenotabilità dell’intervento, al fine di offrire alla gestante il tempo di una opportuna riflessione.
2. Va inoltre garantita l’applicazione dell’art.2 legge 194/78, lì dove si prevede la collaborazione fra Associazioni di volontariato della società civile disponibili a sostenere la donna gravida in difficoltà, durante la gravidanza e dopo il parto. Tale collaborazione, è espressione dell’impegno civile diffuso per la tutela del diritto alla vita di ogni persona umana, e permette l’offerta di aiuto a donne che lo richiedano. Tali possibilità devono essere fatte conoscere chiaramente e discretamente in TV, attraverso messaggi radiofonici, nei consultori, negli ospedali e nei reparti maternità, lì dove la possibilità di un’alternativa può permettere di evitare il dramma dell’aborto.
1. A tal fine, la presenza dei medici e del personale obiettore di coscienza nei consultori familiari va conservata e comunque garantita.
2. Definizione del limite delle 22 settimane di amenorrea, epoca a partire dalla quale c’è possibilità di sopravvivenza del feto, per l’esecuzione di aborti dopo i primi 90 giorni di gravidanza, come previsto dall’art. 6 della legge 194/78; garanzia di assistenza medica atta a salvaguardare la vita del feto al nato da IVG che mostri possibilità di vita autonoma, nel rispetto dell’art.7 della stessa legge
3. Il rilancio e la rivisitazione della fisionomia del servizio consultoriale, cui va garantita l’integrazione delle dimensioni sociale e sanitaria e lo sviluppo di attività sempre più orientate alla cura delle relazioni familiari intese come fonte di bene comune.
Tale orientamento è presente in tutte le più recenti normative regionali in materia di consultori familiari, superando così la vecchia ed inadeguata sanitarizzazione dei consultori.
1. L’urgente avvio e/o ripresa delle procedure di accreditamento dei Consultori privati no profit, riconosciuti ed autorizzati dalle Regioni.
2. L’attivazione di percorsi formativi rivolti agli operatori dei consultori delle Asl e di quelli gestiti da Associazioni ed enti privati no profit, comunque riconosciuti ed accreditati dalle Regioni, con particolare riguardo alla figura del consulente familiare
3. La promozione del parto in anonimato.
In merito poi all’aborto farmacologico, chiediamo l’attuazione del disposto dal Consiglio Superiore di Sanità, in base al quale tutto il processo abortivo innescato dall’assunzione del mifepristone deve avvenire, per tutelare la salute della donna, in regime di ricovero ordinario, fino alla completa espulsione dell’embrione, e la attenta registrazione di eventuali effetti avversi secondari all’utilizzo di questo farmaco, onde permettere un confronto con la tecnica dell’aborto chirurgico.
In materia di educazione e prevenzione primaria, chiediamo una approfondita riflessione in merito alla prescrizione ed alla somministrazione della cosiddetta “pillola del giorno dopo”, così come permesso in alcune Regioni, in particolare alle adolescenti. Studi compiuti in diversi Paesi europei ed americani hanno infatti da tempo dimostrato un diretto nesso di causalità fra la libera somministrazione del levonorgestrel e l’aumento dei tassi di gravidanza, di abortività e di malattie sessualmente trasmesse tra gli adolescenti.
Proponiamo infine, in tema di educazione dell’affettività e della sessualità, l’istituzione di un tavolo di lavoro fra Ufficio Scolastico Regionale, Associazioni Familiari e Assessorato regionale al Welfare che, in collaborazione con istituzioni accademiche, promuova l’auto formazione permanente di genitori e docenti su questi temi e garantisca percorsi formativi integrati per gli adolescenti, in stretta collaborazione fra famiglia e scuola.
Recenti studi, infatti, hanno messo chiaramente in evidenza l’incongruenza fra i percorsi proposti nelle scuole, non di rado in modo scoordinato o addirittura caotico, i loro contenuti ed i reali bisogni avvertiti dagli adolescenti italiani.
Ci sembra dunque indispensabile riconoscere alle famiglie il loro diritto-dovere di educare i propri figli, in particolare in questo campo, così come operare per costruire alleanze intelligenti fra Famiglia, Scuola ed Istituzioni.
I RISVOLTI NEGATIVI DELLA FECONDAZIONE IN VITRO - di padre John Flynn, L.C. - ROMA, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- L’opposizione della Chiesa cattolica alla fecondazione in vitro (FIV) è ben nota, ma recentemente alcune di queste pratiche sono oggetto di critiche anche da parte di osservatori laici.
Sul New York Times del 10 maggio è apparso un articolo sulla questione dell’acquisto di ovuli da parte delle coppie. Nell’articolo si cita una recente pubblicazione di una rivista di bioetica, The Hastings Center Report, secondo la quale i pagamenti alle giovani donne avvengono al di là della regolamentazione del settore.
Lo studio, di Aaron Levine, docente di public policy presso il Georgia Institute of Technology, ha rivelato che su 100 annunci di acquisto di ovuli, pubblicati su giornali universitari, 25 andavano oltre il limite dei 10.000 dollari stabilito autonomamente dalla American Society for Reproductive Medicine.
I pagamenti più elevati erano offerti alle donne di università prestigiose e a quelle con curricula accademici superiori alla media.
Secondo il New York Times, nel 2006 quasi 10.000 bambini sono nati da ovuli donati: circa il doppio rispetto al 2000.
L’articolo ha anche sollevato preoccupazioni per la salute delle donatrici, soprattutto perché le giovani donne potrebbero non essere consapevoli della gravità di alcuni effetti collaterali.
I rischi per la salute sono stati illustrati in un articolo pubblicato il 3 marzo su LifeNews.com. L’autrice, Jennifer Lahl, presidente del Center for Bioethics and Culture Network, ha invitato le donne a rivedere l’eventuale idea di donare i propri ovuli.
I rischi
Tra i possibili rischi per la salute figurano infarto, danni agli organi, infezione, cancro e perdita di fertilità, sostiene la Lahl.
L’autrice ha anche sostenuto che la donazione di ovuli non è assimilabile alla donazione di organi. In quest’ultima, infatti, il donatore si assume dei rischi al fine di salvare una persona malata o morente. Per contro, il destinatario di una donazione di ovuli non è malato, ma un consumatore che acquista un prodotto.
“La società giustamente condanna la vendita e il pagamento degli organi al fine di prevenire gli abusi e tutelare la vita, mentre il pagamento di ingenti somme come compenso monetario per le donatrici di ovuli le esporrebbe allo sfruttamento a causa della loro necessità di denaro”, ha affermato la Lahl.
Non sono solo le donne universitarie a cui viene proposto l’acquisto degli ovuli.
Lo scorso anno, ad una conferenza sulla fecondazione, la professoressa Naomi Pfeffer ha avvertito del fatto che le donne di Paesi poveri vengono sfruttate in una sorta di prostituzione da parte di occidentali che vogliono disperatamente avere bambini, secondo il quotidiano Times del 19 settembre.
“Il rapporto di scambio è analogo a quello di un cliente con una prostituta”, ha affermato. “È una situazione particolare perché è l’unico caso in cui una donna sfrutta il corpo di un’altra donna”, ha osservato la Pfeffer.
Surrogazione
Un’altra pratica oggetto di critiche è quella delle madri surrogate. L’India è una destinazione rinomata per le coppie occidentali in cerca di donne che possano portare in grembo i loro figli. Un motivo di questa diffusione è la mancanza di leggi che ne regolino le procedure, cosa che è stata evidenziata in un articolo del quotidiano Times of India dell’11 maggio.
L’articolo ha riferito come, per la terza volta nell’ultimo anno e mezzo, i figli nati da madri surrogate indiane abbiano dovuto affrontare ostacoli nel riconoscimento legale nei Paesi di origine dei loro genitori genetici.
I casi precedenti riguardavano quello di un bambino di una coppia giapponese, che ha richiesto sei mesi per risolversi, e quello di una coppia tedesca che ha dovuto attendere mesi per ottenere la cittadinanza del proprio figlio nato da una donna indiana. L’ultimo caso è quello di una coppia omosessuale israeliana che sta cercando di ottenere la cittadinanza per il suo bimbo di due mesi.
L’articolo ha citato esperti, secondo cui tali problemi non sorgerebbero se il disegno di legge che è stato discusso negli ultimi cinque mesi fosse approvato.
La situazione delle madri surrogate indiane è stato esaminato in modo approfondito in un articolo del Sunday Times pubblicato il 9 maggio. Secondo l’articolo, nell'Akanksha Infertility Clinic della città di Anand, gestita dalla dottoressa Navana Patel e dal marito Hitesh, dal 2003 167 donne hanno dato luce a 216 bambini, con altre 50 madri surrogate attualmente in stato di gravidanza.
Le coppie pagano più di 14.000 sterline (16.200 euro), di cui circa un terzo va alle madri surrogate. Le donne provengono spesso da una casta inferiore di un villaggio povero e l’ammontare che ricevono equivale a circa 10 anni di salario, secondo il Sunday Times.
L’articolo ha anche spiegato che alla clinica di Anand, una volta che le madri surrogate sono incinte, devono vivere confinate per l’intera durata della loro gravidanza, potendo allontanarsi solo per i controlli medici. I loro mariti e i figli sono autorizzati a visitarle solo la domenica. Il Sunday Times ha riferito dell’angoscia che le donne provano nell’essere separate dai propri figli e del dolore che devono affrontare al momento di consegnare il loro figlio surrogato.
Il 26 aprile, un articolo pubblicato dal quotidiano Toronto Star ha sollevato alcune questioni relative alla situazione in India. In un caso, una coppia canadese ha pagato una madre surrogata in India, ma quando le autorità canadesi hanno richiesto l’effettuazione di test sul DNA, è risultato che i gemelli erano figli di un’altra coppia sconosciuta. I bambini saranno ora probabilmente assegnati a un orfanotrofio.
Problemi legali
Al di là delle preoccupazioni sullo sfruttamento delle donne, la diffusione della surrogazione sta provocando complessi problemi legali. Il Wall Street Journal ha affrontato alcune di tali questioni in un servizio del 15 gennaio.
Negli Stati Uniti, otto Stati hanno approvato leggi che vietano tutte o alcune delle procedure di surrogazione. In altri Stati i tribunali si sono rifiutati di considerare efficaci i contratti di surrogazione, mentre in 10 Stati sono state approvate leggi che autorizzano questa pratica.
Alcune dispute riguardano visioni diverse sui diritti da riconoscere alla madre surrogata, ha spiegato il Wall Street Journal. In una decisione dello scorso dicembre, il giudice del New Jersey Francis Schultz ha decretato che, nonostante la firma di un accordo di rinuncia dei diritti genitoriali, la madre surrogata Angelina Robinson mantiene comunque tali diritti in relazione al bambino che ha portato in grembo per conto di una coppia omosessuale, Donald Robinson Hollingsworth e Sean Hollingsworth. Peraltro, la Robinson è la sorella di Donald Hollingsworth.
Un'altra complicazione è emersa, poco tempo dopo, da un articolo apparso il 26 gennaio sul New York Times che ha posto la questione se un bambino possa avere tre genitori biologici.
Da recenti esperimenti sulle scimmie, alcuni scienziati ne hanno fatto nascere alcune con un padre e due madri, riuscendo a combinare materiale genetico proveniente dagli ovuli di due femmine. Se questo fosse applicato agli uomini complicherebbe ulteriormente la questione della surrogazione, ha affermato l’articolo.
Vita e amore
L’uso di madri surrogate e di terze persone nella fecondazione in vitro sono oggetto di un documento pubblicato lo scorso novembre dalla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.
Nel documento, dal titolo “Life-Giving Love in an Age of Technology”, i Vescovi simpatizzano con le coppie che soffrono a causa di problemi di fertilità, ma affermano che non tutte le soluzioni rispettano la dignità del rapporto sponsale tra due persone. Il fine non giustifica i mezzi, e alcune tecniche di riproduzione non sono moralmente legittime, affermano.
Occorre resistere alla tentazione di avere un figlio come prodotto della tecnologia, secondo il documento. “Gli stessi figli potrebbero essere visti come prodotti della nostra tecnologia, persino come beni di consumo che i genitori hanno acquistato e che hanno il ‘diritto’ di avere, e non come persone eguali in dignità ai loro genitori e destinate alla felicità eterna in Dio”, sottolineano i Vescovi.
L’introduzione di persone terze attraverso l’uso di ovuli o di sperma di donatori o attraverso la surrogazione, inoltre, viola l’integrità del rapporto sponsale, così come sarebbe violato da relazioni sessuali extramatrimoniali.
“Le cliniche per la fertilità dimostrano disprezzo per le gli uomini e le donne, trattandoli come materia prima, quando gli offrono ingenti somme di denaro per il loro sperma o per i loro ovuli, in funzione delle loro specifiche caratteristiche intellettuali, fisiche o caratteriali”, aggiunge il documento.
I Vescovi osservano inoltre che questi incentivi pecuniari possono indurre le donne a mettere a rischio la propria salute attraverso le procedure di estrazione degli ovuli. Esistono quindi molte buone ragioni per nutrire seri dubbi sulla fecondazione in vitro.
S.E. Card. Carlo Caffarra - Giorno nazionale del Timone - Intervento in occasione del ricevimento del premio "Defensor Fidei" 2010 - Oreno di Vimercate (Mi), 22 maggio 2010
Sono profondamente grato alla Commissione che ha giudicato di conferirmi il premio Defensor fidei, e al direttore de IL TIMONE il dott. G.P. Barra che sta svolgendo il più prezioso fra tutti i servizi alla comunità cristiana: il servizio alla verità della fede.
È consuetudine che in occasioni come questa il premiato offra all’attenzione dei presenti alcune riflessioni che abbiano una qualche attinenza alla ragione e al senso del premio. Cercherò di farlo svolgendo alcune considerazioni sulla liturgia come custode della dignità dell’uomo. Ma prima mi si consenta di dirvi le ragioni di questa scelta.
01. Penso – ed ogni giorno ne sono più convinto – che raramente nel corso della storia l’uomo, e la sua dignità congenita siano stati così a rischio come oggi, così insidiati come oggi. Perché? Perché sono negati i costitutivi ontologici della persona umana, e quindi i fondamenti della sua dignità. L’apprezzamento dell’uomo è misurato infatti dalla sua costituzione ontologica.
Se noi leggiamo attentamente il primo ed il secondo capitolo della Genesi, ci rendiamo conto che la persona umana è essenzialmente altro [aliud] e altra [alia] da ciò che la circonda; e che questa alterità la pone in una condizione ontologica infinitamente superiore. La pagina biblica parla di una solitudine originaria: "ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile" [Gen 2,20a] .
Ma le stesse pagine ci dicono che questa soggettività non è irrelata, ma è originariamente capace di autotrascendersi istituendo una vera e propria relazione con ogni altro soggetto. Il simbolo originario di questa alterità correlata è il fatto che la persona umana è uomo e donna.
Esiste poi e soprattutto una relazione insita nella persona umana, che pone la persona in rapporto collo stesso Assoluto, in forza della quale la persona umana è "ad immagine e somiglianza di Dio". [Gen 1,26].
Tutte e tre le ragioni che fondano la dignità propria dell’uomo – la solitudine originaria, la capacità di autotrascendersi e relazionarsi all’altro, il rapporto all’Assoluto come di immagine all’Originale - sono state via via demolite nella coscienza che l’uomo ha oggi di se stesso.
La prima è stata demolita dall’elevazione della teoria evoluzionistica a filosofia prima, cioè a spiegazione ultima e totale della realtà; la seconda dalla negazione dell’uomo di conoscere la realtà come è in se stessa e quindi di autotrascendersi; la terza dalla progettazione, che diventa sempre più invasiva di ogni regione dell’humanum, della vita "come se Dio non ci fosse". La prima erosione tende a convincere l’uomo ad essere un casuale frammento della materia; la seconda che "non avanzeremo d’un passo di là di noi stessi" [D. Hume]; la terza che Dio è un’ipotesi superflua.
Come pastore cui è affidata una comunità cristiana vedo che ho due responsabilità: l’una da svolgere "nel Santuario"; l’altra nel "cortile dei gentili". La prima riguarda, è la difesa dei fedeli dall’oscuramento della loro coscienza circa la propria dignità di persone; la seconda mi pone il problema di come aiutare chi vaga nel deserto del senso in conseguenza della perdita di se stessi, a ritrovare se stesso.
La mie successive riflessioni riguardano solo il primo compito. Alla domanda: come custodire nella verità del se stesso chi oggi è esposto alla triplice forza demolitrice? La mia risposta è: mediante la liturgia. Ora spero sia chiaro in che senso parlerò della liturgia come la custode della dignità dell’uomo; come il luogo dove la persona umana ha una luminosa percezione della sua dignità.
1. La [celebrazione della] Liturgia è il Mistero di Dio che si comunica all’uomo in Cristo per mezzo del dono dello Spirito Santo. Essa, la celebrazione liturgica, non è prima di tutto un’azione umana, ma di Dio: la causa principale dell’evento liturgico non è l’uomo ma Dio. La liturgia è l’evento sacramentale della deificazione dell’uomo.
La persona umana coinvolta nella celebrazione riceve il dono e nel "sentirsi amata", adora, loda e ringrazia, ed implora di non essere mai rigettata da un tale convito di nozze. In quanto umana, o meglio dal punto di vista umano, la celebrazione liturgica ha quindi il carattere di pura risposta. Quando diciamo "noi ti rendiamo grazie per la tua Gloria immensa", la persona umana prende parte per così dire al ritmo dell’Assoluto. Come ha scritto S. Kierkegaard, "l’adorazione è il maximum per esprimere il rapporto dell’uomo a Dio e insieme la sua somiglianza con Dio, poiché le qualità sono assolutamente differenti. Ma l’adorazione significa precisamente che Dio è assolutamente tutto per l’uomo e che l’adorante è a sua volta colui che distingue assolutamente" [Postilla conclusiva non scientifica, sezione II, A) §1; Opere, Sansoni ed., Firenze 1972, pag. 487].
La partecipazione alla celebrazione liturgica fa vivere quindi alla persona l’esperienza di un rapporto col Mistero, che la rende consapevole di essere "superiore" a tutta la creazione materiale ed animale. La rende consapevole infatti che (a) il suo orientamento fondamentale è la partecipazione alla vita eterna trinitaria; (b) e quindi di non essere semplicemente una parte dell’universo chiuso in se stesso; (c) che è collocata sul confine fra il finito e l’infinito e che nel suo agire liturgico anche la creazione materiale viene come elevata al di sopra di sé. La liturgia genera in questo modo la più luminosa coscienza anche della dignità del lavoro.
S. Tommaso scrive che la santificazione dell’uomo, avendo come scopo e termine il bene eterno della deificazione dell’uomo, "è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra, la quale ha come termine un bene mutevole" [1,2 q. 113, a.9]. La Liturgia è l’Opus Dei per eminenza che dà il vero senso dell’eternità della persona.
2. Ma c’è un aspetto particolare di questa custodia della dignità umana esercitata dalla Liturgia, che vorrei brevemente richiamare. Parto ancora da un testo mirabile di S. Tommaso: "L’uomo non è ordinato alla comunità politica secondo tutto il suo essere e tutti i suoi beni, e quindi non è necessario che ogni suo atto sia meritevole o demeritevole in rapporto alla comunità politica. Ma tutto ciò che è, tutto ciò che ha e tutto ciò che può l’uomo deve riferirlo a Dio" [1,2,q.21, a.4, ad 3um].
La consapevolezza della sua dignità, nutrita e custodita dalla celebrazione liturgica, impedisce all’uomo di inginocchiarsi davanti agli pseudo-assoluti. Tommaso parla di Stato, la comunità politica: fra gli idoli è il più pericoloso, ma non è l’unico. La liturgia ci educa a ciò che Kierkegaard esprimeva mirabilmente: "rapportarsi contemporaneamente assolutamente all’assoluto e relativamente al relativo" [cfr op. cit. pag. 472]. Quando Pietro rispose al Sommo Sacerdote che bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini [cfr. At 5,29 ], si rapportava assolutamente all’Assoluto e relativamente al relativo. E poneva le basi di ogni vero umanesimo. È il senso profondo di ciò che Benedetto scrive nella regola: operi Dei nihil praeponatur.
Quando questo si perde si genera quella mentalità che D. von Hildebrandt descrive nel modo seguente: "Questa mentalità vuole relativizzare ogni assolutezza, non nel senso di un relativismo teoretico, bensì nel senso si uno svilimento dell’assoluto, di un atteggiamento relativistico verso di esso" [Estetica, Bompiani, Milano 2006, pag. 246]. L’uomo diventa un casuale incidente o un imprevisto dell’evoluzione della materia. La solenne maestà dell’imperativo morale è degradata a convenzioni sociali; la splendente santità dell’amore coniugale equiparata a convivenze omosessuali; la fedeltà, respiro dell’eternità nel tempo, giudicata contraria alla libertà. È la mediocrità che celebra i suoi trionfi. Concludo con due pensieri. Il primo. E se anche le nostre celebrazioni liturgiche fossero orientate antropocentricamente e non teocentricamente? Dio non lo permetta alla Chiesa del suo Figlio. L’uomo avrebbe perduto l’ultimo custode della sua dignità. Il secondo è un pensiero di Benedetto XVI. Mosè "calzerà nuovamente i sandali per andare a liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e guidarlo alla terra promessa. Non si tratta qui soltanto del possesso di un appezzamento di terreno o di quel territorio nazionale a cui ogni popolo ha diritto; infatti, nella lotta per la liberazione d’Israele e durante il suo esodo dall’Egitto ciò che appare evidenziato è soprattutto il diritto alla libertà di adorazione" [Benedizione delle Fiaccole – Fatima 12-05-2010].
La "libertà di adorazione" è il sigillo della sublime dignità dell’uomo.
Benedetto XVI parla al mondo laico col linguaggio illuminato del vero liberale - di Raffaele Iannuzzi - © Copyright L'Occidentale, 24 maggio 2010 – dal sito http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com
Benedetto XVI è il Papa della Città di Dio che abbraccia la Città dell’uomo. E’ stato osservato, con Chesterton, che il cuore della fede sia la metànoia, la conversione, e non tanto la tradizione. Sono vere entrambe le cose: la conversione apre alla tradizione, costituita dal flusso vivente della fede nella storia. Con questa cifra ermeneutica, risulta chiaro ed affascinante il discorso – di venerdì 21 maggio - nel contesto della XXIV Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici sul tema: Testimoni di Cristo nella comunità politica. L’orizzonte teologico è quello di sempre e non desta sorprese. Ma, contrariamente al battage pubblicitario dei “nuovi pensatori” postmoderni, il pensiero cristiano è tanto più originale quanto più in attualmente quello che è da sempre. L’ermeneutica della continuità, valida per leggere il Vaticano II, funziona anche nel caso della lente specifica usata per guardare la realtà. I segni dei tempi sono il luogo ermeneutico nel quale traspare la chiarezza del Magistero.
Benedetto XVI non ha cercato poi approfondimenti particolari, su nessun tema, neanche su quello bioetico o tecno scientifico, è andato alla sostanza. Sintetizzata in questo passaggio, che vale la pena citare nella sua interezza: “Sono crollati i paradigmi ideologici che pretendevano, in un passato recente, di essere risposta "scientifica" (n.d.r.: a tutto).
Il diffondersi di un confuso relativismo culturale e di un individualismo utilitaristico ed edonista indebolisce la democrazia e favorisce il dominio dei poteri forti. Bisogna recuperare e rinvigorire un’autentica sapienza politica; essere esigenti in ciò che riguarda la propria competenza; servirsi criticamente delle indagini delle scienze umane; affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica; mostrarsi aperti ad ogni vero dialogo e collaborazione, tenendo presente che la politica è anche una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi, ma senza mai dimenticare che il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà, chiave di giudizio e di trasformazione. È necessaria una vera "rivoluzione dell’amore". Le nuove generazioni hanno davanti a sé grandi esigenze e sfide nella loro vita personale e sociale”.
Tre punti da sottolineare: a) il crollo delle ideologie rischia di essere il momento e movente di una destrutturazione sistematica del pensiero sull’uomo, a tutto vantaggio di chi ci mette più soldi e più potere: il nichilismo ha una matrice concreta, strutturale; b) le indagini sull’uomo sono spesso importanti e buone, occorre illuminare ogni aspetto umano con la luce della fede, vagliando tutto e trattenendo il valore: l’et-et cattolico, opposto ad ogni fondamentalismo razionalistico e/o religioso; c) la politica è compromesso intelligente e teso alla soluzione dei problemi dell’uomo, di conseguenza da essa non ci si deve aspettare il “miracolo” della salvezza storica, né la panacea di ogni male: nel suo limite strutturale, emerge la possibilità del laico cristiano, penetrare nella realtà con un nuovo giudizio su essa.
Se seguiamo con attenzione l’agile discorso papale ci rendiamo conto che il soggetto e l’oggetto dell’attenzione è la persona, direi anche più radicalmente: il singolo in quanto tale. In sostanza, la Chiesa, mentre i media e la sociologia scrutano le strutture e i sistemi, si rivolge alla singolarità che vive e agisce nella storia. Una lezione da fare nostra: non esiste la “società”, esiste la persona nella sua singolarità e relazionalità. Vale anche per la crisi strutturale dello stato italiano e per l’imbarazzante degrado della politica attuale. La leva della trasformazione e della ripresa – anche strutturale – sarà il singolo, non la “macchina pubblica”. L’io in azione o, per dirla con Tommaso d’Aquino, “in actu exercito”. Una lezione liberale dal Papa con la quale si ritesse la politica e la libertà. Nella società postmoderna, sempre meno libera e sempre più simile ad un collettivismo burocratico neanche troppo larvato.
© Copyright L'Occidentale, 24 maggio 2010
La pedofilia nella Chiesa? Una macchinazione di Satana, entrato nella Chiesa e nel Vaticano. L' omosessualità come ogni peccato, é demoniaca. Il teologo Maggi? Vittima di seduzioni del maligno. Riti orientali? Demoniaci - Bruno Volpe – dal sito pontifex.roma.it
" Credo seriamente che lo scandalo orribile della pedofilia nel clero, o meglio parte di esso, sia frutto e figlia di una orribile e perversa macchinazione satanica, il quale ha fatto il suo ingresso anche nel Vaticano": lo afferma il noto esorcista e decano padre Gabriele Amorth. Spiega: " la pedofilia é un autentico crimine oltre che peccato, da scandalo ed é meglio per colui che commette queste cose, mettersi una pietra al collo, buttarsi nel male e smetterla, piuttosto che continuare con queste opere nefaste. Ogni condotta peccaminosa é sempre dettata dal demonio che dunque ha fatto il suo ingresso nel Vaticano, come del resto nella politica, nello sport e nella economia". Padre Amorth, che cosa pensa della omosessualità?: " intanto che é una tendenza molto disordinata e in sé stessa scandalosa. Poi, poiché é appunto contro Dio che offende e contrasta, ha natura satanica. Ma attenzione, satanica é anche ...
... la sessualità etero mal utilizzata, il libertinaggio, la voglia di sesso vissuta a fine edonistico e molto pagano. La omosessualità nel particolare, é gradita a Satana in quanto induce l' uomo a violare le sacre leggi naturali".
Lei alcune volte ha detto che la cosa più grave é che qualche uomo di Chiesa non creda più al Maligno: " lo ribadisco, oggi non pochi, ma molti sacerdoti non ci credono, lo ritengono un fatto folcloristico, degno di un sorriso di commiserazione. Ed invece Satana esiste con le sue seduzioni e perversioni, si fa vedere e sentire. Qualche Vescovo, per apparire moderno, non ci crede o lo tratta con allarmante superficialità, ma solo per ignoranza. Costoro non sono mai stati a contatto con lui, con quell' essere perverso e pervertitore e dunque non lo conoscono. Non sanno che la vittoria più grande del demonio é fare capire che lui non esiste e se la ride. Satana é molto astuto, intelligente e non da sottovalutare".
Questa debolezza verso Satana si é manifestata specialmente dopo il Concilio Vaticano II: " no, quel Concilio anzi ha messo in rilievo con forza il concetto di Satana e dunque non mi sento di avallare questa tesi. In verità é il concetto e la idea di peccato che si sono indeboliti, ma non per colpa del Vaticano II, quanto per volontà degli uomini che lo ritengono cosa superata".
Che cosa pensa dei riti orientali sempre in maggiore espansione oggi in Italia e nel mondo?: " per prima cosa che sono incompatibili con il cattolicesimo, ovvero che un cattolico non può in coerenza essere cattolico e partecipare a questi riti. Poi che sono davvero tentazioni di Satana, in quanto nella maggior parte dei casi, questi rituali e le filosofie sottese, nascondono un intento satanico, esaltando la onnipotenza dell' uomo rispetto alla grazia di Dio. La idea della reincarnazione é chiaramente eretica e satanica fa credere che l' uomo sia onnipotente, di fatto nega la risurrezione e questo di per sé stesso é già satanico e formula una chiara visione eretica che offende gravememte Dio. Insomma, i riti orientali sono un colossale imbroglio di Satana, fate attenzione".
Che cosa pensa del teologo Maggi?: " ritengo che sia in preda a seduzioni sataniche, viste certe idee".
Bruno Volpe