lunedì 8 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci -Allora parliamo davvero di sesso. E Paradiso. - Antonio Socci Da “Libero” 7 novembre 2010
2)    PAPA: SVILUPPI MEDICINA NON VADANO CONTRO RISPETTO DIGNITA' UMANA - (ASCA) - Citta' del Vaticano, 7 no
3)    DISCORSO DI BENEDETTO XVI ALL'ISTITUTO “NEN DÉU” - Nel viaggio apostolico in Spagna
4)    La maestosa chiesa è il frutto della pietà e delle offerte di tutti i catalani, dei ricchi come dei più poveri - La Sagrada Familia monumento di fede - Oggi il Papa la consacra. Si «completa» la basilica, fatta anche del sangue dei costruttori - Da Barcellona Davide Rondoni © Copyright Avvenire, 7 novembre 2010
5)    Il rito e i suoi fatti psichici di Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 1 novembre 2010, www.ilmattino.it
6)    La bellezza come pellegrinaggio. Benedetto XVI a Santiago de Compostela e Barcellona pubblicata da Massimo Introvigne il giorno lunedì 8 novembre 2010
7)    Quanto vale un pezzo di vetro Pigi Colognesi - lunedì 8 novembre 2010 – il sussidiario.net
8)    PAPA/ Benedetto rompe gli schemi: il futuro della fede passa dalla Spagna Redazione - lunedì 8 novembre 2010 – il sussidiario.net
9)    Lunedì 08 novembre 2010 - Il Papa sfida Zapatero sul matrimonio naturale di Andrea Tornielli


Lo Straniero - Il blog di Antonio Socci -Allora parliamo davvero di sesso. E Paradiso. - Antonio Socci Da “Libero” 7 novembre 2010

“Che bello! E’ il teletrasporto!”. Così esclamò mio figlio, dodicenne, appassionato di tecnologie, fantascienza, computer, effetti speciali (va matto per il 3D).

Ma espresse quella sua meraviglia dopo avermi sentito parlare non di tecnologia, bensì di San Tommaso d’Aquino che stavo leggendo per un mio libro su Giovanni Paolo II.

Precisamente stavo chiacchierando con amici delle pagine in cui Tommaso illustra come saremo dopo la resurrezione dei corpi. Dicevo che avranno “sottilità e agilità”, cioè, pur essendo effettivamente di carne, non saranno più sottoposti ai limiti di tempo e di spazio come oggi, ma saranno sotto il perfetto dominio dallo spirito, dell’anima, della mente (e per questo saranno immortali).

Quindi – fra l’altro –potremo spostarci semplicemente col pensiero, superando qualsiasi barriera fisica o distanza (come riferiscono i vangeli di Gesù dopo la sua resurrezione).

Che la nostra futura “agilità” sia la realizzazione dell’odierno sogno (scientifico e fantascientifico) del teletrasporto – come dice mio figlio – non ci avevo pensato, ma è divertente da considerare.

In fondo i fenomeni di bilocazione che sono testimoniati nella vita di alcuni santi, come padre Pio, sono albori del giorno della gloria.

Rivelazione

La questione dei “corpi gloriosi” è in effetti assai poco conosciuta e anche assai poco spiegata dalla Chiesa. Sembra quasi “un tema teologico congelato” come ha scritto il filosofo Giorgio Agamben.

Invece è straordinariamente affascinante e opportunamente il numero appena uscito di “Civiltà Cattolica” gli dedica un saggio di padre Mario Imperatori, il quale critica l’unilaterale predicazione della sola salvezza dell’anima, da parte dei cristiani, sottolineando la necessità di annunciare (più giustamente e completamente) la resurrezione dei corpi.

La mentalità dei credenti è ancora molto gravata e inquinata dall’antico dualismo platonico che contrappone anima e corpo. Ma questo è l’opposto del cristianesimo, ha spiegato il grande Tommaso d’Aquino, che “in senso espressamente antispiritualista” fonda la teologia sulla Scrittura anziché su Platone. Il cristianesimo infatti non annuncia che esiste Dio, ma che Dio si è fatto carne, che è per noi morto e risorto nella sua stessa carne.

Ecco perché in queste pagine di Tommaso, riproposte dalla rivista dei gesuiti, non c’è nulla della paura del corpo e della sessualità che a volte ha connotato certi ambienti religiosi, più platonici che cristiani. C’è invece in Tommaso la straordinaria esaltazione del corpo e della sessualità umana.

Il senso del sesso

Visto il gran parlare (ossessivo e malato) che si fa di sesso e di corpi, su giornali e tv, vista la tracimazione della questione sessuale nel dibattito pubblico e anche nelle vite private, è veramente interessante leggere queste pagine per sondare fino in fondo che senso abbia il misterioso intrico dei nostri corpi, questa oscura sete di infinito che rende febbrile la carne, questo spasmodico desiderio del piacere che è al tempo stesso un modo per esorcizzare l’invecchiamento e la morte e una ricerca inconsapevole dell’estasi.

Come lo è la droga, che fornisce un’illusione di estasi “liberando” dai limiti e i dolori del corpo.

Noi infatti come sentiamo il corpo? Oscilliamo tra due estremi: da un lato è percepito come una fonte di piacere che diventa perfino ossessiva, totalizzante.

Dall’altra come un limite doloroso, una prigione da cui sfuggire e – in fondo – la fuga rappresentata dalle droghe o dall’alcol, pur diversissima, persegue lo stesso obiettivo cercato dalle religioni orientali.

Invece san Tommaso indica nella rivelazione cristiana la via (l’unica via) della felicità del corpo e dell’anima. Contemporaneamente. Quella felicità piena che sembrerebbe impossibile, quel piacere – anche dei sensi – che non finirà mai.

Ma andiamo con ordine, seguendo le interessanti pagine della rivista dei gesuiti.

Tommaso d’Aquino anzitutto mostra che nello stato originario, la sessualità di Adamo ed Eva – diversamente dalla nostra – era sottoposta alla ragione “il cui ruolo non era affatto quello di reprimere il piacere dei sensi che, al contrario, ne sarebbe risultato addirittura maggiorato”.

Si può fare un paragone per capirci: una persona in condizioni normali, di sobrietà, può gustare e godere di un ottimo vino molto più di un ubriaco che neanche si accorge più della qualità di ciò che beve.

Nel primo caso il piacere è maggiorato, nel secondo caso il consumo è compulsivo, malato e fa star male. E’ questa la conseguenza del peccato originale che ha sottratto il corpo al dominio dell’anima (e l’ha esposto fra l’altro alla malattia e alla morte).

Tommaso afferma peraltro che nell’uomo “l’anima è l’unica forma del corpo” e ciò significa che niente di quel che l’uomo fa è puramente animale, puramente biologico.

Né il mangiare e bere, né l’accoppiamento sessuale. Diversamente dall’animale, che semplicemente esaudisce un bisogno fisico, l’uomo ha dentro una domanda, una mancanza esistenziale, un desiderio di infinito che spiega perché è sempre insoddisfatto e perché nessun “consumo”, nessun possesso, lo appaghi.

La sua è una “fame” assai superiore al bisogno biologico. Infatti nasce dalla testa.

Tommaso trae un’ulteriore conseguenza dalla sua affermazione: la separazione di corpo e anima è “contro natura”. E la loro riunione, con la resurrezione finale, farà sì che godremo molto di più il piacere del Paradiso o soffriremo molto di più le pene dell’inferno, perché percepiremo il piacere o la sofferenza con tutti i nostri cinque sensi.

Il Sommo Piacere

Per questo – come scrive san Paolo – il nostro stesso corpo geme nell’attesa della piena redenzione, o del “sommo piacere”, come dice Dante. Infatti parteciperemo con il corpo stesso alla vita di Dio. E’ quello che la teologia ortodossa chiama “divinizzazione”. I padri della Chiesa ripetono: “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventasse Dio”. Un destino dunque che – per grazia – è superiore addirittura a quello degli angeli.

I risorti saranno sempre fisicamente maschi e femmine, infatti Tommaso nega la presunta supremazia del maschio e – diversamente da quanto crede Aristotele – afferma che la donna non è affatto un uomo mancato, ma è opera di Dio pari all’uomo e la diversità dei loro corpi appartiene al disegno della creazione.

Anzi è un riflesso di quell’unità nella distinzione che connota le persone divine della Trinità.

Quindi la bellezza femminile, come pure la bellezza maschile, saranno parte della beatitudine eterna. Nei beati ci sarà un vero e proprio “splendore corporale”. Una bellezza tanto maggiore quanto più luminosa è l’anima.

Essi potranno vedere la divinità, cioè godere del “Sommo bene”, nei suoi effetti corporali “soprattutto nel corpo di Cristo, poi nel corpo dei beati e finalmente in tutti gli altri corpi”.

Questa “profonda associazione del corpo umano all’eterna beatitudine” è la sua inimmaginabile esaltazione. I risorti, maschi o femmine – dice Tommaso – “si serviranno dei sensi per godere di quelle cose che non ripugnano allo stato di in corruzione”.

Inimmaginabile beatitudine

Se qualcuno si poneva la domanda sul Paradiso e sul piacere sessuale, come lo conosciamo quaggiù sulla terra, avrà già trovato la risposta.

Ma – per chiarire meglio – la rivista gesuita riporta una fulminante pagina del filosofo ebreo-francese (e convertito) Hadjadj: “Tramite il sesso vogliamo essere sconvolti dall’anima. I genitali erano soltanto il mezzo difettoso di questa penetrazione dell’altro fino all’impenetrabile.

Con la risurrezione, a partire da un’anima che la visione beatifica di Dio fa ricadere sul corpo, è l’intera carne che possiede la penetrabilità fisica dell’altro sesso e l’impenetrabilità spirituale dello sguardo (…).

Inutile quindi unire le parti basse. L’intensità dell’amplesso e l’altezza della parola si sposeranno con questi corpi profondi all’infinito.

Le carni potranno unirsi senza riserve in un bacio di pace, che sarà altresì un inno lacerante al Salvatore”.

E’ il Paradiso.


PAPA: SVILUPPI MEDICINA NON VADANO CONTRO RISPETTO DIGNITA' UMANA - (ASCA) - Citta' del Vaticano, 7 nov
''E' esigenza dell'essere umano che i nuovi sviluppi tecnologici nel campo medico non vadano mai a detrimento del rispetto per la vita e la dignita' umana, in modo che coloro che soffrono malattie o disabilita' psichiche o fisiche possano ricevere sempre quell'amore e quelle attenzioni che permettano loro di sentirsi valorizzati come persone nelle loro necessita' concrete''. Lo ha detto papa Benedetto XVI nel discorso tenuto oggi pomeriggio all'Istituto per bambini ''Obra Nen De'u'' di Barcellona. ''Nella cura dei piu' deboli - ha aggiunto il pontefice -, molto hanno contribuito i formidabili progressi della sanita' negli ultimi decenni, che sono stati accompagnati dalla crescente convinzione dell'importanza che ha, per il buon risultato del processo terapeutico, un rapporto umano attento''.
© Copyright Asca


DISCORSO DI BENEDETTO XVI ALL'ISTITUTO “NEN DÉU” - Nel viaggio apostolico in Spagna

BARCELLONA, domenica, 7 novembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato questa domenica pomeriggio da Papa Benedetto XVI nella sua visita all'“Opera Benefico-Sociale del Nen Déu”, istituzione che si dedica all'assistenza di bambini malati e bisognosi.
* * *
In spagnolo:
Signor Cardinale Arcivescovo di Barcellona,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Cari sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi,
Distinte Autorità,
Cari amici,
Provo grande gioia nel poter essere qui con tutti voi, che formate questa più che centenaria Opera Benefico-Sociale del Nen Déu [Divino Infante]. Ringrazio, per il cordiale benvenuto che mi hanno offerto, il Cardinale Lluís Martínez Sistach, Arcivescovo di Barcellona, Suor Rosario, Superiora della Comunità, i bambini Antonio e María del Mar, che hanno preso la parola e tutti quelli che hanno così meravigliosamente cantato.
In catalano:
Esprimo la mia gratitudine anche ai presenti, in particolare ai membri del Patronato dell’Opera, alla Madre Generale e alle Religiose Francescane dei Sacri Cuori, ai bambini, giovani e adulti accolti in questa istituzione, ai loro genitori e agli altri famigliari, così come al personale e ai volontari che qui esercitano il loro benemerito lavoro.
Vorrei, allo stesso tempo, manifestare la mia riconoscenza alle Autorità, invitandole a prodigarsi perché i più svantaggiati siano sempre raggiunti dai servizi sociali, e a coloro che sostengono con il loro generoso aiuto entità assistenziali di iniziativa privata, come questa Scuola di Educazione Speciale del Nen Déu. In questi momenti, in cui molte famiglie sperimentano serie difficoltà economiche, dobbiamo moltiplicare, come discepoli di Cristo, i gesti concreti di solidarietà, tangibile e continua, mostrando così che la carità è il distintivo del nostro essere cristiani.
In spagnolo:
Con la dedicazione della Basilica della Sacra Famiglia, si è posto in rilievo questa mattina che l’edificio sacro è segno del vero santuario di Dio tra gli uomini. Ora voglio sottolineare come, con lo sforzo di questa e altre analoghe istituzioni ecclesiali – a cui si aggiungerà la nuova Residenza che avete desiderato portasse il nome del Papa – si mostra chiaramente che, per il cristiano, ogni uomo è un vero santuario di Dio, che deve essere trattato con sommo rispetto e affetto, soprattutto quando si trova nel bisogno. La Chiesa vuole così realizzare le parole del Signore nel Vangelo: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40). In questa terra, queste parole di Cristo hanno spinto molti figli della Chiesa a dedicare la propria vita all’insegnamento, alla beneficienza o alla cura dei malati e dei diversamente abili. Ispirati dal loro esempio, vi chiedo di continuare a soccorrere i più piccoli e bisognosi, dando loro il meglio di voi stessi.
Nella cura dei più deboli, molto hanno contribuito i formidabili progressi della sanità negli ultimi decenni, che sono stati accompagnati dalla crescente convinzione dell’importanza che ha, per il buon risultato del processo terapeutico, un rapporto umano attento. Perciò, è esigenza dell’essere umano che i nuovi sviluppi tecnologici nel campo medico non vadano mai a detrimento del rispetto per la vita e la dignità umana, in modo che coloro che soffrono malattie o disabilità psichiche o fisiche possano ricevere sempre quell’amore e quelle attenzioni che permettano loro di sentirsi valorizzati come persone nelle loro necessità concrete.
Cari bambini e giovani, mi congedo da voi rendendo grazie a Dio per le vostre vite, così preziose ai suoi occhi, e assicurandovi che occupate un posto molto importante nel cuore del Papa. Prego per voi tutti i giorni e vi chiedo di aiutarmi con la vostra preghiera a compiere con fedeltà la missione che Cristo mi ha affidato. Non tralascio inoltre di pregare per coloro che sono al servizio di chi soffre, lavorando instancabilmente perché le persone con disabilità possano occupare il loro giusto posto nella società e non siano emarginate a causa delle loro limitazioni. A questo proposito, vorrei riconoscere, in modo speciale, la testimonianza fedele dei sacerdoti e di coloro che visitano i malati nelle loro case, negli ospedali e in altre istituzioni specializzate. Essi incarnano l’importante ministero della consolazione di fronte alle fragilità della nostra condizione, che la Chiesa cerca di compiere con gli stessi sentimenti del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37).
Per intercessione di Nostra Signora della Mercede e della Beata Madre Carmen di Gesù Bambino, Dio benedica tutti voi che formate la grande famiglia di questa splendida Opera, come anche i vostri cari e coloro che cooperano con questa o con simili istituzioni. Di ciò sia pegno la Benedizione Apostolica, che cordialmente imparto a tutti voi.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


La maestosa chiesa è il frutto della pietà e delle offerte di tutti i catalani, dei ricchi come dei più poveri - La Sagrada Familia monumento di fede - Oggi il Papa la consacra. Si «completa» la basilica, fatta anche del sangue dei costruttori - Da Barcellona Davide Rondoni © Copyright Avvenire, 7 novembre 2010

Barcellona ha una luce di Napoli, di Genova, di Pisa. Affollata, sorridente. Ma non è un posto tranquillo. Ha grandi ombre, e rapide serpi di nervosismo filano sulle tempie e sugli occhi. La storia della Sagrada Familia è un inno dove il dolore e la bellezza salgono insieme. La croce è segno totale per Gaudí, fonda il cosmo nella unità di dolore e resurrezione. Barcellona è piena di gente che viene qui per la fiera nautica, per il 'mito' della città sul mare. Per visitare il museo e i negozi del Barça al Camp Nou. Anche mio figlio Bartolomeo di quindici anni ci si infila dentro, e io con lui. Dicono che il museo di Messi e co. è uno dei monumenti più visitati di Spagna. Carlotta, invece, non vede l’ora di percorrere le ramblas. Le immagina come viali pieni di maghi, artisti, giocolieri. Barcellona ha pensato bene di fare sciopero in alcune linee importanti di metropolitana. Sarà più chiassosa e intasata che mai. C’è il Papa e c’è la festa per la Sagrada Familia. Ci sono state polemiche, magliette idiote, offensive, lo stanco corteo di polemiche che non sa più come fare a rendere odioso una persona, il Papa, che non lo è. Qui, in mezzo al traffico di Barcellona, io a occhi chiusi penso che se non ci fosse stata Isabel non ci sarebbe stata la Sagrada Familia. Isabel è il nome di una ancora non precisata benefattrice che mise in grado Gaudí di fare quel che aveva in cuore.
Senza di lei e la iniziale, decisiva sua donazione pudica e maestosa, il giovane architetto di 31 anni non avrebbe potuto deviare dal corso tracciato dal primo incaricato di costruire sul terreno dove sorgeva un ippodromo questa cattedrale della pietà e della espiazione. Grazie alla fede e al gesto di Isabel, Gaudí deviò nei cieli della sua immaginazione. Poté farlo perché i catalani riconoscevano in questa opera una opera comune. Davano soldi le ricche dame come Isabel, le vedove di possidenti latinoamericani, o poveracci che venivano a muovere pietre e a fare da modelli gratis.
Il movimento di cui Gaudí è stato fiore e interprete ha radici profonde. Un vescovo come De Urquinaoma e altri esponenti di un cattolicesimo attento ai bisogni dei nuovi poveri vollero questa opera corale, che mentre cresceva dava da lavorare, faceva sorgere accanto a sé scuole per i figli degli operai, costituiva un centro propulsore di devozione e una casa di carità e di bellezza.
Gaudí a 31 anni era già nel giro degli architetti che contano. Da allora non cessa di mettere a disagio – tra ammirazione e polemiche – gli architetti di ogni parte del mondo. Barcellona aveva anche allora questa luce da Napoli, da Genova, da Pisa. E aveva come ora grandi ombre.
Un libro appena edito da Jaca Book – curato, tra gli altri, da Maria Antonietta Crippa – ci racconta e ci fa vedere la vicenda della Sagrada Familia che è molto più di un romanzo. Ci fu l’impeto iniziale, la polemica rinuncia del primo architetto (avevano in mente una cosa tipo il Sacro Cuore di Montmartre, a Parigi, sorta pochi anni prima con lo stesso metodo di sottoscrizione popolare e per espiazione in un’epoca dura per la fede). E poi ci fu il genio rampicante, vegetale e arioso di Gaudí. Uno che mai separò la fede dall’ispirazione. Che finì la vita dormendo nel ventre della sua creatura che stava crescendo. E morì per le ferite che gli procurò una carrozza di tram investendolo una sera, mentre andava a Messa. Lo cercavano, lo avevano ricoverato in una corsia affollata di poveracci, andava in giro con una vestaglia e in ciabatte. Il mondo era la sua casa. Era il ’26. Aveva chiesto soldi a tutti, c’era crisi. I suoi amici si diedero un gran daffare. Dopo furono incendi, persecuzioni.

Durante la guerra civile tra repubblicani e franchisti – il regime poi provò a usare la Sagrada Familia, ma di fatto non ne favoriva la edificazione – negli anni ’37-’39 ci furono dodici uccisi tra le file dei continuatori e aiutanti di Gaudí. Insieme a Isabel e a Antoni, oggi fanno festa anche don Gil, Consol, Clodomir, don Anton, Ramon suo fratello, Ramon B., Frances Xavier, Francese de Paula, don August J, Francese e Mercé Dieguez e altri di cui nessuno sa il nome, ma il cui destino, il cui sangue e la cui possibile santità è legata a questa supplica di pietra e di luce che oggi grida nel lembo estremo d’Europa.
Anche il successore di Gaudí nella guida della fabbrica, Dominich Sugranyes fu di fatto vittima della violenza. Di fronte all’incendio che i gruppi di comunisti e di anarchici avevano compiuto nella Sagrada Familia mormorò: «Ormai tutto è perduto », e morì di crepacuore qualche settimana dopo. Ma nella luce di Barcellona, invece, la chiesa ha continuato a salire. I catalani hanno ridato soldi. Il popolo e i signori. I fedeli e quelli con una fede così così. A dispetto di intellettuali alla moda e di polemiche. Un esempio di arte totale. Quella che negli stessi anni di Gaudí un altro testimone cristiano, Pavel Florenskij, di cui arrivano nuovi scritti ora in Italia per Mondadori grazie alla bella cura di Natalino Valentini, metteva al centro della sua riflessione. Anche lui vedeva nel Monastero della Trinità e di San Sergio quel che è diventata la Sagrada Familia: «Una sorta di stazione sperimentale, di laboratorio per lo studio dei problemi più importanti dell’estetica contemporanea».
Barcellona ha una luce da Napoli, da Genova. Da fine del mondo. Ha molte ombre. E ora la sua Sagrada Familia – monumento e simbolo – viene abitato dalla Messa. Dall’evento del Dio che ci fa carne. Benedetto XVI è venuto a deporre al centro della chiesa e della sua storia di luci e di ombre il corpo di Dio che si fa cibo. Lo scandalo e la tenerezza cristiana. Fino a ieri e per sempre l’opera di Gaudì, di Isabel e dei loro amici sarà uno spettacolare monumento di bellezza tra le luci e le ombre di Barcellona e del mondo. Ma oggi la Sagrada Familia è anche una cesta, una tavola, quasi una gavetta, panierino, un fazzoletto annodato, un sacchetto di carta. Oggi qui non solo si ammira con sgomento e umiltà lo slancio dell’uomo all’infinito e la fioritura dei simboli cristiani, ma ci si nutre. Ora è un posto dove l’infinito diviene corpo, e Dio si fa pasto per ogni nostra sperduta e profondissima fame.


Il rito e i suoi fatti psichici di Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 1 novembre 2010, www.ilmattino.it

La «società liquida», senza forme, dove ogni comportamento sembra possibile e lecito, ha fame di riti. Delusa da quelli sbiaditi proposti spesso nelle Chiese, la gente li cerca in Oriente, o da sciamani o santoni improvvisati. Il grande antropologo Julien Ries parla del «bisogno di sacro» che caratterizza questo millennio. Papa Ratzinger ha così deciso che le sue Opere complete comincino dall’undicesimo volume «Teologia della liturgia», dedicato proprio alla liturgia, e ai suoi riti.
Com’è lontano il modo di sentire del secolo scorso, quando Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, accomunava (nel 1907) nevrosi e religione proprio perché il rito (ad esempio lavarsi le mani, modo di camminare, portamento, dizione), era centrale in entrambe le esperienze.
Per la verità le scienze umane del Novecento avevano poi rivisto la similitudine tra nevrosi e rito religioso avanzata da Freud, ormai popolare solo nelle riflessioni più superficiali delle tecnoscienze o dei dibattiti ateistici.
L’antropologia ad esempio ha dimostrato come nel rito appaiano bisogni e rappresentazioni non verbali, inconsce, che è possibile sperimentare solo attraverso i rituali delle liturgie. L’antropologia culturale, poi, ha notato come in ogni cultura i riti abbiano una funzione centrale nel proteggere l’individuo nei passaggi delle stagioni della vita (ad esempio dalla giovinezza all’età adulta), delle stagioni e fasi climatiche, dal celibato al matrimonio, e nell’avvicinarsi alla fine della vita.
Proprio nella terapia, però, si è osservata la funzione dell’esperienza religiosa, organizzata anche in precise liturgie, nell’aiutare lo sviluppo sano della psiche, ed evitare pericolosi «scompensi» nel procedere nella vita.
Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung, da «osservatore dei fenomeni della psiche» come si definiva, considerava gli «dei, demoni, ideali» dell’uomo come dei «fatti psichici». Ricordava, però, che l’uomo nella sua storia ha sperimentato così a lungo e intensamente la loro potenza sulla propria personalità «da giudicarli degni della più scrupolosa considerazione»: così nasce il rito. L’azione di questi fatti psichici, tradotti nelle forme liturgiche, è di tipo dinamico; particolarmente efficace insomma nell’organizzare i cambiamenti (i passaggi nelle diverse fasi della vita), o nel promuoverli nei momenti di stasi (dovuti a smarrimento, trauma, depressione od altre nevrosi).
Il rito raccoglie le forze dell’uomo affidandole ad un’Entità superiore che dia loro forma, coesione e direzione positiva; negarne il senso non tiene conto delle spinte verso la dissoluzione e la dispersione, la cui intensità aumenta nelle forme di vita più elevate e complesse, come quella umana.
La pietra non ha bisogno di riti, gli animali ne conoscono già di più, gli uomini ne hanno assoluto bisogno a meno di cadere nel marasma della «società liquida». Questo bisogno, ricorda Benedetto XVI nel suo libro, è centrale nei momenti di passaggio, individuali e collettivi.
Lo scopo dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto non è, inizialmente, raggiungere la Terra Promessa, ma l’adorare Dio, nel deserto, in modi che neppure Mosé inizialmente conosce, e gli verranno comunicati lungo il percorso, quando Dio farà conoscere i Comandamenti, e il popolo saprà come adorarlo. Solo dopo potrà arrivare alla propria Terra, e sarà libero.
Questo è il rito per ogni essere umano: l’apertura ad un Padre originario (che la psicologia chiama anche Sé), in cui troviamo forme e principi di comportamento e di direzione, indispensabili per trovare il nostro terreno esistenziale, personale e collettivo.


La bellezza come pellegrinaggio. Benedetto XVI a Santiago de Compostela e Barcellona pubblicata da Massimo Introvigne il giorno lunedì 8 novembre 2010

Il viaggio apostolico «breve ma intenso» (Benedetto XVI 2010b) che Benedetto XVI ha compiuto in Spagna il 6 e 7 novembre 2010 ha avuto, come il Pontefice ha spiegato, «due temi» (Benedetto XVI 2010a): «il tema del pellegrinaggio» (ibid.) e «il tema della bellezza» (ibid.). In primo luogo, il fatto che nel 2010 si celebri l’Anno Santo Compostellano – che, come sa chi percorre il Cammino di Santiago, ricorre negli anni in cui la festa dell’apostolo san Giacomo, 25 luglio, cade di domenica – e che per la basilica cattedrale metropolitana di Santiago sia imminente «l’anniversario degli ottocento anni dalla sua consacrazione» (Benedetto XVI 2010c), avvenuta nel 1211, ha spinto il Papa a «venire in pellegrinaggio alla casa del “Señor Santiago”» (ibid.), «pellegrino tra i pellegrini» (Benedetto XVI 2010d), e a riflettere in modo profondo sul tema dei pellegrinaggi in generale. In secondo luogo, la dedicazione – dopo 128 anni dall’inizio dei lavori, interrotti dalla morte dell’architetto, il servo di Dio Antoni Gaudí (1852-1926) di cui è in corso la causa di beatificazione – del tempio espiatorio della Sagrada Família, a Barcellona, che il Papa ha ora elevato al rango di basilica minore, conferma l’attenzione che il Papa porta a questa figura di «architetto geniale e cristiano coerente» (Benedetto XVI 2010e). Insieme, offre l’occasione a Benedetto XVI per ulteriori riflessioni sul tema a lui caro della bellezza e dell’arte. I due temi sono collegati: nel pellegrinaggio, infatti, si cammina sempre nella direzione di una qualche forma di bellezza.

1. La bellezza del pellegrinaggio

Perché il pellegrinaggio
Se Dio, come insegna anche ai bambini il catechismo, è in ogni luogo, perché andare in pellegrinaggio? «Contro il pellegrinaggio uno potrebbe dire: Dio è dappertutto, non c’è bisogno di andare in un altro luogo» (Benedetto XVI 2010a). Eppure, per un altro verso, il pellegrinaggio è inscindibile dall’atto di fede. L’Antico Testamento – ma anche il nuovo, che vi ritorna nella Lettera agli Ebrei – «dimostra che cosa sia la fede nella figura di Abramo» (ibid.). Ora, Abramo «esce dalla sua terra e rimane un pellegrino verso il futuro per tutta la sua vita» (ibid.). E anche per noi «questo movimento abramico rimane nell’atto della fede» (ibid.). Ciascuno di noi è pellegrino «soprattutto interiormente» (ibid.): «l’uomo è sempre in cammino, è alla ricerca della verità» (Benedetto XVI 2010b). E tuttavia il movimento «deve anche esprimersi esteriormente» (Benedetto XVI 2010a): dal momento che la nostra esperienza non è puramente intellettuale, è davvero necessario «qualche volta, uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo, uscire solo per essere realmente in cammino verso la trascendenza; trascendere se stesso, trascendere la quotidianità e così trovare anche una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, di identificazione di se stesso, di vedere l’altro, Dio» (ibid.).
Il pellegrinaggio non va dunque confuso con una gita. È molto di più. «Andare in pellegrinaggio non è semplicemente visitare un luogo qualsiasi per ammirare i suoi tesori di natura, arte o storia. Andare in pellegrinaggio significa, piuttosto, uscire da noi stessi per andare incontro a Dio là dove Egli si è manifestato, là dove la grazia divina si è mostrata con particolare splendore e ha prodotto abbondanti frutti di conversione e santità tra i credenti» (Benedetto XVI 2010c). In questo senso, il pellegrinaggio è parte dell’esperienza cristiana fin da tempi antichissimi. «I cristiani andarono in pellegrinaggio, anzitutto, nei luoghi legati alla passione, morte e resurrezione del Signore, in Terra Santa. Poi a Roma, città del martirio di Pietro e Paolo, e anche a Compostela, che, unita alla memoria di san Giacomo, ha accolto pellegrini di tutto il mondo, desiderosi di rafforzare il loro spirito con la testimonianza di fede e amore dell’Apostolo» (ibid.).

Il pellegrinaggio come testimonianza di fronte al «secolarismo aggressivo»
«Il pellegrinaggio riunisce» (Benedetto XVI 2010a), ed è anche una grande testimonianza collettiva di fronte a un mondo segnato dal laicismo, dal secolarismo e dall’anticlericalismo. È dunque provvidenziale che grandi pellegrinaggi come quello di Santiago portino centinaia di migliaia di pellegrini proprio in Spagna. «La Spagna è stata, da sempre, un Paese “originario” della fede» (ibid.), benemerito per la difesa e la diffusione della cultura e della civiltà cristiane. «Pensiamo che la rinascita del cattolicesimo nell’epoca moderna avviene soprattutto grazie alla Spagna; figure come sant’Ignazio di Loyola [1491-1556], santa Teresa d’Avila [1515-1582] e san Giovanni d’Avila [1499-1569]» (ibid.), ricordati proprio perché con loro inizia l’opera di resistenza cattolica alla modernità ostile alla Chiesa, senza dimenticare «[san] Giovanni della Croce [1542-1591], [san] Francesco Saverio [1506-1552]» (Benedetto XVI 2010b) e i numerosissimi santi e beati che più recentemente «nel secolo XX [hanno fondato] nuove istituzioni, gruppi e comunità di vita cristiana e di azione apostolica» (ibid.).
Tuttavia, «è ugualmente vero che in Spagna è nata anche una laicità, un anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo, come abbiamo visto proprio negli anni Trenta, e questa disputa, più questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna» (Benedetto XVI 2010a). L’accenno, forse poco politicamente corretto, al forte anticlericalismo degli anni della guerra civile spagnola e ai suoi martiri, si accompagna alla franca denuncia del fatto che questa ostilità alla Chiesa si manifesta in Spagna «oggi di nuovo». Il Papa definisce «una tragedia» (Benedetto XVI 2010d) il fatto che in Spagna e in Europa ci sia stato e ci sia chi a piene mani «diffonde la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua libertà» (ibid.).
Si rinnova così ancora oggi il dramma – che non ha affatto perso di attualità – denunciato dall’autore del Libro della Sapienza di «un paganesimo per il quale Dio è invidioso dell’uomo o lo disprezza» (ibid.). Ma di fronte a questa stoltezza dei vecchi pagani dell’Antico Testamento e dei nuovi pagani dell’Europa di oggi il Papa viene a porre ancora una volta le domande fondamentali, capaci di confondere ogni menzogna su Dio: «come Dio avrebbe creato tutte le cose se non le avesse amate, Lui che nella sua infinita pienezza non ha bisogno di nulla? (cfr Sap 11,24-26). Come si sarebbe rivelato agli uomini se non avesse voluto proteggerli? Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole. E, allora, com’è possibile che si neghi a Dio, sole delle intelligenze, forza delle volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra?» (ibid.).
Viviamo «in un’epoca nella quale l’uomo pretende di edificare la sua vita alle spalle di Dio, come se non avesse più niente da dirgli» (Benedetto XVI 2010e). Agli stolti di ieri e degli oggi Benedetto XVI ricorda che l’affermazione «semplice e decisiva» (ibid.), la quale ha fatto dell’«Europa che andò in pellegrinaggio a Compostela» (Benedetto XVI 2010d) quella che è, è «che Dio esiste e che è lui che ci ha dato la vita» (ibid.): «lo comprese bene santa Teresa di Gesù [d’Avila] quando scrisse: “Solo Dio basta”» (ibid.). Se vuole superare la sua attuale crisi d’identità, «l’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura» (ibid.). «È necessario che [il nome di] Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa» (ibid.). È necessario «avere cura di Dio e avere cura dell’uomo» (ibid.) – le due cose non possono che andare di pari passo –, e tornare al messaggio del venerabile «Giovanni Paolo II [1920-2005], che da Compostela [nel 1989] esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane» (Benedetto XVI 2010b).
Questo messaggio ispirato al venerabile Giovanni Paolo II su «una libertà che rispetta la verità e mai la ferisce» (ibid.), a fronte della minacciosa avanzata del secolarismo nella Spagna di oggi, non può rinunciare a intervenire su terreni concreti, chiedendo anzitutto che «la vita ricev[a] accoglienza dal suo concepimento fino al suo temine naturale» (Benedetto XVI 2010f). Nella Spagna del primo ministro socialista José Luis Rodríguez Zapatero, che propone di rendere più facile il ricorso all’aborto, Benedetto XVI chiede che «si difenda come sacra e inviolabile la vita dei figli dal momento del loro concepimento» (Benedetto XVI 2010e) Di fronte a proposte che vorrebbero legalizzare apertamente o surrettiziamente l’eutanasia, il Papa ricorda l’«esigenza dell’essere umano che i nuovi sviluppi tecnologici nel campo medico non vadano mai a detrimento del rispetto per la vita e la dignità umana, in modo che coloro che soffrono malattie o disabilità psichiche o fisiche possano ricevere sempre quell’amore e quelle attenzioni che permettano loro di sentirsi valorizzati come persone nelle loro necessità concrete» (Benedetto XVI 2010g). Nella Spagna del matrimonio omosessuale e dove non mancano voci perfino in favore della poligamia, il Papa afferma che la Chiesa «sostiene ciò che promuove l’ordine naturale nell’ambito dell’istituzione familiare» (Benedetto XVI 2010e), e che lo Stato deve riconoscere come «famiglia» (ibid.) quella dell’«uomo e la donna che si uniscono in matrimonio» (ibid.), quella fondata sull’«amore generoso e indissolubile di un uomo e di una donna» (ibid.).

Il vero spirito del Cammino di Santiago
Se ci sono tanti pellegrinaggi provvidenziali di fronte alla «sfida della laicità»  (Benedetto XVI 2010a), il Cammino di Santiago ha una sua specificità. Nei secoli, ha contribuito a creare «l’identità comune europea» (ibid.). I diversi «cammini di San Giacomo» (ibid.) che dall’Europa convergono su Santiago di Compostela «sono un elemento nella formazione dell’unità spirituale del Continente europeo» (ibid.). «Le strade che attraversavano l’Europa per raggiungere Santiago erano molto diverse tra loro, ciascuna con la propria lingua e le proprie peculiarità, ma la fede era la stessa. C’era un linguaggio comune, il Vangelo di Cristo. In qualsiasi luogo, il pellegrino poteva sentirsi come a casa sua. Al di là delle differenze nazionali, era consapevole di essere membro di una grande famiglia, alla quale appartenevano gli altri pellegrini e abitanti che incontrava sul suo cammino» (Benedetto XVI 2010h).
La «grande schiera di uomini e donne che, lungo i secoli, sono venuti a Compostela da tutti gli angoli della Penisola Iberica e d’Europa, e anzi del mondo intero, per mettersi ai piedi di san Giacomo e lasciarsi trasformare dalla testimonianza della sua fede» (Benedetto XVI 2010b) non si sono limitati a compiere un esercizio di pietà. Hanno costruito una cultura e hanno dato una nuova fisionomia alla Spagna e all’Europa. «Essi, con le orme dei loro passi e pieni di speranza, andarono creando una via di cultura, di preghiera, di misericordia e di conversione, che si è concretizzata in chiese e ospedali, in ostelli, ponti e monasteri. In questa maniera, la Spagna e l’Europa svilupparono una fisionomia spirituale marcata in modo indelebile dal Vangelo» (ibid.).
Solo riflettendo su una grande storia e su una «bella geografia» (ibid.) è possibile impregnarsi del «genuino spirito giacobeo, senza il quale si capirebbe poco o nulla di quello che qui [a Santiago de Compostela] si svolge» (ibid.), riducendo il Cammino a turismo o peggio ad avventura genericamente spirituale senza uno specifico contenuto cattolico, il che purtroppo oggi talora avviene. E tuttavia non si deve neppure credere che tutti coloro che non afferrano appieno le ricchezze dello spirito giacobeo quando percorrono il Cammino siano vittime di quella diffusa reinterpretazione dell’avventura di Santiago che la riduce a mero exploit atletico o la degrada a spiritualità sincretista e New Age. Molti non sono in grado di pensare questo spirito, ma lo percepiscono implicitamente almeno come nostalgia.
Lo spirito giacobeo «è quello che nel segreto del cuore, sapendolo esplicitamente o sentendolo senza saperlo esprimere a parole, vivono tanti pellegrini che camminano fino a Santiago di Compostela per abbracciare l’Apostolo. La stanchezza dell’andare, la varietà dei paesaggi, l’incontro con persone di altra nazionalità, li aprono a ciò che di più profondo e comune ci unisce agli uomini: esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione. E nel più nascosto di tutti questi uomini risuona la presenza di Dio e l’azione dello Spirito Santo. Sì, ogni uomo che fa silenzio dentro di sé e prende le distanze dalle brame, desideri e faccende immediati, l’uomo che prega, Dio lo illumina affinché lo incontri e riconosca Cristo. Chi compie il pellegrinaggio a Santiago, in fondo, lo fa per incontrarsi soprattutto con Dio, che, riflesso nella maestà di Cristo, lo accoglie e benedice nell’arrivare al Portico della Gloria» (ibid.).
Come ritrovare lo spirito giacobeo autentico? Meditando – risponde il Papa – sulle tante croci che si ritrovano lungo il Cammino. Guardiamo, esorta Benedetto XVI, a «Cristo che possiamo trovare nei cammini che conducono a Compostela, dato che in essi vi è una croce che accoglie e orienta ai crocicchi. Questa croce, segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, e perciò dono e perdono allo stesso tempo, dev’essere la nostra stella polare nella notte del tempo. Croce e amore, croce e luce sono stati sinonimi nella nostra storia, perché Cristo si lasciò inchiodare in essa per darci la suprema testimonianza del suo amore, per invitarci al perdono e alla riconciliazione, per insegnarci a vincere il male con il bene. Non smettete di imparare le lezioni di questo Cristo dei crocicchi dei cammini e della vita, in lui ci viene incontro Dio come amico, padre e guida. O Croce benedetta, brilla sempre nelle terre dell’Europa!» (ibid.).

2. Il pellegrinaggio della bellezza

L’equilibrio fra fede e ragione è anche equilibrio fra fede ed arte
Se c’è un tema principale del Magistero di Benedetto XVI, è quello dell’equilibrio necessario fra fede e ragione: «Voi sapete che io insisto molto sulla relazione tra fede e ragione» (Benedetto XVI 2010a). Fede e ragione, secondo l’immagine tante volte richiamata da Benedetto XVI con cui si apre l’enciclica Fides et ratio del venerabile Giovanni Paolo II «sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II 1998, incipit). Senza l’equilibrio tra le due ali l’aereo non può decollare, ma si schianta. In Spagna Benedetto XVI ci dice qualche cosa di più. L’equilibrio fra fede e ragione richiede pure – anzi, è – l’equilibrio tra fede e bellezza, «tra fede e arte» (Benedetto XVI 2010a).
Il passaggio dev’essere seguito nella sua logica, filosoficamente rigorosa. Chi dice ragione, dice verità. Se non è capace di conoscere la verità e non si lascia misurare dalla verità, la ragione non è vera ragione. Ora, la verità non si può separare dalla bellezza. «La verità, scopo, meta della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza, si prova come verità. Quindi dove c’è la verità deve nascere la bellezza, dove l’essere umano si realizza in modo corretto, buono, si esprime nella bellezza. La relazione tra verità e bellezza è inscindibile» (ibid.).
Non solo la bellezza in genere ma anche la specifica bellezza dell’arte è inseparabile dalla verità, e in particolare dalla verità di cui è custode la Chiesa. «Nella Chiesa, dall’inizio, anche nella grande modestia e povertà del tempo delle persecuzioni, l’arte, la pittura, l’esprimersi della salvezza di Dio nelle immagini del mondo, il canto, e poi anche l’edificio, tutto questo è costitutivo per la Chiesa e rimane costitutivo per sempre. Così la Chiesa è stata madre delle arti per secoli e secoli: il grande tesoro dell’arte occidentale – sia musica, sia architettura, sia pittura – è nato dalla fede all’interno della Chiesa. Oggi c’è un certo “dissenso”, ma questo fa male sia all’arte, sia alla fede: l’arte che perdesse la radice della trascendenza, non andrebbe più verso Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva» (ibid.).
Questo è evidente per l’arte dei secoli della fede. Ma che dire dell’arte di oggi? Secondo il Papa – per così dire (l’espressione è mia, non di Benedetto XVI) – non dobbiamo regalare l’arte di oggi al secolarismo laicista. «Una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente; ed oggi deve esprimersi di nuovo come verità, che è sempre presente. Perciò il dialogo o l’incontro, direi l’insieme, tra arte e fede è inscritto nella più profonda essenza della fede; dobbiamo fare di tutto perché anche oggi la fede si esprima in autentica arte […] nella continuità e nella novità, e […] l’arte non perda il contatto con la fede» (ibid.).
«Fare di tutto»… Ma, a fronte dell’enorme distanza che intercorre fra l’arte moderna e la fede, questa impresa ha qualche speranza di successo? Sì, risponde il Papa, e la prova è precisamente il servo di Dio Antoni Gaudí. «Geniale architetto» (Benedetto XVI 2010b), «la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta» (Benedetto XVI 2010e), in «quella meraviglia che è la chiesa della Sacra Famiglia» (Benedetto XVI 2010b), «miracolo architettonico» (Benedetto XVI 2010e) e «ambiente santo di incantevole bellezza» (ibid.) – le espressioni di Benedetto XVI, come si vede, sono piuttosto impegnative –, Gaudí costruì le sue opere come «frecce che indicano l’assoluto della luce e di colui che è la Luce, l’Altezza e la Bellezza medesime» (ibid.).
Gaudì non è un puro imitatore dell’arte cristiana tradizionale, ma si pone in «continuità» (Benedetto XVI 2010a) con questa reinterpretandola nel contesto contemporaneo. sintesi tra continuità e novità, tradizione e creatività. «Gaudí ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare di nuovo, nel suo secolo – con una visione totalmente nuova – questa realtà: la cattedrale luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo, in una grande solennità; e questo coraggio di rimanere nella tradizione, ma con un creatività nuova, che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità della storia e il progresso della storia» (ibid.).
Ma che cos’è, in fondo, l’originalità, se non il senso dell’origine, cioè di Dio? «Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all’origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città [Barcellona] uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa. Così l’architetto esprimeva i suoi sentimenti: “Una chiesa [è] l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo, poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo”» (Benedetto XVI 2010e).

Il segreto del servo di Dio Antoni Gaudí
Benedetto XVI va oltre, e si chiede quale fosse il segreto del servo di Dio Antoni Gaudí, il cuore del pensiero di un genio cristiano che pure ha scritto molto poco. La risposta è che «Gaudí voleva questo trinomio: libro della Natura, libro della Scrittura, libro della Liturgia. E questa sintesi proprio oggi è di grande importanza. Nella liturgia, la Scrittura diventa presente, diventa realtà oggi: non è più una Scrittura di duemila anni fa, ma va celebrata, realizzata. E nella celebrazione della Scrittura parla la creazione, parla il creato e trova la sua vera risposta, perché, come ci dice san Paolo, la creatura soffre, e, invece di essere distrutta, disprezzata, aspetta i figli di Dio, cioè quelli che la vedono nella luce di Dio. E così –  penso – questa sintesi tra senso del creato, Scrittura e adorazione è proprio un messaggio molto importante per l’oggi» (Benedetto XVI 2010a).
Sul tema dei tre libri – della natura, della Sacra Scrittura e della liturgia – da leggere insieme e da assumere come ispirazione dell’opera d’arte, Benedetto XVI torna in occasione della dedicazione della Sagrada Família. In questo suo capolavoro, afferma il Papa, «Gaudí volle unire l’ispirazione che gli veniva dai tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia» (Benedetto XVI 2010e).
In modo per nulla casuale, il servo di Dio giocò sulla relazione fra l’interno e l’esterno della Sagrada Família, che concepiva come una «lode a Dio fatta di pietra» (Benedetto XVI 2001f) e una Biblia pauperum attraverso la quale «voleva portare il Vangelo a tutto il popolo» (ibid.). Così dunque «introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010e). Inoltre «concepì i tre portici all’esterno come una catechesi su Gesù Cristo, come un grande rosario, che è la preghiera dei semplici, dove si possono contemplare i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi di Nostro Signore» (Benedetto XVI 2010f).
Opera complessa e completa, la Sagrada Família non è solo una chiesa. Il progetto di Gaudí comprendeva anche una scuola. «In collaborazione con il parroco, [il servo di Dio] don Gil Parés [1888-1936, fucilato in odio alla fede durante la guerra civile], disegnò e finanziò con i propri risparmi la creazione di una scuola per i figli dei muratori e per i bambini delle famiglie più umili del quartiere, allora un sobborgo emarginato di Barcellona» (ibid.).
Così, la costruzione della pure incompiuta Sagrada Família non fu un’opera d’arte fine a se stessa. Gaudí «collaborò in maniera geniale all’edificazione di una coscienza umana ancorata nel mondo, aperta a Dio, illuminata e santificata da Cristo. E realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza. Antoni Gaudí non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre, linee, superfici e vertici. In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo» (Benedetto XVI 2010e).

Perché «Sagrada Família»?
La scelta della Sacra Famiglia come titolare della chiesa di cui Gaudí iniziò la costruzione non fu casuale. Gaudí e i suoi committenti – «l’iniziativa della costruzione di questa chiesa si deve all’Associazione degli Amici di san Giuseppe» (ibid.) – scelsero «una devozione tipica dell’Ottocento: san Giuseppe, la Sacra Famiglia di Nazareth, il mistero di Nazareth» (Benedetto XVI 2010a). Dunque, «questo edificio sacro, fin dalle sue origini, è strettamente legato alla figura di san Giuseppe. Mi ha commosso specialmente – afferma il Papa – la sicurezza con la quale Gaudí, di fronte alle innumerevoli difficoltà che dovette affrontare, esclamava pieno di fiducia nella divina Provvidenza: “San Giuseppe completerà il tempio”. Per questo ora non è privo di significato il fatto che sia un Papa il cui nome di battesimo è Giuseppe a dedicarlo» (Benedetto XVI 2010e).
Il clima culturale in cui nasce il progetto deve molto a un santo, «san José Manyanet [y Vives, 1833-1901]» (Benedetto XVI 2010f), il quale «diffuse tra il popolo catalano» (ibid.) «la devozione alla Sacra Famiglia di  Nazaret» (ibid.). Si potrebbe pensare che si tratti di una devozione ottocentesca, ben poco di attualità oggi. Ma è piuttosto il contrario. A fronte dell’attacco laicista alla famiglia «proprio questa devozione di ieri, si potrebbe dire, è di grandissima attualità, perché il problema della famiglia, del rinnovamento della famiglia come cellula fondamentale della società, è il grande tema di oggi e ci indica dove possiamo andare sia nella costruzione della società sia nella unità tra fede e vita, tra religione e società. Famiglia è il tema fondamentale che si esprime qui, dicendo che Dio stesso si è fatto figlio in una famiglia e ci chiama a costruire e vivere la famiglia» (Benedetto XVI 2010a).
Certo, rispetto al tempo del servo di Dio Gaudí, grandi progressi tecnologici hanno risolto tutta una serie di problemi «tecnici» (Benedetto XVI 2010e) e anche «sociali» (ibid.). Ma noi «non possiamo accontentarci di questi progressi. Con essi devono essere sempre presenti i progressi morali, come l’attenzione, la protezione e l’aiuto alla famiglia, poiché l’amore generoso e indissolubile di un uomo e una donna è il quadro efficace e il fondamento della vita umana nella sua gestazione, nella sua nascita, nella sua crescita e nel suo termine naturale. Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà, nasce e perdura la vera libertà» (ibid.). Per questo, la dedicazione di una chiesa costruita da un architetto santo e intitolato alla Sacra Famiglia è un gesto profetico nella Spagna di oggi.

Riferimenti
Per tutti i testi, che sono disponibili su Internet sul sito della Santa Sede vatican.va è fornito un indirizzo abbreviato con il sistema tinyurl. Nei riferimenti gli indirizzi tinyurl sono indicati da una T maiuscola. Per esempio «T 5ou9gt » indica che per accedere alla pagina del sito della Santa Sede dov’è disponibile il documento occorre digitare http://tinyurl.com/5ou9gt.
Benedetto XVI. 2010a. Incontro con i giornalisti durante il volo verso Santiago de Compostela (Volo Papale), del 6-11-2010. T 32hkuqj.

Benedetto XVI. 2010b. Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale di Santiago de Compostela, del 6-11-2010. T 3yeymln.

Benedetto XVI. 2010c. Visita alla Cattedrale di Santiago de Compostela, del 6-11-2010. T 2u9eloh.

Benedetto XVI. 2010d. Santa Messa in occasione dell'Anno Santo Compostelano nella Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela – Omelia, del 6-11-2010. T 32ejktu.

Benedetto XVI. 2010e. Santa Messa con dedicazione della Chiesa della Sagrada Família e dell’altare a Barcelona – Omelia, del 7-11-2010. T 364rhxs.

Benedetto XVI. 2010f. Recita dell’Angelus Domini nella Piazza della Chiesa della Sagrada Família a Barcellona, del 7-11-2010. T 3y3gc99.

Benedetto XVI. 2010g. Visita all’«Obra Benefico-Social Nen Déu» a Barcellona, del 7-11-2010. T 34ff7mj.

Benedetto XVI. 2010h. Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale di Barcellona, del 7-11-2010. T 33ce7b3.

Giovanni Paolo II. 1998. Lettera enciclica Fides et ratio, del 14-9-1998. T 5ou9gt.


Quanto vale un pezzo di vetro Pigi Colognesi - lunedì 8 novembre 2010 – il sussidiario.net

Salendo sulle guglie, mi sembrava proprio di immaginarlo, il vecchio Gaudí, che, passeggiando per le strade di Barcellona, si piega a raccogliere un frammento di piatto decorato, buttato via da chissà chi, o il fondo verde scuro di una bottiglia rotta. Mi avevano detto che poi Gaudí li incastonava sulle pareti esterne dell’immensa cattedrale che stava costruendo. Mettendomi in certe angolature potevo vedere il sole che brillava riflettendosi su quei cocci.

La grande chiesa di Barcellona che Benedetto XVI ha appena consacrato è così famosa - e meritatamente - che non c’è bisogno di dilungarsi in spiegazioni architettoniche o estetiche. La sua mole imponente, le sue guglie vertiginose (e mancano ancora le più alte), il suo interno che sembra una foresta pietrificata eppure vivissima sono veramente cose «straordinarie», cioè fuori di ogni ovvietà e aspettativa. Sono il sigillo del genio di chi le ha immaginate e, con infinita pazienza, iniziato a realizzare.

Anche la storia di questa cattedrale è un unicum per i tempi moderni; è un cantiere aperto da oltre cento anni, vi hanno contribuito la pietà e i soldi di tutto un popolo e una folta schiera di maestranze. La costruzione è stata osteggiata dai diversi poteri che si sono succeduti in Spagna, prima per contrastare il nazionalismo catalano, poi semplicemente per mettere la sordina a un segno tanto inequivocabile di fede cristiana.

Le idee architettoniche di Gaudí sono state studiate a fondo, la sorprendente arditezza delle sue soluzioni fanno scuola, la debordante inventiva delle decorazioni e la ricchissima simbologia che le governa spinge ancora oggi a ricerche e pubblicazioni. E, soprattutto, l’insieme suscita profonda ammirazione.

Eppure, per me, la Sagrada Família è tutta in quel gesto con cui un vecchio ormai prossimo alla morte raccoglie un pezzo di vetro e lo dà al muratore perché lo applichi alla parete di una guglia e lo metta esattamente in quella posizione per cui, cadendo o alzandosi, il sole lo possa far risplendere.
Può capitare a tutti di sentirsi inutili, come una bottiglia rotta, buttati via senza alcuna speranza di poter ancora servire a qualcosa. Solo una fede grande come quella dei medievali costruttori di cattedrali riesce ancora a piegarsi curiosa su questo vetro tagliente e dimenticato. Lo guarda e dice: toh che bello! E lo ficca lassù sulla cattedrale, più in alto, magari, di tante pietre ben tornite e un po’ presuntuose. E da lassù il frammento di vetro darà su tutta la costruzione il riflesso del suo irripetibile colore. Anche se è difficile vederlo da vicino.

Eccolo il fascino segreto del capolavoro di Gaudí: nella grande cattedrale cattolica c’è posto per tutti. Nessun particolare è identico all’altro, ogni dettaglio è inequivocabilmente se stesso e nel contempo armoniosamente inserito nel corpo vivo del tutto. Un tutto che vive della variegata polifonia delle diversità; che è ben diversa dalla piatta pianificazione di uno schema.

I montaliani «cocci aguzzi di bottiglia» non chiudono più la prospettiva di un invalicabile muro. Ritrovano, invece, il loro bel posto nell’armonia dell’insieme.


PAPA/ Benedetto rompe gli schemi: il futuro della fede passa dalla Spagna Redazione - lunedì 8 novembre 2010 – il sussidiario.net

Il papa nella Spagna di Zapatero. E l’esercito dei media già pronto a incasellare la visita nello schema di una Chiesa in trincea, in perenne guerra contro il “nemico” della modernità. Ma è il papa stesso a rompere lo schema. Già sull’aereo, con i giornalisti, parla di “incontro, non scontro, con la laicità”. E se è una “tragedia” il fatto che l’uomo moderno percepisca Dio come “un antagonista della sua libertà”, sarà inutile perdere tempo a recriminare o denunciare. Occorre piuttosto la verità di una testimonianza affinché “Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa”.

Una visita non “reattiva”, centrata su due semplici gesti. Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela e la consacrazione della Sagrada Familia a Barcellona. Si è scritto all’inizio del pontificato che Benedetto XVI era il papa della “parola” mentre Giovanni Paolo II era il papa dei “gesti”. Un papa da “leggere” più che da “vedere”. Anche questo schema, cinque anni dopo, appare logoro e inadeguato. Non si capisce papa Ratzinger se non si vede il modo in cui celebra e prega, il modo in cui si è inginocchiato, ad esempio, sabato scorso, davanti alla tomba dell’apostolo Giacomo. Impossibile separare i suoi giudizi, anche quelli più netti, dalla mitezza e serenità dello sguardo. Lo abbiamo visto anche nei momenti meno ufficiali di questo viaggio spagnolo: lo stupore divertito e quasi “bambino” con cui seguiva le oscillazioni mozza fiato del grande incensiere nel santuario di Santiago. Lo sguardo incantato di fronte alla bellezza della Sagrada Familia, durante la cerimonia di dedicazione.
Il professor Ratzinger è diventato papa. E i primi ad accorgersene sono i comuni fedeli, che d’istinto gli vogliono bene. Dalla sua presenza, dal suo insegnamento, si sentono davvero confermati e rincuorati nella semplicità della loro fede. C’era un modo di sentirsi “ratzingeriani”, anche in campo ecclesiastico, che significava essere sempre e solo “contro”. Duri e puri, severi e arcigni. Quelli che non fanno sconti, mai... Il rischio era quello di assomigliare e assumere infine tutti i tic e le nevrosi del “nemico”, sia esso il “cattolico progressista” o il “laicista”.

Benedetto XVI anche in questo spezza gli schemi. Si era già visto nel viaggio in Gran Bretagna. Lo ha confermato il pellegrinaggio spagnolo. Non è un papa “contro”, è un papa che comunica, anche umanamente, positività. Vuole parlare all’uomo d’oggi, ovvero a ciascuno di noi. Desidera sinceramente che comprendiamo e sperimentiamo il cristianesimo non come un “di meno” ma un “di più” di umanità. Un annuncio umile e lieto, perché consapevole che, ultimamente, la sua riuscita non dipende dal nostro argomentare o dalla nostro attivismo, è grazia di Dio, come ha ricordato ieri mattina nella Sagrada Familia: “Da Lui la Chiesa riceve la propria vita, la propria dottrina e la propria missione. La Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento di Cristo, in pura docilità alla sua autorità e in totale servizio al suo mandato. L’unico Cristo fonda l’unica Chiesa; Egli è la roccia sulla quale si fonda la nostra fede. Basati su questa fede, cerchiamo insieme di mostrare al mondo il volto di Dio, che è amore ed è l’unico che può rispondere all’anelito di pienezza dell’uomo”.
(Lucio Brunelli)


Lunedì 08 novembre 2010 - Il Papa sfida Zapatero sul matrimonio naturale di Andrea Tornielli
Il monito di Ratzinger nel cuore del Paese più progressista d’Europa: "Lo Stato tuteli la famiglia". Al suo passaggio 200 gay hanno protestato con un "bacio collettivo". A Barcellona Benedetto XVI consacra la Sagrada Familia
«L’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio» vanno «sostenuti dallo Stato, la vita «inviolabile e sacra» dei figli va difesa «fin dal momento del concepimento». Servono «adeguate misure economiche e sociali» perché la donna possa trovare «la sua piena realizzazione in casa e al lavoro».
Dal cuore del Paese di José Luis Zapatero, di quella che Spagna che ha introdotto i matrimoni gay, il divorzio veloce e – da un anno – l’aborto per le minorenni senza la necessità del consenso dei genitori, Benedetto XVI fa sentire la voce della Chiesa. È un pronunciamento quasi obbligato, quello del Papa, che ieri, nella seconda e ultima giornata del suo viaggio, ha consacrato la cattedrale della Sagrada Familia progettata dall’architetto Antonio Gaudì, per il quale si è aperto il processo di beatificazione. Un’opera straordinaria, unica, ammirata dai visitatori di tutto il mondo, che da ieri è diventata una chiesa officiata a tutti gli effetti. Essendo dedicata alla sacra famiglia di Nazaret, ha offerto l’occasione a Ratzinger per ripetere, con parole gentili ma al tempo stesso inequivocabili, un appello per la difesa della famiglia e della vita, legando il perdurare di una «vera libertà» proprio all’esistenza dell’amore e della fedeltà.
Mentre la papamobile, stava arrivando alla Sagrada Familia, un gruppo di duecento gay e lesbiche hanno inscenato al suo passaggio una protesta, consistita in un «bacio collettivo» durato circa cinque minuti e scandito da slogan e invettive contro il Pontefice.
Benedetto XVI è stato accolto davanti alla cattedrale in costruzione da 128 anni, dal re Juan Carlos di Borbone e dalla regina Sofia, con i quali si è brevemente intrattenuto prima dell’inizio della messa. Nell’omelia del rito di consacrazione della nuova chiesa, il Papa, ha ricordato che oggi «si è progredito enormemente in ambiti tecnici, sociali e culturali». Ma «non possiamo accontentarci di questi progressi». Con essi, ha detto ancora Ratzinger, «devono essere sempre presenti i progressi morali, come l’attenzione, la protezione e l’aiuto alla famiglia, poiché l’amore generoso e indissolubile di un uomo e una donna è il quadro efficace e il fondamento della vita umana nella sua gestazione, nella sua nascita, nella sua crescita e nel suo termine naturale».
«Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà – ha ribadito il Papa – nasce e perdura la vera libertà. Perciò, la Chiesa invoca adeguate misure economiche e sociali affinché la donna possa trovare la sua piena realizzazione in casa e nel lavoro, affinché l’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio e formano una famiglia siano decisamente sostenuti dallo Stato, affinché si difenda come sacra e inviolabile la vita dei figli dal momento del loro concepimento, affinché la natalità sia stimata, valorizzata e sostenuta sul piano giuridico, sociale e legislativo». «Per questo – ha concluso – la Chiesa si oppone a qualsiasi forma di negazione della vita umana e sostiene ciò che promuove l’ordine naturale nell’ambito dell’istituzione familiare».
Il Papa è tornato a parlare della «dignità» e del «valore primordiale del matrimonio e della famiglia, speranza dell’umanità, nella quale la vita riceve accoglienza, dal suo concepimento fino al suo termine naturale», anche all’Angelus.
Poi, nel pomeriggio, Benedetto XVI ha visitato l’Istituto «Obra Benéfico-Social del Nen Déu», istituto per bambini malati e bisognosi creato nel 1892 dalla beata Madre Carmen del Niño Jesús per accogliere e aiutare i bambini down. Da quando è stato introdotto l’aborto, nascono sempre meno bambini con questo handicap e oggi l’istituto aiuta anche piccoli con altri problemi. Nel suo discorso, il Papa ha invitato le autorità «a prodigarsi perché i più svantaggiati siano sempre raggiunti dai servizi sociali, e a coloro che sostengono con il loro generoso aiuto entità assistenziali di iniziativa privata, come questa scuola». E ha chiesto «che i nuovi sviluppi tecnologici nel campo medico non vadano mai a detrimento del rispetto per la vita e la dignità umana».
All’aeroporto, prima di ripartire per Roma, il Papa ha incontrato brevemente il premier spagnolo Zapatero appena rientrato dall’Afghanistan. Al colloquio ha assistito il Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
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