Nella rassegna stampa di oggi:
1) BENEDETTO XVI: DIO ATTIRA IL NOSTRO SGUARDO VERSO IL CIELO - Intervento in occasione del Regina Caeli
2) 16 MAGGIO/ Un popolo sotto il cielo di Pietro - Alessandro Banfi - lunedì 17 maggio 2010 – ilsussidiario.net
3) Benedetto XVI: il peccato, nemico contagioso - Più di 150.000 fedeli in piazza San Pietro per gridare il loro affetto al Pontefice e alla Chiesa - Nina Fabrizio – Roma - © Copyright Gazzetta del sud, 17 maggio 2010
4) “Il disegno di Dio per l’uomo e la donna nel sacramento del matrimonio. Il mistero nuziale e la cultura contemporanea” » - S.E. Card. Angelo Scola – dal sito http://angeloscola.it/ - Mag 16, 2010
5) Positivo il bilancio della visita del Papa in Porogallo. Forzata la interpretazione del mistero di Fatima sulla pedofilia. Notevole per interesse il discorso al mondo della cultura. Il Vescovo di Vienna inopportuno – bilancio con Massimo Introvigne, di Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
6) CROWLEY E LAVEY: STORIA DI DUE SATANISTI - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.Roma.it
BENEDETTO XVI: DIO ATTIRA IL NOSTRO SGUARDO VERSO IL CIELO - Intervento in occasione del Regina Caeli
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 16 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della recita del Regina Caeli insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano.
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Cari fratelli e sorelle,
oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra l’Ascensione di Gesù al Cielo, che avvenne il quarantesimo giorno dopo la Pasqua. In questa domenica ricorre, inoltre, la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema: "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola". Nella liturgia si narra l’episodio dell’ultimo distacco del Signore Gesù dai suoi discepoli (cfr Lc 24,50-51; At 1,2.9); ma non si tratta di un abbandono, perché Egli rimane per sempre con loro - con noi - in una forma nuova. San Bernardo di Chiaravalle spiega che l’ascensione al cielo di Gesù si compie in tre gradi: "il primo è la gloria della risurrezione, il secondo il potere di giudicare e il terzo sedersi alla destra del Padre" (Sermo de Ascensione Domini, 60, 2: Sancti Bernardi Opera, t. VI, 1, 291, 20-21). Tale evento è preceduto dalla benedizione dei discepoli, che li prepara a ricevere il dono dello Spirito Santo, affinché la salvezza sia proclamata ovunque. Gesù stesso dice loro: "Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso" (cfr Lc 24,47-49).
Il Signore attira lo sguardo degli Apostoli - il nostro sguardo - verso il Cielo per indicare come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita. Possiamo ascoltare, vedere e toccare il Signore Gesù nella Chiesa, specialmente mediante la Parola e i sacramenti. A tale proposito, esorto i ragazzi e i giovani che in questo tempo pasquale ricevono il sacramento della Cresima, a restare fedeli alla Parola di Dio e alla dottrina appresa, come pure ad accostarsi assiduamente alla Confessione e all’Eucaristia, consapevoli di essere stati scelti e costituiti per testimoniare la Verità. Rinnovo poi il mio particolare invito ai fratelli nel Sacerdozio, affinché "nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica" (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale) e sappiano utilizzare con saggezza anche i mezzi di comunicazione, per far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo (cfr Messaggio XLVI G.M. Com. Soc., 24 gennaio 2010).
Cari fratelli e sorelle, il Signore, aprendoci la via del Cielo, ci fa pregustare già su questa terra la vita divina. Un autore russo del Novecento, nel suo testamento spirituale, scriveva: "Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, … intrattenetevi … col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete" (N. Valentini - L. Žák [a cura], Pavel A. Florenskij. Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418). Ringrazio la Vergine Maria, che nei giorni scorsi ho potuto venerare nel Santuario di Fatima, per la sua materna protezione durante l’intenso pellegrinaggio compiuto in Portogallo. A Colei che veglia sui testimoni del suo diletto Figlio rivolgiamo con fiducia la nostra preghiera.
[DOPO IL REGINA CÆLI]
Grazie per questa vostra presenza e fiducia, grazie! Quest’oggi il mio primo saluto va ai fedeli laici venuti da tutta Italia, e al Cardinale Angelo Bagnasco che li accompagna come Presidente della Conferenza Episcopale. Vi ringrazio di cuore, cari fratelli e sorelle, per la vostra calorosa e nutrita presenza! Raccogliendo l’invito della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, avete aderito con entusiasmo a questa bella e spontanea manifestazione di fede e di solidarietà, a cui partecipa pure un consistente gruppo di parlamentari e amministratori locali. A tutti desidero esprimere la mia viva riconoscenza. Saluto anche le migliaia di immigrati, collegati con noi da Piazza San Giovanni, con il Cardinale Vicario Agostino Vallini, in occasione della "Festa dei Popoli". Cari amici, voi oggi mostrate il grande affetto e la profonda vicinanza della Chiesa e del popolo italiano al Papa e ai vostri sacerdoti, che quotidianamente si prendono cura di voi, perché, nell’impegno di rinnovamento spirituale e morale possiamo sempre meglio servire la Chiesa, il Popolo di Dio e quanti si rivolgono a noi con fiducia. Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. Viviamo nel mondo - dice il Signore - ma non siamo del mondo (cfr Gv 17, 14), anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni. Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio. E’ quello che la Chiesa, i suoi ministri, unitamente ai fedeli, hanno fatto e continuano a fare con fervido impegno per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo. E’ quello che specialmente voi cercate di fare abitualmente nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti: servire Dio e l’uomo nel nome di Cristo. Proseguiamo insieme con fiducia questo cammino, e le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza. E’ bello vedere oggi questa moltitudine in Piazza San Pietro come è stato emozionante per me vedere a Fatima l’immensa moltitudine, che, alla scuola di Maria, ha pregato per la conversione dei cuori. Rinnovo oggi questo appello, confortato dalla vostra presenza così numerosa! Grazie!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto infine, ancora una volta, tutti i pellegrini di lingua italiana, tutti voi, con grande gratitudine e gioia, in particolare gli agenti della Polizia di Stato con i loro familiari, venuti in occasione dell’anniversario della fondazione del Corpo; i ragazzi della Cresima venuti così numerosi dall’Arcidiocesi di Genova; il folto gruppo di Chioggia; i fedeli di varie comunità parrocchiali; i bambini della Scuola "Collodi" di Bitonto e la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in oncologia. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
16 MAGGIO/ Un popolo sotto il cielo di Pietro - Alessandro Banfi - lunedì 17 maggio 2010 – ilsussidiario.net
Com’era bello il cielo sopra Roma ieri, durante il Regina Coeli. Bello perché alla fine è stato compassionevole coi tanti pellegrini arrivati qui fin da sabato, e da tutta Italia, evitando acquazzoni e regalando solo a tratti il sole caldo di maggio.
Bello perché anche per noi, che viviamo a Roma da tanti anni, il cielo visto da piazza San Pietro ha sempre qualcosa di affascinante. Bello in questo particolare giorno dell’Ascensione in cui i movimenti e le associazioni laicali sono arrivati in piazza per l’abbraccio al Santo Padre. Una preghiera per le vittime degli abusi, una per i nostri pastori, una per il successore di Pietro.
Il popolo del Papa day (come lo ha battezzato l’immaginifico ufficio stampa della Coldiretti) ha cominciato a riempire lo spazio all’interno del colonnato fin dalle 10 di domenica mattina. Striscioni, palloncini, cappellini e molta tranquilla voglia di testimoniare l’affetto verso il Papa. Tanti amici che non si vedono da anni, da Milano, Torino, Biella, dietro di noi c’è persino uno striscione di Cl Deutschland. Qualche nuovo amico come quelli dell’Aquila.
Mi hanno raccontato di alcuni della Sicilia che appena ritirato il Papa sono tornati a Termini per tornare a casa… Come se ci fossimo trovati tutti qui per qualcosa di davvero importante, decisivo per la nostra vita e per ogni singola persona: riconoscere in quell’uomo, vestito di bianco, un padre. Non un padre qualsiasi, un padre che ci impedisce di far prevalere la nostra opinione.
Un gesto semplice, camminare e arrivare in piazza, minimo per chi vive a Roma, più impegnativo per chi viene da fuori, e che tuttavia spazza in un solo colpo la negazione della nostra libertà che il potere vorrebbe compiere e compie ogni giorno. Ecco che cosa c’era in quel salutarci felice, in quel rivedere facce e volti di una lunga amicizia… Poi l’introduzione di Paola Dal Toso, segretaria della Cnal, la preghiera condotta dal cardinal Angelo Bagnasco, che oggi è a capo della Cei, le parole stupende della prima omelia di Ratzinger da Papa lette da Roberto Fontolan... Alle 12 tutti col naso all’insù verso la finestra e di nuovo verso il cielo.
Ecco finalmente Benedetto XVI, che ricorda il giorno dell’Ascensione e parla, guarda caso, proprio del cielo. Citando le parole di un grande russo, Pavel Florenskij. “Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, … intrattenetevi … col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete”.
Dalla piazza il Papa è una figura lontana, ma nei maxi schermi appare lieto di tanto calore e un po’ affaticato dal recente viaggio a Fatima. “Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, che a volte contagia anche i membri della Chiesa. Viviamo nel mondo ma non siamo del mondo”, dice, ricordando a tutti di chiedere la purificazione della comunità ecclesiale.
Già, il cielo. Ma che cos’è il cielo? Ha spiegato il Papa: “Il Signore, aprendoci la via del Cielo, ci fa pregustare già su questa terra la vita divina”. In una delle poche interviste televisive che concesse Don Luigi Giussani disse una volta: “Il cielo per noi non è lassù… il cielo è una vibrazione della terra”.
E la terra vibra, come accadde e accade attorno a Giussani, se uno dà tutto. Non c’è niente di meglio nella vita che dare tutto per i propri amici. Questo è il cielo visto ieri mattina, 16 maggio 2010, a San Pietro. E ringrazio Dio di esserci stato.
Benedetto XVI: il peccato, nemico contagioso - Più di 150.000 fedeli in piazza San Pietro per gridare il loro affetto al Pontefice e alla Chiesa - Nina Fabrizio – Roma - © Copyright Gazzetta del sud, 17 maggio 2010
«Tutti con te!». È il coro unanime con cui oltre 150 mila persone, secondo la Gendarmeria vaticana, si sono strette ieri attorno a Benedetto XVI dopo mesi di polemiche per lo scandalo della pedofilia. Un calore, quello salito da Piazza San Pietro nella giornata di solidarietà, che papa Ratzinger ha accolto con emozione e gratitudine. «Qui vediamo presente tutta l'Italia!», ha detto alla folla. «Grazie per la vostra presenza e fiducia». Il nemico – ha detto il Papa – è il peccato, che purtroppo talora può contagiare alcuni membri della Chiesa; sicché urge, al suo interno, un forte rinnovamento spirituale e morale.
Fin dalle prime ore della mattina, malgrado la pioggia che a tratti cadeva, una folla immensa di fedeli dei vari movimenti (Rinnovamento nello Spirito, Azione cattolica, Comunità di Sant'Egidio, Comunione e Liberazione, tra i tanti) chiamati in piazza dalla Consulta nazionale delle aggregazioni laicali (Cnal), con la benedizione della Cei, ha cominciato, assieme a famiglie e fedeli giunti spontaneamente, ad affollare Via della Conciliazione. C'erano anche oltre 15 mila agricoltori della Coldiretti, con famiglie e bambini al seguito, tutti riconoscibili per le bandiere e i palloncini gialli. Bandiere e palloncini bianchi e azzurri, invece, per i manifestanti delle Acli. Ogni associazione e movimento laicale ha portato in piazza il suo striscione e le sue insegne per testimoniare il sostegno al Papa. Una moltitudine a cui si sono mescolati anche numerosi politici, tra cui il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente del Senato Renato Schifani, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni. Tra i tanti striscioni, scritte come «Insieme con il Papa», «Tu sei Pietro e noi giovani ti amiamo», «Il popolo di Roma con il Santo Padre», «Tu sei Benedetto, in te c'è la verità».
Moltissimi mostravano la prima pagine dell'edizione speciale di "Avvenire", con il titolo cubitale, «Con te». «L'Italia vuol bene al Papa», ha commentato con soddisfazione il card. Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani, che ha guidato un momento di preghiera. «Anche questo – ha spiegato – è un segno molto semplice e umile, ma convinto ed eloquente, dell'amore che la Chiesa in Italia, ma credo l'intero Paese, ha per il Santo Padre». La manifestazione, ha aggiunto Bagnasco, più che un "no" contro gli attacchi diretti al Papa, rappresenta «un modo di dire sì al Pontefice e al suo amore che ha per la Chiesa e per l'Italia, per la Chiesa nel mondo e l'umanità intera».
Un sì che si è trasformato in un grande boato quando il Papa si è finalmente affacciato dalla finestra del suo studio.
Il Pontefice è «oggetto di un attacco pregiudiziale che si muove da tanti punti di vista», ha detto Alemanno. «I singoli possono sbagliare ma l'istituzione, la fede, la religione non possono essere messe in discussione», ha aggiunto. Secondo Casini, con Benedetto XVI la Chiesa «in una fase difficile, ha trovato in lui una guida ferma e sicura». Mentre Formigoni ha esortato: «In una fase in cui lo spirito del male attacca la Chiesa, più forte deve essere la nostra fede». «Noi siamo convinti che è possibile vincere il male con il bene ed è possibile la conversione», ha suggellato la giornata Paola Dal Toso, segretario della Cnal, promotrice dell'evento.
© Copyright Gazzetta del sud, 17 maggio 2010
“Il disegno di Dio per l’uomo e la donna nel sacramento del matrimonio. Il mistero nuziale e la cultura contemporanea” » - S.E. Card. Angelo Scola – dal sito http://angeloscola.it/ - Mag 16, 2010
in Interventi
JÖNKÖPING (SVEZIA) – Da venerdì’ 14 a domenica 16 maggio si è tenuto a Jönköping in Svezia il Congresso delle Famiglie cattoliche promosso dalla Conferenza episcopale della Scandinavia (Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Islanda) sul tema “Amore e vita”. Il Patriarca e’ stato invitato a tenere la lezione introduttiva di venerdì’ sul tema “Il disegno di Dio per l’uomo e la donna nel sacramento del matrimonio. Il mistero nuziale e la cultura contemporanea”. Presenti circa 600 famiglie da tutta la Scandinavia.
Viene pubblicato qui di seguito un estratto dell’intervento del Patriarca:
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La mia presenza tra voi ha per me due ragioni.
La prima è legata alla bellezza e alla necessità che lo scambio di comunione tra le Chiese sia perseguito con sempre maggior tenacia. La comunione tra i battezzati documenta visibilmente quell’unità necessaria a che «il mondo creda» (Gv 17,21).
La seconda è una convinzione recentemente ribadita da Benedetto XVI in occasione della Visita ad limina Apostolorum dei Vescovi dei Paesi Scandinavi proprio con riferimento al presente Convegno. Il Papa ha parlato della «centralità della famiglia per la vita di una società sana» che implica un approfondimento ed impegno per «l’istituto del matrimonio e dell’idea cristiana di sessualità umana»1. L’uomo di oggi – il cosiddetto uomo post-moderno – è, nello stesso tempo, confuso ed assetato. Per questo ha bisogno di incontrare uomini e donne capaci di testimoniare l’entusiasmo che sgorga dalla singolare bellezza del sacramento del matrimonio.
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1. Amore, matrimonio e famiglia alla prova
Per cominciare è opportuno partire dalla realtà che le società dell’area euroatlantica ci presentano. Il clima culturale attuale viene ormai sinteticamente evocato dalla categoria di post-moderno. Ovviamente questo concetto comprende una varietà di significati e non ci è possibile riassumerli tutti qui. Mi sembra tuttavia che alcune sue caratteristiche siano abbastanza facilmente osservabili.
Anzitutto si impone una situazione di secolarizzazione avanzata. Ovviamente la secolarizzazione non è la stessa in tutti i paesi. Non si possono quindi stabilire immediati parallelismi tra i vostri paesi e, per esempio, l’Italia. O tra l’Italia e la Francia e la Germania. Mi pare tuttavia che un nucleo comune alla secolarizzazione di tutte le società euro-atlantiche risieda in quella che il filosofo canadese Taylor ha definito la secolarizzazione 3. Essa consiste nel considerare le fede in Dio come un’opzione tra le altre. Si è passati cioè da società in cui era «virtualmente impossibile non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre»2.
Il secondo tratto della post-modernità, non staccato dal precedente, è che l’uomo odierno rischia di enfatizzare a tal punto la libertà di scelta individuale da considerarla tutta la libertà. Essa risulta in tal modo svincolata da qualsiasi bene oggettivo.
Il terzo dato è lo straordinario connubio che si è realizzato negli ultimi due secoli tra la scienza e la tecnica, in modo particolare nell’ambito della biologia e oggi sempre più in quello delle neuroscienze. Esso ha comportato un profondo cambiamento nella visione della realtà. Il vero non è più dato dalla corrispondenza tra l’intelletto e la “cosa” (adaequatio rei et intellectus), al limite neppure da ciò che è empiricamente osservabile. Il vero è ridotto a ciò che è tecnicamente fattibile. Ciò finisce per stabilire una pericolosa equazione: “si può, quindi si deve”3 (imperativo tecnologico).
L’intreccio di questi fattori ha inoltre radicalmente modificato il modo con cui l’uomo concepisce se stesso, dando origine a trasformazioni e a situazioni inedite anche nell’ambito dell’amore e della famiglia. Il divorzio, le coppie di fatto, le unioni dello stesso sesso, la realtà dei singles, la contraccezione, l’aborto, la procreazione medicalmente assistita, la possibilità di effettuare diagnosi prenatali o pre-impianto, la clonazione, l’omosessualità, hanno prodotto nella sfera dell’amore, del matrimonio e della famiglia una serie di separazioni: tra la coppia e l’essere genitori, tra l’essere genitori e il procreare, tra la coppia-famiglia e la differenza sessuale4. Queste mutazioni non si arrestano alla sfera privata, ma investono la stessa vita civile. Il legislatore infatti, anche qui in grado diverso secondo i diversi paesi dell’area euro-atlantica, appare sempre più disponibile a garantire norma di legge ad ogni “desiderio” del soggetto, per giunta ampliato dalle indefinite possibilità offerte dalla tecno-scienza.
Da un simile contesto scaturiscono per noi una serie di domande: la differenza sessuale, l’amore e la fecondità devono essere considerati fatti contingenti oggi superabili – e forse già superati – o possiedono un valore assoluto? Questi tre fattori, presi in unità, sono realmente essenziali per l’esperienza del matrimonio e della famiglia? La loro unità merita di essere mantenuta e consapevolmente perseguita come qualcosa che chiede alla libertà di ogni persona di scegliere ciò che è buono in vista del suo proprio bene? La famiglia fondata sull’unione matrimoniale fedele, pubblica e aperta alla vita di un uomo e di una donna è veramente la strada adeguata allo sviluppo integrale della persona? Venendo ai vostri paesi e considerando la pluralità di mondovisioni di cui sono portatori i soggetti che li abitano, a partire dalla differenza tra credenti e non credenti, passando per le diverse appartenenze ecclesiali e religiose che danno origine ad un numero elevato di matrimoni misti ed interreligiosi, come far convivere positivamente tale pluralità all’interno della famiglia stessa?
Tutte queste brucianti questioni non fanno che proporre con urgenza un’ulteriore domanda, che sintetizza tutte le precedenti, e a cui ognuno di noi è oggi chiamato, almeno implicitamente a rispondere: chi vuol essere l’uomo del terzo millennio? Infatti, se fino alla caduta dei muri abbiamo assistito a una contesa sull’essere umano (Giovanni Paolo II) in cui però l’oggetto del contendere – l’uomo, appunto – restava, in qualche modo, identificabile, oggi ci troviamo invece di fronte ad un forte smarrimento nel cogliere chi sia l’uomo in se stesso.
Due sono le strade su cui l’uomo post-moderno cerca una risposta.
Per la prima egli vuole essere «soltanto il suo proprio esperimento», secondo un’espressione usata da un filosofo tedesco della scienza. Basta con i discorsi sulla persona e sulla sua dignità intesi come principi universali ed assoluti!
La seconda strada invece conduce a pensare in modo rinnovato questi fondamenti a partire dalla natura relazionale (comunionale) della persona.
Va inoltre sottolineato il fatto che se l’uomo di oggi si trova a questo bivio, allora, come il nostro incontro conferma, la Chiesa è chiamata ad una nuova evangelizzazione. Essa deve lasciar trasparire sul suo volto Gesù Cristo, Lumen gentium. Per sua natura deve mostrare come l’evento di Gesù Cristo sia contemporaneo all’uomo di ogni tempo nella sua unità di anima e corpo (corpore et anima unus, GS 14). Allora tutti gli aspetti umani connessi con l’esperienza nuziale quali l’affettività, l’amore, il matrimonio, la famiglia, la maternità, la paternità, la fraternità, l’amicizia, ma anche il celibato e la verginità consacrata, rappresentano un canale attraverso il quale la Chiesa, Madre e Maestra si prende cura, nell’attuale frangente storico, degli uomini, delle comunità e dei popoli.
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2. Il mistero nuziale: differenza sessuale, dono di sé, fecondità
Il modo più adeguato per trattare le problematiche fin qui descritte è quello di leggerle attraverso la lente del mistero nuziale nelle sue tre indisgiungibili dimensioni: differenza sessuale, dono di sé, fecondità. L’espressione mistero nuziale infatti svela il carattere profondo dell’amore perché, nel manifestare la sua capacità di mettere in campo l’io, l’altro e l’unità dei due, conduce al cuore dell’esperienza umana elementare5, cioè comune ad ogni persona di ogni tempo e luogo. Il fatto che sia un mistero non si riferisce ad una sua assoluta inconoscibilità. Suggerisce soltanto che essendo una delle dimensioni con cui la libertà personale di ogni uomo entra in relazione con l’infinito, non può essere catturata una volta per tutte in una definizione. A questo proposito scrive Evdokimov: «Nessuno tra i poeti ed i pensatori ha trovato la risposta della domanda: “Che cosa è l’amore?” […] Volete imprigionare la luce? Vi sfuggirà di tra le dita»6.
Esaminiamo quindi brevemente i tre aspetti costitutivi del mistero nuziale senza tuttavia mai dimenticare che essi non possono mai essere separati. Ognuno mette sempre in campo anche gli altri due.
a) Differenza sessuale
Il tema della differenza sessuale, prima dimensione del mistero nuziale, è stato sviluppato dal Magistero di Giovanni Paolo II per approfondire la forza profetica di Humanae vitae a partire dalle sue Catechesi sull’amore umano7 e ripreso recentemente da Benedetto XVI nella Deus caritas est8.
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Il rapporto tra maschile e femminile chiede quindi di essere pensato simultaneamente attraverso le categorie dell’identità e della differenza. Mentre la prima è abbastanza facilmente riconducibile alla natura personale dell’essere umano e alla conseguente uguale dignità tra l’uomo e la donna (entrambi parimenti esseri umani), la seconda non è priva di problematicità, come attesta il travaglio della cultura contemporanea nella sua radicale difficoltà a pensare la differenza sessuale.
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La differenza sessuale, integralmente intesa, si rivela come la modalità primaria con cui il singolo, uno di anima e corpo, entra in contatto con il reale. La consapevolezza del proprio essere sempre situato nella differenza sessuale realizza una costante apertura all’altro e indica un cammino di conoscenza di sé. Da qui si capisce che la differenza9 (dif-ferre: portare altrove lo stesso) non può mai essere abolita. È infatti una insuperabile dimensione dell’io personale.
b) Apertura all’altro come dono di sé
È proprio nella differenza sessuale adeguatamente vissuta che l’apertura all’altro può prendere la forma del dono di sé. Muovendo da questo dato si comprende meglio il nesso tra mistero nuziale e sacramento del matrimonio, la cui giustificazione ultima prende le mosse dal linguaggio nuziale della Bibbia10. La tradizione teologica ci propone una via di riflessione nella cornice del testo di Efesini 5,21-33. In questo testo l’esperienza umana dell’amore fra gli sposi, basata sulla differenza sessuale, viene illuminata dall’analogia con l’amore sponsale di Gesù Cristo per la Chiesa, del quale proprio in virtù del sacramento del matrimonio partecipano gli sposi cristiani. Sia chiaro: il sacramento non è un’aggiunta al dato naturale, ma è ciò che lo spiega in profondità. Di qui l’invito di San Paolo agli sposi perché sappiano partecipare di un amore che deve essere totale, personale, redentore e fecondo. Ed è un dato che vale anche per gli sposi battezzati appartenenti a tradizioni cristiane diverse, dal momento che, «in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell’Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio»11.
Radicata nella differenza sessuale, per essere all’altezza della sua vocazione l’unione tra l’uomo e la donna deve essere fedele e aperta alla vita. Ce lo indica il Catechismo della Chiesa cattolica quando parla dei beni-esigenze del matrimonio12. In proposito è di decisiva importanza superare un grave equivoco. Queste non sono proprietà che si aggiungono all’amore tra l’uomo e la donna. Esse fanno parte dell’essenza dell’amore. Là dove non c’è fedeltà e fecondità non c’è mai stato propriamente parlando amore13. Non si tratta di precetti aggiunti dalla Chiesa quasi per frenare la libera espressione dell’amore. Sono i beni che emergono dalla natura profonda dell’amore umano. In quanto essenziali all’amore essi, benché messi radicalmente in discussione da buona parte dei costumi e della cultura contemporanei, sono sempre in grado di mostrare la loro attualità.
Vediamo brevemente in che modo.
In uno dei suoi ultimi libri, il grande filosofo cattolico Jean Guitton con molta autoironia descrive la sua morte, i suoi funerali e il giudizio di Dio sulla sua vita. Immagina che la sua anima, separata dal corpo, dialoghi con filosofi, poeti, papi, politici. Nel dialogo che riguarda l’amore, in cui Guitton conversa con sua moglie e il poeta Dante, troviamo questa geniale affermazione: «Alcuni si sposano perché si amano, altri finiscono per amarsi perché sono sposati. È meglio che in ogni matrimonio ci siano l’uno e l’altro. “Perché si finisce per amarsi, una volta sposati? È forse il bisogno di conservare la piega che abbiamo preso?”» chiede Guitton. Sua moglie risponde: «“Ci deve essere dell’altro, se si tratta di amore”. “Marie-Louise, qual è quest’altra cosa?”. “Deve riguardare il tempo e l’eternità”»14. Non esiste amore che non implichi il desiderio del “per sempre”. Ce lo dice il fenomeno dell’innamoramento, quando è ascoltato in tutta la sua serietà. Fa parte dell’esperienza di chi ama voler consegnare tutto se stesso senza limiti temporali. Ed è proprio dell’esperienza di chi è amato desiderare che l’amore che lo abbraccia non abbia mai fine. Nel mio compito pastorale mi rivolgo sempre ai giovani in questo modo: “Vi sfido se siete autenticamente innamorati, a dire “ti amo” senza aggiungere “per sempre”. Il “per sempre” fa parte essenzialmente dell’amore. Il genio di Shakespeare lo ha messo in evidenza nel versetto fulminante di un sonetto: «Amore non è amore / se muta quando nell’altro scorge mutamenti / o se tende a recedere quando l’altro si allontana»15.
Se questo è vero per ogni esperienza di sincero innamoramento, tanto più il per sempre dovrà essere presente nell’amore dei coniugi e dei coniugi cristiani.
…
Da quanto detto si capisce meglio cosa intende la Chiesa quando ripropone l’ingiunzione del Signore «quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6). Il versetto ricorda che la decisione umana per l’amore realizza la volontà di continuare l’opera di Dio che ci ha creati maschio e femmina. Al contrario di quanto parte della cultura contemporanea sembra suggerire, l’unione per sempre non è un peso inflitto alla nostra libertà, ma una condizione per poterla mettere in atto. L’indissolubilità rappresenta infatti la possibilità che la libertà si compia, che il desiderio di essere amato e di amare trovi soddisfazione fino a rendere trasparente il disegno originario del Padre sul matrimonio. Tutto questo non è il risultato di una capacità etica superiore degli sposi. Tale pienezza è possibile solo se marito e moglie vivono quotidianamente il proprio rapporto come sacramento, come forma concreta del loro essere Chiesa domestica. A questo livello si capisce quanto sia importante nella vita dei coniugi un’intensa vita sacramentale e una continua ripresa della consapevolezza del proprio battesimo e della propria appartenenza a Cristo. E intorno a questo centro, è offerta la grande possibilità della dedizione vicendevole mediante l’esperienza del perdono16.
c) Fecondità
Per scoprire dove conduce l’amore preso nella sua integralità occorre tornare alla sua origine. Per capire cioè il terzo fattore del mistero nuziale, la fecondità – che è l’esito a cui tende il dono di sé – dobbiamo ripartire dal primo fattore: la differenza sessuale. Ricordiamo che questa dice che l’io è strutturalmente riferito al tu. L’apertura all’altro è costitutiva dell’identità della persona. Lo sposo e la sposa che, in virtù della differenza sessuale, si donano reciprocamente, diventano una carne sola e si spalancano alla procreazione del figlio. Proprio perché fin dentro l’unione coniugale i due non si fondono in un’unità che ingloba entrambi, ma esprimono una piena comunione pur restando persone differenti, essi fanno posto al terzo. A questo proposito il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar ha potuto genialmente affermare che «l’atto dell’unione di due persone nell’unica carne e il frutto di questa unione dovrebbero essere considerati insieme saltando la distanza nel tempo»17. Questa affermazione rende ragione della forza profetica di Humanae vitae. La procreazione del figlio, che implica l’affascinante avventura educativa, esprime il significato pieno del matrimonio18.
Mi preme aggiungere, per inciso, che anche nei matrimoni misti e in quelli interreligiosi se gli sposi sono resi consapevoli delle difficoltà e rispettano fino in fondo quanto stabilito a livello canonico è possibile una profonda esperienza dell’amore coniugale.
Positivo il bilancio della visita del Papa in Porogallo. Forzata la interpretazione del mistero di Fatima sulla pedofilia. Notevole per interesse il discorso al mondo della cultura. Il Vescovo di Vienna inopportuno – bilancio con Massimo Introvigne, di Bruno Volpe – dal sito Pontifex.roma.it
Con il noto sociologo ed esperto di fatti della Chiesa, professor Massimo Introvigne, persona seria e di assoluto valore, stiliamo un bilancio del recente pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI in Portogallo. Afferma Introvigne: " se guardiamo solo alle masse di gente presente, allora dovremo esaltarci, ma questo sentimento non fa parte del bagaglio di una valutazione obiettiva e ponderata". E allora?: " come al solito, ma si tratta di vezzo antico e forse non limitabile, i mezzi di comunicazione,nella loro maggioranza e tolgo lei di mezzo in quanto ho notato un certo equilibrio, si sono limitati a vedere il presunto riferimento del Papa alla pedofilia come chiave di lettura o una possibile chiave, del segreto di Fatima. Bene, intanto il Papa mai ha pronunciato la parola pedofilia, ma neppure ritengo che ad essa si riferisse o comunque che fosse un lato marginale". E allora?: " quando il Papa parla di scandali o sporcizia ... e peccato all' interno della Chiesa, più verosimilmente pensa ad erori dottrinali gravi, alle stravaganti interpretazioni di uomini di chiesa o teologi, ad un determinato dissenso teologico che alla fine dei conti crea confusione e sconcerto, proprio in quella che lui definisce la fede dei semplici". Poi afferma: " sempre in tema di semplificazione e ovviamente di vendita di copie, i media hanno calcato la mano sulla pedofilia, ma la mia valutazione é che il discorso più elevato del Papa sia stato quello rivolto al mondo della cultura, un testo di eccellente livello e degno degli scritti migliori".
In che cosa lo trova tanto interessante?: " con abilità, il Papa affronta il delicato rapporto tra modernità e tradizione, particolarmente attuale dopo il Vaticano II. Alcuni, della modernità hanno fatto un totem, ma non vi é modernità senza salvaguardare la tradizione, e la tradizione, fine a sé stessa, non ha di per sé ugualmente senso. La via giusta, dunque, é la modernità nella scia della tradizione, ovvero la ermeneutica della continuità che rappresenta una giusta e seria chiave di lettura del Vaticano II, concilio che va letto appunto come seguito e non rottura nella storia della Chiesa".
Intanto prima del viaggio si é scatenata una antipatica polemica con le dichiarazioni del Vescovo di Vienna sul conto del cardinal Sodano: " alcune volte i giornalisti non rendono un buon servizio alla Chiesa, stuzzicando vescovi e cardinali con domande anche insidiose e pronti a farli cadere in frasi ad effetto, utili ai titoli. Il loro é un discorso legittimo e di rispetto del lavoro. Credo che la Santa Sede affronterà il problema e lo deve fare a breve, prendendo delle decisioni. Penso che senza alcuna prova data, quelle dichiarazioni del Vescovo di Vienna siano per lo meno imprudenti, evitabili ed anche inopportune nel momento e nella forma".
Bruno Volpe
CROWLEY E LAVEY: STORIA DI DUE SATANISTI - Don Marcello Stanzione – dal sito Pontifex.Roma.it
Due sono le figure storiche fondamentali per la cultura satanista: Alaister Crowley (1875-1947) e Anton LaVey (pseudonimo di Howard Stanton Levey; 1930-1997). Croxley è considerato il “padre” del satanismo moderno. Eppure, era ateo. Non credeva in Dio, né nel diavolo. I principali interessi della vita di Aleister Crowley furono la droga e la “magia sessuale”, una pratica che riunisce erotismo ed esoterismo. Crowley viaggiò molto e per un certo periodo visse anche in Italia. A Cefalù, in Sicilia, fondò l’abbazia di Thelema, dove praticò la magia e fu anche accusato di fare sacrifici umani. E’ interessante notare che tutte le donne della sua vita morirono suicide o fecero lo stesso una brutta morte. Per questa ragione, venne espulso dal regime fascista. In seguito si lasciò consumare dalla droga e da uno stile di vita trasgressivo che lo portò alla morte, in Inghilterra, nel 1947. Il motto di Aleister Crowley era “Fai ciò che ...
... vuoi”, un invito a vivere senza regole e senza limiti. Ed è proprio questa l’essenza del satanismo. La stessa filosofia di vita si trova in un’altra celebre espressione di Crowley, tratta dal suo libro Liber Oz: “Non c’è altro dio che l’uomo. L’uomo ha diritto di vivere secondo la sua stessa legge”. Il “Fai ciò che vuoi” di Crowley rappresenta l’eterna presunzione dell’uomo che vuole mettersi al posto di Dio e diventare dio in se stesso. Anton LaVey, definito il “Papa Nero”, fonda la Chiesa di Satana. È autore di vari libri che costituiscono il punto di riferimento per la cultura satanista (per esempio La Bibbia di Satana, Il libro completo della Strega, I rituali satanici, etc.). All’interno della Chiesa di satana vengono eseguiti “sacramenti satanici”: battesimo, matrimonio, funerale e altre cerimonie tra le quali riveste notevole importanza la “messa nera” che si traduce in una trasposizione blasfema della celebrazione cattolica.
La Chiesa di satana, che è nata nel 1966 a San Francisco, si presenta come una vera e propria istituzione religiosa e i responsabili di questa organizzazione non commettono reati, non fanno sacrifici umani e non praticano la violenza sessuale, ma si limitano a diffondono la loro ideologia satanica. La Chiesa satanica non commette reati, però promuove un’ideologia negativa; infatti basta leggere i “nove comandamenti satanici”:
Satana rappresenta l’abbandonarsi al piacere invece dell’astinenza!
Satana rappresenta l’esistenza vitale, invece di illusioni spirituali!
Satana rappresenta la pura verità, invece di ipocriti autoinganni!
Satana vuol dire bontà verso coloro che la meritano, invece di amore sprecato per gli ingrati!
Satana rappresenta la vendetta, invece di porgere l’altra guancia!
Satana significa dare responsabilità a chi è responsabile, invece di preoccuparsi per i vampiri della psiche!
Satana significa che l’uomo è semplicemente un altro animale, a volte migliore, più spesso peggiore di quelli che camminano a quattro zampe, il quale in grazia del suo “sviluppo divino, spirituale e intellettuale”, è diventato più crudele degli animali.
Satana rappresenta tutti i cosiddetti peccati, poiché essi conducono tutti a una gratificazione fisica, mentale o emotiva!
Satana è stato il migliore amico che la Chiesa abbia mai avuto, visto cheha fatto fare affari per tutti questi anni.
Questi sono gli insegnamenti della Chiesa di Satana. Oltre all’esaltazione del peccato, l’elemento più terribile dei nove “comandamenti” è senz’altro l’invito alla vendetta, che è l’opposto del perdono cristiano. Sull’origine del fenomeno satanico vi è il parere discorde dei vari gruppi di satanisti, il Tempio di Satana in particolare, che propone un “distinguo” tra origine del Satanismo e di Satana.
Si riconduce lo stereotipo di Satana all’epoca egizia; il modello più antico del Principe delle Tenebre è individuabile in Seth (3.200 a.C.) “considerato l’archetipo dell’autoconsapevolezza, dell’estensione dell’esistenza e della rinascita interiore dell’essere”.
In un’epoca successiva, vicina al declino dell’Impero Romano, Satana fu rappresentato come Pan, dio greco del terrore, divenendo così quel Diavolo attualmente conosciuto. Partendo da una visione religiosa monoteista, Seth e quindi, successivamente, Satana, rappresentò il Male per eccellenza e assorbì tutti i principi negativi dai quali la “brava gente” avrebbe dovuto astenersi.
Il pensiero satanista presuppone che Satana non sia una mera invenzione biblica. Di Satanismo si può discutere in epoca tardomedioevale, quando si è parlato di Satana ed ha preso forma il “Satanismo Tradizionalista”, annunciando un periodo di “terrore delle chiese bianche”. In epoche precedenti, al massimo, si sarebbe potuto trattare di “setismo”.
Don Marcello Stanzione