Nella rassegna stampa di oggi:
1) 17/11/2010 – VATICANO - Papa: “sia restituita piena libertà ad Asia Bibi” - Appello di Benedetto XVI per la giovane che vive in un Paese nel quale i cristiani sono “spesso vittime di violenza o discriminazione”. Rispetto per la dignità umana. Nel discorso per l’udienza, il Papa ha illustrato la figura di santa Giuliana di Liegi. Nella Chiesa c’è una “nuova primavera eucaristica”.
2) MONS. BRANDMÜLLER: L’ATEISMO È IRRAGIONEVOLE - Il futuro Cardinale in un libro intervista della Libreria Editrice Vaticana di Antonio Gaspari
3) 17/11/2010 – AFGHANISTAN - Cristiano afghano in tribunale per la sua fede: il processo il 21 novembre - Said Musa è stato arrestato il 31 maggio scorso, e ancora non si conoscono le accuse di cui dovrà rispondere al giudice, senza assistenza legale. Si teme che il suo caso venga usato come un esempio per dimostrare che la Sha’ria è ancora in vigore in Afghanistan.
4) Lettera aperta a Fazio e Saviano - Autore: Pandolfi, Massimo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.massimopandolfi.it - mercoledì 17 novembre 2010
5) S.O.S. per i cristiani nel mondo: dall'Iraq al Pakistan al Congo non c'è pace per il Vangelo. - 17-11-2010 - di Omar Ebrahime – dal sito http://www.vanthuanobservatory.org
6) Salvate il 5x1000 Roberto Fontolan - giovedì 18 novembre 2010 – il sussidiario.net
7) Avvenire.it, 18 novembre 2010 - Il richiamo di Benedetto XVI - Spartiacque per gli uomini e le nazioni di Fulvio Scaglione
8) Avvenire.it, 18 novembre 2010 - La tv tribunizia/1 Saviano e l’eutanasia - E il campione di legalità elogiò la non-legge di Domenico Delle Foglie
9) Disabili in classe? - Percorso possibile - Il modello Fism sull’inclusione al centro del Salone nazionale sull’educazione - In 5mila asili sono integrati 4.500 bimbi con disabilità. Ma dallo Stato arrivano appena mille euro all’anno per ciascun alunno - DA MILANO PAOLO FERRARIO – Avvenire, 18 novembre 2010
10) Clemente Rebora poeta «maledetto»? - Sì, se significa «assoluto». - Più profetico di Pasolini, più violento di Campana, in lui si compie qualcosa che Rimbaud, mistico selvaggio, agognò febbrile: i versi fuori da ogni ipoteca letteraria, come «mania d'eterno», in un percorso di vita tormentoso e teso di Davide Rondoni – Avvenire, 18 novembre 2010
17/11/2010 – VATICANO - Papa: “sia restituita piena libertà ad Asia Bibi” - Appello di Benedetto XVI per la giovane che vive in un Paese nel quale i cristiani sono “spesso vittime di violenza o discriminazione”. Rispetto per la dignità umana. Nel discorso per l’udienza, il Papa ha illustrato la figura di santa Giuliana di Liegi. Nella Chiesa c’è una “nuova primavera eucaristica”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Sia restituita la “piena libertà” ad Asia Bibi. E’ l’appello lanciato oggi da Benedetto XVI che, al termine dell’udienza generale ha detto che “la comunità internazionale segue con grande preoccupazione la dfficile situazione dei cristiani in Pakistan, spesso vittime di violenza o discriminazione”. Il Papa ha quindi espresso “vicinanza spirituale” ad Asia Bibi e ai suoi familiari e chiesto la liberazione della donna. “Prego - ha concluso - per quanti sono in situazioni analoghe e perchè la loro dignità umana e i loro diritti fondamentali siano pienamente rispettati”.
Prima dell’appello, nel discorso rivolto alle 40mila persone presenti in piazza san Pietro, Benedetto XVI ha detto che la Chiesa sta vivendo una “primavera eucaristica”, con tante persone, anche giovani che “sostano silenziosi davanti al tabernacolo per intrattenersi con Gesù”. E’ il “meraviglioso sviluppo” del culto eucaristico del quale la Chiesa è particolarmente debitrice a Santa Giuliana di Cornillon o di Liegi, la suora vissuta tra il 1191e il 1258 ala quale Benedetto XVI ha dedicato la sua riflesson per l’udienza generale.
Il Papa, continuando a illustrare le grandi figure femminili della Chiesa medioevale ha ricordato che Giuliana nacque in un ambiente, quello di Liegi, che era “un vero cenacolo eucaristico, insigni teologi vi avevano illustrato il valore supremo del Sacramento dell’Eucaristia e c’erano gruppi femminili generosamente dediti al culto eucaristico e alla comunione fervente”.
Rimasta orfana a 5 anni, Giuliana, con la sorella Agnese, fu affidata alle suore agostiniane, tra le quali entrà a 18 anni. Era una donna di “notevole cultura, al punto che cita le opere dei Padri in latino, in particolare Agostino e Bernardo”. Aveva “vivace intelligenza” e “propensione per la contemplazione”. A 16 anni ebbe la sua prima visione che si ripetè più volte. La visione rappresentava “la luna nel suo pieno splendore con una striscia scura diametralmente. Il Signore le fece comprendere che la Luna era la vita della Chiesa sulla terra e la linea scura rappresentava l’assenza di una festa liturgica” nella quale “i credenti avrebbero potuto adorare l’Eucaristia per aumentare la fede, avanzare nella pratica delle virtù e riparare le offese al Santissimo Sacramento”.
Divenne lo scopo della sua vita. Insieme ad altre due donne, “la beata Eva, che conduceva una vita eremitica, e Isabella, che l’aveva raggiunta nel monastero di Mont-Cornillon”, crearono una specie di “alleanza spirituale”. Vollero anche interpellare “teologi ed ecclesiastici su quanto stava loro a cuore. Le risposte furono positive e incoraggianti”. Questo “si ripete frequentemente nella vita dei santi: per avere la conferma che un’ispirazione viene da Dio, occorre sempre immergersi nella preghiera, saper attendere con pazienza, cercare l’amicizia e il confronto con altre anime buone, e sottomettere tutto al giudizio dei pastori della Chiesa”. E fu proprio il vescovo di Liegi, Roberto di Thourotte, che accolse la proposta di Giuliana e delle sue compagne, e istituì, per la prima volta, la solennità del Corpus Domini nella sua diocesi. Più tardi, altri Vescovi lo imitarono.
”Ai santi, tuttavia, il Signore chiede spesso di superare delle prove, perché la loro fede venga incrementata. Accadde anche a Giuliana, che dovette subire la dura opposizione di alcuni membri del clero e dello stesso superiore da cui dipendeva il suo monastero”. Giuliana, allora, “di sua volontà” lasciò il convento e per dieci anni, dal 1248 al 1258, fu ospite di vari monasteri di suore cistercensi. Si spense nel 1258 a Fosses-La-Ville, in Belgio. “Nella cella dove giaceva fu esposto il Santissimo Sacramento e, secondo le parole del biografo, Giuliana morì contemplando con un ultimo slancio d’amore Gesù Eucaristia, che aveva sempre amato, onorato e adorato”. Alla “buona causa della festa del Corpus Domini” aderì anche Giacomo Pantaléon di Troyes, che aveva conosciuto la Santa durante il suo ministero di arcidiacono a Liegi e che, divenuto papa Urbano IV, nel 1264, volle istituire la solennità del Corpus Domini come festa di precetto per la Chiesa universale. Fu ancora lui che volle dare l’esempio, celebrando la solennità del Corpus Domini a Orvieto, città in cui allora dimorava e che volle conservato nel duomo della città, ove è ancora, “il celebre corporale con le tracce del miracolo eucaristico avvenuto l’anno prima, nel 1263, a Bolsena. Un sacerdote, mentre consacrava il pane e il vino, era stato preso da forti dubbi sulla presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel sacramento dell’Eucaristia. Miracolosamente alcune gocce di sangue cominciarono a sgorgare dall’ostia consacrata, confermando in quel modo ciò che la nostra fede professa”.
Urbano IV chiese anche a uno dei più grandi teologi della storia, san Tommaso d’Aquino di comporre i testi dell’ufficio liturgico di questa grande festa. “Essi, ancor oggi in uso nella Chiesa, sono dei capolavori, in cui si fondono teologia e poesia. Sono testi che fanno vibrare le corde del cuore per esprimere lode e gratitudine al Santissimo Sacramento, mentre l’intelligenza, addentrandosi con stupore nel mistero, riconosce nell’Eucaristia la presenza viva e vera di Gesù, del suo Sacrificio di amore che ci riconcilia con il Padre, e ci dona la salvezza”.
Ricordando santa Giuliana di Cornillon, ha concluso il Papa, “rinnoviamo anche noi la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia”. “Gesù Cristo è presente nell'Eucaristia in modo unico e incomparabile. È presente infatti in modo vero, reale, sostanziale: con il suo corpo e il suo sangue, con la sua anima e la sua divinità. In essa è quindi presente in modo sacramentale, e cioè sotto le specie eucaristiche del pane e del vino, Cristo tutto intero: Dio e uomo” .
MONS. BRANDMÜLLER: L’ATEISMO È IRRAGIONEVOLE - Il futuro Cardinale in un libro intervista della Libreria Editrice Vaticana di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 17 novembre 2010 (ZENIT.org).- L’ateismo è irragionevole. E' quanto sostiene in un libro intervista monsignor Walter Brandmüller, Presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che il 20 novembre verrà nominato Cardinale da Benedetto XVI.
Il libro “Ateismo? No grazie! Credere è ragionevole” pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana (LEV) consiste in un agile ed originale dialogo tra Walter Brandmüller e il giornalista pubblicista e cineasta Ingo Langner, su uno dei più dibattuti interrogativi di sempre: esiste Dio? Fede o ateismo? Scienza o religione? Dio o non Dio?
In particolare il dialogo spazia con semplicità e disinvoltura dall'Illuminismo alle teorie fisiche del Big-Bang, dal pensiero di filosofi e scienziati quali Darwin, Nietsche, Laplace o il più attuale Dawkins alle Sacre Scritture, dalla vita di Gesù Cristo ai principi fondamentali della Chiesa cattolica.
L’intervista inizia con Langner che chiede, citando Richard Dawkins, “perchè credere ancora?” e con Brandmüller che risponde: “Non è una novità. Friedrich Nietzsche fa annunciare al suo uomo folle che Dio è morto e Jury Gagarin, il primo russo nello spazio, nel suo viaggio del 12 aprile 1962 ha detto di non aver visto da nessuna parte qualcosa che somigliasse a Dio. Dawkins non riconosce Dio neanche come ipotesi . Per lui Dio è un allucinazione che esiste solo nella mente di qualche ritardato”.
“In realtà - sostiene Brandmüller - il bersaglio degli atei non è tanto Dio ma la Chiesa, il Papa ed il Vaticano”. La Chiesa è attaccata fin dall’inizio dell’era cristiana, il Papa da 2000 anni e il Vaticano da quando esiste e cioè 140 anni.
Sugli attacchi alla Chiesa Brandmüller risponde anche con ironia. All'asserzione di Dawkins secondo cui “tra 150 anni certamente la religione non esisterà più”, il futuro Cardinale ricorda che quando Napoleone Bonaparte partì da Roma con il Papa Pio VI prigioniero, disse al Cardinale Segretario di Stato Consalvi: “Tra venti anni avrò distrutto la vostra Chiesa” e Consalvi gli replicò calmo: “Maestà! Non ci siamo riusciti noi preti in 17 secoli. Non ci riuscirà neppure lei!”. Dopo 20 anni il Papa era a Roma e Napoleone era morto da qualche anno a Sant’Elena.
Circa i miracoli che sarebbero, secondo alcuni, solo suggestioni, Brandmüller ricorda quanto accaduto a Calanda, una cittadina poco lontana da Saragozza, dove ad un giovane di nome Miguele Pellicer venne amputata una gamba. A distanza di due anni e nonostante la difficoltà di camminare, quel giovane si mise in cammino verso il santuario Mariano di santa Maria del Pilar a Saragozza. Una volta giunto al santuario pregò intensamente Maria affinché lo aiutasse. E nella notte accadde un fatto incredibile. Alla mattina si svegliò e la gamba era ricresciuta perfettamente sana.
E nell’introduzione al libro Giovanni Gennari riporta la vicenda accaduta a gennaio di quest’anno, alla signora Erminia Pane di 68 anni, cieca dalla nascita per mancanza di retina. La signora Pane è quindi andata a Lourdes, nel luogo delle apparizioni della Madonna, ed è tornata vedente.
Per spiegare i miracoli Brandmüller cita il poeta britannico Shakespeare che dice agli illuministi: “Ci sono più cose tra cielo e terra di quante la vostra erudizione scolastica possa immaginare”.
Nel capitolo dal titolo “La vasca delle carpe” lo storico della Chiesa spiega che “l’uomo moderno vuole arrivare a se stesso attraverso l’autorealizzazione, ma non ci arriva allontanandosi da Dio, ci arriva solo se si volge verso Dio se si mette in cammino verso Dio. Per l’uomo moderno questo significa: il figlio prodigo che torna al padre. Dunque a Dio. Solo allora egli realizza sé stesso, quando riconosce cos’è chi è e a quale scopo Dio l’ha creato”.
E, conclude Brandmüller, “l’uomo muore se non respira in Dio”.
17/11/2010 – AFGHANISTAN - Cristiano afghano in tribunale per la sua fede: il processo il 21 novembre - Said Musa è stato arrestato il 31 maggio scorso, e ancora non si conoscono le accuse di cui dovrà rispondere al giudice, senza assistenza legale. Si teme che il suo caso venga usato come un esempio per dimostrare che la Sha’ria è ancora in vigore in Afghanistan.
Kabul (AsiaNews/Agenzie) – Un cittadino afghano, che è in prigione sin dal maggio scorso per la sua fede, sarà giudicato domenica prossima, 21 novembre ma non potrà godere dell’assistenza legale. Fonti locali dicono che non si conosce nemmeno quale sia l’accusa per cui si troverà di fronte al giudice. Le autorità hanno arrestato Said Musa, un uomo di 45 anni, il 31 maggio scorso, qualche giorno dopo che televisione locale “Noorin” aveva trasmesso immagini di cristiani in preghiera dopo essere stati battezzati. In quel periodo ci sono stati altri arresti di cristiani, in quella che le fonti locali descrivono come una caccia all’uomo che ha fatto seguito alla trasmissione televisiva. Ma Said Musa sembra l’unico cristiano che si trovi a fronteggiare un processo.
Passare dall’islam a un’altra religione è un delitto passibile di pena capitale secondo la legge islamica ancora in vigore in Afghanistan, nonostante che nel 2001 la guida del Paese sia stata tolta ai fondamentalisti Talebani. In giugno le autorità obbligarono Musa ad abiurare pubblicamente la sua fede cristiana in televisione, ma hanno continuato a tenerlo in prigione, senza rivelare quali accuse ci fossero contro di lui. Fonti locali affermano che durante la detenzione Musa ha detto apertamente di essere un seguace di Gesù.
Il mese scorso Musa è riuscito a far giungere una sua lettere indirizzata alle Chiese in tutto il mondo, al presidente Barack Obama e ai capi delle forze Nato in Afghanistan. Nel messaggio diceva di essere stato “maltrattato fisicamente e verbalmente” dagli agenti e dagli altri detenuti nella prigione di Ouliat. Inoltre parlava della mancanza di giustizia nei suoi confronti, e di come i suoi accusatori oltre a inviare al giudice un rapporto falso su di lui avevano cercato di estorcergli del denaro. I cristiani locali, e gli osservatori dei diritti umani e religiosi temono che Musa possa essere utilizzato come un esempio: dimostrare che non sono gli accordi internazionali in vigore in Afghanistan, ma la Sha’ria.
Lettera aperta a Fazio e Saviano - Autore: Pandolfi, Massimo Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: www.massimopandolfi.it - mercoledì 17 novembre 2010
Pubblico questo intervento di Massimo Pandolfi, un giornalista che fa della sua professione testimonianza alla verità, e sostegno agli uomini, senza schemi né ideologie
Caro Fabio Fazio,
caro Roberto Saviano,
la trasmissione che avete mandato in onda lunedì sera non ha rappresentato una ‘pagina di libertà’, come i vostri fans e forse voi stessi orgogliosamente sostenete. Magari non ve ne siete neppure resi conto, o magari sì, ma parlando di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby avete offeso e umiliato centinaia di migliaia di italiani. Caro Saviano, su Welby (il malato di distrofia muscolare che anni fa chiese e ottenne che gli venisse staccato il respiratore artificiale) lei ha detto che ‘quella non era più vita’. E allora le faccio un invito: ripeta queste cose lunedì prossimo a tutti quegli italiani che resistono e soprattutto esistono, attaccati a un respiratore. Se vuole, gliene porterò una bella rappresentanza in studio a ‘Vieni via con me’. Dica loro: ‘La vostra non è vita’. Ma non si limiti a guardare la telecamera mentre scandirà quelle parole. Guardi in faccia loro - i malati o i disabili - se ne ha la forza. E le loro mogli, i mariti, i figli, i parenti, gli amici. Vedrà, caro Saviano, scoprirà un altro mondo. Perché questa è gente che vive, si arrabbia, di dispera, esulta, gioisce, si ridispera di nuovo: come me, come lei. E chi sta loro a fianco li cura, nella totale gratuità. Curare non significa accanirsi; vuol dire prendersi cura di... Vi riporto, cari Fazio e Saviano, un pensiero via facebook che mi è arrivato da Angelo Carboni, un malato di Sla della Sardegna che è messo più o meno nelle condizioni in cui era Welby: ‘Ho ascoltato il breve monologo del signor Englaro, a quello della signora Mina Welby stavo prendendo sonno. Non mi aspettavo altro da chi ha della vita e dell’amore una concezione così limitata e improntata sul più ottuso relativismo che pretendono di spacciare per laicità. Io, da diversi anni collegato a un respiratore, mi sento poco toccato da questi moderni guitti della “buona morte”, ma li inviterei a dare voce anche al nostro amore per la vita e desiderio di viverla, con intensità, fino in fondo. Giovedì a Pattada presento un mio libro: invito Fazio e Saviano in Sardegna, da me, ad ascoltare chi la pensa diversamente’. Sarebbe bellissimo se Fazio e Saviano andassero. Se facessero esperienza, senza ideologie. E la questione, a proposito di ideologie, non sta tanto nel dire: se uno vuole vivere ok, aiutiamolo, ma se non ce la fa più lasciamolo andare. No, è tremenda questa mentalità! La vita non è la stessa cosa della morte! Proprio perché ci sono tante persone che ce la fanno (e non sono eroi, ma uomini semplici, come ognuno di noi: forse voi, Fazio e Saviano, non siete più uomini o semplici) il compito di una società civile è quello di cercare tutte le strade per dare un senso a un’esistenza. E un senso esiste, sempre, anche se sei immobile, muto, attaccato a un respiratore. Va solo cercato. Non lo dico io, lo urlano silenziosamente chi lo fa. Penso a Gian Piero, Sebastiano, Luca, Angelo, Patrizia, Cesare e tanti tanti altri amici che ho incontrato in questi anni. Caro Fazio, caro Saviano, chiamateli. Conosceteli.
P.S. E lei, caro Fabio Fazio, faccia pure l’ultrà radicale con la faccia del bravo ragazzo. Ma almeno racconti la verità, per piacere. La verità non è un’opinione. E su Eluana Englaro lei ha detto davanti a milioni di italiani una bugia grande come una casa: ha detto che era in coma da 17 anni. No, signor Fazio. Prenda un vocabolario e impari cosa vuol dire la parola coma. Non è un dettaglio, è la deriva. E lei è il capitano buonista di una barca che va alla deriva.
S.O.S. per i cristiani nel mondo: dall'Iraq al Pakistan al Congo non c'è pace per il Vangelo. - 17-11-2010 - di Omar Ebrahime – dal sito http://www.vanthuanobservatory.org
Tra l'indifferenza della comunità internazionale, la situazione dei cristiani iracheni precipita ogni giorno che passa. In soli dieci giorni la comunità è stata attaccata tre volte, a Baghdad e nelle periferie della capitale. Il 31 ottobre un gruppo di terroristi, che ha rivendicato l'appartenenza ad Al-Qaeda e alle formazioni locali della jihad islamica, ha fatto irruzione nella cattedrale di Nostra Signora del Soccorso dove la comunità era radunata, numerosa, per la Messa domenicale. I terroristi hanno aperto il fuoco sulla folla in preghiera, non fermandosi neanche di fronte alle persone raccolte sugli inginocchiatoi: è stato un massacro, 58 morti (tra cui 8 bambini e 3 sacerdoti) e un centinaio di feriti. Qualche giorno dopo, l'8 novembre, altre 2 persone, sempre a Baghdad, sono state uccise di fronte alle loro abitazioni, all'interno del principale quartiere cristiano della capitale, mentre altre 9 sono state ferite. Il 10 novembre, infine, con un attacco simultaneo a colpi di granate, ugualmente mirato contro quartieri tradizionalmente cristiani e le rispettive chiese, sono state uccise altre 6 persone (33 i feriti). Secondo il patriarca dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly, i terroristi di Al-Qaeda “stanno dando la caccia ai cristiani in ogni quartiere di Baghdad”, con l'obiettivo di cancellare definitivamente la loro presenza nel Paese.
Alcuni mass-media internazionali l'hanno considerata un'esagerazione, ma una conferma insospettabile a queste parole è arrivata proprio nei giorni scorsi da un comunicato emesso dalle milizie terroriste, secondo cui ogni cristiano presente nel Paese “è considerato un bersaglio legittimo”. Nella stessa dichiarazione si fa riferimento anche all'appena tollerata presenza cristiana in Egitto, da sradicare per sempre, con ler stesse modalità. Secondo l'arcivescovo di Mosul, mons. Basile Georges Casmoussa, siamo ormai di fronte a “una catastrofe umana e religiosa” senza precedenti nella storia - pure tormentata dell'Iraq - mentre per mons. Philip Najim, procuratore dei caldei presso la Santa Sede, semplicemente, il progetto è quello di “far sparire i cristiani dall'Iraq”.
Le cifre in effetti sono impressionanti: nella sola Baghdad, su 65 tra chiese e monasteri cristiani finora ne sono stati assaliti più di 40, senza contare le abitazioni e le scuole. A fronte di questo attacco reiterato, l'esodo sembra essere l'unica soluzione ragionevole: così, nel giro di pochi anni, nella grande comunità cristiana irachena oltre la metà ha preferito fuggire all'estero, lasciando per sempre il Paese. Ancora alla fine degli anni Novanta, infatti, i cristiani residenti erano più di un milione mentre oggi sfiorano appena le 400.00 unità, ma la cifra tende ad assottigliarsi di giorno in giorno, nell'indifferenza generale. Forse molti non sanno che si tratta dell'unica popolazione cristiana al mondo (i caldei) che parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù Cristo: una testimonianza di fede vivente, a dir poco straordinaria, più unica che rara. Un popolo autoctono, legato all'Iraq da sempre e dalle antichissime radici: la loro presenza risale infatti alla predicazione apostolica e precede (ovviamente di secoli) la venuta dell'Islam.
Ma l'Iraq non è l'unico Paese dove il Cristianesimo sta soffrendo persecuzioni inaudite. In Pakistan la scorsa settimana una giovane donna, madre di tre figli, è stata condannata a morte perché parlando con delle amiche di Gesù avrebbe offeso la figura di Maometto: secondo la 'legge sulla blasfemia' in vigore nel Paese, che punisce ogni offesa o critica pubblica al Corano o al profeta, è quindi passibile della pena capitale. Dopo essere stata picchiata, è stata consegnata al tribunale che ha emanato senza colpo ferire lo spaventoso verdetto. Nello stesso modo, negli anni scorsi, sono state condannate ingiustamente decine di persone, alcune 'colpevoli' di essersi convertite a Cristo. Attorno ad Asia Bibi (questo il nome della donna) sta nascendo ora una mobilitazione rilevante, ma l'episodio sottolinea una volta di più l'incredibile situazione di prostrazione che la piccolissima comunità cristiana presente nel Paese è costretta a vivere. Venendo all'Africa invece, in Congo, uno dei tanti sacerdoti impegnati nel campo dei diritti umani, don Christian Bakulene, è stato ucciso dai gruppi armati che stanno cercando di impedire con tutti i mezzi lo sviluppo democratico e il processo di pacificazione in corso nel Paese (9 novembre). Ma episodi di violenze, attacchi e aggressioni continue contro cristiani, laici e religiosi, per gli stessi motivi, si registrano ultimamente anche in India e Vietnam.
Secondo gli ultimi dati dell'OSCE, più del 75% delle persecuzioni religiose nel mondo ha per oggetto i cristiani, che il più delle volte vengono discriminati e colpiti per il semplice fatto di essere tali, cioè seguaci di Cristo (cfr.: http://www.vanthuanobservatory.org/nostri-libri/libro.php?lang=it&id=193): gli episodi impressionanti raccolti qui sommariamente, non certo esaustivi, ma accaduti tutti nell'arco di appena dieci giorni, non fanno altro che confermarlo. Tuttavia, proprio questa evidenza spaventosa è una delle realtà che l'Occidente contemporaneo fatica più ad accettare. Probabilmente perché significherebbe esprimere un giudizio di valore sul 'fatto cristiano' e magari rivedere qualche pre-giudizio ideologico, nonché affrontare controcorrente le spinose questioni ancora aperte legate alla memoria e dell'identità europea. La risoluzione concreta dei problemi, però, comincia solo dal riconoscimento onesto e obiettivo della loro esistenza. A maggior ragione quando si tratta di vite umane, tergiversare ulteriormente vorrebbe dire abbandonare i più deboli in balìa del più tragico dei destini.
Salvate il 5x1000 Roberto Fontolan - giovedì 18 novembre 2010 – il sussidiario.net
Dopo aver salvato i finanziamenti alla scuola paritaria, i parlamentari più attenti e sensibili hanno un’altra missione da compiere: il 5x1000. L’emendamento alla legge di stabilità (ex finanziaria: e occorre dire che raramente i nuovi nomi delle cose sono migliori dei precedenti) che punta a recuperare due miliardi e mezzo dall’asta per le frequenze televisive (che fino a ieri era un beauty contest gratuito, boh!), prevede la riduzione del 75% dell’ammontare destinato al 5x1000, e cioè da quattrocento a cento milioni di euro.
Un provvedimento particolarmente odioso e incivile. Odioso perché colpisce quelle migliaia e migliaia di opere sociali e culturali che sono l’àncora di salvataggio della nostra società. Incivile perché interviene su una libera scelta dei cittadini contribuenti, con ciò misconoscendo il principio di sussidiarietà del quale tutti nei convegni, specie se sono presenti cardinali e vescovi, si riempiono la bocca.
Quando il 5x1000 venne approvato qualche anno fa grazie al lavoro dell’attivissimo Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà (che oggi e venerdi a Roma propone la sua annuale sessione pubblica) furono davvero grandi e universali la sorpresa e la soddisfazione. Sembrava l’inizio di un cammino serio. Riconoscimento della libertà di scelta, dei corpi intermedi, del ruolo pubblico delle aggregazioni sociali, del mutuo interesse tra cittadini e famiglie, e così via riconoscendo.
Lo Stato e lo statalismo sono però sempre rimasti in agguato e non si è mai riusciti a rendere stabile e definitivo il provvedimento, sempre affidato alla finanziaria (e dunque al bilancio) di turno. Non solo, ma anche i soldi sono sempre rimasti precari. A parte i ritardi sconsiderati nella liquidazione delle somme ai destinatari, come se fossero proprietà dello Stato e non soldi dei cittadini, anche il montante globale è stato soggetto all’arbitrio dell’amministrazione pubblica.
Quei soldi sono stati “presi a prestito” per risolvere emergenze e tappare buchi e non si è mai capito perché se mai dal 5x1000 arrivassero 800 milioni di euro gli enti destinatari non possano riceverne più di 400. Un altro problema rimasto in sospeso è quello di un maggior rigore nella titolarità dei soggetti destinatari.
Per accaparrarsi il 5x1000 ne hanno inventate di cotte e di crude: dagli editori che dal proprio giornale reclamizzavano donazioni alla propria Fondazione dagli imprecisati scopi sociali, a ricchissime associazioni professionali che si sono create un’apposita onlus per l’evidente scopo di dragare denaro dai propri iscritti e mantenerlo “in casa”.
Insomma la norma doveva essere perfezionata e migliorata e sicuramente irrobustita. E invece dalla legge in discussione da ieri è arrivata la mazzata, lo Stato torna a dire ai cittadini che non possono scegliere, è lui a farlo per noi. E infatti trova sempre i soldi per giornali di opinione, di partito e di fantomatiche cooperative (tutti senza mercato o quasi; per non parlare delle agenzie di stampa che senza soldi pubblici non starebbero in piedi).
Avvenire.it, 18 novembre 2010 - Il richiamo di Benedetto XVI - Spartiacque per gli uomini e le nazioni di Fulvio Scaglione
Come in tante altre occasioni, an che sul caso di Asia Bibi, la gio vane madre pachistana accusata di blasfemia da un gruppo di colleghe e da un imam per aver difeso la propria fede cristiana, arrestata nel giugno 2009 e ora condannata alla pena di morte, Benedetto XVI ha saputo tro vare parole che segnano uno spar tiacque nella consapevolezza degli uomini e delle nazioni. Ieri, al termine dell’udienza genera le, il Pontefice ha ricordato che «in questi giorni la comunità internazio nale ha seguito con grande preoccu pazione la difficile situazione dei cri stiani in Pakistan, spesso vittime di violenze e discriminazione».
E ha ag giunto: «In modo particolare oggi e sprimo la mia vicinanza spirituale al la signora Asia Bibi e ai suoi familiari mentre chiedo che al più presto le sia restituita piena libertà». «Prego – ha concluso Benedetto XVI rivolto ai fe deli presenti – per quanti sono in si tuazioni analoghe, affinché i loro di ritti siano pienamente rispettati».
È proprio quanto si erano augurati i vescovi del Pakistan, che infatti han no subito espresso al Papa un «since ro grazie per il suo grande coraggio, per la protezione dei senza-voce, di quanti sono vittime innocenti di vio lenze e sopraffazioni». Sta tutta in queste due immagini così comple mentari (Benedetto XVI che presta la propria voce a chi non può usare la propria) la forza di quelle frasi che, in un solo paragrafo, denunciano il ma le e ne indicano la cura. Le comunità cristiane perseguitate non solo in Pakistan ma nel mondo (violenze e discriminazioni sono re gistrate in 60 Paesi) soffrono per l’op pressione esercitata da regimi, mag gioranze etniche e religiose e gruppi di pressione economica e criminale, spesso alleati.
Ma non soffrirebbero così tanto se non le avessimo abban donate a se stesse e a una capacità di resistenza sperimentata almeno in tredici secoli, cioè dal dilagare dell’i slam in una vasta porzione del mon do allora conosciuto. Il governo ita liano è certamente sensibile al tema, come il recente viaggio del ministro Frattini in Pakistan ha dimostrato, ma per molti altri non è un problema a dattarsi ad alleanze politiche ed eco nomiche con Paesi intolleranti della libertà religiosa (l’Arabia Saudita, per esempio) o anche solo incapaci di mantenere i buoni propositi come l’Egitto o lo stesso Pakistan.
È una debolezza morale e un errore culturale. In Medio Oriente, in Asia, in Africa le comunità cristiane sono il miglior tramite per stabilire un pro ficuo rapporto con le civiltà locali, ol tre che la più efficace rappresenta zione dei valori su cui è fondata la no stra civiltà. È imperativo, dunque, che l’Occidente riconosca quelle antiche e nuove comunità cristiane come realtà rilevantissime e specialmente care, diverse e profonde espressioni d’Oriente eppure parti di sé, di noi tutti. È indispensabile questo ricono scimento non formale, per protegge re sempre quelle comunità persegui tate e difenderle, quando è il caso. Al Papa sono bastate poche parole. Di che cosa hanno ancora bisogno i go verni e le istituzioni internazionali?
Avvenire.it, 18 novembre 2010 - La tv tribunizia/1 Saviano e l’eutanasia - E il campione di legalità elogiò la non-legge di Domenico Delle Foglie
Sappiamo bene che criticare un "mostro sacro" è una partita a perdere, ma si potrà pure dissentire con Roberto Saviano senza passare per camorristi, fascisti o disfattisti. Se un intellettuale, nel caso uno scrittore coraggioso, vuole vestire i panni del <+corsivo_bandiera>maître à penser<+tondo_bandiera> televisivo, del faro che illumina le coscienze, sa di dover fare i conti non solo con il mezzo, ma anche con i telespettatori. Milioni di persone diverse, ognuna con una sensibilità propria eppure tutte con un mondo di valori di riferimento dall’inevitabile base comune: la vita e la morte non tollerano giochi di parole ed esercizi concettuali spericolati e irrispettosi.
E qui ci permettiamo di inserire il rammarico: argomentare contro le mafie di ogni colore è un grande merito civile che unisce il Paese, tirare conclusioni politiche è un esercizio di libertà (e chi lo compie dovrebbe sapere di poter essere chiamato a renderne conto), ma schierarsi a favore del suicidio assistito e dell’eutanasia è un azzardo che come minimo squassa le coscienze e divide il popolo. Noi sappiamo solo in parte – per quel po’ che ci hanno fatto sapere – che cosa hanno pensato e patito le migliaia di donne e uomini in carne e ossa che tutti i giorni accudiscono in famiglia un malato terminale o un grave disabile senza risparmio di energie, sentimenti e risorse finanziarie, nel sentirsi dire con la forza della parola televisiva che quella vita lì, proprio quella, non è degna di essere vissuta.
Lunedì sera, a "Vieni via con me", è andata in scena una pagina sconcertante di quella «dittatura dei sentimenti» che sembra ormai voler legittimare ogni tragitto individuale e anche ogni scelta estrema, fuori da un contesto comunitario, al di là del sentire comune, persino oltre i confini della razionalità umana. Ragione umana che viene invocata per opporsi alle mafie, ma non viene messa in campo se è in gioco la vita di un essere umano nella condizione di massima fragilità. Saviano, con la sua performance, si è reso colpevole del più grave degli addebiti che si possano avanzare nei confronti di un cultore della laicità: ha eliminato con un tratto di penna la cultura del dubbio. Secoli di severa laicità, di continuo sbattuta in faccia ai credenti, bruciati in pochi minuti. Così Saviano ha mostrato all’improvviso il volto del moderno giacobino che oscura la ragione: «Quella di Piergiorgio Welby non era più vita».
Ecco, questo nostro tempo è pieno di tradimenti della ragione e ci dispiace scoprire che l’ implacabile accusatore dei più feroci camorristi non si faccia scrupolo nel liquidare ferocemente una vita, nascondendosi dietro l’idolo assoluto della libertà senza vincoli di solidarietà. Sino al punto di suggerire a tanti altri, uomini e donne, di seguire la strada che porta al darsi e al dare la morte.
Lo rimbeccano i dati di realtà, che tradiscono meno degli intellettuali: dopo i drammi di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby, abbiamo assistito a un solo caso di suicidio assistito, con una donna italiana accompagnata a morte in Olanda. Eppure ci è toccato ascoltare, dalla voce di Saviano, la "certificazione" (già tentata in tv da altri) che negli ospedali italiani, con una manciata di euro, è possibile effettuare un’eutanasia. Lui che è un professionista della legalità (e non è il solo) perché non fa denuncia alla magistratura? Forse condivide questa scorciatoia, e tacita la coscienza? Come può chiedere ai taglieggiati di ribellarsi alle mafie se spinge, lui, a calpestare la legge dello Stato che non consente eutanasia né suicidio assistito e persegue chi li favorisce con il reato di omicidio del consenziente? Ci sono leggi che secondo il maestro Saviano, e con lui Fazio, il campione dei sornioni, si possono violare senza pagare dazio? Che differenza c’è fra loro e quanti cercano leggi "ad personam", o giustificano chi non si sottomette alla legge?
La coscienza, Saviano pretende a suo modo di insegnarlo, è un tempio interiore da salvaguardare. Ma lo è sempre, sia dinanzi alla mano omicida del camorrista sia dinanzi a quella che si erge, presuntuosa e autoritaria, ad affamare e assetare l’inerme. Uno come noi e come lui. O no?
Disabili in classe? - Percorso possibile - Il modello Fism sull’inclusione al centro del Salone nazionale sull’educazione - In 5mila asili sono integrati 4.500 bimbi con disabilità. Ma dallo Stato arrivano appena mille euro all’anno per ciascun alunno - DA MILANO PAOLO FERRARIO – Avvenire, 18 novembre 2010
L e scuole materne cattoliche della Fi sm diventano riferimento, in Italia, per l’integrazione dei bambini disa bili. La Federazione (8mila scuole materne, pari all’80% delle scuole dell’infanzia non statali, presenti in 4.800 Comuni italiani e frequentate da oltre mezzo milione di bam bini) è infatti tra i protagonisti di Abcd, il Salone italiano dell’educazione, in corso di svolgimento alla Fiera di Genova, dove ie ri la Fism è stata chiamata a presentare il proprio modello pedagogico-educativo. «Il nostro è un modello stellare, con un’inse gnante di riferimento e la presenza di altre insegnan ti, tra cui anche quella di so stegno per i bimbi disabi li », ha spiegato Biancama ria Girardi, responsabile nazionale del settore disa bilità della Fism, che in 5mila scuole ha favorito l’inserimento di circa 4.500 bimbi disabili tra i 3 e i 6 anni. Stando ai dati più recenti forniti dal Ministero dell’I struzione, gli alunni disabi li inseriti nelle scuole del l’infanzia italiane sono in vece 13 .906 (erano 13 .582 lo scorso anno scolastico), mentre le insegnanti di soste gno sono 8.674, rispetto agli 8.188 dell’an no scorso. Pertanto, il rapporto tra alunni e docenti di sostegno è passato da 1,66 del l’anno scorso a 1,60 di quest’anno.
«Il modo migliore per favorire l’inserimen to dei bambini disabili – ha aggiunto Gi rardi – è creare un clima di accoglienza, fa vorendo la possibilità di incontro tra bambini. Un incontro non per andare alla ri cerca di ciò che manca nei bimbi disabili, ma per mettere in luce il bene che c’è. Co me tutti i bambini, infatti, anche il bimbo disabile ricerca amicizia e desidera stare con gli altri».
In questo senso, proprio la visione cristia na della vita che caratterizza il metodo e ducativo delle scuole Fism, porta l’intera comunità scolastica a farsi carico della disabilità. «Con il modello stellare – ha riba dito Biancamaria Girardi – il bimbo disa bile non è “attribuzione” di un unico do cente, l’insegnante o educatore di soste gno, o di un’unica sezione, ma è accolto dalla scuola nella sua interezza; una scuo la che è comunità e che insieme si prende cura di tutti i bambini ad essa affidati, con o senza disabilità».
Un lavoro impegnativo che le scuole ma terne della Fism compiono in stretta colla borazione con le famiglie. Un rapporto non soltanto ricercato dalla scuola ma anche, per certi versi, obbligato, vista l’esiguità dei contributi statali riservati alle scuole del l’infanzia che accolgono i disabili. «In me dia – ha ricordato Girardi durante il seminario tenuto ieri a Genova – dallo Stato riceviamo un contributo annuo di circa mille euro per disabile, una miseria che non basta di certo a coprire i costi di un’insegnante di sostegno». Evidente la disparità di trat tamento rispetto alle scuo le statali - dove esiste un’in segnante di sostegno quasi per ciascun bimbo disabile - nonostante le materne pa ritarie, giova ricordarlo, dal 2000 facciano parte a tutti gli effetti del sistema nazio nale di istruzione, tanto quanto le scuole gestite dallo Stato e consentano un rispar mio alle casse pubbliche di più di 4 miliar di di euro all’anno. «Questa mancanza di fondi – ha ribadito con forza Girardi – nega un diritto dei bam bini disabili e delle loro famiglie, quello di una reale parità di accesso alla scuola che copra tutti i bisogni. Questo è un elemen to di alta criticità che, purtroppo, il Mini stero non ha ancora recepito come tale ma che, nel contempo, non ci scoraggia di cer to. Noi, pur con grande fatica, come scuo le cattoliche ci siamo presi, ormai otto an ni fa, l’impegno di accogliere i bambini di sabili, attuando specifiche modalità di in tervento e stringendo convenzioni con i Comuni». Insomma: dove non arriva lo Sta to centrale ci pensa la fantasia delle scuo le e degli enti locali. Un’altra modalità di declinazione, sul territorio, del principio di sussidiarietà.
Clemente Rebora poeta «maledetto»? - Sì, se significa «assoluto». - Più profetico di Pasolini, più violento di Campana, in lui si compie qualcosa che Rimbaud, mistico selvaggio, agognò febbrile: i versi fuori da ogni ipoteca letteraria, come «mania d'eterno», in un percorso di vita tormentoso e teso di Davide Rondoni – Avvenire, 18 novembre 2010
E ccoci ancora davanti e sotto il suo martello e la celestiale poltiglia, o sperduto bisbiglio che fa di poesia respiro. Eccoci ancora a Rebora. Più profetico di Pasolini, più violento di Campana. La sua contusione delle parole e la sua profezia ancora ci cercano. La poesia italiana si cerca in fronte il segno di Rebora. Pochi mesi fa un giovane poeta napoletano, meno che trentenne, Valerio Grutt – uno che fa del pop – mi indicava in Rebora un suo primo maestro. Perché lui è uno di quelli che risale dai margini, dai pendii più precipitanti della nostra poesia fino ormai ad occuparne a diritto la vetta. Ma la sua occupazione è inquieta e mai assodata, e mai soddisfatta di inutile gloria letteraria, poiché presenza e voce tutta bruciata e accesa di qualcosa di incomparabile ad ogni gloria o fama, di irriducibile a qualsiasi dicorso sullo stile. Rebora viene dopo Rimbaud. Dopo Hopkins.
Dopo la loro abiura della poesia come salvezza. Viene dopo di loro e con loro addosso. Porta in scena la smentita assoluta e per ciò stesso la rimessa in gioco di ogni arte della parola poetica.
Ha il suo naufragio – come Hopkins, come Moby Dick , come il ragazzo di Charleville. Perché forse è da naufragi che la poesia deve sempre ricominciare.
Poesia a contatto con l’assoluto, e che riconosce di non esserne romantica e parziale ombra. Ma benzina. E oscura felicità. Una poesia come «mania dell’eterno», in un percorso di vita tormentoso e teso. La poesia di Rebora in quel suo primo tendersi e poi in quel quasi bambinesco ritirarsi vive della medesima precisione vitale, di dramma sentito fin nelle fibre del vivente reale, del farsi e disfarsi della vita. Del corpo e della voce. È un compagno di avventura nell’assoluto di Campana. Dovessimo fare e andrà fatta finalmente una nostra antologia di «Maledetti», come invitai a fare qualche anno fa per il Saggiatore Davide Brullo che allora la accennò, Rebora dovrebbe stare, sotto quella ferita precisazione che fece Verlaine introducendo Rimbaud, Corbière e gli altri: maledetti, cioè assoluti. Forse nel Novecento italiano dovremmo accostarlo a Martini, lo scultore, per avere un eloquente corrispettivo. Quella sua castità combattiva. Quella medesima luminosità bruciante, in una «scultura lingua morta» che diviene prodigiosa e fisica rappresentazione dei movimenti essenziali del vivente: lo sguardo alle stelle, il nuotare, il perdono... Anche in una lingua apparentemente «morta» e pur vibrante Rebora ci ha dato un corrispettivo. Giovanni Testori – che amò Martini – guardava a Rebora e a Caproni come compagni possibili di una poesia che si liberasse da ogni ipoteca letteraria, da ogni convenzionalità stilistica. Nel ’55, quando stende la sua nota biografica per Curriculum vitae
che esce da Scheiwiller, Rebora nota tra le scarne notizie che a un certo punto «viene alla fede». In un suo intervento, tra l’ammirato e il perplesso, Michele Ranchetti annotava quella strana espressione «viene alla fede».
Penso che in quel verbo, in quella espressione che indica un movimento, una specie di resa attiva, sia una grande verità, irrintracciabile nella pur larga messe di indizi biografici messi in luce in questi decenni. La verità di un movimento, di un percorso il cui apice il poeta – già affermato e riverito come maestro da una parte di borghesia colta milanese e non solo – descrisse con le parole: Giugno 1928 «il Signore mi fermò definitivamente le parole in pubblico». In quell’arresto, in quel taglio del suo «discorso pubblico», che aveva dato i fiori altissimi di poesie profetiche e tese, Rebora vede un compimento. Qualcosa a cui doveva «venire». Come l’amante teso nell’ardore quando conosce lo sperdimento a cui abbandonarsi, una forza che lo sovrasta e avvolge. Verbo – se ben inteso – che rimanda a metafore erotiche non a caso basiche nelle origini del poetare antico di Provenza, e poi siculo e toscano fino alla cattedrale dantesca; un poetare che fioriva accanto alla tensione dei Padri di conoscere amando. E di amare conoscendo Dio. In Rebora dopo quella interruzione di «discorso pubblico», letterario e sapiente, irrorato delle saggezze di Tagore e dei Russi che andava traducendo, oltre che della poesia e della letteratura dei suoi sodali fiorentini e del simile Michelstaedter, si avvia un altro discorso. Un’altra eloquenza.
Che sembra «diminuire» la poesia e in realtà la incendia a un livello di ferialità impastata di eterno: quelle poesie d’occasione, quei sommessi versi finali, e le supreme povere, feriali assonanze. Come se dopo il naufragio (quello amoroso con Lydia e ora quello del discorso pubblico) la poesia che rinasce fosse più simile al grido impetuoso e mendicante della protagonista del Naufragio di Hopkins, ne fosse l’ultrasuono in minimi frammenti: vieni Cristo nell’uragano. La scena del mondo, sapeva Paolo, necessita di una lingua che non è nemmeno quella degli angeli.
Figuriamoci quella dei poeti che appartengono alla letteratura.
Occorre la lingua della carità.
Rebora venne a quella lingua.
Obbligando ora tutti noi, che scriviamo o amiamo i versi, a misurarci con ciò che non ha misura. E che ci abbatte, salvandoci da ogni superbia. La lingua della carità può abitare la poesia. Di più: può generarla. In Rebora si compie qualcosa che Rimbaud, mistico selvaggio, agognò febbrile nella sua Saison.
Nel mezzo ci fu il silenzio, la dedizione, la vita che cerca solo la vita, cioè la sua Fonte.