giovedì 13 maggio 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1) Avvenire.it, 13 Maggio 2010 - DOMENICA 16 MAGGIO - Bagnasco: «Il popolo cristiano sa bene dove stare e chi seguire»
2) NELLA TEMPESTA, IL PAPA RENDE OMAGGIO ALLA FEDELTÀ DI TANTI SACERDOTI - Atto di consacrazione dei presbiteri al Cuore Immacolato di Maria a Fatima
3) ATTO DI AFFIDAMENTO E CONSACRAZIONE DEI SACERDOTI AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA - Preghiera del Papa nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima
4) Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Perché il Papa smentisce Bertone (e Messori) - Posted: 13 May 2010 12:04 AM PDT - Antonio Socci - Da "Libero", 13 maggio 2010
5) Dunque il “quarto” segreto c’era … - Antonio Socci - da Libero 12 maggio 2010 - L’avevo detto! Quanto ho scritto su Fatima e lo scandalo pedofilia ieri ha ricevuto la conferma più autorevole che si possa immaginare: quella del Papa in persona.
6) Andiamo da Pietro - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 13 maggio 2010
7) DISCORSO DEL PAPA IN OCCASIONE DELLA RECITA DEL ROSARIO A FATIMA - FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso che il Papa ha rivolto ai fedeli presenti sulla spianata del Santuario di Fatima per la recita del Rosario questo mercoledì sera.
8) L’ALTRA FACCIA DELLE STREGHE PEDOFILE - Il peccato dei peccati al quale inchiodare la Chiesa e i suoi ministri. Ma spesso è calunnia… - di Francesco Agnoli - IL FOGLIO 12 maggio 2010
9) La Chiesa deve reimparare il perdono e la necessità della giustizia - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 12 maggio 2010
10) “CRISTIANI PER SERVIRE” RIFIUTA L’EUTANASIA PER I MALATI MENTALI - di Antonio Gaspari
11) Pillola 5 giorni dopo, sospesa decisione - Fazio: attesa parere su sicurezza e compatibilita' con legge - 12 maggio - (ANSA) - ROMA, 12 MAG - Ogni decisione da parte dell'Aifa sulla pillola dei cinque giorni 'e' stata sospesa in attesa del parere degli esperti'. Lo ha spiegato il ministro della Salute Fazio, al question time alla Camera. Il parere riguardera' la sua sicurezza e compatibilita' con la legge sull'aborto. Nella seduta del 23-24 marzo, l'Aifa ha sottoposto la pillola all'esame della commissione tecnico-scientifica. 'Ogni decisione dell'Aifa sul farmaco EllaOne e' quindi sospesa', ha detto Fazio.
12) Massimo Introvigne: Meno male che il Papa c'è. Una grande lezione dal Portogallo – 13 maggio 2010
13) PAPA IN PORTOGALLO: “NON ABBIATE PAURA DI PARLARE DI DIO” – dal sito amici di Papa Ratzinger
14) Da Fatima a Roma, la via del Papa - Roberto Fontolan - giovedì 13 maggio 2010 - Volando verso Fatima, Benedetto XVI ha preso di petto le domande dei giornalisti, selezionate in precedenza in modo tale da dare al Papa la possibilità di risposte approfondite. E ha usato parole e concetti formidabili.
15) Avvenire.it, umanesimo e scienza - 13 MAGGIO 2010 - 5 - Il biologo Cirotto - Per far le somme meglio Omero della calcolatrice - Luigi Dell’Aglio
16) DALLA SCUOLA UNA LEZIONE SULL’EMERGENZA EDUCATIVA - Quando il perdono è più forte del bullismo - GIORGIO PAOLUCCI – Avvenire, 13 maggio 2010
17) il dibattito - di Emanuela Vinai - EllaOne, Fazio prende tempo – Avvenire, 13 maggio 2010
18) sul campo - di Daniela Pozzoli - Abortive o no? Confusione sulle pillole - I medicinali per la contraccezione d’emergenza vengano riconosciuti come «abortivi» e quindi contrari alla 194 che autorizza l’interruzione di gravidanza, ma solo a certe condizioni. - I farmacisti cattolici: obiezione estesa anche all’esercizio Federfarma: ci sia un non obiettore – Avvenire, 13 maggio 2010
19) «Preservativi in classe? Si stravolge la scuola» - di Antonella Mariani – Avvenire, 13 maggio 2010
20) box La Svezia sulla strada dell’eutanasia di Stato Un «caso» crea il precedente per lo strappo - Lorenzo Schoepflin – Avvenire, 13 maggio 2010


Avvenire.it, 13 Maggio 2010 - DOMENICA 16 MAGGIO - Bagnasco: «Il popolo cristiano sa bene dove stare e chi seguire»
Domenica in piazza San Pietro per il Regina Coeli del Papa ci sarà anche lui. Anzi, da un’ora prima dell’appuntamento con la preghiera mariana di mezzogiorno il cardinale Angelo Bagnasco guiderà un momento di preghiera «per introdurre il popolo cristiano nel significato dell’incontro con il Santo Padre», come ha annunciato ieri la Consulta nazionale delle aggregazioni laicali (Cnal), l’organismo di coordinamento di 68 tra associazioni e movimenti diffusi in ogni angolo del Paese.

È infatti la Cnal ad aver lanciato l’idea di un gesto pubblico significativo per esprimere affetto e sostegno a Benedetto XVI. E ora che tutte le realtà del laicato cattolico sono in fermento per organizzare una presenza di rilievo, la Cnal già parla di «decine di migliaia» di persone attese domenica in piazza, sin dalle prime ore del mattino per non perdersi un posto nell’abbraccio del colonnato. Il presidente della Cei parla di «felice intuizione» e tiene a ringraziare la Consulta per l’iniziativa del 16 maggio, alla vigilia della quale riflette su quel che i cattolici italiani "diranno" domenica sotto la finestra del Papa.

Eminenza, il laicato cattolico organizzato s’è dato appuntamento domenica per mostrare tutto l’affetto al Papa. Cosa legge in questo gesto pubblico e spontaneo?
«In questo spontaneo movimento del mondo laicale emerge, a mio avviso, quel genuino sensus fidei del popolo cristiano che sa bene dove stare e chi seguire. La gente apprezza quel che il Papa sta facendo per la Chiesa e intende esprimere la sua vicinanza non perché Benedetto XVI si senta intimidito, solo o in pericolo, ma perché si vuole con questo gesto così semplice e immediato aderire personalmente a quell’opera di auto-purificazione della Chiesa, che è sempre necessaria ed oggi urgente».

Cosa si attende da un’iniziativa così eccezionale?
«Spero che sia un segnale anzitutto per tutti i credenti. Sicuramente servirà a riscoprire l’unità della Chiesa attorno a Pietro, e più in concreto l’adesione filiale al suo limpido magistero e alla sua testimonianza cristallina. In questi anni abbiamo tutti imparato da Benedetto XVI il dono della gioia che nasce dall’incontro personale con Cristo, ma anche la capacità di soffrire per Lui, senza ritrarsi dinanzi a difficoltà o pericoli. All’esterno del mondo cattolico credo che una "piazza" così lieta e serena sarà un messaggio positivo di maturità umana che non potrà che riverberare sul clima generale della nostra società, spesso divisa artificialmente anche sulle questioni più scottanti».

Si colgono i segnali di una mobilitazione molto generosa, con treni speciali e pullman da tutta Italia. Viaggi notturni, lunghe trasferte, per poter essere anche solo pochi minuti sotto la finestra di Benedetto XVI. Potendo rivolgersi a questo "popolo" che si accinge a partire, cosa gli chiede? Quale deve essere il clima di questo singolare evento?
«Il clima deve essere quello di un pellegrinaggio per riscoprire il desiderio di essere oggi credenti, il che vuol dire sentirsi spinti a conoscere Dio, al di fuori del quale tutta l’esistenza cambia di significato. È un atto squisitamente spirituale quello che si compirà domenica mattina con la preghiera del Regina Coeli in piazza San Pietro.

Come sempre, e com’è naturale, la prontezza della risposta all’invito a "esserci" è assai variegata: c’è chi ha aderito con entusiasmo e chi invece esita, forse per un po’ di allergia agli avvenimenti "di piazza". A questi ultimi cosa si sente di dire?
«Piazza San Pietro, proprio per la sua mirabile linea architettonica, non è mai contro qualcuno, e ha sempre la forma inclusiva. Il che significa che non ci sono da temere significati che valicano quello di un gesto di affetto e di gratitudine per il Papa, e più profondamente per il bene della Chiesa in quest’ora delicata ed esigente. Stare in piazza esprime pure la dimensione comunitaria dell’esperienza della fede, che non è mai un percorso individuale ma fa sempre riferimento a una relazionalità diffusa che oggi è ancor più necessaria in un contesto sociale sempre più liquido e indistinto».

Qualcuno potrebbe interpretare l’iniziativa di domenica prossima come un modo per contrapporre i cattolici agli "altri". C’è il pericolo di questo – anche involontario – effetto polemico?
«Come bene ha detto martedì il Papa nel suo viaggio verso il Portogallo, la Chiesa non teme i nemici dall’esterno ma si preoccupa delle insidie al suo interno per la debolezza dei singoli cristiani e per la forza del peccato individuale. Non vi è dubbio che la questione della pedofilia, giustamente definita una "terrificante" esperienza che ha coinvolto alcuni ecclesiastici colpendo vittime innocenti e per di più minorenni, resta una ferita profonda. Ma proprio la presa di coscienza della Chiesa e la sua volontà di penitenza e di purificazione sono i migliori antidoti a una vicenda che deve immediatamente lasciare il campo a una testimonianza coerente, come accade per altro nella stragrande maggioranza dei casi e come il popolo cristiano e la società civile riconosce, laddove il prete è spesso l’unico punto di riferimento».

In molte occasioni pubbliche recenti il Papa è già stato "abbracciato" dai cattolici italiani – pensiamo solo all’Aula Paolo VI stracolma per l’udienza che ha concluso il convegno "Testimoni digitali" meno di venti giorni fa. Il Santo Padre è sembrato apprezzare molto il sostegno sincero che si è colto in queste circostanze. Ha avuto modo di verificarlo anche lei?
«Il Papa non cerca e tantomeno chiede prove di sostegno e di vicinanza. La sua fiducia è saldamente riposta nel Signore e nella verità dell’azione pastorale che sta promuovendo nella Chiesa, sin dal suo esordio. Tuttavia ciò non lo esime dal chiedere umilmente la preghiera, come ebbe a dire proprio nell’omelia di inizio del suo ministero petrino quando esclamò: "Cari amici, in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge... Pregate per me perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri"».

I fatti degli ultimi mesi sono destinati a lasciare un’ombra nel rapporto degli italiani con la Chiesa?
«Il rapporto degli italiani con la Chiesa è genetico e si nutre di quotidianità e di prossimità che non possono essere scalfite da notizie intorno a casi gravi e circoscritti che non entrano nel merito di una esperienza che è consolidata e ravvivata dalla dedizione sincera e disinteressata di innumerevoli sacerdoti. Laddove c’è un contatto vero con un prete anche la ferita della contro-testimonianza di alcuni si attenua e cede il passo a un sostegno ancor più convinto alla Chiesa che resta per tutti uno spazio aperto e ospitale».

Abbiamo assistito ad attacchi, polemiche e insinuazioni che hanno preso di mira lo stesso Santo Padre. C’è chi ha parlato di un vero e proprio "piano" preordinato per screditare la Chiesa. Lei, eminenza, come la pensa?
«Non penso a un piano preordinato, ma al concorso convergente di mediocrità. La prima e più negativa è la mediocrità di quei sacerdoti che hanno tradito la loro vocazione e insieme la fiducia dei più giovani e delle loro famiglie. Poi viene la mediocrità di chi non aiuta a capire ma tende a creare un effetto spettacolarizzato. Ciò che scredita la Chiesa comunque è sempre anzitutto la contro-testimonianza di alcuni suoi membri, come ha rimarcato Benedetto XVI nel suo viaggio verso Fatima».

La Chiesa sta attraversando un tempo di prova. Quale deve essere l’atteggiamento del credente di fronte all’emergere di notizie anche dolorose, che talora possono disorientare?
«Occorre fare della prova un’occasione di crescita. Ciascuno deve sentire che è chiamato in causa perché la sua vita sia all’altezza della vocazione cristiana. Secondo l’ammonimento biblico – "Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere" – ciascuno assicuri una testimonianza credibile e affidabile della propria vita. Accanto a ciò si richiede la massima trasparenza perché la verità faccia comunque e sempre il suo corso e si possano conoscere esattamente le accuse e, una volta accertate le responsabilità, le conseguenze giuridiche. Non deve mancare in tutto questo uno sguardo di attenzione per le vittime che vanno aiutate a ritrovare un equilibrio affettivo e talvolta accompagnate anche nella loro ricerca spirituale. Quanto infine a coloro che hanno abusato, verificata la loro reale volontà di cambiamento, si mettano in condizione di purificarsi e di fare penitenza».

Per concludere torniamo all’iniziativa di domenica prossima, un gesto di amore a Pietro in un tempo nel quale si diffonde l’idea di una fede "autogestita", relativista, giocata all’insegna del "credo, sì, ma a modo mio". Perché è importante oggi sapersi dire e mostrare al fianco del Papa?
«Non è la prima volta che il popolo cattolico del nostro Paese si ritrova a Roma insieme al Papa. Cambiano le circostanze e le ragioni, ma ogni volta il popolo dei credenti esce dall’incontro con il Santo Padre rinfrancato nell’appartenenza ecclesiale e nell’impegno personale. Mi auguro che dopo il 16 maggio ci sia ancora maggiore consapevolezza della bellezza e della responsabilità dell’essere Chiesa oggi. E anzi voglio esplicitamente ringraziare la Cnal, che ha avuto la felice intuizione di questa giornata per attestare a Benedetto XVI che la gente vuole seguirlo fino in fondo nella via dell’esperienza cristiana».
Francesco Ognibene


NELLA TEMPESTA, IL PAPA RENDE OMAGGIO ALLA FEDELTÀ DI TANTI SACERDOTI - Atto di consacrazione dei presbiteri al Cuore Immacolato di Maria a Fatima
FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- In piena “tempesta”, Benedetto XVI ha reso omaggio – giungendo a Fatima questo mercoledì – a tutti i sacerdoti che donano la propria vita a Dio e ai fratelli e ha elevato un atto di consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria.
“A tutti voi che avete donato la vita a Cristo, desidero, questa sera, esprimere l’apprezzamento e la riconoscenza ecclesiale. Grazie per la vostra testimonianza spesso silenziosa e per niente facile; grazie per la vostra fedeltà al Vangelo e alla Chiesa”, ha affermato.
L'atto di consacrazione è stato il culmine dei Vespri con sacerdoti, religiose, religiosi, seminaristi e diaconi che riempivano la moderna chiesa della Santissima Trinità.
E' stato un momento al quale il Pontefice ha voluto dare un'atmosfera di intimità: “Permettetemi di aprirvi il cuore per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata e del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore”.
Il protagonista dell'incontro non è stato tuttavia il Papa, ma Cristo presente nel sacramento dell'Eucaristia, che è stato adorato dai presenti.
“Siamo liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; liberi per tutti, perché staccati da tutto; liberi da noi stessi affinché in ognuno cresca Cristo”, ha affermato.
In questo modo, i sacerdoti possono essere “presenza” di Cristo, “liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia”.
Il Pontefice ha quindi confessato il suo desiderio che questo Anno Sacerdotale, che si concluderà l'11 giugno, lasci tra i consacrati la grazia di “una vera intimità con Cristo nella preghiera, poiché sarà l’esperienza forte ed intensa dell’amore del Signore che dovrà portare i sacerdoti e i consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al suo amore”.
Nell'atto di consacrazione, il Pontefice ha chiesto alla Vergine la sua intercessione per “non cedere ai nostri egoismi, alle lusinghe del mondo ed alle suggestioni del Maligno”.
“Preservaci con la tua purezza, custodiscici con la tua umiltà e avvolgici col tuo amore materno, che si riflette in tante anime a te consacrate diventate per noi autentiche madri spirituali”, ha implorato.
“La tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo!”, ha concluso.
ATTO DI AFFIDAMENTO E CONSACRAZIONE DEI SACERDOTI AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA - Preghiera del Papa nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima
FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della preghiera pronunciata dal Santo Padre Benedetto XVI in occasione dell'Atto di affidamento e consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria, questo mercoledì nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima.
* * *
Madre Immacolata,
in questo luogo di grazia,
convocati dall'amore del Figlio tuo Gesù,
Sommo ed Eterno Sacerdote, noi,
figli nel Figlio e suoi sacerdoti,
ci consacriamo al tuo Cuore materno,
per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.
Siamo consapevoli che, senza Gesù,
non possiamo fare nulla di buono (cfr Gv 15,5)
e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui,
saremo per il mondo
strumenti di salvezza.
Sposa dello Spirito Santo,
ottienici l'inestimabile dono
della trasformazione in Cristo.
Per la stessa potenza dello Spirito che,
estendendo su di Te la sua ombra,
ti rese Madre del Salvatore,
aiutaci affinché Cristo, tuo Figlio,
nasca anche in noi.
Possa così la Chiesa
essere rinnovata da santi sacerdoti,
trasfigurati dalla grazia di Colui
che fa nuove tutte le cose.
Madre di Misericordia,
è stato il tuo Figlio Gesù che ci ha chiamati
a diventare come Lui:
luce del mondo e sale della terra
(cfr Mt 5, 13-14).
Aiutaci,
con la tua potente intercessione,
a non venir mai meno a questa sublime vocazione,
a non cedere ai nostri egoismi,
alle lusinghe del mondo
ed alle suggestioni del Maligno.
Preservaci con la tua purezza,
custodiscici con la tua umiltà
e avvolgici col tuo amore materno,
che si riflette in tante anime
a te consacrate
diventate per noi
autentiche madri spirituali.
Madre della Chiesa,
noi, sacerdoti,
vogliamo essere pastori
che non pascolano se stessi,
ma si donano a Dio per i fratelli,
trovando in questo la loro felicità.
Non solo a parole, ma con la vita,
vogliamo ripetere umilmente,
giorno per giorno,
il nostro "eccomi".
Guidati da te,
vogliamo essere Apostoli
della Divina Misericordia,
lieti di celebrare ogni giorno
il Santo Sacrificio dell'Altare
e di offrire a quanti ce lo chiedono
il sacramento della Riconciliazione.
Avvocata e Mediatrice della grazia,
tu che sei tutta immersa
nell'unica mediazione universale di Cristo,
invoca da Dio, per noi,
un cuore completamente rinnovato,
che ami Dio con tutte le proprie forze
e serva l'umanità come hai fatto tu.
Ripeti al Signore
l'efficace tua parola:
"non hanno più vino" (Gv 2,3),
affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi,
come in una nuova effusione,
lo Spirito Santo.
Pieno di stupore e di gratitudine
per la tua continua presenza in mezzo a noi,
a nome di tutti i sacerdoti,
anch'io voglio esclamare:
"a che cosa devo che la Madre del mio Signore
venga a me?" (Lc 1,43)
Madre nostra da sempre,
non ti stancare di "visitarci",
di consolarci, di sostenerci.
Vieni in nostro soccorso
e liberaci da ogni pericolo
che incombe su di noi.
Con questo atto di affidamento e di consacrazione,
vogliamo accoglierti in modo
più profondo e radicale,
per sempre e totalmente,
nella nostra esistenza umana e sacerdotale.
La tua presenza faccia rifiorire il deserto
delle nostre solitudini e brillare il sole
sulle nostre oscurità,
faccia tornare la calma dopo la tempesta,
affinché ogni uomo veda la salvezza
del Signore,
che ha il nome e il volto di Gesù,
riflesso nei nostri cuori,
per sempre uniti al tuo!
Così sia!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci - Perché il Papa smentisce Bertone (e Messori) - Posted: 13 May 2010 12:04 AM PDT - Antonio Socci - Da "Libero", 13 maggio 2010
E´ incredibile che i giornali abbiano "bucato" le due clamorose notizie che arrivano dal Portogallo. Una (drammatica) è implicita nelle parole del Papa: la profezia sul papa ucciso e il macello di cardinali e vescovi riguarda non il passato, ma il nostro futuro prossimo (ne parlerò dopo).

Invece un´altra sta nero su bianco ed è questa: il "quarto segreto" (cioè una parte finora non pubblicata del Terzo Segreto) esiste e le parole del Papa sullo scandalo della pedofilia ne sono la prova.

Il Papa è impegnato a fare una grande operazione-verità anche su Fatima, a costo di smentire la versione dei segretari di stato vaticani. Ecco il confronto fra le loro parole e quelle del pontefice.

L´allora Segretario di stato cardinal Sodano, il 13 maggio 2000, nell´annunciare solennemente al mondo la pubblicazione del terzo segreto, spiegando che coincideva con l´attentato al papa del 1981 e le persecuzioni del Novecento, disse: "Le vicende a cui fa riferimento la terza parte del `segreto´ di Fatima sembrano ormai appartenere al passato".

Il successore, Bertone, ha eliminato anche il prudenziale "sembrano" e, per ribadire che il segreto riguardava l´attentato al papa del 1981 e si era già tutto realizzato, ha scritto testualmente (a pagina 79 di un suo volume): "L´accanimento mediatico è quello di non volersi capacitare che la profezia non è aperta sul futuro, si è realizzata nel passato, nell´evento indicato (l´attentato al papa, nda). Non ci si vuole arrendere all´evidenza".

Ora invece papa Benedetto XVI ci spiega l´esatto opposto, che cioè il terzo segreto riguarda eventi successivi all´attentato del 1981, come l´attuale scandalo della pedofilia e anche eventi che stanno tuttora nel nostro futuro.

Ratzinger ha infatti dichiarato:

"Oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano ... e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano... Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall´interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa".

L´attentato del 1981 non c´è nelle parole di Benedetto XVI e quindi non è indicato come "la" realizzazione del terzo segreto.

Si parla solo della "sofferenza di Giovanni Paolo II" che viene unita a quelle degli altri papi (di cui parla la seconda parte del Segreto). Benedetto XVI colloca il compimento del Terzo segreto negli anni successivi all´attentato del 1981 e nel nostro stesso futuro: "sono realtà del futuro che man mano si sviluppano e si mostrano" ha dichiarato "sofferenze della Chiesa che si annunciano".

Come chiunque può vedere è il contrario di quanto proclamato da Sodano e, più dogmaticamente, da Bertone ("la profezia non è aperta sul futuro, si è realizzata nel passato, nell´evento indicato").

Del resto era stata la stessa suor Lucia a smentire che la profezia fosse consegnata al passato e si fosse realizzata con l´attentato del 1981. Lo ha scritto in una lettera fondamentale del 12 maggio 1982.

Dopo aver mostrato che si era già realizzata la prima parte della profezia, relativa alla rivoluzione comunista, alla seconda guerra mondiale e alle persecuzioni alla Chiesa, suor Lucia, parlando della terza parte del segreto, scriveva testualmente:

"se non constatiamo ancora la consumazione completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati a poco a poco a larghi passi".

Quindi, in questa fondamentale lettera che fu resa nota dallo stesso Vaticano, suor Lucia, un anno dopo l´attentato di Alì Agca del 1981, non solo non dice che tale attentato è la realizzazione del terzo segreto (non lo ha mai detto né qui, né altrove), ma neanche lo cita, neanche vi accenna vagamente. Anzi spiega "apertis verbis" che il terzo segreto deve ancora realizzarsi. E lo scriveva nel 1982 !

Ci sarebbe da aggiungere che proprio su questa lettera della veggente, Bertone - a quel tempo monsignore - ha inspiegabilmente "cancellato" una frase esplosiva, che contraddiceva la sua versione, senza mai dare alcuna spiegazione.

Ma è sola una delle tante anomalie di questa storia cinquantennale che purtroppo è piena di bugie, di reticenze, di forzature e di omissioni (come ho mostrato nel mio libro).

Ma torniamo ad oggi. Il Papa dunque ha riaperto il dossier in modo così preciso e plateale che tutti coloro che in questi anni erano corsi a omaggiare la versione della Curia si sono trovati nel panico di fronte alle sue dichiarazioni che collocano lo scandalo della pedofilia nel terzo segreto.

Ecco padre Stefano De Fiores che, interpellato dal tg2 delle 20.30 dell´11 maggio, in evidente imbarazzo, balbetta: "a dire la verità in maniera esplicita non lo troviamo...".

E bravo De Fiores! In effetti nel "terzo segreto" degli ecclesiastici no. Ma in quello completo della Madonna, a cui si riferisce il Papa, sì. Bisogna capirlo padre De Fiores. Aveva scritto un saggetto apologetico del cardinal Bertone giurando che non era mai esistita una parte non pubblicata del "terzo segreto" e ora si trova il Papa in persona che lo smentisce.

Vittorio Messori, un altro intellettuale cattolico che era corso a omaggiare la curiale segreteria di stato, ieri sul Corriere della sera esprimeva l´imbarazzo di trovarsi smentito dal Papa: "Adesso nella schiera vasta dei `fatimisti´ ci sarà fermento per mostrare che papa Benedetto XVI si è tradito...".

In realtà papa Benedetto non ha mai identificato il Terzo Segreto con l´attentato del 1981. Inoltre - da cardinale - sottolineò che non ci sono "definizioni ufficiali, né interpretazioni obbligatorie" del Terzo segreto.

A differenza degli ecclesiastici di Curia, che hanno trasformato in dogma le proprie idee (e fandonie) Ratzinger spiegò che quelle del 2000 erano ipotesi di interpretazione. Mere ipotesi (oggi da superare).

In terzo luogo - con l´umiltà che lo caratterizza - già nel 2000, poco dopo lo svelamento del Segreto, rispondendo a una lettera rispettosa, ma critica del vescovo Pavel Hnilica sul suo commento teologico, Ratzinger non aveva esitato ad affermare che non voleva affatto "attribuire esclusivamente al passato i contenuti del segreto, in maniera semplicistica".

In realtà Benedetto XVI, come per lo scandalo pedofilia, vuol farci capire che non bisogna mai aver paura della verità, anche quando è dolorosa o imbarazzante.

Perché non si serve Dio con la menzogna. Quando si pretende di mentire per Dio in realtà lo si fa per se stessi: Dio non ha bisogno delle nostre menzogne per difendere e costruire la sua Chiesa. Meglio fare mea culpa, perché Dio è più grande e più potente di tutti i nostri peccati.

Certo, questo atteggiamento non è compreso in Curia. Né dai "ratzingeriani" e giustamente, con affetto, Giuliano Ferrara ha scritto che sulla questione pedofilia, "detto con molta autoironia, per noi foglianti il Papa è un poco fuori linea".

E´ vero. Perché il Papa sa più di noi e ritiene questo scandalo solo la punta dell´iceberg "terrificante" del peccato nella Chiesa (pensiamo ai verminai da lui denunciati nella Via crucis del 2005) e pensa al grande peccato dell´apostasia nella Chiesa.

E se tutto questo è "la città mezza in rovina" piena di cadaveri, descritta nella visione del Terzo segreto e se il papa ucciso non può essere il papa ferito del 1981, significa che la grande persecuzione del mondo e il grande martirio del Papa e della Chiesa è cosa del prossimo futuro.

Il Papa forse non può dirlo esplicitamente, ma cerca di preparare la sua Chiesa a questa immane prova ("le sofferenze della Chiesa che si annunciano") affidando tutto nelle mani della Madonna di Fatima. Sono ore straordinarie. Ma i giornali non se ne sono accorti.
Antonio Socci - Da "Libero", 13 maggio 2010

P.S. A proposito di Bertone e Messori....

Tre anni fa Bruno Vespa realizzò un´intera puntata di "Porta a porta" per lanciare il libro del cardinal Bertone contro di me (ovviamente senza darmi la parola). Titolo della puntata: "Il quarto segreto non esiste" (era un esplicito riferimento polemico al mio libro "Il quarto segreto di Fatima").

Ieri sera è andata in onda un´altra confusa puntata di "Porta a porta" sulle nuove dichiarazioni del Papa a Fatima e - con mio gran divertimento - pur parlando dello stesso tema, nessuno più ha osato dire "il quarto segreto non esiste".

Anzi, Vittorio Messori, che tre anni fa era corso ad accreditare la versione di Bertone, senza fare una piega, ha dichiarato l´opposto di quello che finora aveva affermato.

Ha detto cioè che Benedetto XVI non vede il compimento del Terzo segreto nell´attentato del 1981 e non lo ritiene concluso nel passato, ma lo vede proiettato nel futuro, considerando anche un fatto nuovo, come lo scandalo-pedofilia, parte del Segreto (ed è chiaro che il Papa non può esserselo inventato: deve pur averlo ricavato dal testo completo del Segreto...).

Dopo tutto questo Messori non ha minimamente riconosciuto di essersi sbagliato finora, né ha tratto le conseguenze di quello che lui stesso ha dichiarato. Così come il disinvolto Bertone.

Ora, a me pare che non si possa dire tutto e il suo contrario. O ha ragione Bertone (e la profezia si è realizzata con l´attentato del 1981 e si è conclusa nel passato) o ha ragione Benedetto XVI e allora il testo del Segreto è più ampio, la profezia è ancora aperta e il martirio di un Papa e della Chiesa stanno nel nostro futuro.

Non si può far finta che le due opposte versioni possano coesistere. Per rispetto della logica. Sarebbe auspicabile che prevalesse l´amore alla verità e un leale riconoscimento dei propri errori… L´invito del Papa al pentimento, all´esame autocritico e alla penitenza dovrebbe essere preso sul serio.
Che la S.S. Madre di Dio protegga il Papa e tutti noi!

Dunque il “quarto” segreto c’era … - Antonio Socci - da Libero 12 maggio 2010
L’avevo detto! Quanto ho scritto su Fatima e lo scandalo pedofilia ieri ha ricevuto la conferma più autorevole che si possa immaginare: quella del Papa in persona.
Il 2 aprile scorso – venerdì santo, nel pieno della tempesta – sulla prima pagina di questo giornale firmai un articolo che aveva questo titolo: “Il calvario del Papa predetto a Fatima”.
E la settimana scorsa sul sito di “Panorama” una mia intervista con gli stessi argomenti è uscita così titolata: “Scandalo pedofilia nella Chiesa: ‘Fatima aveva previsto tutto’ ”.
Alcuni sciocchi mi hanno preso per visionario. Ma, ieri, papa Benedetto XVI, sull’aereo che lo stava portando a Fatima, ha fatto dichiarazioni che sul sito del Corriere della sera sono uscite con questo titolo: “Pedofilia nel terzo segreto di Fatima. Le parole del Papa in volo per Lisbona”. Anche sul sito di Repubblica: “Fatima lo aveva previsto”.
Una conferma clamorosa. Ora però si apre un altro capitolo. Perché le dichiarazioni del Papa riportano d’attualità tutto il dossier relativo al “terzo segreto”, scombussolando la cosiddetta “versione ufficiale” data nel 2000 che mai è stata ritenuta “ufficiale” né da Ratzinger né da papa Wojtyla, ma che è stata trasformata in dogma da improvvisati pasticcioni e da mass media superficiali.
In che senso dico che rimette in discussione quella versione? Perché l’idea che è stata fatta passare è quella secondo cui il terzo segreto di Fatima prediceva l’attentato a Giovanni Paolo II del 1981 e le persecuzioni del XX secolo cosicché – si è detto e ripetuto – tutta la profezia si sarebbe ormai realizzata e conclusa nel XX secolo.
Ho già dettagliatamente spiegato nel libro “Il quarto segreto di Fatima” (Rizzoli) che questa versione delle cose non convince oltretutto perché il Papa della visione cadeva a terra morto, mentre papa Wojtyla, grazie al cielo, non morì. Inoltre perché, nella visione, il martirio della Chiesa seguiva quello del Papa, non lo precedeva.
Per quel libro ho dovuto subire molti colpi bassi. Ora però è lo stesso Benedetto XVI che viene a dirci qualcosa di sorprendente, che riapre la discussione nella direzione che ho provato a indagare e che i documenti suggeriscono. Vediamo perché.
La domanda a cui il Papa ha scelto di rispondere (ne erano state fatte diverse e questa è stata scelta) diceva: “Santità, quale significato hanno oggi per noi le apparizioni di Fatima? Quando lei presentò il testo del Terzo segreto, nella sala stampa vaticana, nel giugno 2000, le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei papi. È possibile secondo lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi per i peccati degli abusi sessuali sui minori?”.
Ecco la risposta di ieri di Benedetto XVI:
“Solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era, diciamo, era vestita in questa visione possibile alle persone concrete. Oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in sostanza riferire a Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Cioè è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta nella Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano (…).
Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, è anche che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa (…). Oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa”.
Abbiamo sintetizzato la risposta del Papa. Ma ce n’è a sufficienza per riflettere a lungo. Intanto pare evidente che per Benedetto XVI il Segreto di Fatima non è una profezia già conclusa con l’attentato del 1981 a Wojtyla, ma è tuttora in corso.
Infatti, dice esplicitamente Benedetto XVI, nella visione “sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano”.
Fra le “novità” che scopriamo oggi (il Papa dice proprio “novità”) c’è quella sconvolgente per cui le sofferenze della Chiesa, “la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa” e “oggi lo vediamo in modo realmente terrificante”.
Questo contraddice l’interpretazione che tanti dettero nel 2000, che invece parlava solo delle persecuzioni che vengono da fuori. Ma è molto più aderente alla visione dei tre pastorelli, soprattutto alla prima parte così descritta da suor Lucia: “il Santo Padre, prima di arrivarvi (alla croce e al martirio, nda), attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino”.
Era evidentemente un errore colossale interpretare la “città mezza in rovina” e i “cadaveri” come simbolo delle persecuzioni, perché i martiri non avrebbero avuto bisogno di preghiere e perché il martirio della Chiesa, nella visione, segue quello del Papa: la città mezza in rovina e i cadaveri per le cui anime il Papa pregava soffrendo descrivevano piuttosto la situazione della Chiesa definita “terrificante” da papa Ratzinger, cioè la Chiesa oppressa dal peccato e dall’apostasia dei suoi membri. La Chiesa di oggi.
Tutto questo porta inevitabilmente a ritenere però che il martirio, del Papa (che sarà veramente ammazzato) e della Chiesa, sia da collocarsi nel futuro, che debba ancora realizzarsi.
E porta ancora una volta a ritenere che le sconvolgenti parole della Via Crucis del 25 marzo 2005, quelle sulla “sporcizia nella Chiesa”, sui sacrilegi e sulla barca che sta per affondare, parole scritte e volute da Joseph Ratzinger e Karol Wojtyla, fossero in realtà la rivelazione (sia pure non dichiarata) della parte del “terzo segreto” che nel 2000 non fu svelata, la parte cioè contenente le parole della Madonna stessa, a commento della visione.
Su questa parte gravava un giudizio negativo di Giovanni XXIII (che sospettava fossero parole di Lucia e non della Madonna), giudizio confermato da Paolo VI.
Evidentemente Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger – che intendevano esaudire la richiesta della Madonna di rendere pubblico il messaggio, ma non volevano smentire pubblicamente i predecessori (pur constatando l’autenticità anche della seconda parte) – decisero di far conoscere attraverso quella Via Crucis al popolo cristiano tutto il messaggio della Madonna.
E’ assai significativo che questo pellegrinaggio a Fatima di Benedetto XVI avvenga oggi. Non si recò al santuario nel 2007, per l’anniversario delle apparizioni, quando sarebbe stato più ovvio.
Ma ci si reca oggi, a ridosso della tempesta scandalistica sulla pedofilia nella Chiesa e lo fa con tre intenzioni assai significative: pregare per la Chiesa, per i sacerdoti e per la pace nel mondo. Tre temi che tutti portano al terzo segreto.
Ora forse certe forze della Curia cercheranno di evitare che queste dichiarazioni, così esplicite, del Papa vengano comprese nella loro portata e magari da lui replicate.
Ma lo scandalo pedofilia ha fatto chiaramente emergere la grande lezione del Papa: non avere paura della verità. Mai. Neanche quando è una verità dolorosa e perfino se è una verità vergognosa per la Chiesa (non a caso il suo motto episcopale è: “Cooperatores Veritatis”).
Ieri il Papa ha concluso così: “la Chiesa ha quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono, la conversione, la preghiera. Sempre il male attacca, dall’interno e dall’esterno, ma sempre anche le forze del bene sono presenti e finalmente il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia. La bontà di Dio è sempre l’ultima parola della storia”.
Antonio Socci - da Libero 12 maggio 2010
Andiamo da Pietro - Autore: Pagetti, Elena Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - giovedì 13 maggio 2010
Mentre Benedetto XVI compiva il suo viaggio in Portogallo un gran numero di fedeli si preparava a raggiungere Roma per la recita dell’Angelus di domenica 16 maggio. Un gesto simbolico, stretti attorno al Papa. Si potrebbe interpretare come semplice, se pur estremamente significativa, dimostrazione di solidarietà in un momento in cui il Papa è stato oggetto di attacchi ideologici e pretestuosi, ma sarebbe limitato. Come sempre, la realtà non si può ridurre all’apparenza. La verità più profonda è che siamo noi ad avere bisogno di Lui. Senza il Papa, vicario di Cristo in terra, la Chiesa cosa sarebbe? Rischierebbe di ruotare, come una trottola, sulle proprie iniziative o sui propri sforzi morali. Il Papa, invece, rappresenta il fondamento certo, la roccia sicura, la voce che indirizza il cammino della Chiesa. A Lisbona, parlando della Chiesa, il Papa ha detto: “Sappiamo che non le mancano figli riottosi e persino ribelli, ma è nei Santi che la Chiesa riconosce i propri tratti caratteristici e, proprio in loro, assapora la sua gioia più profonda.” Andiamo a Roma per assaporare questa gioia. Al Santo Padre vogliamo consegnare la nostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Nella Sua Persona riconosciamo la santità della Chiesa. “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista”. Tuttavia “La risurrezione di Cristo ci assicura che nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa, ma c’è bisogno che questa fede diventi vita in ognuno di noi”. Andando a Roma chiediamo questa grazia, che la fede diventi vita. Incontrando il mondo della cultura Benedetto XVI ha affermato: “Oggi la cultura riflette una «tensione», che alle volte prende forme di «conflitto», fra il presente e la tradizione. La dinamica della società assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato e senza l’intenzione di delineare un futuro”. Ma “la Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione”. Nella tradizione della Chiesa, che è viva e operante, presente passato e futuro sono uniti, non si contrappongono ma si alimentano, protesi alla speranza. Nella società secolarizzata, il “conflitto tra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita, sia come individuo che come popolo. Infatti un popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati”. L’abbraccio del colonnato del Bernini in piazza San Pietro è un segno imponente della cultura e della fede cristiana che ha attraversato i secoli, che ha educato pazientemente, passando per mille traversie, la coscienza di un popolo. Certi della Verità che è Cristo, ci ritroviamo a Roma attorno al Pastore della Chiesa. È la più grande testimonianza al mondo che la fede è riconoscere una Presenza che ci raggiunge, ci abbraccia e ci esorta. “Fate cose belle, ma soprattutto fate diventare le vostre vite luoghi di bellezza”.
DISCORSO DEL PAPA IN OCCASIONE DELLA RECITA DEL ROSARIO A FATIMA - FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso che il Papa ha rivolto ai fedeli presenti sulla spianata del Santuario di Fatima per la recita del Rosario questo mercoledì sera.
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Cari pellegrini,
tutti voi insieme, con la candela accesa in mano, sembrate un mare di luce intorno a questa semplice cappella, eretta premurosamente in onore della Madre di Dio e Madre nostra, la cui via di ritorno dalla terra al cielo era apparsa ai pastorelli come una striscia di luce. Però sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù. La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci (cfrEs 3,2-5). Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei disegni divini, che verranno adempiuti quando «Dio sarà tutto in tutti» (cfr 1 Cor 15,28). Serva incomparabile di tali disegni è la Vergine piena di grazia: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Cari pellegrini, imitiamo Maria, facendo risuonare nella nostra vita il suo «avvenga per me»! A Mosè, Dio aveva ordinato: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è un suolo santo» (Es 3,5). E così ha fatto; calzerà nuovamente i sandali per andare a liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e guidarlo alla terra promessa. Non si tratta qui semplicemente del possesso di un appezzamento di terreno o di quel territorio nazionale a cui ogni popolo ha diritto; infatti, nella lotta per la liberazione d’Israele e durante il suo esodo dall’Egitto, ciò che appare evidenziato è soprattutto il diritto alla libertà di adorazione, alla libertà di un culto proprio. Quindi lungo il corso della storia del popolo eletto, la promessa della terra va assumendo sempre di più questo significato: la terra è donata perché ci sia un luogo dell’obbedienza, affinché ci sia uno spazio aperto a Dio.
Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Cari fratelli e sorelle, adorate Cristo Signore nei vostri cuori (cfr 1 Pt 3, 15)! Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale che genera l’umanità come famiglia di Dio.
Fratelli e sorelle, in questo luogo stupisce osservare come tre bambini si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo. Qui, dove tante volte ci è stato chiesto di recitare il Rosario, lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria. La recita del rosario ci consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio. Nel meditare i misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi mentre recitiamo le «Ave Maria», contempliamo l’intero mistero di Gesù, dall’Incarnazione fino alla Croce e alla gloria della Risurrezione; contempliamo l’intima partecipazione di Maria a questo mistero e la nostra vita in Cristo oggi, che pure si presenta tessuta di momenti di gioia e di dolore, di ombre e di luce, di trepidazione e di speranza. La grazia invade il nostro cuore suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento di vita in modo da poter dire con san Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21), in una comunione di vita e destino con Cristo.
Sento che mi accompagnano la devozione e l’affetto dei fedeli qui convenuti e del mondo intero. Porto con me le preoccupazioni e le attese di questo nostro tempo e le sofferenze dell’umanità ferita, i problemi del mondo, e vengo a deporli ai piedi della Madonna di Fatima: Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, intercedi per noi presso il tuo Figlio perché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle che si distinguono con il nome cristiano, sia quelle che ignorano ancora il loro Salvatore, vivano in pace e concordia fino a ricongiungersi in un solo popolo di Dio a gloria della santissima e indivisibile Trinità. Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
L’ALTRA FACCIA DELLE STREGHE PEDOFILE - Il peccato dei peccati al quale inchiodare la Chiesa e i suoi ministri. Ma spesso è calunnia… - di Francesco Agnoli - IL FOGLIO 12 maggio 2010
Don Giorgio Carli, don Luigi Giovannini, don Sandro De Pretis: tre sacerdoti della mia regione finiti recentemente nel tritacarne dell’accusa di pedofilia, l’accusa più infamante e difficile da smentire che vi sia.
Il primo, assolto in primo grado “perché il fatto non sussiste” mentre la vittima, unico teste, è giudicata “inattendibile”. Don Giorgio lavora nella chiesa del Corpus Domini di Bolzano, nella “zona più popolata e popolare della città”, in cui “non è mai aleggiato il dubbio. Innocente, sempre e comunque, per la gente che lo conosce. Invece in appello il sacerdote viene condannato per violenza: “La memoria (della giovane vittima, ndr) riaffiorò dopo 14 anni e un lungo trattamento di 350 sedute chiamato ‘distensione meditativa’”, simile all’ipnosi. La ragazza, dopo tanti anni e tante sedute, dunque, racconta un sogno di stupro, in cui don Giorgio non compare neppure direttamente, ma solo grazie all’interpretazione degli “esperti”. “Modalità particolari, uniche nella giurisprudenza italiana”, recita il Corriere del 26/3/2009. Una cosa assurda, mai vista, mi conferma il professor Casonato, docente di Psicologia dinamica dell’Università di Milano, esperto di pedofilia. Il secondo, don Luigi: ama stare coi ragazzi, lo fa con passione e bontà (era un collega…); viene messo sotto accusa per molestie, il caso finisce sui giornali, come sempre poco delicati, e smette di insegnare. Tutto è nato da una diffamazione, come si scoprirà alla fine delle indagini, da parte di una mitomane che dice di avere le visioni della Madonna: è lei, nientemeno, a rivelarle i peccati del don! L’accusatrice verrà inviata dalla magistratura in un istituto psichiatrico per deboli di mente.
Il terzo, don Sandro: vocazione adulta, dopo aver fatto un’esperienza di volontariato internazionale, finisce missionario a Gibuti, piccola Repubblica del Corno d’Africa. A un certo punto viene imputato per corruzione di minori e pedofilia, poi l’accusa cambia (e cambierà molte volte ancora): detenzione di materiale pornografico. In realtà don Sandro ha le foto di bambini con bubboni sul braccio, che ha archiviato per sottoporle ai medici, da buon missionario. Quello di don Sandro diventa un caso internazionale, tanto che il governo Prodi sospende un finanziamento all’ospedale di Gibuti. Alla fine don Sandro viene liberato: sembra che la sua colpa sia stata quella di essere un testimone scomodo, l’unico occidentale a Gibuti nel 1995, quando venne ucciso il giudice francese Bernard Borrel. “La scia dei delitti porta a Ismail Omar Guelleh, attuale presidente della Repubblica”: la vittima è un prete la cui onestà e la cui presenza fanno paura (Vita Trentina, 5/4/2009). L’accusa è dunque quella usata a suo tempo verso i preti cattolici oppositori al regime dai nazisti e dai comunisti, secondo una logica terribile: screditare l’avversario, è meglio che ucciderlo. Riprendo l’elenco, raccontando qualcuno dei numerosi casi che si possono trovare con qualche ricerca.
Don Giorgio Govoni: condannato a 14 anni in primo grado, la giustizia lo ha del tutto riabilitato quando ormai era già morto di dolore, dieci anni fa: era stato accusato di essere il capobanda di una setta di satanisti feroci, dediti ad abusi su minori e decapitazione di bambini. Per trovare le prove sono stati dragati fiumi e perquisiti cimiteri, alla ricerca di corpi inesistenti. Sulla sua lapide è scritto: “Vittima innocente della calunnia e della faziosità umana, ha aiutato assiduamente i bisognosi…”. Don Giorgio, ricorda Lucia Bellaspiga, “era un prete particolare, amato dalla sua gente in modo non comune. Il “prete camionista”, era chiamato, perché per sostenere economicamente i suoi poveri, prima i meridionali, poi gli extracomunitari, nelle ore libere guadagnava qualche soldo guidando i Tir” (Avvenire del 3 agosto 2004). Ancora oggi i suoi parrocchiani lo ricordano con affetto e celebrano proprio in questi giorni l’anniversario della sua morte.
Don Paolo Turturro: parroco di Santa Lucia, a Palermo. Una zona difficile: “Nel Borgo vecchio l’anno scorso furono uccisi a coltellate due ragazzi, davanti a centinaia di persone, che dissero di non aver visto niente. La chiesa sta proprio davanti al portone del carcere dell’Ucciardone (di cui don Turturro è stato anche cappellano, ndr), l’aria che si respira è pesante. Possono essere vere le accuse che due bambini hanno scagliato contro padre Paolo Turturro, il prete antimafia incriminato per pedofilia? Uno choc, una cosa inconcepibile, alla quale nessuno sembra voler credere. Ma le imputazioni del sostituto procuratore della Repubblica, Alessia Sinatra, fatte proprie dal giudice per le indagini preliminari, Marcello Viola, sono da brividi”. Per la sua gente “le accuse contro don Paolo sono inventate, i ragazzini sono stati sentiti senza i genitori, li hanno forzati a raccontare cose non vere”. Così “trecento persone hanno espresso pubblicamente il loro affetto al prete in fiaccolata notturna ma, probabilmente, né loro né gli autorevoli esponenti della chiesa che si sono schierati a fianco di don Paolo conoscevano l’ordinanza del magistrato che, nel disporre il suo allontanamento, ha scritto: ‘Padre Turturro, in qualità di vero e proprio benefattore delle famiglie del quartiere e artefice di numerose iniziative in campo sociale, anche a sostegno delle istituzioni che contrastano la criminalità organizzata, è inevitabilmente, da lungo tempo, diventato personaggio di spicco, carismatico e nei cui confronti tutti i ragazzi e le rispettive famiglie nutrono da sempre profondi sentimenti di riconoscenza e rispetto, cui inevitabilmente si accompagna una soggezione psicologica non indifferente’. In sostanza, dice il giudice, il prete è sì quello che tutti sappiamo, un paladino della lotta a Cosa nostra, ma proprio per questo il pericolo di inquinamento probatorio diventa più concreto: ‘E’ altissimo’, scrive infatti il dottor Viola, ‘il rischio che le voci dei minori vengano soffocate dalle pressioni dell’indagato, del quale è indiscutibile il prestigio all’interno della comunità di quartiere’”. Il giornalista Gennaro De Stefano conclude così il suo servizio: “‘La sua attività non poteva rimanere senza risposta’, dicono nel quartiere. ‘Siringhe usate infilzate sul portone della chiesa, telefonate minatorie e uova lanciate contro la parrocchia sono state per anni l’avvertimento della mafia. La vendetta potrebbe essere arrivata puntuale con questa sporca storia di pedofilia’. Speriamo sia davvero così” (Oggi, n. 40, 2003). Don Paolo, che vive scortato perché avversato dai boss, amico di don Puglisi, il parroco ucciso dalla mafia, per tutti “prete antimafia” vicino agli ultimi e soprattutto ai bambini a rischio, viene condannato nel 2009 in primo grado a sei anni e sei mesi per pedofilia e a risarcire 50 mila euro alle vittime, costituitesi parti civili. Sembra abbia avuto nei confronti di due bambini “attenzioni particolari” e che in un caso abbia anche “baciato sulla bocca uno dei piccoli” (http://palermo.blogsicilia.it/2009/07/co ndannato-don-paolo-turturro/). Scrive Repubblica del 18 luglio 2009: “Il presidente Fasciana ha anche deciso la trasmissione alla procura degli atti di un ragazzo, Benedetto P., per la testimonianza resa durante il processo in aula. Per il giovane si profila l’iscrizione nel registro degli indagati… Durante il processo, deponendo in aula, altri ragazzini hanno ritrattato o ridimensionato le accuse mosse al prete durante le indagini. Non hanno cambiato versione invece le due presunte vittime”. Alla notizia della sua condanna, che non è definitiva, nessuno tra coloro che ben lo conoscono, ci crede. Scrive un ragazzo sul blog Live Sicilia, quotidiano on line, sotto la notizia della condanna: “Sono stato con don Paolo Turturro dall’età di 9 (1989) anni fino ai 14 (1994), notte e giorno ed è stato come un padre per me, io che un padre non l’ho mai avuto (era un mafiosetto da quattro soldi) e la madre (alcolizzata), tutti e due morti. Non credo assolutamente alle volgari, ignobili ed infamanti accuse. Eravamo più di cento bambini e ragazzi con i quali si parlava si giocava e si viveva insieme tutti i giorni e mai NESSUNO!!! ha accennato o ha avuto il minimo dubbio sulla sua moralità ed operato. Non credo che un UOMO cambi il suo stile di vita, il suo pensiero, la sua anima col trascorrere del tempo” (http://www.livesicilia.it/2009/07/17/condannato- don-turturro/). Al contrario, su molti siti dei cacciatori di pedofili di professione, degli anticlericali in servizio permanente, dei sedicenti “laici”, si sprecano gli insulti e le maledizioni, contro il don Paolo e, tramite lui, contro la chiesa in generale. Inesistenti i garantisti, i dubbiosi, coloro che si interrogano. Se non tra coloro che don Turturro lo hanno conosciuto e che giurano sulla sua innocenza. Quanto al bacio sulla bocca di don Paolo, divenuto “violenza sessuale”, “pedofilia” (dimostrabile, e come?), fa venire alla mente un altro caso, quello di un altro prete “pedofilo”: don Ilario Rolle, famoso per la sua lotta alla pedopornografia, presidente dell’Associazione Davide onlus per la tutela dei diritti dei minori in rete (attraverso l’invenzione del famoso filtro Davide), consulente del governo per la sicurezza dei minori in rete, fondatore di una casa di accoglienza detta “Pronto soccorso sociale” per l’ospitalità di emergenza di minori e giovani in situazioni di disagio. Don Ilario è stato condannato a tre anni e otto mesi per violenza sessuale su minore: avrebbe baciato sulla bocca un bimbo di dodici anni. “Il pm Stefano Demontis – scrive il Corriere di Chieri e Moncalieri – aveva chiesto un anno e otto mesi, ma il Gup ha deciso di inasprire la pena non condividendo l’ipotesi di violenza lieve sostenuta dalla procura. Nella sentenza il giudice non ha trascurato anche i ‘guai giudiziari’ molto simili avuti in passato da don Rolle. Due episodi che non portarono a nessuna condanna, uno dei quali avvenne quando si trovava ancora a Carmagnola. Era il 1990, don Ilario aveva 39 anni ed era il parroco di Vallongo. Venne accusato di molestie da un ragazzino di 12 anni, ma venne completamente prosciolto. Il prete si era difeso affermando che il minore era uno sbandato che aveva voluto vendicarsi perché non era stato accolto in comunità. Il ragazzino faceva parte del mondo della baby prostituzione di Porta Nuova e a presentarlo a don Rolle era stato un noto avvocato torinese. La difesa, sostenuta dall’avvocato Stefano Castrale, ha già annunciato appello” (www.corrierechieri.it/art/Chieresi_a_c onfronto/%22Don_Rolle_abuso’_del_ra gazzo%22_). Scrive Repubblica, sotto il titolo “Il bacio proibito del prete antipedofilia: “E’ conosciuto per il suo impegno nella lotta alla pedopornografia, è il creatore di siti Internet con filtri protetti per i bambini, è uno dei preti che ha ricevuto più premi e riconoscimenti, e ha sempre detto che la sua missione è quella di ‘proteggere i minori’. Eppure proprio da un bambino è stato messo nei guai…”. E conclude: “Ma tre anni e otto mesi di carcere sono tanti, e l’accusa di pedofilia rischia di rovinare per sempre una vita dedicata alla lotta contro la violenza sessuale sui minori” (Repubblica, 3/12/2009). Due anziane suore orsoline di Bergamo: lavorano in un asilo, vengono condannate a nove anni e mezzo in primo grado per abusi su otto bambini tra il 1999 e il 2000. Carmen Pugliese, il pubblico ministero che ha chiesto e ottenuto la pesante condanna, ha dichiarato: “Ci siamo sforzati di non farci condizionare dall’abito che portavano le imputate. Abbiamo avvertito il peso di lavorare in una città cattolica, anche per lo scarso rilievo pubblico dato a una vicenda così grave” (http://italy.indymedia.org/news/2005/04 /777565_comment.php, sotto il titolo “Per non dimenticare lo scandalo dei preti pedofili”: uno dei tanti siti, specie di sinistra, che esultano a ogni condanna di preti, e che omettono sistematicamente ogni assoluzione). Nel luglio 2004 le suore vengono assolte in secondo grado, con formula piena, dopo tanta “fortuna” sui giornali. Da mostri sicuri a innocenti certi. Suor Marta Roversi, nota come suor Rosa: qua e là compare come la suora “pedofila”. Avrebbe coperto l’autista di un asilo di Calabritto, colpevole di molestie su minori. Suor Rosa è stata condannata a tre anni in primo grado e appello. La sentenza in appello è stata però annullata dalla Cassazione e quindi si celebrerà un nuovo appello.
Don Aldo Bonaiuto: responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, dedita all’aiuto, tra le altre cose, delle prostitute, e alla lotta contro il traffico di nigeriane, viene indagato nel 2003 per presunta violenza sessuale nei confronti di un bimbo di cinque anni. A chiamarlo in causa è il figlio di una “lucciola” dell’ex Jugoslavia che don Bonaiuto aveva sottratto dal marciapiede e ospitato nella sua casa-famiglia “Papa Giovanni XXIII”. “C’è un episodio nel passato di don Aldo Bonaiuto che merita di esser ricordato. Il parroco cercò di aiutare la prostituta nigeriana Evelyn Okodua, uccisa a Senigallia il 26 febbraio del 2000, mettendosi contro i suoi presunti sfruttatori. Denunciati dalla polizia, non sono mai stati arrestati. La causa del delitto della nigeriana fu la volontà di uscire dal giro della prostituzione, a cui i suoi sfruttatori si sono opposti ferocemente. Evelyn dieci giorni prima della sua uccisione chiese aiuto a don Bonaiuto e a don Benzi. Il suo corpo straziato fu ritrovato in mezzo a una sterpaia di Passo di Ripe dove si prostituiva. Forse quell’accusa infamante di pedofilia potrebbe essere un segno di ritorsione degli sfruttatori danneggiati dall’impegno sociale del parroco. E la procura sta seguendo indagini anche verso questa ipotesi, quella della malavita organizzata sul racket delle prostitute” (http://www.vivacity.it scritto da Anna Germoni). Don Aldo è stato assolto.
Don Giancarlo Locatelli: accusato per possesso di materiale pedopornografico, assolto perché il fatto non sussiste il 7 novembre 2006. Quattro sacerdoti torinesi: accusati di violenza da tale Salvatore Costa, che vive di espedienti, di furti e di ricatti. Se non mi date dei soldi, vi denuncio: questa la sua strategia, allargata poi ad almeno altri tre preti, uno milanese, uno ligure e uno pugliese, nel corso dei suoi vagabondaggi. Salvatore Costa, racconta Repubblica, “dopo un’infanzia per strada, passava le sue giornate a fare il giro delle chiese, tra elemosine e ricatti”. Per strada significa soprattutto in via Cavalli, a Torino: là dove dagli anni Ottanta “uscivano allo scoperto decine di ragazzi di strada. Giovani di 16-17 anni; a volte anche meno. Disposti a tutto… Funzionava così, a quei tempi. Quando si vendeva il proprio corpo per qualche migliaio di lire. Per comprarsi un paio di jeans alla moda, scarpe firmate”. Oggi non è diverso, se non per il luogo: non più via Cavalli, per chi vuole sesso e minori. “Chi cerca minorenni li trova più facilmente in qualche cinema a luci rosse. Ormai sono quelli i luoghi di ritrovo durante il giorno. E quei ragazzini in cerca di soldi facili sono lì già dal primo pomeriggio, fino a sera inoltrata. Se ne stanno sulle scale oppure non lontano dagli ingressi. Per una ventina di euro sono disposti a tutto, o quasi” (la Stampa, 9/8/2007). Costa non ha mai avuto un lavoro. Chiede l’elemosina ai preti, come tanti, e talora ad alcuni estorce denaro, minacciando di infangarli pubblicamente per presunti rapporti con lui quand’era minore. Finché uno di loro lo denuncia. Dei preti ricattati uno viene subito scagionato. Due invece non ne escono benissimo: ammettono di avere avuto rapporti omosessuali, ma mai con minori. Del resto le dichiarazioni del Costa sui suoi rapporti con loro risultano “contraddittorie” e non credibili. Sembra che Costa conoscesse le debolezze di qualche sacerdote omosessuale e puntasse sulla possibilità di retrodatare presunti rapporti, per trasformare in un reato ciò che non lo è. Alla fine la magistratura condanna Costa a quattro anni e sei mesi di carcere. La sua abitudine alla diffamazione è sempre più chiara anche grazie alle intercettazioni. In una di queste egli dichiara alla compagna, riferendosi al suo primo legale (ne cambierà quattro): “Ma lo mando a fanc… e lo cancello come avvocato… te lo giuro, giovedì all’interrogatorio faccio finta che mi ha molestato due bambini davanti a me e lo rovino” (la Stampa, 12/12/2008). Insomma, “un ricattatore di professione”, come lo definisce il gip Emanuela Gai. Parte della pena Costa la passerà agli arresti domiciliari, in una parrocchia. “Salvatore Costa è cambiato, ha mostrato l’intenzione di chiudere questo triste capitolo della sua vita. Certo all’interno della parrocchia darà una mano, ma il suo obiettivo è di cercarsi finalmente un lavoro”: così ha dichiarato l’avvocato del Costa. Intanto il ricattatore sarà aiutato. Da un prete (Repubblica, 6 e 8/2/2009). Don Marco: della sua denuncia per pedofilia parla il Giornale del 2 aprile 2010. Si riportano a grandi caratteri le accuse di un padre: “Pedofilia, la denuncia del padre di una bambina: un padre molestò mia figlia, lo hanno coperto”. Il sacerdote accusato di “semplice” palpeggiamento, ha oltre settant’anni, e nessuna denuncia precedente alle spalle. A inguaiarlo le parole di una bambina di sette anni. Il Giornale spiega che la denuncia della bambina è certamente credibile. Gran parte della letteratura giuridica e psicologica dice il contrario: le testimonianze dei bambini, senza il sostegno di prove concrete, sono del tutto inaffidabili, in quanto i bimbi sono troppo influenzabile, sotto mille aspetti. Ma il giornalista che ha confezionato il titolone e l’articolo, non sa nulla. Chi c’è dietro la bambina? Un uomo con problemi economici e non solo, che era stato sempre aiutato dalla Caritas e dallo stesso don Marco, come dichiara lui stesso: “Prima di allora, io con i salesiani avevo sempre avuto un buon rapporto. Con me erano stati generosi, mi avevano aiutato quando ero in difficoltà. Ero un ‘mammo’, un padre single con due figli, e faticavo ad arrivare a fine mese”. Poi aggiunge: “Dopo la mia denuncia è cambiato tutto. Ci hanno chiuso le porte dell’oratorio… Hanno detto in giro che mia figlia si era inventata tutto perché io volevo estorcere del denaro alla chiesa. Ma quale padre al mondo costringe la figlia a inventarsi un racconto così?”. Nessun padre? La cronaca ce ne offre decine e decine: ad esempio il padre che spinse il figlio Jordan Chandler ad accusare ingiustamente Michael Jackson per estorcergli 20 milioni di dollari. Avvenire del 3 aprile racconta: “Don Marco, il salesiano accusato di molestie a una bambina… è tornato spontaneamente nel 2008 dal Brasile per dimostrare al magistrato la propria innocenza. Ma nessuno lo ha detto… Sulla vicenda è in corso un processo. Tutti sono convinti dell’innocenza di don Marco, a cominciare dalla sua vecchia parrocchia. E l’ispettore dei salesiani di Milano, don Agostino Sosio, ricorda di aver rigettato una richiesta di denaro del padre per non sporgere denuncia. A quel punto la congregazione è andata fino in fondo per difendere in tribunale il sacerdote”. Aspettiamo dunque la sentenza, sebbene per il Giornale, questa volta in perfetta sintonia con i metodi dei quotidiani di sinistra, i preti denunciati meritano già la condanna e il linciaggio, almeno mediatico, ben prima dell’accertamento dei fatti. Solo notiamo che le prove di un palpeggiamento non si troveranno mai. Rimane quindi una domanda: è più credibile il settantasettenne don Mario, una vita al servizio degli altri, o l’accusatore in perenne ricerca di denaro, di cui sopra? Tre preti bresciani: coinvolti tutti e tre nella piscosi collettiva di Brescia, a cui Antonio Scurati ha persino dedicato un romanzo. La psicosi inizia nel 2002: piano piano per contagio vengono coinvolti appunto 23 bambini, tre preti, sei maestre e bidelli d’asilo. I tre sacerdoti sono: don Armando Nolli, don Amerigo Barbieri, don Stefano Bertoni. Scrive Repubblica: “Dodici persone in tutto che rappresentano in un colpo solo tutto quello che Brescia ha sempre portato come modello: il suo sistema educativo, le sue strutture sociali, la sua vocazione di cooperazione e solidarietà, la sua chiesa che da quindici secoli ne costituisce l’anima istituzionale, politica e spirituale. Una macchina sociale che rischia di collassare per aver tradito i suoi figli. Per questo da più di un anno, da quando questo incubo collettivo è incominciato, qualcosa nell’anima della città si è rotto. Difficile pensare che non sia successo nulla, impossibile pensare che sia successo qualcosa” (18/10/2004). L’assoluzione finale per tutti gli indagati, perché “i fatti non sussistono”, arriva il 31 marzo 2009. Ancora una volta esperti e magistrati concludono che le dichiarazioni di bambini sotto pressione degli adulti e delle loro convinzioni, non sono attendibili. Dai casi cui si è accennato, ma se ne potrebbero elencare molti altri, emergono alcune considerazioni. La prima: l’accusa di pedofilia non dovrebbe essere sufficiente a distruggere una persona, prima che la colpa non sia stata provata. Se la colpa è certa, ben venga l’evangelica macina al collo. Lo stato faccia il suo dovere, la chiesa, soprattutto, vigili sui suoi preti e seminaristi: torni alle regole pre Concilio, allorché, prima che uno fosse accettato in seminario, veniva vagliato e controllato con grande scrupolo e severità. I vescovi, soprattutto, facciano il loro dovere: che non è anzitutto quello di denunciare al tribunale un prete che sbaglia, anche perché non è così facile accertarlo, quanto quello di conoscere, frequentare, sostenere come un padre i suoi seminaristi e i suoi sacerdoti (cosa che purtroppo avviene assai di rado). La seconda: in molti casi sacerdoti e religiosi vivono spesso a contatto con situazioni limite, con tossici, poveri, squilibrati, sbandati, emarginati. Da chi vanno a chiedere aiuto immigrati senza lavoro, persone che hanno perso tutto, o in difficoltà di vario tipo? Alla Caritas, alla San Vincenzo, alle mense dei poveri che nascono in moltissime città dal volontariato cattolico, alle porte delle canoniche… Non è dunque raro che proprio da costoro i sacerdoti vengano talora ripagati con accuse infamanti, per estorcere denaro, per malintesi, scontri, ricatti, vendette… Come nei “Miserabili” di Victor Hugo è frequente che il beneficiato approfitti del benefattore, specie quando le sue condizioni sono disperate. Si tratta di una situazione ben conosciuta, per esempio, da chi ha avuto a che fare con le comunità terapeutiche di tossici, in cui non di rado succede che il rapporto di amore-odio tra i drogati e i loro aiutanti-“guardiani”, laici o preti che siano, finisca in accuse terribili nei confronti di quest’ultimi, sovente puramente calunniose. Inoltre la scelta di stare accanto agli emarginati, procura talora nemici pericolosi: magnaccia, mafiosi, sfruttatori, cui l’impegno di un sacerdote coraggioso dà immenso fastidio. In tutti questi casi l’accusa di pedofilia può essere una calunnia, e rende molti sacerdoti, non dei “mostri”, ma delle vittime della loro stessa carità e generosità. Vittime, per di più, infangate e derise dal pregiudizio e dall’odio che la superficialità di molti media alimenta, non senza colpa.
IL FOGLIO 12 maggio 2010
La Chiesa deve reimparare il perdono e la necessità della giustizia - Autore: Oliosi, don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 12 maggio 2010
Padre Lombardi. E ora veniamo a Fatima, dove sarà un po’ il culmine anche spirituale di questo viaggio. Santità, quale significato hanno oggi per noi le Apparizioni di Fatima? E quando Lei presentò il testo del terzo segreto nella Sala Stampa Vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, Le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori?
Papa. “Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia nel suo presente e illumina questa storia. Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, che non viene solo all’immaginazione della persona, ma in realtà dalla Vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, e che era – diciamo – “vestita” in questa visione possibile alle persone concrete. Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano. Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù cardinali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione. Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di reimparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da un a parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo reimparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia” [Intervista concessa da Benedetto XVI ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010].
Il Papa ripropone e attualizza la terza parte del Segreto di Fatima rivelata dieci anni fa, terza parte che non si esaurisce nell’attentato a Giovanni paolo II. La “sofferenza del Papa” e “la sofferenza della Chiesa” e “la sofferenza dell’uomo” sono anche nel presente, come lo erano nel 1830 con la Medaglia miracolosa, nel 1846 alla Salette, nel 1858 a Lourdes e lo sono oggi con le presunte apparizioni (poiché la Chiesa non le ha ancora riconosciute e non le ha escluse) della Regina della Pace del 1981 e della Regina dell’amore del 1985. La “novità” che ora scopriamo nel messaggio” riguarda lo scandalo dei preti pedofili e del modo di minimizzare da parte dei responsabili: “Oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa”. La “parola chiave” della terza parte del segreto (della prima e seconda parte è “salvare le anime dall’inferno” cioè dalla tendenza a distruggere nella propria anima l’originale desiderio della verità, di Dio e la disponibilità all’amore) è il triplice grido “penitenza, penitenza, penitenza!”, spiegava nel 2000 l’allora Prefetto della Congregazione della fede. Ora ripete che “la Chiesa ha profondo bisogno di re- imparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono ma anche la necessità della giustizia”. Come non basta, per essere sacramentalmente perdonati, confessare di aver rubato, occorre restituire, così per l’abuso sessuale dei minorenni “Il perdono non sostituisce la giustizia”.
Giovanni Paolo II interpretò l’immagine del “vescovo vestito di bianco” ucciso “a colpi d’arma da fuoco e frecce” riferendola all’attentato subito in San Pietro il 13 maggio ’81, anniversario dell’apparizione del ’17, ritenendo che la Vergine avesse deviato il colpo e facendo incastonare il proiettile nella corona della statua della Madonna. Benedetto oggi spiega che “oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in sostanza riferire a Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano”. Se la “rivelazione pubblica” è definitiva e “conclusa” con Gesù Cristo come ce l’hanno tramandato gli Apostoli”, nel carisma straordinario delle “rivelazioni private”, come a Fatima “il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali”.Non si tratta di “visioni intellettuali senza immagini, come negli alti gradi di carismi mistici”, né descrivono in senso fotografico i dettagli degli avvenimenti futuri: il centro di ogni profezia cristiana è là dove la visione diviene appello e guida verso la volontà di Dio.
Nella prima e nella seconda parte del “Segreto” i bambini hanno esperimentato per la durata di un terribile attimo una visione di individui nei quali non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene in loro sarebbe irrevocabile, indicati con la parola inferno, e come salvarli attraverso la devozione al Cuore Immacolato di Maria, imparando da lei ad avvicinarci con la ragione, la volontà, il temperamento, la sensibilità a Cristo in modo che il “sia fatta la sua volontà” informi tutta la nostra esistenza non solo per noi ma per quei fratelli più bisognosi: O Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia. Suor Lucia riguardo alla terza parte del “Segreto” , nel quale l’anima è stata sfiorata dal tocco di qualcosa di reale, da veri oggetti futuri, non la sua interpretazione che, diceva, spetta non al veggente ma alla Chiesa. Benedetto XVI vi vede nella visione di Fatima “la necessità di una passione della Chiesa”, perché “il Papa sta nella Chiesa”, e “il Signore ci ha detto che la Chiesa sarà per sempre sofferente, in modi diversi fino alla fine del mondo”. Benedetto XVI parla realisticamente che “sempre il male ci attacca dall’interno e dall’esterno”, ma ricorda, testimoniandolo con il suo atteggiamento, che “La bontà di Dio è sempre l’ultima parola della storia umana” e della storia di ogni persona, mai definita dal male che fa: resta sempre, fino al momento terminale, la possibilità di rendersene conto, di pentirsi e di riparare con giustizia, lasciarsi riconciliare nel Sacramento e ricominciare. Per questo è necessaria la penitenza cioè la conversione. La “missione dell’Europa” dove soprattutto avvengono questi carismi di apparizioni, è “trovare un dialogo” tra ragione e fede: “La presenza del secolarismo (dal momento che Dio è amore e non può costringere, perché un rapporto costretto non è mai un rapporto di amore, conforme alla natura di Dio e dell’uomo) ciò che è anomalo è la separazione e il contrasto con la fede”. La stessa attuale crisi economica, come viene spiegato dalla Caritas in veritate, dimostra che “le due correnti culturali separate devono incontrarsi, altrimenti non troviamo la strada verso il futuro”, perché un “positivismo economico senza la componente etica”, necessariamente sfocia nello scacco. Ma il Papa ammonisce al Chiesa: “Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista”. E aggiunge: “Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni”. Ma ciò che in tutte queste prove ci garantisce è la fede che la Madre di Dio continuamente ci richiama che “La risurrezione di Cristo ci assicura che nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa”, non questa o quella Chiesa particolare e la Madonna è garanzia visibile, materna della bontà di Dio.
“CRISTIANI PER SERVIRE” RIFIUTA L’EUTANASIA PER I MALATI MENTALI - di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Ai malati mentali deve essere riconosciuto il diritto alla vita e non all’eutanasia. E' l'appello lanciato da Franco Previte, Presidente dell’associazione Cristiani per Servire (http://digilander.libero.it/cristianiperservire).
Domani 13 maggio ricorre il trentaduesimo anniversario della legge “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori” (legge 13 maggio 1978 n.180) varata con lo scopo di curare e non segregare il paziente soggetto a malattie psichiche.
In una intervista a ZENIT, Previte ha affermato che questa normativa ha voluto dare un “colpo di spugna” agli Ospedali Psichiatrici pur concedendo al privato di coprire il 50% circa delle esigenze del pubblico, nonostante i costi elevati di gestione esistenti in Italia.
Dall’ultima Relazione Trimestrale del Ministro della Salute, ai sensi dell’art. 1° comma 24 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 sulle iniziative adottate a livello nazionale e regionale al 31 dicembre 2002, (Doc. CXXVI n.1 Atti Parlamentari 20 ottobre 2003), sono stati documentati tutti i programmi di superamento degli ex-Ospedali Psichiatrici pubblici in favore di strutture residenziali come luogo di destinazione elettivo o “residenze protette”.
Anche se, secondo la Relazione del Ministro della Salute svolta il 30 giugno 2004, esistono ancora 7 Ospedali Psichiatrici Privati in Italia e 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Tutti “vergognosamente ancora aperti”, ha commentato Previte, il che sta a dimostrare che vi sono persone con problemi psichici “relegati in strutture definibili manicomiali” (Doc. CXXVI n. 3 Atti Parlamentari 21.01.2005).
“E’ evidente – ha sottolineato il Presidente di Cristiani per Servire - che 'queste strutture' contrastano non solo con la legge 180, ma confliggono addirittura con la Costituzione Italiana, molto criticate per le loro 'inefficienze' nel Rapporto indirizzato alle Istituzioni Italiane dal dr.Alvaro Gil-Robles, Commissario Europeo per i diritti umani (10/17 giugno 2005)”.
Il Presidente di Cristiani per Servire ha spiegato che “quelle norme legislative vanno rivedute in una proposizione che renda ragione e giustizia” perchè fino ad oggi “questa problematica è stata oggetto di pseudo revisioni, che hanno stimolato politici, operatori del settore, organizzazioni private, del non-profit, verso proposte interessate ad alimentare un business del malato di mente, con l’intenzione di affidarli a strutture cooperativistiche pubbliche o private”.
Previte lamenta che la normativa accentrata nel Testo Unificato Burani-Procaccini a cui era abbinata una Petizione dell’associazione Cristiani per Servire è sparita dall’agenda parlamentare dal 21 aprile 2005.
Per Previte, “non si può addossare un peso di questa gravità alle famiglie ed alla società”.
“E’ vero – ha aggiunto – che la famiglia è la vera risorsa di questo Paese, ma bisogna darle quel riconoscimento, quel ruolo insostituibile, quella maggiore dignità che le spetta quale membro fondamentale della società, soprattutto per quelle famiglie dove esiste la disabilità nei suoi possibili componenti, ai quali bisogna garantire il rispetto della loro dignità quali persone”.
“La 'cultura della morte' - ha continuato - come la chiamava Papa Giovanni Paolo II, si va sempre più diffondendo sia in forma esplicita che subdola, mentre la battaglia per la vita e per la dignità dell’uomo-disabile è ormai un 'diritto-dovere' superato e ne pagano le conseguenze le persone svantaggiate”.
In una lettera inviata al Senatore Antonio Tomassini, Presidente del 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica, Previte ha scritto: “A tutt'oggi nessuna chiarificazione ci è pervenuta sulla particolare tutela ed assistenza sanitaria ospedaliera per persone-pazienti fragili quali quelle in età avanzata. sia disabili fisici e psichici, malati terminali persone bisognose di prestazioni sanitarie costanti ed onerose, al fine di evitare episodi e/o situazioni di abbandono: una eutanasia mascherata”.
“Trattandosi di un diritto inalienabile, il diritto alla vita e non all'eutanasia, - ha concluso - anche a nome dell'opinione pubblica, Le chiedo cortesemente di far conoscere la verità”.
Massimo Introvigne: Meno male che il Papa c'è. Una grande lezione dal Portogallo – 13 maggio 2010
Mentre – in modo peraltro comprensibile – l’attenzione sul viaggio del Papa in Portogallo si concentra sull’interpretazione del messaggio di Fatima e sulle sue relazioni con la crisi nella Chiesa che nasce dagli episodi dei preti pedofili, per molti rischia di andare perduta la straordinaria lezione della modernità impartita da Benedetto XVI nel Paese iberico, che ci riporta al cuore stesso del magistero di Papa Ratzinger. Nel discorso del 2006 a Ratisbona e nell’enciclica Spe salvi del 2007 il Pontefice aveva già proposto un giudizio sui momenti centrali della modernità: Lutero, l’illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti aveva distinto un aspetto esigenziale dove c’è qualche cosa di condivisibile – la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell’illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni sociali e politiche dell’illuminismo per le ideologie novecentesche – e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l’acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare. Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale; l’illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare; le ideologie del Novecento criticando l’idea astratta di libertà dell’illuminismo finisco per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità dunque a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.

Il tema ha anche una sua attualità all’interno della Chiesa, dove il magistero di Benedetto XVI si è concentrato sulla corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si dice, senza sbagliare, che il Concilio si fece carico della modernità. Ma questo significa che il Concilio accolse le istanze del moderno oppure che condivise anche le risposte dell’ideologia della modernità a queste istanze? Nel primo caso il Concilio può essere letto alla luce della Tradizione della Chiesa, che – dal Concilio di Trento, il quale si confrontò con le domande poste da Lutero dando però risposte totalmente diverse, fino a Leone XIII, di cui ricorre quest’anno il secondo centenario della nascita, di fronte alle ideologie nascenti – ha sempre accolto le istanze proposte dalla storia trovando nel suo patrimonio gli elementi per farvi fronte. Nel secondo caso il Vaticano II sarebbe invece un’innovazione radicale, un cedimento della Chiesa all’ideologia della modernità, una rivolta contro la Tradizione da leggere secondo quella che Benedetto XVI chiama “ermeneutica della discontinuità e della rottura” rispetto a tutto quanto è venuto prima.

In Portogallo il Papa torna su questi temi: e il discorso del 12 maggio a Lisbona rivolto al mondo della cultura è destinato a prendere posto fra i discorsi principali del suo pontificato. Qui, come di consueto, il punto di partenza è il Vaticano II, “nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita”. Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le “istanze”, di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma “superandole” –, e gli “errori e vicoli senza uscita” in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole e di condivisibile.

Per il Papa la modernità come plesso di esigenze può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità come ideologia dev’essere invece oggetto di una rigorosa critica. Questa ideologia comporta il rifiuto della tradizione – quella con la “t” minuscola, come patrimonio culturale trasmesso dalle generazioni passate, e quella con la “T” maiuscola come verità conservata e veicolata dalla Chiesa – e l’idolatria del presente. In Portogallo il Papa denuncia un’ideologia che “assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato” e quindi fatalmente finisce per presentarsi “senza l’intenzione di delineare un futuro”. Considerare il presente la sola “fonte ispiratrice del senso della vita” porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo – e non solo – “ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una ‘sapienza’, cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un ‘ideale’ da adempiere”, strettamente legati all’idea di verità e all’identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque “si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo”. Il “‘conflitto’ fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita”. In questo conflitto la Chiesa non ha dubbi su da che parte stare. “La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione”: parole di Benedetto XVI che richiamano – certo con uno stile e un linguaggio diverso – quelle del suo predecessore san Pio X nella lettera apostolica del 1910 "Notre charge apostolique" secondo cui “i veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti”.

La difesa della verità contro il culto relativistico e anti-tradizionale del presente è una missione “per la Chiesa irrinunciabile”, ripete Benedetto XVI. “Infatti il popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia”. Chi rinuncia alla tradizione e taglia il suo legame con il passato in nome di un culto modernistico del presente si priva al tempo stesso di ogni vera possibilità di “delineare un futuro”.


PAPA IN PORTOGALLO: “NON ABBIATE PAURA DI PARLARE DI DIO” – dal sito amici di Papa Ratzinger
“Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo”. E’ il forte appello lanciato questa sera dal Papa, durante la benedizione delle fiaccole sulla Spianata del Santuario di Fatima, dove si è svolta la tradizionale processione “aux flambeaux”.
“Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio”, ha ribadito Benedetto XVI, soffermandosi su quella che è da sempre la “cifra” del suo pontificato. Tracciando un parallelo tra il “mare di luce” formato dalla folla radunata intorno alla “semplice cappella” eretta in onore della Madonna e il “mistero” del roveto ardente, il Santo Padre ha fatto notare come ciò che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosé “non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci”. “La terra è donata perché ci sia un luogo dell’obbedienza, affinché ci sia uno spazio aperto a Dio”, ha detto il Pontefice spiegando il senso della “lotta per la liberazione d’Israele” durante l’esodo dall’Egitto, in cui appare evidente “il diritto alla libertà di adorazione, alla libertà di un culto proprio”
Dopo aver citato l’esempio dei “tre bambini”, i tre pastorelli di Fatima che “si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo”, Benedetto XVI ha invitato i fedeli alla recita del rosario, che “ci consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio”. “Sento che mi accompagnano la devozione e l’affetto dei fedeli qui convenuti e del mondo intero”, le parole del Papa ai piedi della Madonna di Fatima: “Porto con me le preoccupazioni e le attese di questo nostro tempo e le sofferenze dell’umanità ferita, i problemi del mondo”. Poi la preghiera finale alla Madonna: “Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, intercedi per noi presso il tuo Figlio perché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle che si distinguono con il nome cristiano, sia quelle che ignorano ancora il loro Salvatore, vivano in pace e concordia fino a ricongiungersi in un solo popolo di Dio a gloria della santissima e indivisibile Trinità”.


Da Fatima a Roma, la via del Papa - Roberto Fontolan - giovedì 13 maggio 2010 - Volando verso Fatima, Benedetto XVI ha preso di petto le domande dei giornalisti, selezionate in precedenza in modo tale da dare al Papa la possibilità di risposte approfondite. E ha usato parole e concetti formidabili.
Innanzitutto la coppia ragione-fede posta come “sfida” all’uomo europeo di oggi, caratterizzato da un certo passato, da una certa cultura, da una certa storia: “La presenza del secolarismo è una cosa normale, ma la separazione e la contrarietà tra secolarismo e cultura della fede è anomala e deve essere superata. La grande sfida di questo momento è che i due si incontrino e trovino così la loro vera identità. Questa, come ho detto, è una missione dell’Europa e una necessità umana in questa nostra storia”.
Poi una visione sintetica della Dottrina sociale della Chiesa, ma sottolineando una decisa correzione a una concezione “spiritualistica” presente anche tra i cristiani, richiamando invece la potente idea di una “responsabilità per il mondo”: “Dobbiamo anche constatare che la fede cattolica, cristiana spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo, e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo. Anche qui dobbiamo entrare in un dialogo concreto: ho cercato nella mia enciclica Caritas in veritate, e tutta la tradizione della dottrina sociale della Chiesa va in questi senso, di allargare l’aspetto etico e della fede sopra l’individuo alla responsabilità del mondo, a una razionalità però formata dall’etico, e dall’altra parte gli ultimi avvenimenti sul mercato in questi ultimi due o tre anni hanno mostrato che la dimensione etica è interna e deve entrare all’interno dell’agire economico perché l’uomo è uno, si tratta dell’uomo, di una antropologia sana che implica tutto”.
Infine il tema più incandescente, sul quale si sono soffermate le cronache e vari commentatori, in riferimento al messaggio di Fatima: la sofferenza della Chiesa, il male nella Chiesa. “Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarà per sempre sofferente, in modi diversi fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a situazioni particolari, ma la risposta fondamentale cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù cardinali, fede, speranza carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi ogni singolo dobbiamo dare in questa situazione.
uanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, è anche che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si sapeva sempre, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa. E che la Chiesa ha quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono ma anche la necessità della giustizia.
Il perdono non sostituisce la giustizia. Dobbiamo imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza, le virtù teologali. Così rispondiamo e siamo realisti, per aspettare che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che finalmente il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia. La bontà di Dio è sempre l’ultima parola della storia”.
Conversione permanente, penitenza, preghiera, le virtù della fede, della speranza, della carità: come suonano familiari a tanti cristiani di oggi le “risposte” che il Papa propone davanti allo sgomento della evidenza del male fuori e dentro di noi. Familiari e dure, per nulla scontate, facili da dimenticare, attaccati come siamo alle conseguenze “sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista”, come poi egli stesso ha ricordato ai centomila assiepati nella piazza di Lisbona.
E qui non ha risparmiato una ulteriore sferzata alla Chiesa (l’urgenza di un cambiamento emerge come forte di questo viaggio): “Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni”. Altre parole da non dare per scontate: non si può continuare a seguire i propri ruolini di marcia come se nulla fosse, ad anteporre o ad affiancare a un Papa che parla così, che grida così, che sfida così, il proprio intoccabile tran tran.
Carichi di queste parole e di questi sentimenti, domenica prossima in moltissimi saranno presenti in piazza San Pietro per quello che è stato definito un grande, essenziale gesto “di popolo”: pregare insieme al Papa, testimonianza non tanto di un sostegno a lui, ma piuttosto del bisogno di essere da lui sostenuti, di ascoltare ancora “le parole che danno la vita”. Qualcuno si è domandato che senso abbia che a decine di migliaia di sobbarchino di fatiche e di ore di viaggio “solo” per pochi minuti di preghiera. Solo?


Avvenire.it, umanesimo e scienza - 13 MAGGIO 2010 - 5 - Il biologo Cirotto - Per far le somme meglio Omero della calcolatrice - Luigi Dell’Aglio
«Si può immaginare ciò che si vuole, ma non si può essere normali e vedere ciò che si vuole». Sembra una formula criptica, l’oscuro responso di un oracolo, che richiede una faticosa interpretazione. E invece è la chiave che spiega – da un punto di vista neurobiologico, e perciò scientifico – la differenza fra scienze della natura e scienze umane. La frase l’ha scritta il gesuita Bernard Lonergan (1904-1984), matematico e filosofo canadese, e su di essa richiama l’attenzione il professor Carlo Cirotto, presidente nazionale del Meic, Movimento ecclesiale di impegno culturale, e ordinario di Citologia e istologia presso l’Università di Perugia.

La frase di Lonergan, che negli anni Ottanta insegnò alla Pontificia università Gregoriana, inquadra in maniera nuova la disputa su conoscenza scientifica e conoscenza umanistica. «C’è un sistema nervoso "periferico", che dipende strettamente dagli stimoli sensoriali e ci permette di vedere, udire, gustare, ecc.; e un sistema nervoso "centrale" che è il cervello, sede di inventiva e creatività», dice Cirotto. Procedendo su questa traccia, lasciata da Lonergan, si arriva a semplificare e a capire meglio le differenze tra i due saperi.

Ecco come le neuroscienze vedono il divario scienza-humanitas, spiega il professor Cirotto, al quale la diversità fra scienza e umanesimo provocò nottate di incubo quando, con il diploma del liceo classico, s’iscrisse alla facoltà di Chimica. «Al classico non si studiava quasi il calcolo differenziale e integrale che invece i diplomati provenienti dallo scientifico dominavano pienamente. Poi all’esame di matematica, la sorpresa: noi "sfondammo", meritando voti nettamente superiori a quelli degli studenti che venivano dallo scientifico. Ci aveva aiutato molto il buon allenamento acquistato studiando i classici».

Professore, a Lonergan viene riconosciuta una straordinaria profondità di analisi. Ma in che modo la sua frase spalanca le porte a un nuovo approccio?
«Quando la lessi per la prima volta, non fui affatto colpito e passai oltre. Anni dopo, rileggendola con calma, mi apparve sotto una luce totalmente diversa: suggeriva come dare ordine alle tante, confuse e spesso contraddittorie idee sui complessi rapporti tra i due saperi. Ecco, in breve, ciò che dicono quelle righe: gli organi di senso che ci permettono di vedere, udire, gustare, ecc. sono strutture immensamente più semplici del cervello, capace di elaborare queste sensazioni. Di conseguenza, la libertà d’azione di cui godono le terminazioni nervose sensoriali è terribilmente più ridotta di quella del cervello. A causa della relativa semplicità del sistema nervoso periferico, il colore giallo, ad esempio, è visto allo stesso modo da tutti gli appartenenti al genere umano perché posseggono organi di senso uguali. Altrettanto non si può dire per le immagini di fantasia che vengono elaborate dai nostri cervelli».

Una riflessione quanto mai stimolante per un biologo.
«Apre la strada a una serie di considerazioni e analogie appassionanti. Per cominciare, la struttura che stiamo considerando è chiaramente bipolare: un polo, quello "periferico" è costituito dalle terminazioni nervose incapaci di elaborazioni proprie e strettamente dipendenti dagli stimoli sensoriali; l’altro, "centrale", è il cervello che è sede di inventiva e creatività. Tra i due poli possiamo immaginare che si localizzino le situazioni intermedie. Nelle vicinanze del polo "periferico" trova posto la scienza empirica; essa infatti parte dai dati dei sensi e vi fa ritorno per verificare la correttezza delle spiegazioni che propone. Ciò rende ragione dell’universale condivisione del linguaggio della scienza e dell’unità dell’impresa scientifica. Il colore giallo, per intenderci, è giallo per tutti, indipendentemente da razze e patrie. Spostato verso l’altro polo sta, invece, il sapere degli umanisti. Per loro, il rispetto del dato dei sensi non è vincolante in senso stretto. Spesso funge solo da punto di partenza per scorribande nel modo della fantasia, della sensibilità artistica o dell’interiorità. Ciò è inevitabilmente legato a tradizioni culturali, scuole di pensiero, tendenze artistiche, tempi e luoghi particolari».

Due mondi irriducibilmente diversi?
«Credo sia più che evidente che la cultura scientifica e quella umanistica sono differenti. In passato su tale diversità si è insistito molto, soprattutto da parte degli uomini di scienza, quasi a mostrare una dicotomia culturale tanto profonda da essere insanabile. Oggi gli uomini di scienza più avveduti non credono che la spaccatura sia definitiva. È diffusa in essi la convinzione che ambedue le culture cooperino per comprendere la realtà, per darle un senso, per giungere alla verità pur utilizzando metodologie e strumenti diversi. La migliore conoscenza dei meccanismi psicologici della scoperta scientifica, poi, fa apprezzare sempre di più le doti di immaginazione e di creatività del ricercatore, rifiutando l’idea che siano esclusivo appannaggio dell’artista».

Quanti scienziati accettano il dialogo con le scienze umane?
«Oggi questo atteggiamento è proprio di una minoranza, sensibile alle esigenze della cultura umanistica e capace di fermarsi a riflettere criticamente sulla propria attività di ricerca. Ma c’è un’altra minoranza, che restringe il proprio orizzonte di interesse quasi esclusivamente entro i confini delle questioni scientifiche, considerate l’unica via efficace alla conoscenza. La situazione attuale sembra giustificare questo atteggiamento: l’avanzare della scienza ha portato indubbi benefici alla vita di tutti. È facile allora cedere alla tentazione di considerare il sapere umanistico come il residuo di un passato superato, frutto di un’elaborazione concettuale lontana dalla realtà della vita, di scarsa utilità e quindi da non prendere in seria considerazione. È, questa, la posizione estrema dello scientismo, spesso contrassegnata tanto da atteggiamenti snobistici di chiusura quanto da comportamenti di supponente arroganza. Coloro che difendono tale posizione estrema sono anch’essi una minoranza, anche se rumorosa».

Se queste sono le due "ali", dov’è la maggioranza?
«Tra le due posizioni estreme si trova la maggioranza degli uomini di scienza, i quali lavorano senza porsi simili problemi oppure ondeggiano tra i due poli a seconda delle circostanze. Anche l’opinione pubblica è ondivaga. A volte si dimostra più sensibile ai richiami dello scientismo, a volte è preoccupata e intimorita per le conseguenze nefaste che il progresso scientifico potrebbe avere. In ambedue i casi, comunque, l’opinione pubblica guarda al sapere umanistico con occhi distratti, quasi convinta che la partita del futuro sia definitivamente da giocare sul campo della scienza».

Le scienze umane dovranno dunque lottare per non subire un progressivo declino?
«Lo sviluppo equilibrato dell’uomo non può fare a meno né dell’una né dell’altra polarità. Coniugarle, anzi, deve costituire lo scopo di ogni tipo di impegno culturale, primo fra tutti l’educazione delle giovani generazioni. Per la loro formazione è necessario il sapiente bilanciamento delle due culture».
Luigi Dell’Aglio


DALLA SCUOLA UNA LEZIONE SULL’EMERGENZA EDUCATIVA - Quando il perdono è più forte del bullismo - GIORGIO PAOLUCCI – Avvenire, 13 maggio 2010
I l bullismo è diventato una delle piaghe del mondo giovanile, e la scuola è il palcoscenico preferito per mettere in scena le imprese di violenti e prevaricatori. Il tutto si consuma nell’impotenza o nella complicità di chi assiste allo 'spettacolo' e nella crescente difficoltà a trovare rimedi efficaci per contrastare il fenomeno. Serve certamente più rigore, ma può bastare il rigore per andare alla radice del problema, e soprattutto per innescare percorsi di positività e di reale cambiamento?

Accadono fatti da cui si può imparare molto, imprevisti e insieme emblematici. Eccone uno. Allo squillare della campanella che segnala l’inizio delle lezioni, un gruppo di ragazzi di terza media interrompe un’improvvisata partitella di calcio, ma uno di loro non vuole smettere e tira una violenta pallonata contro i compagni 'rei' di voler entrare in classe. Ne colpisce uno in piena faccia mandando in frantumi gli occhiali. Una dinamica simile si era già innescata nei giorni precedenti, con altre pallonate provocatoriamente tirate dal bullo di turno all’insegna della legge del più forte: non giochi con me, peggio per te.

Che fare? Il colpevole nega tutto, la scuola vuole-deve dare un segnale forte, certi episodi di intolleranza non sono ammissibili. Il preside e gli insegnanti si consultano: la sospensione è il provvedimento più efficace? Si decide di percorrere un’altra strada: si convoca la madre del 'bullo', alla quale viene comunicato l’accaduto proponendole – come punizione e a parziale risarcimento del danno – di ritirare il figlio dalla gita di due giorni in montagna programmata per il fine settimana, dando la quota di iscrizione alla vittima perché possa comprarsi gli occhiali. La madre concorda sulla soluzione proposta, la classe assiste ammutolita al tentativo di 'conciliazione' tra le parti.

Accade però un fatto inaspettato: il giorno dopo, i genitori del ragazzo con gli occhiali rotti restituiscono il denaro e chiedono che il compagno del figlio venga riammesso alla gita: «Abbiamo deciso insieme di perdonare».

Insegnanti e preside restano spiazzati. Lo studente ha sbagliato, loro hanno proposto una punizione esemplare, ma adesso lui può inaspettatamente beneficiare di qualcosa che trapassa la logica consueta: può scoprire che la misura con cui tratta gli altri non è la misura con cui viene trattato.

Il ragazzo, che fino al giorno prima aveva negato di avere tirato la pallonata, chiede scusa al compagno. Insieme vanno dal preside e la vittima rinnova la richiesta già fatta dai genitori: vuole perdonare. Il tutto avviene tra lo stupore dei ragazzi, dei genitori del colpevole e degli stessi insegnanti. Una logica impopolare e del tutto inattesa si è insinuata tra le pieghe di una comunità, ha incrinato le fragili certezze delle regole, ha fatto breccia nelle menti e nei cuori. Ha dimostrato con l’evidenza di un fatto che la logica della violenza può essere battuta dalla forza del perdono. In quella scuola è andata in scena una piccola-grande lezione di umanità che resterà indelebilmente impressa nella mente dei ragazzi.

Più di una formula matematica o di una poesia mandata a memoria. Li renderà più uomini, e forse più umana la società che dovranno costruire.


il dibattito - di Emanuela Vinai - EllaOne, Fazio prende tempo – Avvenire, 13 maggio 2010
Il ministro della Salute chiede lumi al Consiglio superiore di Sanità. Santolini (Udc) lo incalza alla Camera: non c’è chiarezza sulla definizione di «contraccettivo d’emergenza»
Sarà il Con siglio supe riore di sa nità a scio gliere gli in terrogativi intorno a EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo. Il ministro della Salute Fer ruccio Fazio prende tempo, a seguito di un’interrogazione parlamentare solleva ta alla Camera dall’onorevole Luisa San tolini, (Udc) che ha chiesto una maggio­re chiarezza sulla definizione della pillo la come «contraccettivo d’emergenza» e sulla sua conformità alla legge 194.

L’Aifa, l’Agenzia di controllo sui farmaci, ha sospeso ogni decisione sulla com mercializzazione di EllaOne in attesa del parere degli esperti su due questioni «pre liminari e vincolanti» come le ha defini te il ministro. La prima concerne il giu dizio sulla sicurezza del prodotto in caso di uso ripetuto e l’individuazione delle modalità di controllo per evitare la ripe tibilità dell’uso nel caso di rischio per la salute. La seconda è l’approfondimento sul meccanismo di azione del prodotto fi nalizzato a una valutazione di compati­bilità con la legislazione vigente in tema di contraccezione e di aborto.
Fazio ha precisato che, una volta ac quisita la valutazione della commis sione tecnico-scientifica dell’Aifa, chie derà un parere al Consiglio superiore di sanità «sulla compatibilità del farmaco con la normativa vigente, per chiarire la differenza tra pillola del giorno dopo e pil lola dei cinque giorni e se sia possibile e scludere con certezza che il farmaco El laOne agisca dopo il concepimento». Non è soddisfatta della risposta l’onore vole Santolini che ribadisce la necessità di evitare rimpalli di responsabilità e di gio care sui tecnicismi, evidenziando inoltre la responsabilità in capo al ministro di vigilare sulle procedure, così da evitare quanto accaduto con l’approvazione e la messa in commercio della Ru486.
Approfondisce la riflessione Lucio Ro mano, ginecologo e copresidente na­zionale dell’associazione Scienza & vita: «Siamo stati i primi a parlare dei ri­schi della commercializzazione di EllaO ne in Italia e a mettere in guardia dall’a borto che si fa contraccezione». La vera sfi da si gioca infatti sulla confusione tra pil lola del giorno dopo e Ru486: tra queste si inserisce EllaOne che agisce in modo più simile all’aborto chimico che a un contraccettivo. «EllaOne contiene una molecola, l’ulipristal acetato, antiproge stinico, che si lega ai recettori del proge sterone, esattamente come la Ru486. L’a zione del progesterone è fondamentale per l’iniziale sviluppo della gravidanza. EllaOne si lega a questi recettori e ne ini bisce l’azione, impedendo l’annidamen to dell’embrione». È importante ricordare che i primi studi su EllaOne sono stati realizzati proprio confrontandone l’azione con quella del la Ru486. «Gli specialisti sanno – spiega Romano – che la Ru486 viene usata spe­rimentalmente come contraccettivo di e mergenza. Significa che dopo EllaOne si tenderà a commercializzare la Ru486 an che come contraccettivo di emergenza».


sul campo - di Daniela Pozzoli - Abortive o no? Confusione sulle pillole - I medicinali per la contraccezione d’emergenza vengano riconosciuti come «abortivi» e quindi contrari alla 194 che autorizza l’interruzione di gravidanza, ma solo a certe condizioni. - I farmacisti cattolici: obiezione estesa anche all’esercizio Federfarma: ci sia un non obiettore – Avvenire, 13 maggio 2010

I farmacisti cattolici si trovano d’accordo nel chiedere al legislatore di fare chiarezza su questo punto, ma anche di avere una certa lungimiranza nel definire il nuovo testo di legge.
«Perché è giusto parlare di pillola del giorno dopo – spiega Maria Teresa Riccaboni, farmacista –, ma bisogna prevedere anche la possibilità di non vendere farmaci che nel loro meccanismo d’azione contraccettivo possono interferire con l’embrione fin dal concepimento. Non basta dire no a quelli che eliminano l’embrione in utero ma anche a quelle molecole che interferiscono fin dai primi istanti di vita». Per la dottoressa Riccaboni un ddl deve saper guardare «oltre». «In Europa esistono già i kit eutanasici che in Belgio vengono venduti in farmacia. In Italia è prematuro parlarne, ma la nuova legge è meglio che ne tenga conto».

«Voglio vedere scritto sulla carta che ho la possibilità di non vendere un prodotto che uccide», spiega Marco Rivera che ha fatto dell’obiezione una battaglia personale. «Mio padre ha preferito vendere la farmacia di famiglia – spiega – perchè io ero obiettore e mia sorella no. Sono ripartito da solo con un’attività dove non vendo nemmeno presidi come la spirale». Per Rivera «non avere sugli scaffali determinati farmaci è già un modo di fare obiezione» anche se «siamo a rischio perchè la legge ci impone di esserne forniti».

Maggiore tutela dunque per chi non intende dispensarli viene chiesta anche dalla presidente di Federfarma, Anna Rosa Racca: «La legge dice che in farmacia il farmacista deve dare il farmaco quando la prescrizione è corretta, quello che noi dobbiamo fare è controllare se è veramente corretta. Ma non mi metterei mai a oppormi a una richiesta di un medico».

«Forse – aggiunge Racca – se un farmacista decide in sua coscienza di non dare quel farmaco in quella farmacia ci deve essere un altro farmacista che lo dispensa».

Parla di diritto all’obiezione «esteso anche alla farmacia» Fausto Roncaglia che ha la sua attività a Parma: «Rivendico il diritto di obiezione per i prodotti che uccidono il concepito, infatti non ne ho mai tenuti nel mio negozio, ma credo che questo diritto vada esteso a tutta la farmacia. Dire 'no' significa rispettare il codice deontologico che parla del rispetto per la vita, ma anche tener fede al giuramento che mi impone di non collaborare a far fuori un essere umano.

Per questo quando è presente un solo farmacista, come spesso accade nei piccoli centri, ritengo sarebbe una discriminazione costringerlo a vendere pillole del giorno dopo, spirali e quant’altro... A meno che non sia la farmacia a poter fare obiezione».


«Preservativi in classe? Si stravolge la scuola» - di Antonella Mariani – Avvenire, 13 maggio 2010
«Quando andremo ad acquistare i libri in farmacia, allora sarà giusto che nelle scuole si distribuiscano i preservativi». Un paragone azzardato, quello di Gianni Nicolì, pedagogista e insegnante, responsabile nazionale dell’Ufficio scuola dell’Associazione genitori (Age). E anche un po’ provocatorio: perché secondo lui la scuola è «luogo di apprendimento, crescita educativa e maturazione di vita sociale» e installare macchinette per la vendita di preservativi, come nei due licei di Roma e di Palermo di cui abbiamo parlato negli scorsi numeri di Èvita, «è uno stravolgimento della funzione istituzionale della scuola. La scuola forma le coscienze e le intelligenze, non dà strumenti di pianificazione familiare. Oltretutto i preservativi sono reperibili ovunque e non si avvertiva il bisogno che lo fossero anche a scuola».

Professor Nicolì, allora a cosa ser vono le macchinette nelle scuole?

Servono a tacitare l’incapacità degli adulti di dialogare con i giovani su questi temi e a scaricare il problema su un mezzo tecnico.

Con quali effetti collaterali?

È evidente che se ne incentiverà l’uso. Invece di insegnare un principio di valore e cioè che la sessualità è qualcosa di grande e di bello, che abbiamo nella testa e non solo sotto la cintura, che coinvolge tutta la persona e non si riduce a una pratica, be’, si inducono i ragazzi ad esercitarla purché in modo protetto. Mancano i significati profondi.

C’è da aggiungere che di 'istruzio ni per l’uso' se ne trovano in gran quantità su internet. Lei gira per le scuole, parla a ragazzi e genitori di educazione all’affettività. Secondo lei cosa hanno bisogno di sentirsi dire i giovanissimi?

I ragazzi vogliono essere ascoltati, vogliono che si dica loro la verità per il loro bene, con disinteresse e con spirito di cura. Hanno bisogno di imparare ad amare e ad essere amati. Noi cerchiamo di spiegare loro che la sessualità è una dimensione espressiva di questo desiderio di amare tipica delle persone adulte. Aggiungiamo che la sessualità raggiunge la sua massima espressione quando diventa dono, che presuppone una formazione psicologica prima ancora che fisica, visto che interessa il cervello e gli strati più profondi della coscienza.

E i giovani capiscono?

Sì, i giovani accettano la verità anche quando essa è scomoda. Anzi, vogliono la verità. E la verità è che hanno diritto a una piena realizzazione affettiva, ma per fare della loro vita un’opera d’arte devono investire in modo corretto su loro stessi, senza sperperarsi. Noi diciamo ai ragazzi che la sessualità non è solo la soddisfazione di un bisogno ma un progetto di vita. E che l’investimento giusto su di sé è di non sprecarsi subito, ma di spendersi solo quando è il momento giusto.

E loro ascoltano?

Sì. Sono gli adulti a non crederci, e sa perché? Perché hanno dei giovani una visione distorta, filtrata attraverso la loro immaturità di adulti. Ecco perché scelgono la via corta e installano la macchinetta che distribuisce i preservativi. No, la sessualità non ammette un approccio così superficiale. La sessualità è interiorità, dobbiamo farlo riscoprire ai giovani. Ma partendo dalla consapevolezza che siamo stati noi adulti ad averla esteriorizzata. In 37 anni di vita in mezzo ai giovani ho capito che non sono loro quelli che vivono peggio la sessualità: gli scambi di coppia, la pornografia non la fanno i ragazzi, ma gli adulti.

Qual è l’opinione dell’Associazio ne genitori sull’educazione sessua le insegnata a scuola?

Siamo a favore, purché l’insegnamento rispetti requisiti di scientificità, obiettività e si riferisca a regole e valori morali. Che crediamo non appartengano solo ai credenti: i valori sono perenni, universali e transconfessionali. Ma pensiamo anche che i genitori sono i primi e i principali responsabili dell’educazione dei loro figli.

I genitori come possono avere voce in capitolo nelle scuole?

Attraverso i sistemi di rappresentatività e facendo democratico pressing perché la scuola sia veramente educativa.



box La Svezia sulla strada dell’eutanasia di Stato Un «caso» crea il precedente per lo strappo - Lorenzo Schoepflin – Avvenire, 13 maggio 2010
Un caso riguardante il fine vita scuote l’opinione pubblica svedese. Una donna di 32 anni, da 26 attaccata a un respiratore artificiale a causa di una paralisi che le impediva di respirare autonomamente, ha chiesto e ottenuto che fosse staccata la spina. La richiesta della giovane risale a marzo ed è stata formulata in una lettera al Consiglio di sanità e del welfare svedese. Al quotidiano Aftonbladet la donna aveva dichiarato che, nonostante la vicinanza di famiglia e assistenti, ne aveva abbastanza e voleva morire. In una lettera successiva si augurava che il suo caso potesse costituire un precedente grazie al quale «alle persone nella mia situazione sia permesso di scegliere quando morire». Ancora su Aftonbaldet Ingemar Engström, responsabile della divisione di Etica medica della Società svedese di medicina, aveva sostenuto che è immorale non rispettare il desiderio di un paziente di vedere sospesi trattamenti medici di sostegno vitale. Engström richiamava le linee guida emanate nel 2007 proprio dalla Società svedese di medicina, ente che aveva chiesto un parere al Consiglio di sanità, facendo seguito alla lettera della donna. In Svezia, infatti, non è consentito il suicidio assistito, mentre si deve sospendere un generico trattamento medico se manca il consenso del paziente. Il Consiglio di sanità si è espresso a favore, ponendo come condizione che il paziente «comprenda le informazioni fornite dal medico» circa le conseguenze del rifiuto del trattamento. Il 6 maggio l’epilogo: la donna è stata sedata e la madre ha proceduto al distacco del respiratore. Un caso destinato ad aprire la strada all’eutanasia?
Lorenzo Schoepflin