Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: FATIMA, LUOGO PRIVILEGIATO DELLA MISERICORDIA DI DIO - Intervento in occasione dell'Udienza generale del mercoledì
2) Il papa, i cardinali, i gesuiti. Tre risposte allo scandalo - La via maestra tracciata da Benedetto XVI. Gli affondo di Schönborn e O'Malley contro Sodano. Il ruolo di Bertone e di padre Lombardi. La battaglia della "Civiltà Cattolica" contro la "cultura della pedofilia" - di Sandro Magister
3) 20 maggio. Paul Ricoeur: «Muore il personalismo, torna la persona!» - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - mercoledì 19 maggio 2010
4) “Credo Ecclesiam”. Seminario di ecclesiologia proposto dalla rivista “Communio”» - VENEZIA – In data 19 maggio si è tenuto a Venezia presso la Caserma Cornoldi un seminario di ecclesologia proposto dalla rivista “Communio” (Rivista Internazionale di Teologia e Cultura) sul tema “Credo Ecclesiam”. - Viene pubblicato qui di seguito l’intervento del Patriarca – dal sito http://angeloscola.it
5) 19/05/2010 - INDIA - L’esempio di p. Thomas sacerdote e martire, vittima del maoismo - di Nirmala Carvalho - Missionario gesuita nello stato di Jharkhand, p. Anchanikal T. Thomas si è battuto fino alla morte per i poveri, in questi giorni stretti nella morsa di guerrigleri e proprietari terrieri. Il suo martirio è avvenuto nel 1997 mentre investigava sui soprusi compiuti dai maoisti a danno della popolazione. P. M.K. Jose, suo confratello, afferma:”è stato una vittima della violenza maoista, ma la sua morte ha arricchito la missione dei Gesuiti”.
6) Il prete credibile recuperi autorità e chiarezza dottrinale. I fedeli hanno bisogno di certezza e di esempi rassicuranti. Oggi manca la distinzione tra bene e male - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
7) IL POTERE DI SATANA – Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
8) Avvenire.it, 19 Maggio 2010 - IL FESTIVAL DEL CINEMA - Cannes applaude la lezione di fede dei monaci martiri - Alessandra De Luca
9) POESIA/ Edoardo Sanguineti, breve storia di un rivoluzionario che ha "scoperto" la famiglia - Uberto Motta - giovedì 20 maggio 2010 – ilsussidiario.net
BENEDETTO XVI: FATIMA, LUOGO PRIVILEGIATO DELLA MISERICORDIA DI DIO - Intervento in occasione dell'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 19 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Papa Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza Generale concessa in Piazza San Pietro ai circa 13.000 pellegrini presenti, provenienti da tutto il mondo.
* * *
Cari Fratelli e Sorelle,
oggi desidero ripercorrere insieme a voi le varie tappe del Viaggio apostolico che ho compiuto nei giorni scorsi in Portogallo, mosso specialmente da un sentimento di riconoscenza verso la Vergine Maria, che a Fatima ha trasmesso ai suoi veggenti e ai pellegrini un intenso amore per il Successore di Pietro. Ringrazio Dio che mi ha dato la possibilità di rendere omaggio a quel Popolo, alla sua lunga e gloriosa storia di fede e di testimonianza cristiana. Pertanto, come vi avevo chiesto di accompagnare questa mia visita pastorale con la preghiera, ora vi domando di unirvi a me nel rendere grazie al Signore per il suo felice svolgimento e la sua conclusione. Affido a Lui i frutti che ha portato e porterà alla comunità ecclesiale portoghese e all’intera popolazione. Rinnovo l'espressione della mia viva riconoscenza al Presidente della Repubblica, Signor Anibal Cavaco Silva e alle altre Autorità dello Stato, che mi hanno accolto con tanta cortesia e hanno predisposto ogni cosa perché tutto potesse svolgersi nel migliore dei modi. Con intenso affetto, ripenso ai Confratelli Vescovi delle diocesi portoghesi, che ho avuto la gioia di abbracciare nella loro Terra e li ringrazio fraternamente per quanto hanno fatto per la preparazione spirituale e organizzativa della mia visita, e per il notevole impegno profuso nella sua realizzazione. Un particolare pensiero dirigo al Patriarca di Lisbona, Cardinale José da Cruz Policarpo, ai Vescovi di Leiria-Fatima Mons. Antonio Augusto dos Santos Marto e di Porto Mons. Manuel Macario do Nascimento Clemente e ai rispettivi collaboratori, come pure ai vari organismi della Conferenza Episcopale guidata dal Vescovo Mons. Jorge Ortiga.
Lungo tutto il viaggio, avvenuto in occasione del decimo anniversario della beatificazione dei pastorelli Giacinta e Francesco, mi sono sentito spiritualmente sostenuto dal mio amato predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, che si è recato per tre volte a Fatima, ringraziando quella «mano invisibile» che lo ha liberato dalla morte nell’attentato del tredici maggio, qui in questa Piazza San Pietro. La sera del mio arrivo ho celebrato la Santa Messa a Lisbona nell’incantevole scenario del Terreiro do Paço, che si affaccia sul fiume Tago. E’ stata un’assemblea liturgica di festa e di speranza, animata dalla partecipazione gioiosa di numerosissimi fedeli. Nella Capitale, da dove sono partiti nel corso dei secoli tanti missionari per portare il Vangelo in molti Continenti, ho incoraggiato le varie componenti della Chiesa locale ad una vigorosa azione evangelizzatrice nei diversi ambiti della società, per essere seminatori di speranza in un mondo spesso segnato dalla sfiducia. In particolare, ho esortato i credenti a farsi annunciatori della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro e sostegno della nostra fede e motivo della nostra gioia. Ho potuto manifestare questi sentimenti anche nel corso dell'incontro con i rappresentanti del mondo della cultura, tenutosi nel Centro Culturale di Belém. In tale circostanza ho posto in evidenza il patrimonio di valori con cui il cristianesimo ha arricchito la cultura, l’arte e la tradizione del Popolo portoghese. In questa nobile Terra, come in ogni altro Paese segnato profondamente dal cristianesimo, è possibile costruire un futuro di fraterna intesa e di collaborazione con le altre istanze culturali, aprendosi reciprocamente ad un dialogo sincero e rispettoso.
Mi sono recato poi a Fatima, cittadina caratterizzata da un’atmosfera di reale misticismo, nella quale si avverte in maniera quasi palpabile la presenza della Madonna. Mi sono fatto pellegrino con i pellegrini in quel mirabile Santuario, cuore spirituale del Portogallo e meta di una moltitudine di persone provenienti dai luoghi più diversi della terra. Dopo aver sostato in orante e commosso raccoglimento nella Cappellina delle Apparizioni nella Cova da Iria, presentando al Cuore della Vergine Santa le gioie e le attese nonché i problemi e le sofferenze del mondo intero, nella chiesa della Santissima Trinità ho avuto la gioia di presiedere la celebrazione dei Vespri della Beata Vergine Maria. All’interno di questo grande e moderno tempio, ho manifestato il mio vivo apprezzamento ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai diaconi e ai seminaristi venuti da ogni parte del Portogallo, ringraziandoli per la loro testimonianza spesso silenziosa e non sempre facile e per la loro fedeltà al Vangelo e alla Chiesa. In quest’Anno Sacerdotale, che volge al termine, ho incoraggiato i sacerdoti a dare priorità al religioso ascolto della Parola di Dio, all’intima conoscenza di Cristo, all’intensa celebrazione dell’Eucaristia, guardando al luminoso esempio del Santo Curato d’Ars. Non ho mancato di affidare e consacrare al Cuore Immacolato di Maria, vero modello di discepola del Signore, i sacerdoti di tutto il mondo.
Alla sera, con migliaia di persone che si sono date appuntamento nella grande spianata davanti al Santuario, ho partecipato alla suggestiva fiaccolata. E’ stata una stupenda manifestazione di fede in Dio e di devozione alla sua e nostra Madre, espresse con la recita del Santo Rosario. Questa preghiera tanto cara al popolo cristiano ha trovato in Fatima un centro propulsore per tutta la Chiesa ed il mondo. La "Bianca Signora", nell’apparizione del 13 giugno, disse ai tre Pastorelli: «Voglio che recitiate il Rosario tutti i giorni». Potremmo dire che Fatima e il Rosario siano quasi un sinonimo.
La mia visita in quel luogo così speciale ha avuto il suo culmine nella Celebrazione eucaristica del 13 maggio, anniversario della prima apparizione della Madonna a Francesco, Giacinta e Lucia. Riecheggiando le parole del profeta Isaia, ho invitato quell’immensa assemblea raccolta, con grande amore e devozione, ai piedi della Vergine a gioire pienamente nel Signore (cfr Is 61, 10), poiché il suo amore misericordioso, che accompagna il nostro pellegrinaggio su questa terra, è la sorgente della nostra grande speranza. E proprio di speranza è carico il messaggio impegnativo e al tempo stesso consolante che la Madonna ha lasciato a Fatima. E’ un messaggio incentrato sulla preghiera, sulla penitenza e sulla conversione, che si proietta oltre le minacce, i pericoli e gli orrori della storia, per invitare l’uomo ad avere fiducia nell’azione di Dio, a coltivare la grande Speranza, a fare esperienza della grazia del Signore per innamorarsi di Lui, fonte dell’amore e della pace.
In questa prospettiva, è stato significativo il coinvolgente appuntamento con le organizzazioni della pastorale sociale, alle quali ho indicato lo stile del buon samaritano per andare incontro alle necessità dei fratelli più bisognosi e per servire Cristo, promuovendo il bene comune. Molti giovani apprendono l’importanza della gratuità proprio a Fatima, che è una scuola di fede e di speranza, perché è anche scuola di carità e di servizio ai fratelli. In tale contesto di fede e di preghiera, si è tenuto l’importante e fraterno incontro con l’Episcopato portoghese, a conclusione della mia visita a Fatima: è stato un momento di intensa comunione spirituale, in cui abbiamo insieme ringraziato il Signore per la fedeltà della Chiesa che è in Portogallo e affidato alla Vergine le comuni attese e preoccupazioni pastorali. Di tali speranze e prospettive pastorali ho fatto cenno pure nel corso della Santa Messa celebrata nella storica e simbolica città di Porto, la "Città della Vergine", ultima tappa del mio pellegrinaggio in terra lusitana. Alla grande folla di fedeli radunata nell’Avenida dos Aliados ho ricordato l’impegno di testimoniare il Vangelo in ogni ambiente, offrendo al mondo Cristo risorto affinché ogni situazione di difficoltà, di sofferenza, di paura sia trasformata, mediante lo Spirito Santo, in occasione di crescita e di vita.
Cari fratelli e sorelle, il pellegrinaggio in Portogallo è stato per me un'esperienza toccante e ricca di tanti doni spirituali. Mentre mi restano fisse nella mente e nel cuore le immagini di questo indimenticabile viaggio, l’accoglienza calorosa e spontanea, l’entusiasmo della gente, rendo lode al Signore perché Maria, apparendo ai tre Pastorelli, ha aperto nel mondo uno spazio privilegiato per incontrare la misericordia divina che guarisce e salva. A Fatima, la Vergine Santa invita tutti a considerare la terra come luogo del nostro pellegrinaggio verso la patria definitiva, che è il Cielo. In realtà tutti siamo pellegrini, abbiamo bisogno della Madre che ci guida. "Con te camminiamo nella speranza. Sapienza e Missione" è il motto del mio Viaggio apostolico in Portogallo, e a Fatima la beata Vergine Maria ci invita a camminare con grande speranza, lasciandoci guidare dalla "sapienza dall’alto", che si è manifestata in Gesù, la sapienza dell’amore, per portare nel mondo la luce e la gioia di Cristo. Vi invito, quindi, ad unirvi alla mia preghiera, chiedendo al Signore di benedire gli sforzi di quanti, in quella amata Nazione, si dedicano al servizio del Vangelo e alla ricerca del vero bene dell'uomo, di ogni uomo. Preghiamo inoltre perché, per intercessione di Maria Santissima, lo Spirito Santo renda fecondo questo Viaggio apostolico, e animi nel mondo intero la missione della Chiesa, istituita da Cristo per annunciare a tutti i popoli il Vangelo della verità, della pace e dell’amore.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i sacerdoti del Collegio Internazionale San Paolo di Roma, che hanno terminato gli studi nelle diverse Università Pontificie e stanno per ritornare nei rispettivi Paesi, e li esorto a vivere sempre con fedeltà il ministero pastorale, facendo tesoro della formazione spirituale e teologica ricevuta in questi anni a Roma. Saluto il gruppo di fedeli provenienti da Galatone, che partecipano all’Università delle Terza Età: a loro e ai familiari estendo la mia Benedizione. Saluto i fedeli provenienti da Roccamonfina e da Casalbordino: volentieri benedirò le corone auree che saranno poste sulle effigi della Madonna che si trovano nei rispettivi Santuari. Saluto i rappresentanti dell’associazione Memorial Bardelli, accompagnati dal Vescovo di Pistoia Mons. Mansueto Bianchi, gli esponenti dell’associazione Famiglia Legnanese, e i militari della Scuola Nunziatella di Napoli.
Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.
Siamo nella Novena della Pentecoste ed invito voi, cari giovani, ad essere docili all'azione dello Spirito Santo, donato ai credenti nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. Esorto voi, cari malati, ad accogliere lo Spirito Consolatore, affinché vi assista nelle difficoltà e vi aiuti a trasformare la sofferenza in offerta gradita a Dio per il bene dei fratelli. Auguro a voi, cari sposi novelli, che la vita della vostra famiglia sia sempre alimentata dal fuoco dello Spirito, che è l'Amore stesso di Dio.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
Il papa, i cardinali, i gesuiti. Tre risposte allo scandalo - La via maestra tracciata da Benedetto XVI. Gli affondo di Schönborn e O'Malley contro Sodano. Il ruolo di Bertone e di padre Lombardi. La battaglia della "Civiltà Cattolica" contro la "cultura della pedofilia" - di Sandro Magister
ROMA, 20 maggio 2010 – Allo scandalo degli abusi sessuali commessi da sacerdoti, la gerarchia cattolica sta reagendo in tre modi.
Il primo per iniziativa del papa. Il secondo ad opera di alcuni cardinali. Il terzo grazie ai dotti gesuiti della "Civiltà Cattolica", con l'imprimatur della segreteria di Stato vaticana.
1. LA STRADA MAESTRA
La strada maestra è quella tracciata dal papa. La Chiesa – ha detto Benedetto XVI in più occasioni, a partire dalla sua lettera del 19 marzo ai cattolici dell'Irlanda – deve capire che la sua più grande tribolazione non nasce da fuori, ma dai peccati commessi dentro di lei. E quindi la penitenza è il suo primo dovere, per aprirsi alla conversione e infine alla grazia rigenerante di Dio.
Le sollecitazioni più forti a percorrere questa strada il papa le ha date in coincidenza con il suo pellegrinaggio a Fatima. Il messaggio delle apparizioni di Maria ai pastorelli si riassume infatti proprio in questa parola: "Penitenza!". E il papa teologo non ha avuto timore, anzi, di congiungersi lì alla pietà popolare.
Ma anche dopo il suo ritorno a Roma dal Portogallo papa Joseph Ratzinger ha insistito nel battere questa strada. L'ha fatto con un messaggio e con un saluto.
Il messaggio era quello indirizzato al Kirchentag, la kermesse ecumenica di cattolici e protestanti tedeschi tenuta a Monaco di Baviera dal 12 al 16 maggio. Il testo papale porta la data del 10 maggio ed è stato letto in apertura dell'evento. Ma vista la scarsa attenzione che esso ha ricevuto in Germania, la sala stampa vaticana ha provveduto a distribuirlo ai media di tutto il mondo sabato 15 maggio, con tanto di traduzione italiana dall'originale tedesco.
Il messaggio è visibilmente scritto di suo pugno dal papa. È un invito a "esser lieti in mezzo a tutte le tribolazioni", perché se nella Chiesa c'è tanta zizzania, questa non riuscirà comunque a soffocare il buon grano. E se bastavano dieci giusti per risparmiare Sodoma dal fuoco, "grazie a Dio nelle nostre città ci sono molto più di dieci giusti".
Quanto al saluto, è quello che Benedetto XVI ha rivolto domenica 16 maggio a mezzogiorno, dopo la recita del "Regina Cæli", ai 200 mila fedeli che gremivano piazza San Pietro e le vie adiacenti, accorsi da tutta Italia a manifestare la loro adesione al papa (vedi foto).
"Noi cristiani non abbiamo paura del mondo, anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni", ha detto loro Benedetto XVI, perché "il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa".
I due testi sono riprodotti integralmente più sotto e il primo, in particolare, è di assoluto rilievo.
È sicuro che Benedetto XVI tornerà sull'argomento il 10 e 11 giugno prossimi, nella veglia di preghiera e nella messa con cui chiuderà l'Anno Sacerdotale da lui voluto proprio per ridare forza spirituale al clero.
2. LO SCONTRO NEL SACRO COLLEGIO
Mentre papa Benedetto traccia la linea maestra, tra i suoi cardinali c'è però anche chi ne trae le conseguenze a livello di governo della Chiesa.
I porporati usciti allo scoperto sono l'austriaco Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e l'americano Sean O'Malley, arcivescovo di Boston. Il primo con dichiarazioni diffuse il 4 maggio dall'agenzia Kathpress, il secondo con un'intervista del 14 maggio a John L. Allen per il "National Catholic Reporter".
Sia l'uno che l'altro hanno colpito duro il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato di Giovanni Paolo II e poi dello stesso Benedetto XVI nel primo anno di pontificato. L'hanno accusato di aver a lungo ostacolato l'opera di pulizia intrapresa dell'allora cardinale Ratzinger nei confronti di personalità del peso di Hans Hermann Gröer, arcivescovo di Vienna, e di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, entrambi accusati di abusi sessuali e infine, troppo tardi, riconosciuti colpevoli.
In più, Schönborn e O'Malley hanno rimproverato a Sodano di aver declassato a "chiacchiericcio" le accuse scagliate dai media contro la Chiesa a motivo della pedofilia, con ciò facendo un "danno immenso" alle vittime degli abusi. Sodano si era espresso effettivamente così, nell'atto di omaggio da lui letto a Benedetto XVI il giorno di Pasqua a nome dell'intero collegio cardinalizio: atto di omaggio non richiesto nè tanto meno "mendicato" dal papa, come ha tenuto a precisare padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede.
Queste accuse all'insipiente Sodano, contrapposto al lungimirante Ratzinger, gettano un'ombra anche sul pontificato di Giovanni Paolo II, durante il quale gli abusi sessuali tra il clero toccarono il picco, senza un'efficace opera di contrasto.
Ma Schönborn e O'Malley non arrivano a questo. Papa Karol Wojtyla, dicono, era troppo vecchio e malato per prendere in pugno la questione. E attorno "gli facevano da scudo protettivo" i suoi collaboratori, i quali si illudevano che la faccenda riguardasse l'America e non il resto del mondo. A giudizio di O'Malley, Sodano e altri capi di curia agivano così "più per ignoranza che per malizia".
Sta di fatto che Sodano è oggi il decano del collegio cardinalizio, come lo fu Ratzinger quando morì Wojtyla. Nell'eventualità di un conclave, sarebbe quindi lui a presiedere l'interregno, con i media di tutto il mondo che implacabili lo metterebbero alla gogna, con disastro d'immagine per tutta la Chiesa. È anche per scongiurare questo esito che due cardinali di primo piano come Schönborn e O'Malley hanno sferrato l'affondo. Vogliono che Sodano esca definitivamente di scena, il più presto possibile.
Ma non è tutto. L'offensiva dei due cardinali trova in curia il sostegno, di fatto, del successore di Sodano alla segreteria di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone.
Bertone era segretario della congregazione per la dottrina della fede, al fianco di Ratzinger, quando questi era "ostacolato" da Sodano e sodali. E oggi mostra di voler arrivare anche lui a una resa dei conti, contro la vecchia guardia curiale.
Lo si vede dalla severità con cui Bertone sta conducendo l'operazione di "pulizia" dei Legionari di Cristo, la congregazione fondata dall'indegno Maciel, difeso ed esaltato fino all'ultimo non solo da Sodano, ma anche dall'allora segretario personale di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, e da altri capi di curia.
Lo si è visto, inoltre, da come il 15 aprile Bertone ha sconfessato – con un tagliente comunicato del portavoce vaticano Lombardi – una lettera scritta nel 2001 dall'allora prefetto della congregazione per il clero, cardinale Darío Castrillón Hoyos, a sostegno di un vescovo francese condannato per aver rifiutato di denunciare un suo prete colpevole di pedofilia.
Castrillón Hoyos si è difeso dicendo di aver fatto leggere quella sua lettera a Giovanni Paolo II e di averne avuto l'approvazione. Ma sta di fatto che oggi quel suo comportamento non è più ammesso. Sul penultimo numero della "Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti stampata con il controllo previo della segreteria di Stato vaticana, sono portate ad esempio di buona condotta le diocesi di Monaco, Colonia e Bolzano, "dove i vescovi hanno assunto un atteggiamento che si potrebbe definire 'proattivo', cioè preventivamente collaborativo nei confronti delle autorità civili".
E con questo articolo della "Civiltà Cattolica" siamo alla terza modalità di reazione allo scandalo della pedofilia.
3. LA BATTAGLIA CULTURALE
Gli articoli propriamente sono due, in apertura dei numeri del 1 maggio e del 15 maggio 2010 della rivista. Gli autori, i padri gesuiti Giovanni Cucci e Hans Zollner, insegnano psicologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e affrontano la questione della pedofilia sotto il profilo psicologico-sociale.
Nel primo dei due articoli, intitolato "Osservazioni psicologiche sul problema della pedofilia", gli autori descrivono, sulla base della letteratura scientifica, le caratteristiche della pedofilia, la personalità degli autori di tali atti – che spesso da bambini sono stati vittime di abusi – e la loro incidenza tra il clero cattolico, in drammatico contrasto con l'alto profilo morale ed educativo che dovrebbe contraddistinguere tale vocazione.
Fra le lezioni da trarre dallo scandalo, gli autori insistono sulla preparazione dei candidati al sacerdozio, il cui equilibrio e maturità devono essere seriamente accertati.
Smentiscono che vi sia un nesso di causa ed effetto tra il celibato e la pedofilia.
E quanto alla richiesta di ridurre allo stato laicale i sacerdoti colpevoli di pedofilia osservano:
"Certo, questa può anche essere una procedura doverosa, prevista dal codice di diritto canonico, ma non è detto che sia la cosa migliore per le potenziali vittime, i bambini, e per lo stesso abusatore, che spesso ritorna in società senza alcun controllo e, lasciato a se stesso, torna a commettere abusi. Questo è stato il caso di James Porter, sacerdote della diocesi di Fall River (Massachusetts): una volta dimesso, non fu affatto perseguito dalle autorità civili, si sposò e poco dopo venne incriminato per le molestie commesse verso la baby siiter dei suoi figli".
Nel secondo articolo, intitolato "Contrastare la cultura della pedofilia", Cucci e Zollner denunciano lo "strano silenzio" che si registra sulla questione non solo da chi opera nel mondo dell'educazione (genitori, insegnanti, eccetera) ma soprattutto da chi sarebbe più titolato a parlarne con cognizione di causa: psicologi, psichiatri, psicoterapeuti.
La letteratura scientifica sul tema appare reticente e incerta. I maggiori dizionari ed enciclopedie dedicano alla pedofilia poche righe in migliaia di pagine. E altrettanto succede per l'efebofilia. Nel dibattito pubblico, di conseguenza, si sostituisce alla competenza il "sentito dire". E si alimenta quel "panico morale" che distorce le reali dimensioni del problema.
In un'opinione pubblica così confusa, Cucci e Zollner rimarcano che "si oscilla tra la criminalizzazione e la liberalizzazione". Citano numerosi casi in cui si è difesa la pedofilia in nome della libertà sessuale. Ricordano un documento e un convegno finalizzati a questo, ad opera del partito radicale italiano, nel 1998. Richiamano la costituzione in Olanda, nel 2006, di un partito pro-pedofilia. Fanno notare che l'attuale ministro della giustizia del governo federale tedesco, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, oggi tra i più accesi critici della Chiesa, faceva parte del direttivo della Humanistische Union quando questa organizzazione si batteva per liberalizzare tutti gli atti sessuali "consensuali", inclusi quelli con minorenni.
"Queste osservazioni – concludono i due autori – richiederebbero di rimettere in discussione un contesto culturale più ampio e spesso acriticamente accettato, che approva le trasgressioni e le perversioni come manifestazioni di libertà e di spontaneità". Per essere riconosciuta come una perversione e contrastata, la pedofilia "richiede il riconoscimento di una norma etica e psicologica, prima che giuridica".
Quindi la battaglia deve essere anche culturale. Una battaglia nella quale la Chiesa di papa Benedetto è in prima fila.
20 maggio. Paul Ricoeur: «Muore il personalismo, torna la persona!» - Autore: Restelli, Silvio Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it E-mail: silvio.restelli@poste.it - mercoledì 19 maggio 2010
Oggi, 20 maggio, molti sono gli eventi e gli anniversari importanti (1444 - Bernardino da Siena; 1506 - Cristoforo Colombo; 1912 - Arcangelo Tadini; 1959 - Alfred Schutz; 1961 - Papa Giovanni XXIII pubblica la Lettera Enciclica "Mater et Magistra" sulla cristianità e il progresso sociale; 1970 - Viene emanato in Italia lo Statuto dei lavoratori
clicca qui
Per il testo clicca qui; 1974 - Jean Daniélou; 1985 - Franco Fornari;; 1999 - Omicidio D'Antona: a Roma le BR uccidono - Massimo D'Antona, docente di diritto del lavoro all'Università "La Sapienza" di Roma; 1992 - Giovanni Umberto Colombo; 2001 - Renato Carosone; 2002 - Stephen Jay Gould); scegliamo di approfondire la figura di Paul Ricoeur, morto nel nel 2005, uno dei maestri più grandi della filosofia del secolo scorso.
Vita e opere (fonte filosofico.net)
Con l'altro grande maestro dell'ermeneutica fìlosofica novecentesca, Hans Georg Gadamer, Paul Ricoeur, per la sua costante opera intellettuale e per la sua intensa attività di magistero e di dialogo che si estende ormai su scala planetaria e che è stata unanimemente riconosciuta nelle sedi più autorevoli della comunità culturale, scientifica e fìlosofica internazionale (come testimoniano anche il premio Hegel di Stoccarda nel 1985 e il premio Balzan per la filosofia conferitogli nel 1999), può essere considerato uno dei testimoni e dei protagonisti più sensibili della coscienza filosofica del Novecento.
Testimone prezioso non solo per il valore intrinseco della sua multiforme opera, ma anche per il suo collocarsi in un ideale crocevia delle molteplici e più vitali tendenze della ricerca filosofica odierna, "tendenze che raramente si sono incontrate e che spesso hanno preferito seguire percorsi talora paralleli, ma reciprocamente ignorantisi " (D. Jervolino, "Ricoeur. L'amore diffìcile").
Da questa prospettiva, nella storia della filosofia del Novecento l'originale snodarsi del cammino riflessivo di Ricoeur dalla fenomenologia all'ermeneutica e dalla metafìsica alla morale rappresenta una rilevante e significativa eccezione:
"egli può contemporaneamente essere riconosciuto come un autorevole filosofo 'continentale' ed essere accettato dagli 'analitici' come un interlocutore interno alla loro problematica ".
Nell'epoca di pensiero post-hegeliano, lo stile riflessivo della filosofia deliberatamente frammentario praticato da Ricoeur è uno " stile di mediazione incompleta tra mediazioni rivali " (P. Ricoeur, "Per un'autobiografia intellettuale"); questo stile, al quale Ricoeur si è mantenuto fedele nel corso di tutto il suo fecondo itinerario filosofico, costituisce di fatto un ampio tentativo di mediazione tra le esigenze epistemologiche della fenomenologia, delle scienze umane a base strutturale, e di taluni esiti delle filosofie analitiche da una parte - e l'ermeneutica nei suoi risvolti ontologici ed esistenzialistici dall'altra.
Lo stesso Ricoeur, in una delle sue ultime opere, "La nature et la règle" del 1998 ("La natura e la regola. Alle radici del pensiero"), ha precisato la sua personale posizione filosofica scrivendo:
"Ritengo di appartenere a una delle correnti della filosofia europea che si lascia essa stessa caratterizzare da una certa diversità di etichette: filosofia riflessiva, filosofia fenomenologica, filosofia ermeneutica.
Riguardo al primo termine - riflessiva -, l'accento è posto sul movimento attraverso il quale la mente umana tenta di recuperare la propria capacità di agire, di pensare, di sentire, capacità in qualche modo nascosta, perduta, nei saperi, nelle pratiche, nei sentimenti che l'esteriorizzano rispetto a se stessa. Jean Nabert è il maestro emblematico di questo primo ramo della corrente comune.
Il secondo termine - fenomenologica - designa l'ambizione di andare alle 'cose stesse', cioè alla manifestazione di ciò che si mostra all'esperienza, priva di tutte le costruzioni ereditate dalla storia culturale, filosofica, teologica; quest'intento, diversamente dalla corrente riflessiva, porta a mettere l'accento sulla dimensione intenzionale della vita teorica, pratica, estetica, ecc. e a definire ogni tipo di coscienza come 'coscienza di...'. Husseri rimane l'eroe eponimo di questa corrente di pensiero.
Riguardo al terzo termine - ermeneutica - ereditato dal metodo interpretativo applicato in un primo tempo ai testi religiosi (esegesi), ai testi letterari classici (filologia) e ai testi giuridici (diritto), l'accento è posto sulla pluralità delle interpretazioni legate a ciò che si può chiamare la lettura dell'esperienza umana. Sotto questa terza forma la filosofia mette in questione la pretesa di ogni altra filosofia di essere priva di presupposti. I maestri di questa terza tendenza si chiamano Dilthey, Heidegger, Gadamer ".
Paul Ricoeur è nato a Valence il 27 febbraio 1913. Dopo aver compiuto gli studi di filosofia a Rennes, dove consegue durante l'anno accademico 1933-1934 la "maitrise" con una dissertazione dedicata al "Problème de Dieu chez Lachelier et Lagneau", esponenti della filosofia riflessiva francese, si trasferisce a Parigi per continuare gli studi e nel 1935 consegue l'’agrégation, che gli consente l'insegnamento nei licei in varie sedi di provincia.
Nel 1948 succede a Jean Hyppolite nella cattedra di Storia della filosofìa a Strasburgo, nel 1950 ottiene il "Doctorat d'état" con "Le volontaire et l'involontaire" e la traduzione in francese di "Ideen I" di Husserl, mentre nel 1957 viene chiamato alla Sorbona ad occupare la cattedra di Filosofia generale come successore di R. Bayer.
Amico di Emmanuel Mounier, partecipa attivamente al movimento personalista anche come uno dei fondatori e collaboratori della rivista Esprit. Discepolo di Gabriel Marcel, durante la prigionia in Germania studia Jaspers e Husserl. Protagonista della vita intellettuale parigina degli anni '60, insegna Filosofia a Nanterre dal 1966 al 1970, Università della quale è stato anche rettore. Nel 1974 assume la direzione della "Revue de métaphysique et de morale" e fonda il "Centre de recherches phénoménologiques et herméneutiques".
Dopo aver insegnato per tre anni a Lovanio, termina la sua carriera di docente universitario nel 1980. Successivamente ha insegnato in modo stabile dal 1980 al 1990 alla Divinity School dell'Università di Chicago.
Legato all'Italia da intensi rapporti intellettuali stabiliti con gli studiosi della sua opera filosofica ed ermeneutica, ha partecipato ai colloqui filosofici organizzati a Roma da Enrico Castelli e alle attività culturali dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Muore il 20 maggio 2005.
Il suo contributo è particolarmente significativo su due versanti molto caldi del dibattito: il rapporto fede-ragione e il rilancio della riflessione politica sulla giustizia e sulla persona.
Sul primo punto è molto significativa l’intervista rilasciata a Bertrand Revillon in occasione dell’attribuzione del prestigioso premio Balzan per la filosofia,
(cfr intervista)
e sul secondo la sua riflessione sullo schema ternario dell'etica della persona, in cui cerca di procedere dopo il fallimento del personalismo a fondare il concetto di persona. (cfr. file sul sito CulturaCattolica.it)
“Credo Ecclesiam”. Seminario di ecclesiologia proposto dalla rivista “Communio”» - VENEZIA – In data 19 maggio si è tenuto a Venezia presso la Caserma Cornoldi un seminario di ecclesologia proposto dalla rivista “Communio” (Rivista Internazionale di Teologia e Cultura) sul tema “Credo Ecclesiam”. - Viene pubblicato qui di seguito l’intervento del Patriarca – dal sito http://angeloscola.it/:
«Credo sanctam ecclesiam, sed non in illam credo, quia non Deus sed convocatio vel congregatio christianorum et domus Dei est»1. Con questa formulazione il vescovo medievale Bruno di Würzburg2 esprime, nell’orizzonte del Credo apostolico, in modo sintetico ed efficace la natura della Chiesa. Essa è il soggetto che consente al cristiano la confessione di fede. Professare nel simbolo la propria fede è possibile solo se si è parte del soggetto adeguato a confessare il Credo. Il singolo credente è tale solo se fa propria ogni volta la fede della Chiesa. Per questo la Chiesa viene proposta, in quanto con-vocatio vel con-gregatio christianorum e domus Dei, come l’organismo vitale che confessa la Trinità, Gesù Cristo, lo Spirito, la vita eterna.
È la prospettiva che mi permetto di suggerire in apertura dei lavori di questo Seminario organizzato in occasione dell’incontro delle redazioni della Rivista Internazionale Communio che verte quest’anno sull’ecclesiologia. Nell’ottica del Credo Ecclesiam si comprende bene la presentazione di questo Seminario. A quasi cinquant’anni dall’apertura dell’ultimo Concilio Ecumenico, si riconosce esplicitamente che «l’ecclesiologia del Vaticano II nasce dalla precedente tradizione della Chiesa, certo rinnovata e ringiovanita per opera dello Spirito, ma in ogni caso in continuità con la precedente vita della Chiesa».
L’affermazione si rifà all’ormai celebre discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana, in occasione degli auguri natalizi, il 22 dicembre 2005. Da allora si sono moltiplicati gli interventi e le pubblicazioni intorno a quello che in modo generico è stato identificato con il binomio rottura/continuità. Certamente il discorso del Papa non è stato il solo fattore che ha favorito una rinnovata riflessione sulla ricezione del Vaticano II. Basti pensare, ad esempio, alla conclusione della pubblicazione della Storia del Concilio Vaticano II, diretta da Giuseppe Alberigo e all’ampio dibattito che essa ha suscitato3. Ma insieme a quest’opera potremmo citarne altre non meno decisive: l’enciclopedico commento a tutti i testi conciliari diretto da Peter Hünerman e da Hilberath, nonché i contributi di autori come Routhier, Theobald, O’Malley e altri ancora.
Vorrei fare cenno al tema della Chiesa come soggetto della fede ed ambito della confessione del credente partendo proprio da una citazione puntuale di quel discorso di Benedetto XVI. Le sue parole, se lette con la dovuta attenzione, superano il binomio continuità-rottura introducendo la categoria più appropriata di ermeneutica della riforma. Benedetto XVI mostra l’insostenibilità della tesi della rottura ma, nello stesso tempo, è ben lontano dal proporre una scontata “continuità” che, tutto sommato, non resisterebbe agli appunti mossi da una critica equilibrata.
«Tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
Come dicevo qui il Papa identifica nell’ermeneutica la questione-chiave della riflessione circa la ricezione del Vaticano II. E lo fa contrapponendo due ermeneutiche contrarie.
Tuttavia il primo dato molto significativo è che per citare tali ermeneutiche contrapposte non fa ricorso ad una terminologia che oppone simmetricamente “discontinuità-continuità”, “rottura-continuità”, ma parla di: “ermeneutica della discontinuità e della rottura” da una parte e di “ermeneutica della riforma” dall’altra. Ci troviamo, pertanto, di fronte ad una prima indicazione che impedisce di identificare la proposta del Papa con le “ermeneutiche della continuità” di stampo più o meno marcatamente tradizionalista. La proposta del Papa aiuta a comprendere che “continuità” non può significare che il Concilio Vaticano II debba essere letto e assunto semplicemente ricorrendo al magistero precedente come chiave ermeneutica compiuta.
Ma più interessante ancora è la definizione che Benedetto XVI dà dell’ermeneutica della riforma. Egli la descrive come «rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
Questa definizione mi sembra contenere tre nuclei decisivi di pensiero.
Anzitutto dice di chi si deve affermare la continuità: dell’unico soggetto-Chiesa;
con la proposizione relativa «che il Signore ci ha donato» il Papa identifica l’origine di tale soggetto e, pertanto, la ragion d’essere della sua permanenza come soggetto dalla chiara identità nel tempo;
infine specifica il chi è questo soggetto: il Popolo di Dio in cammino.
Continuità e rinnovamento non sono in alternativa proprio perché stiamo parlando della Chiesa, Popolo di Dio, soggetto la cui origine è nel disegno salvifico della Comunione Trinitaria ma che è ancora in cammino verso la patria definitiva.
Mi sembra che queste indicazioni aprano prospettive feconde per il lavoro teologico nei prossimi anni. Ne cito tre:
a. L’elaborazione di una ecclesiologia del soggetto Chiesa, riprendendo l’indicazione balthasariana sul Chi è la Chiesa? Personalmente sono convinto che questo esiga una doppia concentrazione dell’ecclesiologia in chiave antropologica e sacramentale4.
b. La peregrinatio, e quindi tutta la dimensione storica ed escatologica, come forma della vita della Chiesa, con le relative, talora scottanti implicazioni.
c. La centralità della fede: la Chiesa è il soggetto della fede. Da qui la necessaria attenzione al legame esistente tra Dei Verbum e Lumen gentium, per un’adeguata ermeneutica del corpus dottrinale del Vaticano II.
Sono semplici suggerimenti per il lavoro comune.
19/05/2010 - INDIA - L’esempio di p. Thomas sacerdote e martire, vittima del maoismo - di Nirmala Carvalho - Missionario gesuita nello stato di Jharkhand, p. Anchanikal T. Thomas si è battuto fino alla morte per i poveri, in questi giorni stretti nella morsa di guerrigleri e proprietari terrieri. Il suo martirio è avvenuto nel 1997 mentre investigava sui soprusi compiuti dai maoisti a danno della popolazione. P. M.K. Jose, suo confratello, afferma:”è stato una vittima della violenza maoista, ma la sua morte ha arricchito la missione dei Gesuiti”.
Mumbai (AsiaNews) – “Ha vissuto per i più poveri tra i poveri, spesso affrontando la minaccia della violenza che lo ha condotto verso il martirio, confermando la sua conformità alla missione di Cristo Crocifisso”. Con queste parole p. M.K. Jose, gesuita, racconta ad AsiaNews il sacrificio di p. Anchanikal T. Thomas, suo confratello, ucciso dai maoisti il 25 ottobre 1997 mentre investigava sui soprusi a danno della popolazione del villaggio di Sirka (Jharkhand).
Da ieri gli Stati indiani di Jharkhand, Bihar, Bengala Occidentale e Chhattisgarh sono in allerta per lo sciopero generale organizzato dai maoisti del Naxals. Essi protestano contro l’offensiva lanciata nel 2009 dal governo di New Delhi e lo scorso 17 maggio, nello Stato del Chhatishgart, un commando di ribelli ha fatto saltare in aria un autobus uccidendo oltre 40 persone tra civili e forze speciali di polizia. In risposta all’attacco il governo ha annunciato oggi il ricorso all’aviazione militare contro le armate maoiste del People's Liberation Guerrilla Army. In questa situazione a farne le spese è la popolazione di origine indigena da oltre 40 anni vittima da un lato dei soprusi dei proprietari terrieri, che espropriano i terreni per sfruttarne le risorse, dall’altro dei guerriglieri maoisti. Per questa gente l’unica speranza è data dalla testimonianza di persone come p. A.T. Thomas, che hanno speso la loro vita a favore dei poveri.
P. M.K. Jose, afferma: “La passione per la dignità di qualsiasi essere umano guidava il suo ministero. Lui lavorava senza sosta per sviluppare una rete di scuole serali nel distretto di Hazaribag. Grazie alle lezioni, la gente ha iniziato a condividere con lui anche altre preoccupazioni. Le questioni legate ai problemi sociali a ai bisogni sono iniziati ad emergere e p. Thomas ha iniziato a coinvolgersi in ogni ambito della vita di queste persone. P. A.T. Thomas si è sentito chiamato a stare dalla parte dei poveri e delle vittime di qualsiasi forma di ingiustizia. Così egli ha iniziato a dialogare con la gente, cercando un modo per aiutare la popolazione costretta a lavorare sotto la morsa di latifondisti e usurai”. Il sacerdote cita come esempio il caso del villaggio di Azad Nagar (Città libera) situato nel distretto di Hazaribaugh. Qui vivono 25 famiglie appartenti al gruppo dei Bhuyian, fuori casta costretti per la vita a lavorare come schiavi, che grazie all’aiuto di p. Thomas hanno comprato i terreni e costruito le proprie abitazioni, liberandosi dalla schiavitù.
“P. Thomas – continua – è stato una vittima della violenza maoista, ma la sua morte ha arricchito la missione dei Gesuiti nel distretto di Hazaribagh”. Il sacerdote dice che ora dalit e poveri vivono con dignità, e l’educazione e l’assistenza data dalla missione li ha aiutati a diventare autosufficienti. “Essi – afferma – hanno una speranza più luminosa per i loro figli, e p. Thomas è ancora amato da quelli che lui ha servito”. Il sacerdote dice che ogni anno migliaia di dalit e tribali del distretto fanno visita alla sua tomba per ricordare il suo sacrificio.
Il prete credibile recuperi autorità e chiarezza dottrinale. I fedeli hanno bisogno di certezza e di esempi rassicuranti. Oggi manca la distinzione tra bene e male - Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
Papa Benedetto XVI, domenica scorsa, ha ricordato che il senso del peccato sta venendo meno, ed anche all' interno della Chiesa. Di questo tema discutiamo con il noto psichiatra e criminologo, professor Francesco Bruno. Professor Bruno, non le chiediamo questioni teologiche, ma secondo lei, da che cosa dipende l' attenuazione del senso del peccato?: " da una generale diminuzione della consapevolezza esistente oggi tra il bene e il male, tra quello che é giusto e quello che é sbagliato. Siamo davanti ad una società troppo permissiva che nel nome di una falsa idea della libertà ,ha dimenticato che bisogna saper dire dei no motivati e al momento giusto". Lo si chiede anche ai preti?: " il fedele non vuole un prete che dica sempre sì o che lo commiseri in ogni caso. Il prete, per poter rappresentare davvero un baluardo di sicurezza, sia allo stesso tempo severo e paterno, ovvero riscopra il senso di autorità, che non vuole ... dire comando, ma autorevolezza. Un prete poco credibile nella vita di ogni giorno non é un esempio che il fedele possa seguire, ma il prete che interpreta con diligenza, fermezza e rigore il suo compito, viene apprezzato dagli stessi fedeli i quali sanno riconoscere i buoni dai cattivi maestri".
La Chiede deve essere dogmatica?: " alt. Da cattolico dico di sì in quanto i principi certi, se ci si professa cattolici, non si discutono. Lo scienziato, per sua indole, é meno propenso al dogma e maggiormente al dubbio. Insomma la nostra vita di scienziati cattolici é dura. Credo nel dogma di fede e al tempo stesso mi tormenta la ricerca".
Una volta esisteva il catechismo di San Pio X, meno complicato e più schematico sul quale si sono forgiati tanti fedeli, lo trova valido?: " paradossalmente mi sembra migliore, in quanto i fedeli non sono teologi e non hanno bisogno di lunghe dissertazioni. Se le vogliono, se le cercano e le approfondiscono. Ma in tema dottrinale, meglio lo schematismo, la distinzione netta tra quello che va bene e quello che cozza contro la verità e la giustizia, ecco la necessità, che torna, di stabilire regole chiare tra bene e male. Poi oggi latita un altro punto fermo".
Quale?: " il senso di responsabilità. Ciascuno, la chiesa lo chiama relativismo etico, fa quello che gli pare e come vuole senza dover rendere conto non alla giustizia, ma a sé stesso e agli altri. Un mondo in cui la gente avesse maggior senso di responsabilità dei propri atti sarebbe migliore".
Tema omofobia, lei che ne pensa?: " il vero nodo non é la omofobia militante, quelli che menano i gay che sono barbari intolleranti e dovrebbero finire in carcere. I gay non vanno discriminati,ma di qui a fare passare la omosessualità per naturalità ne corre". Ovvero?: " lo ho già detto, anche se vado contro il parere della Organizzazione Mondiale della sanità: la omosessualità é un disturbo che va contro natura, di per sé eterosessuale".
In una parrocchia a Bari un prete ha ammesso corsi di joga. Non da cattolico, ma da scienziato che cosa ne pensa?: " lo joga é una valida tecnica di rilassamento che non danenggia la salute. Poi se ne può discutere sul piano dottrinale. Ma se deve parlare il medico non ci trovo nulla di male, in quanto un poco come accade con la ipnosi, tende a portare rilassamento del corpo. Noi occidentali troviamo fatica a comprendere lo spirito dello joga che valuto salutare e positivo se effettuato da persone competenti ed esperte e non da cialtroni".
Bruno Volpe
IL POTERE DI SATANA – Carlo Di Pietro – dal sito Pontifex.roma.it
C'è un'azione ordinaria del Demonio, che è rivolta a tutti gli uomini: quella di tentarli ai male. Anche Gesù ha accettato questa nostra condizione umana lasciandosi tentare da Satana ( Mt 4,1 - 11). L'azione straordinaria di Satana, che Dio gli consente solo in determinati casi, ha quattro forme diverse: 1 La possessione diabolica. E' il tormento più grave e ha luogo quando il Demonio si impossessa di un corpo (non di un'anima) facendolo agire o parlare come lui vuole senza che la vittima possa resistere e quindi senza che ne sia responsabile moralmente. E' in questo caso che si verificano fenomeni particolari, come parlare lingue del tutto ignorate dalla vittima, dimostrare una forza sovrumana, conoscere fatti lontani o segreti. Il Vangelo ce ne presenta un tipico esempio nell'indemoniato di Gerasa (Me 5,1 -20). 2. La vessazione diabolica. Si tratta di altri disturbi che però non giungono alla possessione. Qualche esempio ...
... biblico: Giobbe non aveva la possessione diabolica, ma fu gravemente colpito nei figli, nei beni, nella salute. La donna curva (Le 13,10 - 17) ed il cieco e muto (Mt 12,22) guariti da Gesù non avevano una possessione diabolica, ma la presenza di un demonio che provocava loro quei disturbi fisici.
E noi esorcisti incontriamo una grande quantità di persone colpite nella salute (con mali ribelli ad ogni medicina e in cui i medici non capiscono di che cosa si tratti), negli affetti (persone che si vogliono bene si lasciano improv-visamente e senza nessun motivo) nel lavoro (va tutto male con disgrazie a catena).
3. L'ossessione diabolica. Si tratta di pensieri ossessivi, assurdi, ma tali che la vittima non è in grado di liberarsene. Per cui la persona colpita vive in continuo stato di prostrazione, di disperazione, di tentazioni di suicidio.
4. Esistono infine le infestazioni diaboliche su case, oggetti, animali. E' noto infatti che il Demonio può impossessarsi anche di luoghi e di animali (Marco 5, 11-13). Ma anche da queste manifestazioni sataniche il Signore sa trarre del bene: conversioni, ritorno ad una vita di fede e di intensa preghiera, progresso spirituale.
Non a caso San Giovanni Crisostomo considera il Maligno uno strumento di santificazione; certo, non per fargliene un merito, ma per glorificare la sapienza di Dio che di tutto si serve per il nostro bene. [tratto da un testo di Don Pasqualino Fusco]
Carlo Di Pietro
Avvenire.it, 19 Maggio 2010 - IL FESTIVAL DEL CINEMA - Cannes applaude la lezione di fede dei monaci martiri - Alessandra De Luca
Può un film senza star inchiodare il pubblico alle poltrone e commuoverlo profondamente raccontando la vita quotidiana e mistica di un gruppo di monaci trappisti nell’Algeria degli anni Novanta? È quello che è accaduto ieri quando in concorso sugli schermi di Cannes è arrivato Des Hommes et des Dieux di Xavier Beauvois sulla drammatica vicenda dei religiosi rapiti e assassinati a Tibhirine nella primavera del 1996, ancora oggi al centro di una difficile indagine giudiziaria. Se infatti all’inizio la strage era stata attribuita alla GIA (Gruppo Islamico Armato), in una fase processuale successiva si è invece parlato di un «errore dell’esercito algerino».
Un fatto ancora oscuro, dunque, ma il regista lascia da parte la controversia per concentrarsi in maniera esemplare (e il pensiero va al bel documentario Il grande silenzio) sulla vita monastica dei protagonisti, tra lavoro, preghiere, pasti e l’impegno per il prossimo. Perfettamente integrati in terra musulmana, i monaci guidati dal priore Christian de Chergé considerano propri fratelli gli islamici di cui si prendono cura e con i quali recitano anche passi del Corano testimoniando con la propria vita un amore per l’umanità che va oltre le barriere culturali e religiose. E proprio in questo sta la forza del film, nella decisione coraggiosamente rigorosa di raccontare la difficoltà di una scelta non priva di dubbi e tensioni.
Il 30 ottobre 1994 la GIA ordinò infatti a tutti gli stranieri di abbandonare l’Algeria, ma quei monaci decisero di restare al fianco di chi aveva bisogno di loro. «È difficile trovare persone capaci di amare così tanto il prossimo – dice il regista Beauvois – ed è proprio questo che mi ha spinto a realizzare il film. Viviamo in una società fondata sulla velocità, ma io credo che la gente sia abbastanza intelligente per compiere uno sforzo e capire un mondo fatto di contemplazione e lentezza».
E a proposito della decisione di non raccontare nel film la morte dei monaci e la successiva indagine, il regista aggiunge: «La cosa che davvero mi interessava è la straordinaria vita di questi uomini, non quello che è accaduto dopo, anche se personalmente credo nella tesi dell’errore dell’esercito. I loro corpi furono decapitati e mostrare questo sarebbe stato ridicolo, oltre che irrispettoso per le famiglie delle vittime».
«Non amo i dogmi imposti dalle religioni – afferma invece Lambert Wilson che nel film interpreta il priore – ma ho molto rispetto per chi ha fede e per chi confida in Dio nei momenti difficili della vita. Lo scopo di questo film è mostrare l’amore e la compassione che unisce tutte le persone e credo che la politica non debba mai entrare nella religione: la loro mescolanza è fonte di grande sofferenza per l’umanità. Non uccidete in nome di Dio, questo è il messaggio che ci sta a cuore divulgare. Badate bene, non sono né pazzo né fanatico del metodo americano dell’immedesimazione, ma credetemi, quando giravamo questo film ho sentito su di me la presenza forte e la protezione di padre Christian. E così è accaduto agli altri attori. Abbiamo trascorso molti giorni in ritiro nel monastero prima di girare e in quello spazio di pace tra noi è nata quella speciale fratellanza che legava i monaci da noi interpretati».
Michael Lonsdale, che veste i panni di fratello Luc, il medico, aggiunge: «Non c’è amore più grande che dedicare la propria vita agli altri, e questo comporta un grande sacrificio. E il sacrificio è assai disturbante perché nessuno vuole mai rinunciare a qualcosa. Questi monaci hanno invece voluto testimoniare di credere in qualcosa di universale e lo hanno fatto sacrificando la propria vita».
Alessandra De Luca
POESIA/ Edoardo Sanguineti, breve storia di un rivoluzionario che ha "scoperto" la famiglia - Uberto Motta - giovedì 20 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Resterà. Non ci sono dubbi. E continuerà a fare male, a provocare e scuotere.
L’intelligenza poetica, disarmata e paradossale, onirica e materialista di Edoardo Sanguineti ha lasciato infatti nella cultura letteraria italiana un segno profondo, che rimarrà. Ha aperto, con la sua dissacrante e coltissima ironia, una ferita, di cui vano e sciocco sarebbe augurarsi la rimozione.
Fin dalle poesie della raccolta d’esordio (Laborintus, del 1956), Sanguineti ha sempre ribattuto, con ostinazione e coraggio, il medesimo problema: quello del rispecchiamento del reale nell’arte, non più proponibile nei termini della mimesi tradizionale. Quali potessero anzi essere gli strumenti più idonei per dire la verità, al cospetto di una crisi - a suo giudizio - drammatica, dilagante dal piano storico e sociale a quello estetico e linguistico, è stato il suo rovello. A fronte di questo mondo, fondato sulle merci e non sull’uomo, sulla nevrosi del soggetto e il regressivo esaurimento della sua fiducia nel prossimo, il poeta Sanguineti, con un gesto di elementare radicalità, si è ribellato. Alla palude infernale ha detto no, né - per antidoto - si è rimesso al rimpianto di un irreversibile passato.
La sua voce, ambigua e difficile, è stata quella d’un dissidente, spesso anarchico e irrazionale, altrimenti e simultaneamente ancorato ai suoi maestri: Freud e Brecht, Marx e Adorno, Jung e Lukàcs. Con essi, s’è provato a inventare una nuova maniera di scrivere, sovversiva e apocalittica, parendogli la lingua normale (per effetto, anche, della lezione di Gramsci) incapace di presa sul reale, e destinata fatalmente, invece, alla menzogna, al travestimento, all’involontaria tirannia. Su questo non ha avuto dubbi, mai: ogni atto linguistico, ogni parola, implicano una visione del mondo, una posizione di coscienza. E alla verità non s’arriva che per tramite d’un linguaggio autentico e vivo (Ideologia e linguaggio, non a caso, è il titolo di una sua fondamentale raccolta di saggi, apparsa per la prima volta nel 1965).
Si situa lungo tale orbita la partecipazione alle esperienze della Neoavanguardia e del Gruppo 63: ugualmente tese, nei proclami, alla ricerca di una poesia vera, capace, cioè, di restituire il «nostro sentimento della realtà, ovvero… un accadere in cui possiamo ritrovarci» (Giuliani). Ne venne a Sanguineti, di fronte a una diagnosi perentoria ed esatta, il desiderio di sistematico sabotaggio delle forme letterarie tradizionali, a beneficio di una dizione informale o rivoluzionaria, che - sono le sue parole - «potesse davvero raggiungere l’impressione di effusione di un inconscio… selvaggio, incondito, tutt’altro che ben vestito, ma che piuttosto si scopre impudicamente, caoticamente, irrazionalmente».
A simili intenzioni o progetti conseguono (specie all’origine) risultati sostanzialmente anticomunicativi: strisce verbali balbettanti e autoreferenziali, incroci babelici di generi e idiomi, di fatto asemantici. La materia o consistenza dell’io è così ridotta alle sue pulsioni e sogni, o deliri: niente che non sia di provenienza biologica e fisica. Si erge su ciò, tuttavia, il primo nucleo di resistenza esplicitamente denunciato, e messo a tema: la famiglia, che a Sanguineti pare la cellula-base della società. Il luogo da cui muovere per una rifondazione, sostanzialmente pedagogica, della realtà; la vera e unica speranza contro l’alienazione.
L’ultimo Sanguineti (quello, esemplarmente, della raccolta Il gatto lupesco, del 2002), quando non gioca con la lingua (alla maniera già di Palazzeschi), guarda il mondo per il tramite dei suoi affetti coniugali. E allora la poesia si presta volontariamente alla registrazione meticolosa di piccoli «fatti veri», resi - mediante straniamento - epici e memorabili; l’utopia si riduce alla religione, ironica e malinconica, dei ricordi, degli aneddoti, delle pagine di diario. Accertato, con eroico acume, tutto l’intollerabile, cioè la bolgia di menzogne e illusioni dei nostri anni, la ricetta di Sanguineti non va più in là: non può che suggerire una specie di navigazione a vista, di attraversamento coatto, ma più divertito che sofferto, della vita, mancandogli, definitivamente, l’avvistamento d’un’altra orbita o riva.