Nella rassegna stampa di oggi:
1) Perché vado a Roma? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 13 maggio 2010
2) “Se uno è un cristiano è un testimone”. Il Patriarca intervistato in occasione dell’appuntamento a Roma per pregare con il Papa e per il Papa – dal sito http://angeloscola.it - Viene pubblicata qui di seguito un’intervista al Patriarca pubblicata da IlSussidiario.net in occasione dell’appuntamento in data 16 maggio in Piazza San Pietro a Roma per il Regina Coeli con Benedetto XVI:
3) Il Papa a Fatima: la profezia annuncia altre tragedie - di Andrea Tornielli - nostro inviato a Fatima - Copyright Il Giornale, 14 maggio 2010
4) PAPA IN PORTOGALLO: APPELLO AI CREDENTI, SIATE “TESTIMONI DELLA RESURREZIONE” – dal blog Amici di Papa Ratzinger – 14 maggio 2010
5) Chiesa perseguitata? Sì, dai peccati dei suoi figli - È questa la "terrificante" attualità del messaggio di Fatima, secondo Benedetto XVI. Ma l'ultima parola nella storia è la bontà di Dio. Da accogliere con penitenza e spirito di conversione - di Sandro Magister
6) BENEDETTO XVI: LA MISSIONE DI FATIMA NON È CONCLUSA - Più di 500.000 persone accorrono alla Messa
7) IL CARD. CAFFARRA AI SACERDOTI: PREDICATE NEL “CORTILE DEI GENTILI” - Nella solennità della Beata Vergine in San Luca, patrona di Bologna - di Antonio Gaspari
8) "Preti pedofili": un libro di Massimo Introvigne fa chiarezza - Insieme a "Il cortile dei gentili" - il saggio parzialmente autobiografico di Massimo Introvigne sulle nuove religioni - le edizioni San Paolo portano al Salone del Libro di Torino le prime copie di un altro libro dello stesso autore: "Preti pedofili. La vergogna, il dolore e la verità sull'attacco a Benedetto XVI".
9) 14/05/2010 - LIBANO – TERRA SANTA - Mons. Sabbah: il “martirio” dei cristiani, schiacciati dal confronto fra Occidente e Oriente - di Fady Noun
10) PRESENZA di SATANA nel MONDO MODERNO - Questa lotta contro il demonio, che contraddistingue l'Arcangelo San Michele, è attuale anche oggi, Perché il demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
11) Avvenire.it, 2010-05-14 - Da Benedetto lezione di fede e di umanità - Il vero segreto è la certezza di essere salvati - Luigi Geninazzi
12) DOPO LE PAROLE DEL PAPA - Il perdono cristiano non cancella la pena - FRANCESCO D’AGOSTINO - Avvenire, 14 maggio 2010
Perché vado a Roma? - Autore: Buggio, Nerella - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 13 maggio 2010
"Vado a Roma con tutta la mia famiglia, insieme a mia moglie e ai nostri 5 figli, per affermare che siamo attaccati, incollati alla roccia di Pietro, nel riaffermare questa possibilità per tutti in mezzo alla confusione del mondo." Attaccamento al Papa, alla Chiesa, alla propria storia, al futuro, oppure, come qualcuno ha detto fanatismo? Qui, molto semplicemente raccogliamo gli interventi di coloro che vanno a Roma e ci raccontano le loro ragioni.
"Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi?
Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare.
È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri.
Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli.
Essi cercano sempre d’evadere
Dal buio esterno e interiore
Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono."
Cori da "La Rocca" T.S. Eliot
Andiamo a Roma, tutti, i nonni - cioè mia moglie ed io - i figli ed i nipoti, tutti e 6 i piccolini, dai 5 mesi ai 5 anni. Cerchiamo di vivere questo gesto anche con altri amici. Per i piccoli sarà un viaggio memorabile, tutto per la prima volta, Frecciarossa, S.Pietro, il Papa, la grande famiglia dei fratelli in piazza. Per gli adulti la festa dell'amicizia vera che supera la colpa di alcuni e le ferite da loro inferte ai fratelli. Speriamo per i primi che l'oscurità in cui sono piombati non li faccia vicini a Giuda che disperò anche della possibilità del perdono del suo Crocifisso. Preghiamo che gli altri vedano domenica e poi nel tempo quotidiano che la Chiesa è Santa a nostro dispetto ed è madre accogliente e viva nella amicizia degli uomini consapevoli di essere fatti salvi da un Dono, non dalla propria capacità di farcela. Il Papa saprà ascoltare, vedere e sentire nel cuore, vecchio e forte, l'abbraccio gioioso e solido di chi lo ama e poggia in lui la speranza di questo povero mondo in attesa. Buon viaggio fratelli in Cristo,
Andrea Giussani
Cari amici, che bello spettacolo la nostra mobilitazione (e il sacrificio di chi non potrà proprio esserci). Ieri sera don Carron ha ridetto perché è la cosa più importante che tutti andiamo a Roma. Il Papa non ha bisogno del nostro sostegno, ha già lo Spirito Santo. Siamo noi che invece abbiamo bisogno del Papa per non cadere in confusione, c¹è in gioco la verità della nostra fede. Quindi andare lì ha lo scopo di domandare a Gesù questo, di non farci perdere l¹ aggancio reale con quella roccia che è il successore di Pietro, indispensabile per me, noi tutti, oggi, per non perderci. Di fronte alle ragioni (non ridotte, come facciamo spesso tutti nel giudicare), e come se tutto diventasse più facile, anche seguire. Porteremo con noi tutti gli amici, anche di SOL, realmente impossibilitati ad esserci. Wilma Bargi
Attaccando la Chiesa nella sua guida viene attaccata la possibilità stessa che io, i miei figli, i miei amici, l’umanità tutta, comprese le vittime di abusi, possano incontrare e conoscere oggi l’unica persona che può rispondere alla nostra sete infinita di giustizia e felicità, cioè Cristo. Vado a Roma con tutta la mia famiglia, insieme a mia moglie e ai nostri 5 figli, per affermare che siamo attaccati, incollati alla roccia di Pietro, nel riaffermare questa possibilità per tutti in mezzo alla confusione del mondo. Inoltre Benedetto XVI ha dato testimonianza, p. es. con la lettera ai cattolici d’Irlanda e incontrando le vittime, di quella paternità sconfinata che ciascun uomo, che sia colpevole o vittima di ingiustizia, desidera in fondo al cuore: un giudizio netto che chiama i fatti e le responsabilità con il loro nome e insieme un abbraccio, pronto a indicare nella presenza di Cristo rinvenibile nel popolo da Lui generato, la speranza ultima per ricominciare ogni giorno.
Alberto Sportoletti
“Se uno è un cristiano è un testimone”. Il Patriarca intervistato in occasione dell’appuntamento a Roma per pregare con il Papa e per il Papa – dal sito http://angeloscola.it - Viene pubblicata qui di seguito un’intervista al Patriarca pubblicata da IlSussidiario.net in occasione dell’appuntamento in data 16 maggio in Piazza San Pietro a Roma per il Regina Coeli con Benedetto XVI:
Eminenza, come legge il gesto che domenica 16 maggio il laicato cattolico compirà recandosi da Papa Benedetto XVI in occasione della recita del Regina coeli?
Per quello che è. Un momento comune di preghiera e fraternità cristiana che assume un valore del tutto speciale perché il Regina coeli sarà guidato dal Santo Padre.
Molti giornali parlano di un gesto di grande solidarietà nei confronti del Papa da parte dei fedeli. Sono i fedeli che possono dare sostegno al Papa o forse saranno proprio loro a riceverlo dal Pontefice?
Nella vita della Chiesa la parola più efficace per esprimere il valore della preghiera è la parola comunione. La comunione o è visibilmente manifesta o, se resta pura intenzione, viene facilmente vanificata. Infatti la comunione vive solo nella compagine organica della Chiesa. La Chiesa poi è una compagnia guidata al destino e come ogni compagnia chiede coinvolgimento personale e docilità a chi la guida. In Italia domenica festeggiamo l’Ascensione cioè il dono dello Spirito di Gesù Risorto egli è la guida della Chiesa che passa in modo irrinunciabile dal compito del successore di Pietro. Domenica sarà una festa di comunione.
Qual è il valore del Papa nella Chiesa, e come rende contemporanea la figura di Cristo nella storia?
Per rendere contemporanea la figura di Cristo nella storia dobbiamo seguire il metodo della vita cristiana che Lui ci ha indicato una volta per tutte: “Quando due o tre di voi saranno riuniti in nome mio, io sarò in mezzo a loro”. E sarà con noi fino alla fine del mondo. Il dono della fede e del battesimo si esprime nell’incontro personale con Cristo e nel permanere in questo incontro. Si è cristiani se ci si lascia coinvolgere da Gesù nel quotidiano. Siccome l’uomo non conosce una realtà se non la comunica, il cristiano per comprendere la comunione con Gesù deve comunicarla. Se uno è un cristiano è un testimone: lo spirito del Risorto è con lui e traspare dal suo essere, dal suo agire a beneficio di tutti i nostri fratelli uomini. Questa è la strada decisiva per rendere Cristo contemporaneo. E solo se mi è contemporaneo, mi può salvare. Il Papa ha come compito precipuo e singolare in quanto successore di Pietro quello che Gesù gli ha affidato: confermare tutti i suoi fratelli in questo atteggiamento di testimonianza.
Il Pontefice nella recente omelia tenuta a Lisbona ha detto: «Cercate sempre il Signore Gesù, crescete nella amicizia con lui, ricevetelo nella comunione» e più avanti «Testimoniate a tutti la gioia per questa sua presenza forte e soave, cominciando dai vostri coetanei. Dite loro che è bello essere amico di Gesù e vale la pena seguirlo». Come si può vivere realmente questa amicizia con Gesù?
Ancora una volta vivendo con decisa umiltà l’esperienza che Lui ha proposto ai suoi: la grande condizione è una comunione vissuta attraverso un’appartenenza forte a comunità cristiane ben visibili e documentabili. Si potrà così ripetere l’invito che egli fece ai due apostoli sulle rive del Giordano: “Venite e vedrete”. L’uomo postmoderno, che ha sete di felicità e libertà, anche quando si pensa postcristiano in realtà domanda comunità di vita buona e di pratiche virtuose. In ogni caso una simile domanda è al cuore di ogni cristiano autentico, proprio perché ha capito che la fede esalta la bellezza, la bontà e la verità dell’umano.
Cosa l’ha più colpita del recente viaggio di Benedetto XVI in Portogallo?
L’invito alla penitenza intesa nel suo vero significato: l’invocare il dono di saper andare nel profondo di noi stessi cioè al cuore dell’umano. L’affidamento a Maria che il Papa ha compiuto a Fatima è la via maestra per imparare questa supplica.
Il Papa a Fatima: la profezia annuncia altre tragedie - di Andrea Tornielli - nostro inviato a Fatima - Copyright Il Giornale, 14 maggio 2010
La profezia di Fatima non è chiusa: l'uomo «non riesce a interrompere» il ciclo di morte e terrore che ha scatenato. Ad abbracciare Benedetto XVI nella Cova da Iria - nel luogo dove 93 anni fa avvennero le apparizioni che preannunciavano la Rivoluzione d'Ottobre e la tragedia della Seconda guerra mondiale, il martirio dei cristiani e l'uccisione di un «vescovo vestito di bianco» - ci sono quattrocentomila pellegrini, che lo hanno atteso per ore affrontando il freddo pungente e il vento gelido. Il Papa è sorpreso nel vedere così tanta folla. Sorride, appare disteso. Dice di essere venuto ai piedi della Vergine di Fatima per confessarle che ama la Chiesa e per affidare alla sua protezione i sacerdoti, i consacrati e le consacrate. Ma un passaggio dell'omelia riapre uno squarcio sul Terzo segreto, che proprio qui dieci anni fa venne rivelato per volere di Papa Wojtyla.
«Si illuderebbe - dice Ratzinger - chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive quel disegno di Dio che interpella l'umanità sin dai suoi primordi: "Dov'è Abele tuo fratello?... La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!"». «L'uomo ha potuto scatenare - aggiunge - un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo». La profezia non si è conclusa, dice dunque Benedetto XVI, presentando un'interpretazione della visione di Fatima più estesa rispetto a quella circoscritta nel passato e riferibile soltanto all'attentato del 13 maggio 1981 contro Giovanni Paolo II.
«L'accanimento mediatico», affermava tre anni fa il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone nel libro-intervista scritto con il vaticanista della Rai Giuseppe De Carli, «è quello di non volersi capacitare che la profezia non è aperta sul futuro, si è realizzata nel passato, nell'evento indicato». Nella nuova edizione del libro appena uscita, Bertone ha però adeguato le sue parole dicendo che la profezia si può estendere anche al ventunesimo secolo. La prospettiva del Papa, che pure da cardinale aveva scritto il commento teologico al segreto avvalorando l'identificazione della visione sul «vescovo vestito di bianco» con l'attentato, appare oggi più ampia. Più proiettata verso il futuro.
E suonano minacciose, a questo proposito, le notizie rilanciate dal settimanale Panorama, che nel numero in edicola racconta dell'espulsione dall'Italia, avvenuta il 29 aprile, di Mohammed Hlal ed Errahmouni Ahmed, due studenti marocchini che volevano uccidere il Papa.
Nelle intercettazioni della Digos di Perugia sarebbe emersa la volontà di procurarsi dell'esplosivo, e nel decreto di espulsione firmato dal ministro dell'Interno Roberto Maroni si legge che «Hlal ha auspicato la morte del capo dello Stato della Città del Vaticano, affermando di essere pronto ad assassinarlo per garantirsi il paradiso». I due studenti sono stati rimessi in libertà dalle autorità marocchine.
Nell'ultimo incontro della giornata, con i vescovi portoghesi, Ratzinger ha detto: «Il Papa ha bisogno di aprirsi sempre di più al mistero della croce, abbracciandola quale unica speranza e unica via per guadagnare a radunare nel Crocifisso tutti i suoi fratelli e sorelle in umanità».
La sua prospettiva rimane comunque quella della speranza: nel messaggio che ha inviato al Kirchentag, la Giornata ecumenica delle Chiese, apertasi due giorni fa a Monaco di Baviera, il Papa ha citato, riferendosi allo scandalo degli abusi sui minori, le «notizie che vorrebbero toglierci la gioia della Chiesa, oscurarla come luogo di speranza» e ha parlato della «zizzania» che «esiste proprio in mezzo alla Chiesa e tra coloro che il Signore in modo particolare ha chiamato al suo servizio». Eppure, rassicura, «la luce di Dio non è tramontata, il frumento buono non è stato soffocato dalla semina del male».
Ieri, infine, nel Portogallo sempre più secolarizzato dove si discute una legge per il riconoscimento delle unioni omosessuali, Benedetto XVI incontrando le organizzazioni della pastorale sociale, ha invitato i cristiani all'«urgente impegno» nella difesa dei diritti umani, appoggiando quelle iniziative che hanno lo scopo di tutelare «la famiglia fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna» e «che cercano di lottare contro i meccanismi socio-economici e culturali che portano all'aborto». Oggi Ratzinger si trasferirà a Porto e in serata rientrerà a Roma.
© Copyright Il Giornale, 14 maggio 2010
PAPA IN PORTOGALLO: APPELLO AI CREDENTI, SIATE “TESTIMONI DELLA RESURREZIONE” – dal blog Amici di Papa Ratzinger – 14 maggio 2010
“’Bisogna che uno divenga testimone, insieme a noi, della risurrezione’, diceva Pietro. E il suo attuale Successore ripete a ciascuno di voi: Miei fratelli e sorelle, bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù”: è l’appello lanciato questa mattina dal Papa in Portogallo, nell’omelia della messa solenne celebrata nella città di Porto, sul grande piazzale dell’Avenida dos Aliados. Benedetto XVI ha chiesto: “In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto?”. Dopo avere parlato di “sproporzione tra le forze in campo” nell’annuncio evangelico, ha ricordato che lo stesso Gesù era “solo o quasi nei momenti decisivi”. Eppure – ha aggiunto – “è avvenuto che, alla fine, dallo stesso amore che ha creato il mondo, la novità del Regno è spuntata come piccolo seme che germina la terra, come scintilla di luce che irrompe nelle tenebre, come alba di un giorno senza tramonto”. Il Papa ha quindi sottolineato che tale compito di annuncio compete a ciascun credente, in quanto “il cristiano è, nella Chiesa e con la Chiesa, un missionario di Cristo inviato nel mondo. Questa è la missione improrogabile di ogni comunità ecclesiale: ricevere da Dio e offrire al mondo Cristo risorto”.
Lo stile dell’annuncio da parte dei credenti deve essere – secondo il Papa – caratterizzato da considerazione e rispetto: “Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo, - ha detto nell’omelia - come Pietro ci raccomanda in una delle sue lettere: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla”. Ha quindi proposto una considerazione: “Per esperienza personale e comune, - ha affermato - sappiamo bene che è Gesù colui che tutti attendono. Infatti le più profonde attese del mondo e le grandi certezze del Vangelo si incrociano nell’irrecusabile missione che ci compete, poiché «senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. Il Papa ha quindi invitato a riflettere sugli “enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spingono allo sconforto e alla resa”. “Ci viene in aiuto – ha affermato a questo riguardo - la parola del Signore Gesù Cristo che ci fa consapevoli: ‘Senza di me non potete far nulla”, e c’incoraggia: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Parlando dell’odierna situazione religiosa e spirituale, Benedetto XVI ha poi affermato: “In questi ultimi anni, è cambiato il quadro antropologico, culturale, sociale e religioso dell’umanità; oggi la Chiesa è chiamata ad affrontare nuove sfide ed è pronta a dialogare con culture e religioni diverse, cercando di costruire insieme ad ogni persona di buona volontà la pacifica convivenza dei popoli”. Il Papa ha quindi sostenuto che “il campo della missione ad gentes si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche; in effetti ci attendono non soltanto i popoli non cristiani e le terre lontane, ma anche gli ambiti socio-culturali e soprattutto i cuori che sono i veri destinatari dell’azione missionaria del popolo di Dio”. L’invito ai credenti di farsi annunciatori deve tener conto – ha detto – che “si tratta di un mandato il cui fedele compimento «deve procedere per la stessa strada seguita da Cristo, la strada, cioè, della povertà, dell’obbedienza, del servizio e dell’immolazione di se stesso fino alla morte, da cui uscì vincitore con la sua risurrezione» Sì! – ha poi concluso - Siamo chiamati a servire l’umanità del nostro tempo, confidando unicamente in Gesù, lasciandoci illuminare dalla sua Parola”.
Chiesa perseguitata? Sì, dai peccati dei suoi figli - È questa la "terrificante" attualità del messaggio di Fatima, secondo Benedetto XVI. Ma l'ultima parola nella storia è la bontà di Dio. Da accogliere con penitenza e spirito di conversione - di Sandro Magister
ROMA, 14 maggio 2010 – Curiosamente, le parole più folgoranti del suo viaggio di quattro giorni in Portogallo, con al centro la visita a Fatima, Benedetto XVI le ha pronunciate prima di atterrare a Lisbona, quando ancora era in volo, la mattina di martedì 11 aprile.
E le ha pronunciate rispondendo ai giornalisti sull'aereo, apparentemente improvvisando.
In realtà erano parole ben meditate. Le domande gli erano state presentate in anticipo dal direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. E il papa ne aveva scelte tre, di cui la terza riguardava il "segreto" di Fatima e lo scandalo della pedofilia.
Ecco questa terza domanda con la risposta del papa, nella trascrizione diffusa dagli uffici vaticani, tipica del linguaggio parlato:
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D. – Veniamo a Fatima, dove sarà un po’ il culmine anche spirituale di questo viaggio. Santità, quale significato hanno oggi per noi le apparizioni di Fatima? E quando lei presentò il testo del terzo segreto nella sala stampa vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei papi. È possibile, secondo lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori?
R. – Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia proprio nel suo presente e illumina questa storia.
Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, che non viene solo dall’immaginazione della persona, ma in realtà dalla Vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete.
Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del papa, che possiamo in prima istanza riferire a papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del papa, ma il papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano.
Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione.
Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia.
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Queste parole di Benedetto XVI hanno doppiamente stupito gli osservatori.
Anzitutto per la lettura che papa Joseph Ratzinger ha dato del cosiddetto "segreto" di Fatima. Una lettura non confinata al passato, come nelle interpretazioni correnti di parte ecclesiastica, ma aperta al presente e al futuro. "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa", ha ripetuto ai fedeli davanti al santuario.
E poi e più ancora per l'affermazione che "la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa". Anche qui contraddicendo i giudizi espressi da molti ecclesiastici, secondo i quali la Chiesa soffre primariamente per gli attacchi che le vengono portati dall'esterno.
Ma in entrambi i casi Ratzinger non ha fatto che confermare ed esplicitare giudizi da lui già formulati in precedenti occasioni.
Basti ricordare, ad esempio, questo passo dell'omelia da lui pronunciata – anch'essa a braccio – nella messa celebrata lo scorso 15 aprile con i membri della pontificia commissione biblica:
"C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia. È una grazia che noi riconosciamo il nostro peccato. È una grazia che conosciamo di aver bisogno di rinnovamento, di cambiamento, di una trasformazione del nostro essere. Penitenza, poter fare penitenza, è il dono della grazia. E devo dire che noi cristiani, anche negli ultimi tempi, abbiamo spesso evitato la parola penitenza, ci appariva troppo dura. Adesso, sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati, vediamo che poter fare penitenza è grazia. E vediamo che è necessario far penitenza, cioè riconoscere quanto è sbagliato nella nostra vita, aprirsi al perdono, prepararsi al perdono, lasciarsi trasformare. Il dolore della penitenza, cioè della purificazione, della trasformazione, questo dolore è grazia, perché è rinnovamento, è opera della misericordia divina".
E il 19 marzo, nella lettera ai cattolici dell'Irlanda, aveva scritto cose analoghe. Ad esempio che gli scandali della pedofilia tra il clero "hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione". E che solo un cammino di penitenza, da parte dell'intera Chiesa di quel paese, poteva aprire alla purificazione e alla conversione: in una parola, alla grazia.
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Ma c'è di più. Ancora nella lettera ai cattolici dell'Irlanda Benedetto XVI aveva scritto che lo scandalo dell'abuso sessuale dei ragazzi ad opera di preti "ha contribuito in misura tutt'altro che piccola all'indebolimento della fede".
Nella visione di papa Benedetto, lo spegnimento della fede è il massimo pericolo non solo per il mondo di oggi ma anche per la Chiesa.
Tant'è vero che a questo pericolo egli associa quella che chiama la "priorità" della sua missione di pontefice.
L'ha scritto con chiarezza cristallina nella memorabile lettera da lui indirizzata ai vescovi di tutto il mondo il 10 marzo del 2009:
"Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
E l'ha ridetto con parole identiche sulla spianata del santuario di Fatima, la sera del 12 maggio di quest'anno, nel benedire le fiaccole prima della recita del rosario:
“Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr. Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
Parlando ai vescovi del Portogallo, nel pomeriggio di giovedì 13 maggio, Benedetto XVI ha riproposto questa priorità a tutti i cattolici di quel paese: "Mantenete viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché 'la parola di Dio non è incatenata!' (2 Timoteo 2, 9)".
Ma li ha anche avvertiti che per testimoniare la fede cristiana non bastano semplici discorsi o richiami morali. È necessaria la santità della vita.
La stessa santità che da molto tempo, incessantemente, questo papa va chiedendo anzitutto ai sacerdoti. Specie in quell'Anno Sacerdotale di sua invenzione, che sta per concludersi il mese prossimo, al cui centro egli ha posto come modello un umile prete di campagna dell'Ottocento, il santo Curato d'Ars.
Perché "proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede". Da quei piccoli che sono stati anche i tre pastorelli di Fatima.
BENEDETTO XVI: LA MISSIONE DI FATIMA NON È CONCLUSA - Più di 500.000 persone accorrono alla Messa
FATIMA, giovedì, 13 maggio 2010 (ZENIT.org).- “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”, ha affermato questo giovedì Benedetto XVI nell'omelia della Messa solenne celebrata sulla spianata del Santuario di Fatima insieme a più di mezzo milione di pellegrini, del Portogallo e di altre Nazioni europee.
La missione della Chiesa oggi, ha detto il Papa, è quella di mostrare l'amore di Dio a un'umanità “pronta a sacrificare i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di Nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo”.
“L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo… Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima”, ha aggiunto.
La solenne Eucaristia, celebrata sotto un sole splendente, è stata presieduta dal Papa e concelebrata con quattro Cardinali, 77 Vescovi e 1442 sacerdoti. La cerimonia è iniziata con la processione dell'immagine della Madonna di Fatima.
“Anch’io sono venuto come pellegrino a Fatima, a questa 'casa' che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni”, ha riconosciuto il Papa, “perché verso questo luogo converge oggi la Chiesa pellegrinante, voluta dal Figlio suo quale strumento di evangelizzazione e sacramento di salvezza”.
Il Pontefice ha insistito sulla sua sollecitudine verso l'“umanità afflitta da miserie e sofferenze”: “in Dio, stringo al cuore tutti i loro figli e figlie, in particolare quanti di loro vivono nella tribolazione o abbandonati, nel desiderio di trasmettere loro quella speranza grande che arde nel mio cuore e che qui, a Fatima, si fa trovare in maniera più palpabile”.
“Sì! Il Signore, la nostra grande speranza, è con noi; nel suo amore misericordioso, offre un futuro al suo popolo: un futuro di comunione con sé”, ha esclamato Benedetto XVI.
Il Pontefice ha poi voluto anticipare la prossima celebrazione del centenario delle apparizioni della Madonna ai pastorelli, auspicando che i sette anni che mancano per la commemorazione possano “affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità”.
“Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il centenario della prima visita fatta dalla Signora 'venuta dal Cielo', come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana”.
Questa esperienza, ha commentato, ha reso i pastorelli “innamorati di Dio in Gesù”.
“Dio può raggiungerci, offrendosi alla nostra visione interiore”, ha aggiunto, sottolineando che Cristo ha “il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi”, perché “la fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita; richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo”.
In questo senso, ha proposto come esempio proprio i pastorelli, che “hanno fatto della loro vita un’offerta a Dio e una condivisione con gli altri per amore di Dio”.
“La Madonna li ha aiutati ad aprire il cuore all’universalità dell’amore”, ha concluso. “Soltanto con questo amore di fraternità e di condivisione riusciremo ad edificare la civiltà dell’Amore e della Pace”.
IL CARD. CAFFARRA AI SACERDOTI: PREDICATE NEL “CORTILE DEI GENTILI” - Nella solennità della Beata Vergine in San Luca, patrona di Bologna - di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 13 maggio 2010 (ZENIT.org).- Nella solennità della Beata Vergine in San Luca, patrona di Bologna, (13 maggio) il cardinale Carlo Caffarra ha ricordato che Maria è “l’arca della Nuova Alleanza che reca la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo” ed ha invitato i sacerdoti a predicare il Vangelo nel “cortile dei gentili”.
Nel corso dell’omelia della Santa Messa Episcopale concelebrata da tutti i sacerdoti della diocesi, l’Arcivescovo di Bologna ha spiegato che come l’arca della prima Alleanza fu accolta dai leviti ‘levando la loro voce’, così Elisabetta accoglie Maria “esclamando a gran voce: 'benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo'”.
Così, ha sostenuto il porporato, Maria “ci ha visitato, recandoci la presenza salvifica del nostro Salvatore” per questo bisogna esultare di gioia come fece Giovanni.
Il cardinale Caffarra ha quindi ricordato che una imponente tradizione dei Padri e dei Dottori della Chiesa insegna che “mediante la presenza di Maria, Giovanni è stato santificato fin dal grembo materno”.
L’evento di grazia che accade nella casa di Zaccaria ed Elisabetta è dunque “l’unzione profetica” di Giovanni.
“La santificazione del precursore fin dal grembo materno – ha precisato l’Arcivescovo – consiste dunque nella sua vocazione ad essere profeta dell’Altissimo: ‘per andare davanti al Signore a preparargli le strade. E pertanto Giovanni inizia a profetare mediante la voce di sua madre”.
Facendo riferimento all’Anno sacerdotale il cardinale Caffarra ha spiegato che la visita di Maria sollecita la missione profetica di predicare il Vangelo ad ogni presbitero.
“La predicazione del Vangelo precede ogni altra attività apostolica” ha sottolineato l’Arcivescovo, ed è “nel ‘cortile dei gentili’ che oggi il Signore ci chiede di esercitare il nostro munus propheticum più che nel recinto del Santo dei Santi”.
Il porporato ha sostenuto che “il profeta però non parla a nome proprio” e “infatti non predichiamo noi stessi” ma “il Vangelo di Dio.
“Il sacerdote-profeta – ha aggiunto - ha ricevuto una parola che non è sua; di cui è debitore verso ogni uomo poiché è la salvezza di ogni uomo”.
Circa la fonte da cui attingere la parola profetica, il cardinale Caffarra ha detto: “Scrittura, Tradizione, Magistero: il triplice ed unico canale da cui attingiamo l’acqua della Parola che annunciamo.
“Il sacerdote – ha continuato - deve giungere ad una tale assimilazione della Parola profeticamente predicata, che il suo pensiero, il suo sentire, il suo predicare è diventato pura trasparenza e rifrazione del pensiero, del sentire, della predicazione di Cristo. Come il pesce nell’acqua, siamo immersi nella verità che è Cristo”.
In conclusione l’Arcivescovo di Bologna ha invocato Maria dicendo: “Ottienici la forza dello Spirito perché siamo profeti ‘in opere ed in parole’ del tuo Figlio. Ogni fedele riconosca nella voce di ciascuno di noi la voce del Buon Pastore; ogni uomo e donna ancora in ricerca riconosca nella voce di ciascuno di noi la risposta alla sua attesa più profonda. O Spirito di profezia scendi su di noi”.
"Preti pedofili": un libro di Massimo Introvigne fa chiarezza - Insieme a "Il cortile dei gentili" - il saggio parzialmente autobiografico di Massimo Introvigne sulle nuove religioni - le edizioni San Paolo portano al Salone del Libro di Torino le prime copie di un altro libro dello stesso autore: "Preti pedofili. La vergogna, il dolore e la verità sull'attacco a Benedetto XVI".
Il prezzo popolare (otto euro) è inteso ad assicurare la massima diffusione.
Dal risvolto interno:
"Secondo Benedetto XVI la tragedia dei preti pedofili ha fatto più danni alla Chiesa delle grandi persecuzioni, di cui pure la storia è piena. La colpa, anzitutto, è degli stessi preti pedofili, «vergogna e disonore» per la Chiesa secondo le parole del papa. Sulla base della Lettera ai cattolici dell’Irlanda di Benedetto XVI, riprodotta in appendice, e di anni di ricerche sociologiche sul tema Massimo Introvigne si chiede come una simile sconcertante vicenda sia stata possibile nella Chiesa, e concentra la sua attenzione sulla rivoluzione e la contestazione contro la morale degli anni 1960 all’esterno e all’interno del mondo cattolico. Dalla triste realtà dei preti pedofili Introvigne distingue però l’amplificazione del loro numero attraverso statistiche fasulle, e il sospetto generalizzato ingiustamente gettato sui sacerdoti nel loro insieme, sulla Chiesa e su Benedetto XVI da una lobby laicista, i cui argomenti sono sistematicamente smontati con il rigore del sociologo e la passione del cattolico che si sente vicino a un papa addolorato e calunniato"
14/05/2010 - LIBANO – TERRA SANTA - Mons. Sabbah: il “martirio” dei cristiani, schiacciati dal confronto fra Occidente e Oriente - di Fady Noun
In vista del Sinodo dei Vescovi del Medioriente, il Patriarca emerito di Gerusalemme parla dell’avvenire dei cristiani nella regione. Egli esorta i fedeli a non “fuggire la storia”. I problemi dei cristiani risalgono alla Prima guerra mondiale e al confronto scontro fra occidente e oriente. Mons. Sabbah chiede al mondo musulmano un passo concreto nella direzione del dialogo e della convivenza.
Beirut (AsiaNews) – Santità e martirio: sono queste le due parole più toccanti espresse dal patriarca emerito dei Latini, Michel Sabbah, all’apertura del mese dell’Oriente cristiano, all’università di Saint Joseph. In buona sostanza, egli ha affermato che ciò di cui hanno bisogno le Chiese del Medioriente, per restare in questa parte di mondo, sono i santi e i martiri. Andando oltre i discorsi vaghi che ascoltiamo tutte le volte che si solleva la questione della presenza cristiana - le lamentele per la crescita dell’estremismo islamico e il calo demografico dei cristiani, sia a causa dell’emigrazione, sia per il basso tasso di natalità - l’anziano patriarca latino di Gerusalemme ha saputo cogliere l’essenza del problema.
Per restare in Oriente, i cristiani devono aspirare alla santità ed essere pronti, in caso di bisogno, a patire il martirio, “dopo aver fatto tutto quello che è umanamente possibile” per difendersi, mediante tutti i mezzi legittimi a disposizione. Questo è quanto egli ha affermato, in modo coraggioso, in occasione di una conferenza a Beirut su “L’avvenire dei cristiani d’Oriente”. Una conferenza incentrata sul tema scelto per l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi, in programma nel prossimo mese di ottobre in Vaticano – “La Chiesa del Medioriente, comunione e testimonianza” – di cui il Patriarca sarà una delle personalità di primo piano.
Dopo aver messo in campo tutto quanto è possibile per difendersi, nel caso in cui le minacce continuino a gravare sulla comunità, il Cristiano accetti di seguire il percorso tracciato dalla storia. “Fuggire la storia, è fuggire la volontà di Dio. La storia è il luogo del nostro incontro con Dio” ha aggiunto il patriarca, che ha sollevato un brusio tra i partecipanti appartenenti alla comunità irakena, uno dei quali si è espresso a nome dei cristiani di Mosul. Tuttavia, queste sono le parole del Primo patriarca di Gerusalemme di origine palestinese, di un uomo scelto da Giovanni Paolo II, che ha adempiuto ai doveri di patriarca per 20 anni (dal 1988 al 2008), al prezzo di enormi sofferenze, amarezze e sforzi.
“Il futuro dei cristiani nella nostra regione è condizionato da fattori interni, politici e sociali nei quali la religione esercita una propria influenza” ha affermato mons. Sabbah, tornando a temi meglio noti, “ma anche per un elemento esterno potente, rappresentato dalla politica internazionale, la quale non tiene in alcun conto i cristiani nei progetti elaborati per la regione”. Questa è senza dubbio la ragione per cui mons. Sabbah invita tutti noi, arabi e cristiani, a essere protagonisti della nostra storia, a liberarci “del concetto di ‘salvatore’ che viene dall’estero”.
In merito ai “fattori interni”, alla presenza sociologica dei cristiani nel nostro Medioriente, in pratica è stato detto tutto: queste comunità portano dentro di sé tutti i segni che i secoli hanno inciso sul loro volto originario. Esse devono ritrovare lo smalto della giovinezza perduta, rinnovare il loro cuore, riscoprire una parte della loro conoscenza, dimenticandone al contempo un’altra.
Perché tra la Chiesa e la comunità sociale si è creata una linea di divisione di natura spirituale. La comunità agisce “secondo la carne” e noi sappiamo bene ciò che essa produce: la sete per il potere porta altra sete di potere; la discriminazione, un’altra discriminazione, il fanatismo altro fanatismo. Anche proclamare il Vangelo può dare vita a un nuovo fanatismo, quando esso è rivolto contro una comunità, e non a favore di essa. Il Patriarca sottolinea che “la religione (…) sembra diventare una barriera in più. Essa accumula tutte le capacità di rifiuto e di esclusione dell’altra” quando viene presa in considerazione e trascinata insieme alle altre “nella lotta per il potere”.
La “carne” si può manifestare sia sotto un profilo politico, che culturale. I cristiani hanno saputo ricoprire un ruolo di primo piano al tempo della Nahda, nel 19° secolo, ma da allora è passata molta acqua sotto i ponti: civilizzazione cristiana e modernità hanno ormai un conto serio da regolare. L’Occidente che estende la propria egemonia culturale sul mondo non è cristiano; al contrario, in alcuni casi è apertamente anti-cristiano, sia che si tratti di valori di vita o di morale.
Il mondo arabo, così come lo conosciamo, è sorto all’indomani della Prima guerra mondiale, spiega il patriarca Sabbah. “In realtà, tutti i nostri Stati sono nati dopo la Prima guerra mondiale. Essi hanno a malapena un centinaio di anni da un punto di vista politico”. Dalla dissoluzione dell’impero ottomano, sono emerse nuove ambizioni e sono divampate nuove violenze, piuttosto che nuovi elementi di libertà. Così va la storia, perché la caduta di un impero porta con sé la promessa di libertà per certi popoli, ma diventa foriera di sventura per altri, come ben sanno gli Armeni e le altre minoranze cristiane dell’area turcofona. Questa è la ragione per la quale taluni non credono a una filosofia della storia, o ancora a una “ragione” storica, ma a un flusso caotico in cui la parola “progresso” va sfumata mille volte prima di essere pronunciata; messa al bando mille volte, e pronunciata una volta sola.
Il mondo arabo nasce dunque da un impero fatto a pezzi, raggirato dai suoi nuovi padroni che si presentano sotto mentite spoglie di protettori, incatenato a tensioni, truffato dai propri determinismi che vanno progressivamente a ostruire l’aspirazione alla libertà. Tutto questo per dire che la questione delle Chiese d’oriente, che emerge oggi, risale proprio alla Prima guerra mondiale: il futuro della Chiesa in uno spazio stretto fra l’islamismo e il confronto con l’Occidente, un Occidente che perde ogni giorno di più il contatto con le sue radici cristiane, ma che è percepito dagli spiriti “orientali” secondo gli schemi di pensiero ereditati dalle Crociate.
“Parlare dell’avvenire dei Cristiani – afferma mons. Sabbah – è parlare di tutto questo. Non si tratta solo della crescita dell’Islam (…) è (anche) il confronto fra Occidente e Oriente, un confronto prima di tutto politico, ma che influisce in tutti i settori e lascia tutti noi, cristiani e musulmani, vittime di questa o quell’altra visione o avventura politica”, come pure da quel “fattore di destabilizzazione permanente” che è il conflitto arabo-israeliano.
Al Sinodo parteciperà anche la Chiesa iraniana, precisa il Patriarca, con la stessa importanza riservata alle sorelle del mondo Arabo. E mons. Sabbah aggiunge: “la sopravvivenza e la crescita dei cristiani del Medioriente arabo è anche una questione araba e musulmana (…) L’emigrazione dei cristiani necessita una risposta dello Stato in quanto tale, e un’azione di tutta la società che esprima in modo chiaro la sua capacità di accoglienza, ispirando tranquillità e stabilità”.
L’Arabo cristiano attende ancora oggi da parte dell’Arabo musulmano questo passo verso l’altro. Questa attesa non è uguale in tutti i Paesi, ma è sempre là, latente, urgente. Mons. Sabbah non ha timore di biasimare il “dialogo” e le rassicurazioni pubbliche secondo cui “tutto va bene” … “perché non si tratta di questioni di potere”. “Il punto non è: Chi domina chi?” conclude il Patriarca, ma “siamo capaci di garantire l’uguaglianza?”.
PRESENZA di SATANA nel MONDO MODERNO - Questa lotta contro il demonio, che contraddistingue l'Arcangelo San Michele, è attuale anche oggi, Perché il demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo - Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
Come fanno a capire, perciò, l'opera di Cristo coloro che negano l'esistenza e l'attivissima opera del Maligno? Come fanno a comprendere il valore della morte redentrice di Gesù? Sulla base dei testi scritturistici, il Vaticano II, afferma: "Ma Dio inviò nel mondo suo Figlio allo scopo di sottrarre gli uomini al potere delle tenebre e del demonio" (AG 1,3). Ecco cosa ha detto ancora il Papa Giovanni Paolo II il 24/05/1987 in visita al santuario di S. Michele Arcangelo sul Gargano: "Questa lotta contro il demonio, che contraddistingue l'Arcangelo San Michele, è attuale anche oggi, Perché il demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, l'incoerenza dell'uomo, la frattura interiore della quale è vittima, non sono solamente le conseguenze del peccato Originale, ma anche l'effetto dell'azione infestatrice ed oscura di Satana". Parole che fanno riflettere! In un esorcismo il Maligno ha detto per bocca...
... della posseduta al sacerdote esorcista: "Se non ci fossi io qui, cosa ci staresti a fare tu?". In che modo il demonio si oppone a Dio e al Salvatore? Volendo per sé il culto dovuto al Signore e scimmiottando le istituzioni cristiane. Perciò egli è anticristo e antichiesa.
Contro l'Incarnazione del Verbo che ha redento gli uomini facendosi uomo, Satana si avvale dell'idolatria del sesso che degrada il corpo umano a strumento di peccato; l'erotismo è spinto fino a forme sfrenate e ributtanti. Inoltre, scimmiottando il culto divino, ha le chiese sataniche (dove il Demonio viene adorato), ha il suo culto, i suoi consacrati (spesso con patto di sangue), i suoi adoratori, i seguaci delle sue promesse. Inoltre come Cristo ha dato particolari poteri agli Apostoli e ai loro successori, per il bene delle anime e dei corpi, così il Maligno dà dei poteri particolari ai suoi seguaci per la rovina delle anime e per le malattie dei corpi, come viene detto più avanti parlando del maleficio. [tratto da un testo di Don Pasqualino Fusco]
Carlo Di Pietro
Avvenire.it, 2010-05-14 - Da Benedetto lezione di fede e di umanità - Il vero segreto è la certezza di essere salvati - Luigi Geninazzi
L’Altare del mondo, come è stato definito più volte il santuario di Fatima, torna ad essere la Cattedra del mondo. E’ qui che la visita pastorale del Papa in Portogallo ha avuto il suo culmine ieri, con l’affollatissima celebrazione liturgica nell’anniversario della prima apparizione della Madonna ai tre «pastorinhos». Benedetto XVI è venuto nella «casa che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni», ha detto nell’omelia. C’era grande attesa per le parole che il Papa teologo avrebbe pronunciato nel luogo simbolo della devozione popolare alla Vergine. Il Messaggio di Fatima, con le sue profezie, è più che mai al centro di un dibattito che vede schierati su sponde estreme «fatimisti» e agnostici, o in un certo senso, apocalittici ed integrati. Ed ovviamente hanno provato a tirarci dentro anche Papa Ratzinger.
Ma lui è venuto con un solo scopo: «gioire della presenza di Maria e della sua materna protezione... nel desiderio di trasmettere quella speranza grande che arde nel mio cuore e che qui, a Fatima, si fa trovare in maniera più palpabile». Sì, possiamo dire che Benedetto XVI è salito in cattedra per ripeterci quella grande lezione di fede che, quasi cent’anni fa, ha avuto inizio in una landa desolata dell’Estremadura chiamata «Cova da Iria» ed oggi scuote ancora la Chiesa e il mondo.
«Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa», ha ammonito il Papa. Ma questo non significa che ci siano «altri» e «nascosti» segreti di Fatima dopo che nel 2000 fu svelata la visione contenuta nel Terzo Segreto (il vescovo vestito di bianco che cade come morto mentre avanza verso la Croce tra i cadaveri di tanti martiri) e fu spiegata come «l’interminabile Via Crucis del XX secolo», culminata nell’attentato a papa Wojtyla il 13 maggio del 1981. In ginocchio davanti alla statua della Vergine, Benedetto XVI appena giunto a Fatima ha ricordato le tre visite compiute dal suo predecessore ed il gesto con cui volle offrire al santuario il proiettile che l’aveva ferito gravemente e che poi è stato incastonato nella corona della Madonna del Rosario. Ed ha aggiunto che è motivo di consolazione il fatto che in quella corona «non vi siano soltanto l’oro e l’argento delle nostre gioie e speranze ma anche il proiettile delle nostre preoccupazioni e sofferenze».
Per Benedetto XVI la profezia è una scuola di lettura del mondo alla luce della fede. In questo senso il Messaggio di Fatima viene approfondito nel corso della storia, che oggi vede la Chiesa soffrire soprattutto per il male che viene dal suo interno. Ma «capire i segni dei tempi vuol dire comprendere l’urgenza della penitenza e della conversione. Questa è la parola chiave di Fatima, il triplice grido: Penitenza, Penitenza, Penitenza!». Lo diceva l’allora cardinale Ratzinger nel suo commento al Terzo Segreto. Ed oggi Benedetto XVI ci richiama quel messaggio impegnativo e al tempo stesso consolante. E’ il Messaggio di Fatima che guarda oltre le minacce, i pericoli e gli orrori della storia per trasmettere «un’esperienza di grazia, quella che ci fa diventare innamorati di Dio», ha detto ieri, davanti a mezzo milione di fedeli.
È questo, ci sentiamo di chiosare, il vero «segreto» di Fatima: non la previsione di sciagure apocalittiche ma la certezza di essere salvati da un Altro. Come diceva lo scrittore francese Paul Claudel «Fatima rappresenta l’irruzione scandalosa del soprannaturale». Che, sappiamo bene, c’entra con «una Signora più luminosa del sole» e non con oscure dietrologie.
Luigi Geninazzi
DOPO LE PAROLE DEL PAPA - Il perdono cristiano non cancella la pena - FRANCESCO D’AGOSTINO - Avvenire, 14 maggio 2010
A Lisbona, sillabando le parole una a una, il Papa ha affermato che il perdono non sostituisce la giustizia. Questa affermazione è stata, non a torto, letta nel contesto della dolorosissima questione della pedofilia nella Chiesa. È però, nello stesso tempo un’affermazione, quella del Papa, che mantiene una valenza magisteriale che va oltre l’immediato e che si rivela preziosa in particolare per i giuristi cattolici. Da anni, infatti, chi pensa alla giustizia, nel senso specificamente giuridico del termine, si sente, per così dire, in affanno: sulla giustizia si è cristallizzata una sorta di pregiudizio negativo, quasi che la richiesta che giustizia sia fatta implichi un indurimento di cuore, un regresso a orizzonti precristiani, che non lascerebbe alcuno spazio alla logica, infinitamente più calda ed evangelica, del perdono. Se Cristo ci chiede di perdonare fino a settanta volte sette, come possiamo avanzare la pretesa che il colpevole venga sanzionato? Per risolvere la difficoltà, alcuni, con un gioco sofistico a volte fin troppo scoperto, sostengono che esigere che il colpevole venga sanzionato non implica affatto esigere che sia sottoposto a una pena, ma solo ad un processo di rieducazione. Le cose tornerebbero così a posto, dato che le tecniche pedagogiche in nessun caso (nemmeno quando dovessero essere applicate nei confronti di criminali) dovrebbero avere a che vedere con il carcere o con le multe (per non parlare delle pene fisiche o della pena di morte!). Che questo sia un modo di chiudere gli occhi di fronte alla realtà è purtroppo più che evidente: la parola 'pena' è pesante e il suo nesso con l’idea di sofferenza è inscindibile; possiamo pretendere l’abolizione del diritto penale (!), ma la pretesa di togliere alla 'pena' il suo carattere 'penale' è quasi una contraddizione logica. L’affermazione del Papa ci induce quindi a tornare a riflettere seriamente sulla giustizia e sul perdono e in particolare sulle condizioni di autenticità di quest’ultimo. Non possiamo ignorare le possibili e quasi inevitabili ambiguità che caratterizzano il perdono quando, da manifestazione pura e al limite mistica dell’amore, si cerca di trasformarlo in una pratica sociale di rilievo processuale, capace di produrre consistenti sconti di pena per il colpevole. Né un’epoca di 'perdonismo' dilagante, sono da trascurare i possibili esiti paradossali cui può giungere il 'perdono', che per essere autentico dovrebbe estendersi a tutti, ma, ove venisse esteso a tutti, perderebbe ogni rilievo. È il paradosso implicito nella celebre risposta che Luigi XV avrebbe dato all’uomo che aveva attentato alla sua vita, Damiens, che implorando il perdono del sovrano supplicava di non essere portato al patibolo: «Certamente ti perdono, ma fin da ora dichiaro che perdonerò chiunque ti ucciderà».
Non si ha alcun diritto a essere perdonati: il perdono infatti, come l’amore, o è totalmente gratuito o non è; come nessuno può 'pretendere' di essere amato, così nessuno può 'pretendere' di essere perdonato.
Paradossalmente, invece, tutti i criminali hanno una legittima pretesa a essere sanzionati, perché la sanzione è l’unica tecnica, dotata di valenza pubblica, che possa garantire il reinserimento del reo nell’ordine sociale che egli ha violato commettendo il delitto. Il giudice non può perdonare il colpevole, perché non può sostituirsi alla vittima. Solo chi ha subito l’offesa può perdonarla; per questo il perdono può essere al limite sublime, dato che è ben possibile perdonare perfino l’'imperdonabile', ma ha un valore esclusivamente privato, né può in alcun modo avere ricadute sul piano giuridico della giustizia. Questo è compreso da tutti coloro che, avendo commesso un delitto ed essendosene pentiti, non ritengono che il venire condannati a una giusta pena criminale possa essere sufficiente a placare i loro rimorsi, ma vanno alla ricerca del perdono da parte delle loro vittime. E quando questo perdono non viene ottenuto, osservava san Tommaso, la pena interiore (cioè il rimorso) può ben durare per tutto il resto della vita, anche quando la pena esteriore (la sanzione giuridica) sia stata scontata completamente.