mercoledì 24 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    LIBERATA ASIA BIBI, LA DONNA PAKISTANA CONDANNATA A MORTE PER BLASFEMIA - Riceve la grazia del Presidente Asif Ali Zardari
2)    Avvenire.it, 24 novembre 2010 - IL CRISTIANESIMO, LE CRISI, LA CERTEZZA DEL PAPA - L'antireligione e il seme forte di Marina Corradi
3)    JOAQUÍN NAVARRO-VALLS: “OGGI LA FEDE NON PUÒ GIOCARE SULLA DIFENSIVA” - Termina a Madrid il Congresso Cattolici e Vita Pubblica
4)    Per l'inizio dell'anno liturgico - La corona che plasma il tempo di Inos Biffi  (©L'Osservatore Romano - 24 novembre 2010)
5)    Perché il Male ci perseguita e le nostre vite possono sembrare tristi? - Carlo Di Pietro dal sito http://www.pontifex.roma.it
6)    Radio Vaticana notizia del 23/11/2010 - Giovane sacerdote ucciso in Brasile
7)    Il tacchino senza politica Lorenzo Albacete - mercoledì 24 novembre 2010 – ilsussidiario.net
8)    LUCE DEL MONDO/ Magister: la fede del Papa non è "contro", ma per il cuore dell’uomo- INT. Sandro Magister - mercoledì 24 novembre 2010 – il sussidiario.net
9)    Avvenire.it, 24 novembre 2010 - Terza puntata di "Vieni via con me": non li hanno fatti parlare - Quella deludente fiera del non detto di Lucia Bellaspiga
10)                      Newsletter n.324 | 2010-11-24 - I cattolici in politica tra resistenza, attesa e ripresa. I valori non negoziabili non sono una scelta confessionale ma un’opzione per il bene comune. Dal sito http://www.vanthuanobservatory.org/
11)                      La storia Il risveglio di Baba: «Sto bene» - Dopo 11 mesi di stato vegetativo e una commovente gara di solidarietà un senegalese di 43 anni ha ripreso coscienza a Baunei, in Sardegna - DA BAUNEI (N UORO) MARIO GIRAU – Avvenire, 24 novembre 2010

LIBERATA ASIA BIBI, LA DONNA PAKISTANA CONDANNATA A MORTE PER BLASFEMIA - Riceve la grazia del Presidente Asif Ali Zardari

ROMA, martedì, 23 novembre 2010 (ZENIT.org).- Asia Bibi, la cristiana pakistana condannata a morte per blasfemia, è stata liberata dal carcere dopo aver ottenuto la grazia dal Presidente Asif Ali Zardari.

Lo hanno confermato a ZENIT International Christian Concern (ICC) e altre istituzioni di difesa della libertà religiosa, così come l'agenzia del Kuwait Kuna.

La Bibi, di 37 anni, è stata in carcere per molti mesi senza processo e questo lunedì è stata dichiarata “innocente” dal Ministro delle Minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti, anch'egli cristiano.

Bhatti aveva chiesto al Presidente Zardari che la donna venisse liberata per “non aver commesso atti blasfemi”.

Questo sabato, Asia Bibi aveva firmato un appello per chiedere la grazia al Presidente. Il testo è stato consegnato a Zardari dal Governatore di Punja, Salman Taseer.

Per salvare la donna si è mobilitato anche Benedetto XVI, unito a buona parte della comunità internazionale.

La Bibi era stata condannata a morte da un giudice del distretto pakistano di Nankana, nella provincia centrale del Punjab. La condanna è stata dettata da fatti risalenti al giugno 2009, quando la donna era stata denunciata con l'accusa di aver offeso il profeta Maometto durante una discussione con alcune compagne di lavoro musulmane.

Secondo fonti locali, Asia Bibi è stata portata in una località che non è stata rivelata per motivi di sicurezza, perché in passato persone che erano state dichiarate innocenti dopo le accuse di blasfemia sono state assassinate dalla popolazione.

La donna viveva con suo marito, Ashiq Masih, nel quartiere “Chak 3” del villaggio di Ittanwali, non lontano dalla città di Nankhana Sahib, a est di Lahore, nella provincia del Punjab. Nel quartiere, a stragrande maggioranza musulmana, vivono solo tre famiglie cristiane.


Avvenire.it, 24 novembre 2010 - IL CRISTIANESIMO, LE CRISI, LA CERTEZZA DEL PAPA - L'antireligione e il seme forte di Marina Corradi

«C’è il pericolo che la ragione, la cosiddetta ragione occidentale, sostenga di avere finalmente riconosciuto ciò che è giusto e avanzi una pretesa di totalità che è nemica della libertà. Credo necessario denunciare con forza questa minaccia. Nessuno è costretto a essere cristiano. Ma nessuno deve essere costretto a vivere secondo la "nuova religione", come fosse l’unica vera, vincolante per tutta l’umanità». Del rischio di una dittatura del relativismo Benedetto XVI parla da tempo, ma il bello di <+corsivo>Luce del mondo<+tondo> è che le domande di Peter Seewald somigliano a quelle che molti di noi farebbero, se potessero, al Papa. La pressione perché «si pensi come tutti, si agisca come agiscono tutti», evocata da Seewald, quanto la sentiamo, anche in un Paese di tradizione cristiana come il nostro. È, risponde Benedetto XVI, una «pressione di intolleranza» che si esercita presentando il cristianesimo come un modo di pensare «sbagliato», e ridicolizzandolo; privandolo, in nome della «ragionevolezza», dello spazio per vivere.

E fin qui è la lucida analisi di qualcosa che sperimentiamo ogni giorno. Ma provocante è la questione posta da Seewald: com’è che, anche in Paesi in cui quasi tutti sono battezzati, «una maggioranza accetta di essere dominata da una minoranza di opinion leader?». E il Papa, in risposta, si domanda: in che misura queste persone sono ancora parte della Chiesa? Da un lato, dice, non vogliono perdere questo fondamento, dall’altro «è chiaro che sono interiormente plasmate dal pensiero moderno». Insomma, l’avvento di una dittatura del relativismo è possibile per una «schizofrenia» dei cristiani, un ridurre la fede a un vecchio substrato che vive «parallelamente» alla modernità, ma non la contagia e non la fermenta. A fronte di questa realtà, Benedetto XVI afferma l’urgenza della «nuova evangelizzazione» recentemente annunciata – di un nuovo inizio, che susciti un cristianesimo capace di distinguersi alla "controreligione" avanzante.

E il denso dialogo del libro, nella asciuttezza della forma giornalistica, interpella profondamente noi cristiani insofferenti di tirannie mediatiche, politiche ed economiche, giustamente ribelli al conformismo cui ci viene chiesto di allinearci. Perché certo, le forze della «antireligione obbligatoria» sono ampie e attrezzate; ma Benedetto XVI non guarda a loro, guarda ai suoi, e (ci) domanda: in che cosa realmente credete, in chi davvero riponete la vostra speranza? In un Dio che si mette da parte, finita la messa della domenica; o in Cristo che "c’entra" con tutto, e trasforma ogni cosa?
La questione posta da Benedetto XVI dice una volta di più del suo coraggio, quando afferma in sostanza che alla prima radice della crisi presente c’è una fede spesso astratta, "divisa", incapace di fecondare di sé la realtà. Il problema, insomma, prima che gli avversari siamo noi – e questa è sempre una cosa scomoda da dire.

Non si potrebbe semplicemente pensare, domanda molto laicamente a questo punto l’intervistatore, che dopo duemila anni il cristianesimo si è esaurito, come è accaduto a tante altre culture? Ma qui il Papa rivela, dopo la severa lucidità dell’analisi, un ottimismo che potrebbe apparire illogico. Dice del germogliare di movimenti in America latina, della fedeltà della Chiesa d’Africa ai poveri, di un "fiorire", in Occidente, di iniziative poco visibili, ma che nascono «dal di dentro, dalla gioia dei giovani». Parla, il Papa, del cristianesimo come di una forza vitale, di un seme che, apparentemente annichilito, comunque rinasce, là dove non te lo saresti immaginato, e nuovamente cresce. Seme che, estirpato, ritorna; perseguitato, risorge. Radicale differenza: le culture e le ideologie nascono, trionfano e declinano. Ma Cristo nato nella carne, morto e risorto, uomo e non dottrina, tenacemente resta dentro la storia degli uomini; negato, dimenticato, ritorna.

E la granitica benigna certezza di Benedetto ci solleva, larga come un gesto di benedizione. Il destino della Chiesa è nelle mani di Cristo – non solo nelle povere nostre.


JOAQUÍN NAVARRO-VALLS: “OGGI LA FEDE NON PUÒ GIOCARE SULLA DIFENSIVA” - Termina a Madrid il Congresso Cattolici e Vita Pubblica

MADRID, martedì, 23 novembre 2010 (ZENIT.org).- “Dopo decenni, secoli in cui i cristiani hanno lottato contro la 'decristianizzazione', e nel contesto di neopaganesimo attuale, la fede non può giocare sulla difensiva”. Lo ha affermato Joaquín Navarro-Valls, ex portavoce della Santa Sede, durante l'intervento di chiusura del XII Congresso annuale “Cattolici e Vita Pubblica”, questa domenica a Madrid, a cui hanno partecipato circa 1.300 persone.
Il Congresso, organizzato dalla Fondazione San Pablo-CEU (Associazione Cattolica di Propagandisti - ACdP), riunisce ogni anno importanti rappresentanti del mondo cattolico europeo per dibattere su questioni collegate alla presenza sociale del cristianesimo.
Incentrato sul tema “Radicati in Cristo: Saldi nella Fede e nella Missione”, il Congresso di quest'anno ha riflettuto soprattutto sulla questione della laicità in Europa, e sulla necessità di una nuova evangelizzazione del tessuto sociale europeo.
Questo tema è stato affrontato da Joaquín Navarro-Valls nella conferenza di chiusura, in cui ha invocato un ampio “cambiamento di prospettiva” dei cristiani “di fronte alle sfide del nostro tempo”.
Il cristianesimo, ha spiegato, “non deve essere più visto come una tradizione da salvaguardare, ma come la prospettiva di una vita futura che occorre ricreare”. Ciò vuol dire che la domanda che oggi deve interpellare i credenti non è “se il cristianesimo saprà sopravvivere, ma se saprà espandersi di nuovo”.
Nel contesto attuale dominato dal relativismo, che Navarro-Valls ha definito come la “tendenza a costruire la propria certezza al margine della verità”, la forza principale del cristiano deve essere “l'irradiamento attraverso il suo pensiero e il suo agire del suo incontro personale con Cristo”.
“Quando il cristiano si comporta come cristiano, convince sempre”, ha affermato.
“La religione – ha aggiunto – è un valore assoluto, universale e umano”. In quanto tale, “la politica deve occuparsi di lei da un punto di vista non culturale, ma antropologico”, considerando la religione “un diritto comune indispensabile per il bene di tutti”.
Lo ha affermato anche, in apertura del Congresso, il Nunzio in Spagna, monsignor Renzo Frattini, sostenendo che i cristiani “non cercano l'egemonia politica e culturale”, ma tutto ciò che li muove è “la convinzione che Cristo è la pietra angolare di ogni costruzione umana”.
Dal canto suo, il presidente della ACdP e del CEU, Alfredo Dagnino, ha commentato che la laicità “non può essere ostile nei confronti della religione”, ma deve partire dal “riconoscimento del valore positivo del cristianesimo per il bene comune”.
Anche il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, il sacerdote spagnolo Julián Carrón, ha insistito sulla necessità, da parte degli stessi cristiani, di “superare il riduzionismo di contrarre la portata del cristianesimo a un'etica o a una dottrina”.
“La testimonianza dei cristiani che rendono presente Cristo fa della fede qualcosa di 'contemporaneo' e questa è la grande situazione favorevole del cristianesimo ai giorni nostri – ha affermato –. In questo momento, in cui avanza il deterioramento dell'uomo, la Chiesa ha l'opportunità di mostrare la potenza di vita che scorre nelle sue vene”.
Laicità positiva
Il tema della laicità è stato anche oggetto di una tavola rotonda alla quale sono intervenuti il redattore capo aggiunto del quotidiano francese “Le Figaro”, Jean Sevillia, il membro della Camera dei Deputati della Repubblica Italiani e presidente del gruppo EPP/CD al Consiglio d'Europa, Luca Volontè, e la docente di Diritto Ecclesiastico dello Stato dell'Università di Saragozza, Zoila Combalía Solís.
Luca Volontè ha sottolineato la necessità della regolamentazione del nuovo fenomeno del pluralismo religioso, ma senza imposizioni ideologiche.
Zoila Combalía Solís ha invece spiegato la differenza tra il laicismo militante e la neutralità dei poteri pubblici nei confronti delle varie religioni.
Il primo si basa sul modello laicista novecentesco francese, che mira ad espellere le religioni dal dibattito sociale per relegarle all'ambito privato, anche se questa proposta ha il pericolo di impedire lo sviluppo della libertà personale.
Il secondo, che è stato il modello lodato dallo stesso Papa Benedetto XVI durante la sua visita pastorale negli Stati Uniti nel 2008, parte invece dall'esempio della Costituzione Americana, in cui la separazione della religione e dello Stato si realizza per ottenere una convivenza pacifica e la libertà di culto.
La docente ha anche avvertito sul rischio che, “di fronte alla mancanza di consenso in temi sociali così sensibili come il diritto alla vita e alla dignità personale, la libertà religiosa, l'educazione dei figli da parte dei genitori in base alle proprie convinzioni, si possa verificare la situazione per cui lo Stato forzi qualcuno ad agire contro le proprie convinzioni”.
Jean Sevillia ha osservato dal canto suo che “se l'Europa non vuole riconoscere le proprie radici cristiane si suiciderà”, perché l'oblio delle radici cristiane è strettamente collegato all'“individualismo”, e a un concetto deviato di libertà.
In questo ambito, suscita un disorientamento particolare “la confusione della libertà religiosa con la libertà di coscienza”, ha dichiarato il giornalista francese.
Questa idea di laicità positiva è stata illustrata anche in un intervento di Sergio Belardinelli, docente di Sociologia all'Università di Bologna, per il quale è necessario “uno Stato laico che sia capace di organizzare la convivenza pacifica tra le varie confessioni”.
Belardinelli ha anche chiesto una “versione di laicità diversa da quella dominante”. A questo proposito, ha lodato il modello americano di laicità, che si basa sulla collaborazione tra l'aspetto politico e quello religioso, al posto della “reciproca delegittimazione” che caratterizza l'atteggiamento europeo.
Su questa linea, Belardinelli ha commentato che per i cattolici “è giunta l'ora di pensare al fatto che bisogna partecipare alla generazione del consenso. Bisogna entrare laddove si produce consenso”.


Per l'inizio dell'anno liturgico - La corona che plasma il tempo di Inos Biffi  (©L'Osservatore Romano - 24 novembre 2010)

L'anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa, "un poema - come diceva il cardinale Ildefonso Schuster di tutta la liturgia - al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra". Esso è la trama dei misteri di Gesù nell'ordito del tempo. Così, lungo il corso di ogni anno, la Chiesa rievoca gli eventi della sua nascita, della sua morte e della sua risurrezione, così che il susseguirsi dei giorni sia tutto improntato e sostenuto dalla memoria di lui. Una memoria d'altronde che, se fa volgere lo sguardo a quando quegli eventi si sono compiuti, subito fa tendere lo sguardo sul Presente, cioè sul Cristo vivente, che sovrasta e include in se stesso tutta la storia.
Facendosi uomo, il Figlio di Dio si ritrova, come ognuno di noi, "datato" e coinvolto nei confini della cronologia e, perciò, di un passato irreversibile. È l'aspetto temporale e irripetibile dei suoi misteri, che divengono l'oggetto del ricordo che li rievoca. Così nell'anno liturgico, con immensa pietà, ripassano i diversi momenti rievocati nei vangeli, e di cui è stata intessuta l'esistenza di Gesù e che non si rinnovano. E tuttavia ognuno di essi era una mediazione di grazia e concorreva a "creare" il Signore e la sua opera di salvezza.
Gesù non rinasce storicamente ogni volta che la Chiesa ne rievoca il Natale, ma quella natività fu una mediazione e un avvenimento di grazia. Come lo furono tutte le altre manifestazioni della vita terrena del Figlio di Dio:  ossia, come direbbe Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae, III, 27, prologo), "tutto quello che il Figlio di Dio incarnato fece o patì nella natura umana a lui unita" (ea quae Filius Dei incarnatus in natura humana sibi unita  fecit  vel  passus  est):   tutto  quello che concorse a formare il Cristo redentore.
Nello svolgimento dell'anno liturgico rimeditiamo su quei misteri, miriamo ad averne un'intelligenza più profonda, e soprattutto li ritroviamo col loro senso e con il loro valore nel Signore vivente glorioso, sul quale sono fissati gli occhi della fede e l'ardore del cuore. E in questo senso si può affermare che, narrati e tramandati d'anno in anno, non invecchiano e non si consumano mai.
Ecco perché è giusto ritenere che, mentre si dispongono e si uniscono a formare la suggestiva "corona della benignità dell'anno di Dio" - corona benignitatis anni Dei, come Paul Claudel intitola il suo splendido poema sull'anno liturgico - essi sono destinati in certo modo a rinnovarsi nella Chiesa. L'anno liturgico - scriveva il cardinale Schuster - "rappresenta come l'unità di misura della vita della Chiesa sulla terra. Questa vita a sua volta è la continuazione della vita di Gesù Cristo". Vale per esso quel che egli diceva della preghiera liturgica:  "Direttamente sgorga dal cuore della Chiesa orante". I giorni che lo formano sorgono dall'amore della Chiesa ininterrottamente assorta a contemplare e a incontrare il suo Signore, istituendo con lui una cronologia o un corso annuale nuovo e inedito, a servizio di Cristo, per mezzo del quale, nel quale e per il quale tutto è stato creato.
In tal modo il tempo è riscattato dalla noia della monotonia e dall'angoscia che può incombere di fronte all'ignoto. La liturgia ambrosiana parla di "paura del tempo" (metus temporis). In realtà la Chiesa, "pellegrina sulla terra", lo vive e lo trascorre in compagnia di Gesù, che del tempo stesso è il significato e il fine. Essa è sempre in "attesa della sua venuta", sicura d'altronde che egli è già venuto ed è sempre il Veniente, convinta perciò che nessuna disgrazia o nessun incidente, per quanto possano apparire gravi, saranno mai capaci di strapparla all'amore onnipotente e provvidente del Signore.
E, con Cristo, anche i santi, di giorno in giorno, fanno compagnia alla Chiesa, a cominciare dalla Vergine Maria, che continua nella Chiesa la sua premurosa missione materna. Così, accanto al Proprio del tempo e al Tempo per annum, tutti dedicati alla contemplazione dei misteri di Cristo, ci imbattiamo felicemente nel Santorale:  una luminosa ghirlanda di amici di Dio e di amici nostri, che adesso si accompagnano con noi, dopo avere prima di noi compiuto il "santo viaggio", e avervi attinto la grazia in esso celata e ora maturata nella gloria.
Senza dubbio, in questo tragitto non siamo sottratti al tempo cronologico, che da ogni parte ci avvolge. Esso non è abrogato o soppresso, ma perdura sia come fautore di crescita terrena, sia come coefficiente di declino quando nella sua implacabile corsa logora e debilita il corpo, e insieme estenua e dissipa, talora fino a devastarle, le energie dello spirito.
E, tuttavia, non dubitiamo che proprio a questo trascorrere del tempo il Signore provveda a conferire un'energia inattesa e che lo ammanti di benedizioni:  lui che ha trasformato l'acqua in vino, e ridato vita ai corpi infermi o già pervasi dalla morte, e superato i limiti dello spazio, apparendo a porte chiuse; lo stesso che sa continuamente trasmutare la materia delle nostre offerte e rendercela come Eucaristia.
Allo stesso modo, egli sa convertire e plasmare anche il tempo, che si china docile al comando di Gesù, chiamato da sant'Ambrogio (De fide, i, 9, 58) "autore e creatore del tempo" (temporis auctor et creator). Non sarebbe allora fuori luogo denominare l'anno liturgico il sacramento dei "tempi beati" (beata tempora):  quelli che lo stesso vescovo di Milano vedeva iniziare dall'Ora di Terza, quando Cristo "ascese sulla croce" (ascendit crucem). Ecco perché - usando le parole di Davide nel salmo 84 - si può affermare che chi percorre l'anno liturgico "passa per la valle del pianto, e la cambia in una sorgente", e che lungo il cammino "cresce il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion".


Perché il Male ci perseguita e le nostre vite possono sembrare tristi? - Carlo Di Pietro dal sito http://www.pontifex.roma.it

“Incessantemente chino sull'uomo per difenderlo, stimolarlo e ispirarlo, l'angelo custode si rattrista forse per quello che affligge il suo protetto: perdite materiali, insuccessi professionali, incidenti, malattie, vecchiaia, incostanze, mancanze, peccati? Accompagnando l'uomo in tutte le sue vie, l'angelo custode non ha talvolta di che rattristarsi? Qual'è l'atteggiamento dell'angelo di fronte al problema che è un tormento segreto per i credenti insufficientemente illuminati e un ostacolo per gli increduli nel loro cammino verso la verità: vale a dire il male, nelle sue diverse manifestazioni, che c'è nel mondo? Come reagisce l'angelo all'obiezione frequente: “Se Dio esistesse non permetterebbe il male. Il male c'è, quindi Dio non esiste?”. Qui si presenta un dilemma. O l'angelo soffre per le nostre prove e quindi non gode una felicità perfetta, o il nostro angelo custode non piange con quelli che piangono, rimane indifferente come un egoista e freddo di fronte ai mali che ci affliggono e quindi gli manca la comprensione e la simpatia. La soluzione data da San Tommaso a questo problema apparentemente insolubile ci apre profonde prospettive sul mondo degli angeli e sulla vita umana. «Gli angeli - afferma San Tommaso - non provano dolore né dei peccati né delle pene degli uomini. Nel mondo avviene soltanto ciò che è conforme alla divina giustizia e che da lei è tollerato, per cui gli angeli e gli altri beati aderiscono totalmente all'ordine della divina giustizia. Ma perché allora Dio permette il male? Perché non può fare altrimenti? Certamente no. Egli è onnipotente. Gli basterebbe un nonnulla per prevenire il delitto di un assassino o le persecuzioni di un tiranno o per abbattere un prepotente dittatore ecc. Se Dio tollera un male è sempre e unicamente per ricavarne un bene, a breve o a lunga scadenza.

San Tommaso spiega questo stile divino con un esempio molto semplice: il comportamento di un navigante il cui battello, carico di merci, rischia di affondare in mezzo al mare in burrasca. Il navigante non vuole gettare in mare la mercanzia, ma lo vuole nell'imminenza di un grave pericolo di morte. Questa perdita si risolve per lui in un guadagno. Ha la vita salva! Da un male ricava un bene. Sacrifica il meno, la mercanzia, e salva il più, la vita. Agisce saggiamente. Ostinandosi a voler salvare la sua merce, perderebbe il battello e la vita. Così agisce Dio, quando tollera le malattie e le epidemie, i terremoti e le inondazioni, i delitti e le guerre, le colpe morali, i sacrilegi, le apostasie degli individui e dei popoli: se non impedisce questi mali - e lo potrebbe fare facilmente - è perché la sua sapienza e la sua potenza ne ricaveranno un giorno o l'altro dei beni più grandi. Dagli oscuri abissi della miseria umana, la misericordia di Dio sa trarre tesori imprevedibili.

Questo lo sanno bene gli angeli, perciò non si affliggono delle nostre pene. Non è dunque affatto per indifferenza che gli angeli non si rattristano davanti alle disgrazie e alle colpe dei loro protetti, ma in ragione di una conoscenza più penetrante di questi mali. La loro serenità non deriva da ignoranza, ma da una scienza superiore. Mentre l'occhio dell'uomo si ferma alla scorza rugosa delle prove, senza discendere nella profondità né considerare l'avvenire, lo sguardo dell'angelo custode attraversa la scorza, entra nell'interno e penetra l'avvenire. Nel seme gettato in terra egli discerne già la spiga. L'angelo partecipa della scienza di Dio che con un solo sguardo abbraccia tutte le cose, passate, presenti e future. In una pagina magnifica, degna di Sant'Agostino, Pio XII raffronta le vedute limitate degli uomini con la scienza infinita di Dio, della quale partecipano gli angeli:

“Tutti gli uomini sono quasi fanciulli dinanzi a Dio, tutti, anche i più profondi pensatori, i più sperimentati condottieri dei popoli. Essi giudicano gli avvenimenti con la veduta corta del tempo che passa e vola irreparabile. Dio li guarda invece dalle altezze e dal centro immoto della eternità. Essi hanno davanti ai loro occhi l'angusto panorama di pochi anni; Dio invece ha davanti a sé il panorama universale dei secoli. Essi ponderano gli umani eventi dalle loro cause prossime e dai loro effetti immediati; Dio li vede nelle loro cause remote e li misura nei loro effetti lontani. Essi vorrebbero la giustizia immediata e si scandalizzano dinanzi alla potenza effimera dei nemici di Dio, alle sofferenze e alle umiliazioni dei buoni. Ma il Padre celeste che nel lume della sua eternità abbraccia, penetra e domina le vicende dei tempi, al pari della serena pace dei secoli senza fine, continua e continuerà a far sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, a guidare i loro passi di fanciulli, con fermezza e tenerezza. È solo necessario che si lascino condurre da Lui e confidino nella potenza e nella saggezza del Suo amore per loro”.

Fra Giovanni della Croce è gettato dai suoi fratelli carmelitani in un carcere del convento di Toledo. Gesto esecrabile, dal quale tuttavia Dio saprà ricavarne meraviglie! Fu precisamente nella sua oscura prigione di Toledo che ricevette le grazie di luce e di amore che lo condussero al più alto grado della vita mistica. Dopo la sua liberazione egli parlava dei suoi carcerieri come di benefattori insigni. La sua unione intima con Dio gli permetteva di partecipare in qualche modo a quella visione profonda che gli angeli, aderendo ai disegni di Dio, hanno degli avvenimenti e che serve loro per comprendere che se Dio permette un male, non è che per ricavarne un bene maggiore. Immaginiamo Ignazio di Loyola ferito gravemente all'assedio di Pamplona da una pallottola francese che gli spezza una gamba. Cerchiamo di rappresentarci le reazioni dei suoi amici. “Che disgrazia - avranno esclamato alcuni - ecco una brillante carriera interrotta..”.

“Che fortuna - avranno pensato altri - è una liberazione! Toccato dalla grazia il capitano Inigo Lopez (questo era il suo nome) si impegnerà in una carriera incomparabilmente più nobile e più utile agli uomini che il mestiere delle armi!”. Come i nostri angeli custodi, così i santi del cielo e quindi i nostri defunti, liberati dalle fiamme del purgatorio ed entrati nella luce di Dio, conservano la serenità dinanzi al mali temporali e ai peccati degli uomini. Sulle prime questo atteggiamento imperturbabile sembra inumano ed incomprensibile. Si dirà: una madre entrata in paradiso come potrà non rattristarsi delle prove dei figli rimasti sulla terra? Non parteciperebbe alle loro preoccupazioni materiali? Non soffrirebbe per i loro peccati? Non fremerebbe vedendoli sulla via della perdizione? È necessario ripeterlo: la serenità dei cittadini del cielo dinanzi ai mali che affliggono gli abitanti della terra non è il frutto dell'ignoranza, né dell'indifferenza di chi, divenuto ricco, dimentica la sorte dei suoi compagni di via. È piuttosto il frutto di una scienza più profonda e di un amore più illuminato. Poiché la loro volontà è totalmente unita a quella di Dio, gli eletti entrati nella sua pace non provano né contrarietà né sofferenza alla vista delle vicissitudini degli uomini. La loro intelligenza, essendo immersa in quella di Dio, vede nelle prove degli uomini lo svolgimento dei disegni di Dio che sono tutti adorabili. Una mistica inglese, Giuliana da Norwich, preoccupata del problema del male e della sofferenza, comunicava le sue inquietudini a Nostro Signore.

Egli la tranquillizzò, invitandola a confidare nel suo amore e nella sua onnipotenza: “Alla fine vedrai che tutto era bene”. “Alla fine”: ecco la parola chiave che illumina il problema del male. L'angelo vede la fine. L'uomo, che si avvale solo della ragione, ignora questa fine e insorge contro la sofferenza. Il credente, dotato di una fede debole, la sopporta malvolentieri, mentre il cristiano dalla fede viva crede in uno sbocco felice. Più vigorosamente crede, tanto più partecipa - senza mai uguagliarla - alla serenità imperturbabile degli angeli davanti al male. La pace profonda è una caratteristica degli amici di Dio. Essa risiede nell'intimo della loro anima e traspare dal loro viso e dal loro sguardo”. [ ... ma gli Angeli esistono davvero?   Ed. Medjugorje ].


Radio Vaticana notizia del 23/11/2010 - Giovane sacerdote ucciso in Brasile

Padre Bernardo Muniz Rabelo Amaral, ordinato sacerdote lo scorso 5 settembre, è morto la notte tra sabato e domenica per le conseguenze causate da una ferita da arma da fuoco. Secondo informazioni diffuse da diverse fonti brasiliane e missionarie, padre Bernardo era diretto verso il villaggio Humberto de Campos, nello Stato nord-orientale del Maranhão, dove doveva partecipare ad una riunione parrocchiale, quando ha dato un passaggio ad un autostoppista. L’uomo lo ha ferito mortalmente con diversi colpi di arma da fuoco. Il malvivente - riferisce l'agenzia Fides - si è poi impossessato del veicolo, di più di 400 dollari brasiliani e del telefono cellulare del sacerdote. Quando è stato soccorso, il sacerdote era ancora cosciente. Portato all'ospedale di Humberto de Campos, è stato poi trasferito a Sao Luis, ma non ha resistito alla gravità delle ferite ed è morto la sera di sabato scorso. Sull’episodio – riferisce la Misna - è stata aperta un’inchiesta. Nato a Morros, nel Maranhão, il 12 gennaio del 1982, quinto di sei fratelli, padre Bernardo era stato nominato vicario parrocchiale del comune di Humberto de Campos la settimana dopo la sua ordinazione sacerdotale. Oltre a padre Bernardo, quest'anno l’arcidiocesi di Sao Luis ha perso anche il seminarista Mario Dayvit, anch’egli vittima di un furto: è stato infatti assassinato davanti alla sua abitazione, nel centro della capitale di Maranhão. (A.L.)


Il tacchino senza politica Lorenzo Albacete - mercoledì 24 novembre 2010 – ilsussidiario.net

L’attenzione della maggior parte degli americani questa settimana è focalizzata sulla celebrazione giovedì del Thanksgiving Day, il Giorno del Ringraziamento, e il fine settimana di vacanza che segue.

Il Giorno del Ringraziamento è con Natale il periodo festivo più importante negli Stati Uniti. Sotto il profilo economico, Natale è senza dubbio la festività più rilevante. Era consuetudine che il periodo delle compere di Natale iniziasse subito dopo il solenne arrivo di Santa Claus a Herald Square, di fronte al Macy’s Department Store, alla fine della spettacolare parata del Macy’s Thanksgiving Day, con un numero infinito di complessi musicali da tutto il Paese, palloni giganti, star di Broadway, etc. Oggi, la corsa sfrenata agli acquisti di Natale inizia prima del Thanksgiving Day.

Sotto il profilo sociale, tuttavia, il Ringraziamento è una festività più importante, dato che riguarda la natura dei legami che uniscono tutti i cittadini americani. Lo stesso nome di Ringraziamento solleva però domande: ringraziamenti a chi? E per cosa?

La maggioranza degli americani prende in considerazione queste domande dal punto di vista religioso o filosofico, ma anche le ideologie politiche a loro volta cercano di definire a loro volta questa festa. In un articolo su The New York Times di domenica scorsa (21 novembre) Kate Zernike spiega come la ideologia del Tea Party interpreta il significato del Giorno del Ringraziamento.

Scrive la Zernike: “Nell’idea che ha il Tea Party della festa, i primi coloni erano socialisti. Si accorsero dell’errore dei loro metodi collettivisti e abbracciarono il capitalismo, con il risultato di un anno eccezionale per il raccolto, e decisero perciò che era giusto celebrare la gloria del libero mercato e della proprietà privata.

Gli storici cavillano su questa interpretazione, ma la storia, riportata per anni da libertari e conservatori, ha ripreso nuova linfa nell’ultimo anno tra il pubblico del Tea Party, che venera la primitiva storia americana ed è affamato di argomenti contro quella che credono una conquista degli Stati Uniti da parte del big-government, dello statalismo.

Il Ringraziamento è diventato un altro spunto nel dibattito sulla riforma della sanità e sulle spese per l’assistenza, ponendolo accanto al New Deal e alla Costituzione sul piatto degli argomenti storici tirati da una parte e dall’altra dalle varie interpretazioni in concorrenza.

La versione che è stata trasmessa a generazioni di scolari americani dice che i coloni arrivati nel Nuovo Mondo sulla Mayflower nel 1620 festeggiarono il buon raccolto dell’anno dopo con Squanto e gli altri amici indiani che avevano insegnato loro come cacciare e coltivare nel nuovo territorio”.

Invece, secondo gli storici del Tea Party “I Pellegrini stabilirono un sistema comune, dove ognuno doveva conferire tutti i risultati della caccia e della coltivazione. Poiché non potevano godere dei frutti delle loro fatiche, nessuno era incentivato a lavorare e il sistema fallì, con conseguente confusione, ruberie e carestia.

Alla fine, il governatore della colonia, William Bradford, abolì il sistema e diede ad ogni famiglia un appezzamento di terra. Con la proprietà privata i Pellegrini diventarono industriosi e si ritrovarono con molto più granoturco di quanto gli servisse, e per questo invitarono gli indiani a festeggiare…”

Ci sono altre versioni della storia, ma la lezione è sempre la stessa: il fallimento del socialismo e la salvezza portata dal capitalismo. Un popolare blog Tea Party conclude: “Così la ragione vera del Thanksgiving,... è: il socialismo non funziona; la sola e unica fonte di abbondanza è il libero mercato, e noi ringraziamo Dio perché viviamo in un Paese che lo può avere”.

Gli storici dicono che i coloni a Plymouth, e i loro sostenitori in Inghilterra, erano d’accordo nel mettere le loro proprietà in comune, “ma era un piano per realizzare un risultato al più presto e inteso solo per il breve periodo; gli storici dicono che i Pellegrini erano più simili ad azionisti nelle prime società che a soggetti del socialismo”.

Il governatore Bradford si liberò alla fine di questo loro iniziale accordo economico, “ma era già il 1623, dopo il primo Giorno del Ringraziamento, e non perché il sistema non funzionasse. Ai Pellegrini semplicemente non piaceva…preferivano coltivare mais, a loro sconosciuto in Inghilterra”.

Zernike cita William Hogeland, l’autore di “Inventing American History: “Lungo tutto lo spettro politico c’è una tendenza ad appropriarsi di qualche evento storico e inserirlo nella agenda del momento… ciò non sempre significa che non vi sia un nesso, ma spesso le cose sono presentate primariamente come storiche, e non come parte innanzitutto di un’agenda politica”.

Ad ogni modo, non vi è quasi nessun accenno nel resto dei media agli aspetti politici del Ringraziamento. Vi è molto più interesse nelle misure di sicurezza che chi viaggia in aereo trova negli aeroporti. La politica comincia ad entrare nella discussione sul conflitto tra il bisogno di sicurezza e il diritto alla privatezza. Il presidente Obama, naturalmente, insiste sulla necessità di seguire “la via di mezzo”, come critica alle misure più forti della Federal Transport Security Authority.

Periodici come Time e Newsweek hanno dato molto spazio alla ridefinizione del matrimonio e alla necessità di riesaminare il significato della mascolinità.

In mezzo a tutto questo, c’è il Papa e la straordinaria attenzione data al dibattito acceso dalle osservazioni del Papa sui preservativi. Penso che tutti questi temi siano collegati a livello profondo, al livello in realtà evocato dalle osservazioni del Papa. Per il momento, tuttavia, mi sto concentrando sul mangiare un tacchino libero dalla politica. Dal quartier generale di Macy’s, un buon Thanksgiving 2010 a tutti voi!


LUCE DEL MONDO/ Magister: la fede del Papa non è "contro", ma per il cuore dell’uomo- INT. Sandro Magister - mercoledì 24 novembre 2010 – il sussidiario.net

È uscito ieri Luce del mondo, l’attesissimo nuovo libro-intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald. Anticipato sui giornali di tutto il mondo, molti dei quali hanno focalizzato l’attenzione, in modo riduttivo, sugli aspetti legati all’etica sessuale, il libro dà un’immagine spiazzante, e sorprendente, di Joseph Ratzinger. In esso il Papa si racconta, parla della Chiesa, del mondo, del destino dell’uomo, delle questioni più scottanti in materia di fede e di morale. «Benedetto XVI - dice Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso - offre un approccio nuovo, vuol farsi capire dal numero più ampio di persone possibile. Ma soprattutto, vuol parlare di un Dio che riempie - oggi - il cuore dell’uomo».

Magister, perché Benedetto XVI ha deciso di raccontarsi in un libro, come già fece Giovanni Paolo II in Varcare la soglia della speranza?

«In realtà sono due casi molto diversi. Anche il libro di Giovanni Paolo II è in forma di intervista, ma si trattò in quel caso di domande presentate al Papa per iscritto, alle quali lui ebbe tutto il tempo di rispondere. Luce del mondo invece è un libro-intervista che trascrive in modo integrale sei ore di libera conversazione. E questo cambia tutto».

Si riferisce ai rischi che questo comporta?

«Certamente. Lo stesso padre Lombardi, parlandone con il Papa, si era detto preoccupato dell’esposizione cui si sarebbe sottoposto il Pontefice, della mancanza di sicurezza che viene da una revisione meditata del testo. Ma Benedetto XVI ha risposto che questo era esattamente quello che lui voleva. Del resto lo ha confermato anche Peter Seewald: tutte le domande sono state accettate».

Dunque Luce del mondo ci restituisce un Benedetto XVI che ancora una volta non sospetteremmo...


«Infatti. Ad esempio, anche quando il Papa tocca argomenti di carattere teologico e morale non usa mai tecnicismi. Lo vediamo nella parte che tutti i giornali o quasi hanno anticipato nei giorni scorsi, quella relativa all’uso del profilattico: Benedetto XVI non usa le formule tipiche della discussione teologica morale su questi argomenti, ma le parole “normali” di una persona normale. Ecco, questo libro smantella definitivamente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, lo stereotipo di un Benedetto XVI retrogrado, inquisitore, professore gelido. L’immagine che viene dal libro è diametralmente opposta: quella di una persona che non tace le critiche, ma che al tempo stesso è colma di benevolenza per il mondo e gli uomini».

L’uscita è stata segnata da una preponderante attenzione ai temi di morale sessuale. Molti giornali hanno parlato di una prima «apertura» di Benedetto XVI alla contraccezione, tanto che lunedì padre Lombardi è dovuto intervenire con una precisazione ufficiale. Come lo spiega?

«È noto che l’enciclica Humanae vitae è la più contestata dell’ultimo secolo. Ma Benedetto XVI ne riafferma integralmente il contenuto, quindi non è possibile in alcun modo rinvenire nell’intervista un distacco dagli elementi dottrinali contenuti in quell’enciclica e ribaditi nel Catechismo. La preoccupazione del Papa è un’altra: ferma restando la dottrina, vanno trovate forme più adeguate per tradurrla nella pratica pastorale. Nello specifico, la citata “apertura” non riguarda il profilattico come contraccettivo, ma il suo uso con una finalità decisamente diversa, quella protettiva della vita altrui. In ogni caso, passaggi come quello sono destinati a recuperare il loro autentico significato nel contesto del discorso del Papa».

Ma perché secondo lei è divenuto un caso mediatico?

«Perché la sfida rimane oggi quella della libertà del soggetto. La sua crisi dipende dalla perdita della verità: se questa è compromessa, si diviene incapaci di distinguere il bene dal male, si perde la capacità di scegliere, si smarrisce la strada nella quale esercitare la propria natura libera».

Esiste il pericolo che il Papa divenga vittima di un cliché, come quello che oppone il “grande comunicatore” Giovanni Paolo II al “professor Ratzinger”, custode dell’ortodossia cattolica?

«Il libro è stato certamente voluto per consentire al Papa di esprimersi nel modo più diretto possibile. Non ho dubbi che questo libro valga molto di più, dal punto di vista comunicativo, di cento omelie, che sono il capolavoro di questo pontificato ma che arrivano inesorabilmente soltanto ad una cerchia molto ristretta di persone. Lo strumento del libro, invece, e a maggior ragione del libro-intervista, consente al Papa di parlare nel modo più libero e spontaneo, facendosi “ascoltare” dal lettore, senza mediazioni. Sono convinto che sia stata una scelta deliberata e consapevole».

Come va d’accordo, a suo modo di vedere, quella che ha chiamato «benevolenza per il mondo e gli uomini» con la critica degli aspetti del mondo contemporaneo estranei o ostili alla fede?

«“Che l’atmosfera non sarebbe stata sempre gioiosa - dice Benedetto XVI, a proposito della sua elezione - era evidente in considerazione dell’attuale costellazione mondiale, con tutte le forze di distruzione che ci sono, con tutte le contraddizioni che in essa vivono, con tutte le minacce e gli errori. Se avessi continuato a ricevere soltanto consensi, avrei dovuto chiedermi se stessi veramente annunciando tutto il Vangelo”. La fiducia in Dio non impedisce al Papa di tenere gli occhi bene aperti».

«La disponibilità cristiana ad essere segno di contraddizione è il filo conduttore della sua biografia», dice Seewald al Papa. Non si può negare che la vita di Joseph Ratzinger è anche la storia personale dell’incontro di un cristiano col mondo contemporaneo. Ma qual è il cristianesimo, secondo lei, che emerge in queste pagine?

«C’è una frase splendida: “il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti... un’esistenza vissuta sempre e soltanto ‘contro’ sarebbe insopportabile”. È un cristianesimo che vuole offrire alla modernità ciò che essa rischia di smarrire. Torniamo così alla priorità dichiarata di questo pontificato, portare Dio agli uomini. Non un Dio che in epoca smisuratamente lontana ha creato il mondo e poi se n’è dimenticato, ma un Dio che si prende cura costantemente degli uomini, che riempie, ora come sempre, il cuore dell’uomo».


Avvenire.it, 24 novembre 2010 - Terza puntata di "Vieni via con me": non li hanno fatti parlare - Quella deludente fiera del non detto di Lucia Bellaspiga

Encefalo-gramma: piatto. Capacità di reazione: prossima allo zero. Diagnosi infausta per lo stracult televisivo del momento, per il programma fiore all’occhiello di Rai3. La terza puntata di "Vieni via con me" è stata anche la fiera del "non detto", dell’evocato eppure dell’elusivo, del benintenzionato e infine del deludente. Snobbata la povera e popolare sollevazione di chi nella seconda puntata non si era affatto riconsociuto nelle parole di Fazio-Saviano-Englaro-Welby, di chi da quei proclami apertamente o velatamente eutanasici si era sentito umiliato e negato. Non hanno sortito effetto gli appelli dei cittadini che, per un’intera settimana, hanno intasato centralini e caselle di posta elettronica (possibile solo i nostri, possibile che alla Rai nessuno abbia chiamato e scritto?) per chiedere diritto di replica.

Assoluta indifferenza anche di fronte al crescendo bipartisan di proteste dal mondo della politica. «Fateli parlare», si era chiesto e non per par condicio ma per verità. Fate parlare Mario Melazzini, Fulvio De Nigris, Maria Pia Bonanate e tanti altri. I protagonisti di una lotta quotidiana per il diritto alla vita: i malati gravi, i familiari che se ne fanno carico (spesso in assoluta solitudine e mancanza vergognosa di mezzi), i genitori delle migliaia di ragazzi in stato vegetativo, i parenti di chiunque si trovi ad affrontare il dramma della malattia e una vecchiaia estrema e dura. Dopo la puntata del 15 novembre, vero e proprio inno alla morte e spot all’eutanasia, ci si aspettava spazio per le altre voci. Per chi soffre e lotta. E per chi sta accanto stravolgendo e, sì, "perdendo" la propria vita, perché semplicemente non saprebbe fare altrimenti. Dopo aver sentito per l’ennesima volta le parole, sempre le stesse da anni, di Beppino Englaro, si poteva sperare di sentire quelle inedite di Lucrezia ed Ernesto, mamma e papà di Max Tresoldi, e per gli amanti dello share possiamo assicurare che sarebbe stato un bel picco verso l’alto: per dieci anni Max è rimasto in stato vegetativo, era un «senza speranza», «un cervello bruciato come una centralina cui hanno tagliato i fili», come i medici dicevano alla famiglia perché non si attendesse un impossibile miglioramento. Oggi nessun neurologo sa spiegare perché Max è sveglio e racconta che «in quei dieci anni sentivo tutto ciò che accadeva intorno a me, io c’ero e non potevo dirvelo»... Da pelle d’oca, televisivamente parlando. E umanamente, per tutti noi.

E invece la terza puntata è stata appunto il trionfo del "non detto", il tema era nell’aria e non arrivava mai. Per rimediare in qualche modo al «finto pluralismo» e all’autentica sconcezza della settimana precedente autori e conduttori hanno fatto i buoni. C’era anche un disabile, stavolta (il comico David Anzalone, innamorato dell’Olanda: sarà pure il Paese dell’eutanasia, ma «lì il sesso a noi handicappati ce lo passa la mutua!»). E c’era un sacerdote antimafia, don Giacomo Panizza, voce chiara e schiena dritta, umile e diretto nell’andare per la sua strada (lui sì) di lotta alla criminalità e aiuto ai disabili. «Non ti ringrazieremo mai abbastanza», ha sussurrato Fazio rivolto a Saviano, meritevole forse di aver individuato una figura così alta. Giusto, e sbagliato. Perché don Giacomo non poteva dire più e meglio di quel che ha detto. Non poteva riempire il "non detto".

«Ci sentiamo ancora più soli», gridano coloro che di nuovo non hanno avuto voce. E intanto Fazio (certo appagato dai numeri dell’Auditel) promette un’ultima puntata lunga fino a mezzanotte. Ma è stato proprio lui – tra i suoi «desideri impossibili» – a declamare come «salire nei sondaggi sia meno importante che dire una cosa giusta». E allora a lui e Saviano lo ripetiamo noi: lunedì prossimo fate finalmente la cosa giusta. Signori della Rai, fateli parlare.


Newsletter n.324 | 2010-11-24 - I cattolici in politica tra resistenza, attesa e ripresa. I valori non negoziabili non sono una scelta confessionale ma un’opzione per il bene comune. Dal sito http://www.vanthuanobservatory.org/

Archiviata la fase della “resistenza”, quasi esaurita quella della “attesa”, per i cattolici impegnati in politica si sta per aprire l’era della “ripresa”. Sulla scia della pubblicazione del saggio Cattolici in politica: manuale per la ripresa (Cantagalli, 2010), curato dall’arcivescovo di Trieste, Giampaolo Crepaldi, l’Università Europea di Roma, lo scorso 16 novembre, poche ore dopo l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2010/11, ha ospitato il dibattito Il cattolico in politica, promosso dalla Fondazione L’Ottimista.

La relazione dell’Arcivescovo di Trieste è stata affiancata dagli interventi di quattro parlamentari di diversa estrazione ed esperienza politica, tutti accomunati dalla profonda fede cattolica e dalla partecipazione quotidiana alla Santa Messa. Il direttore editoriale dell’Ottimista, Antonio Gaspari, moderatore della tavola rotonda, ha ricordato che il grosso limite dei cattolici in politica era ed è rappresentato dall’“assenza di un progetto culturale e dalla debolezza nella risposta al processo di secolarizzazione”. Vincere l’irrilevanza del pensiero cattolico nell’agone politico e culturale è dunque la nuova missione di cui ogni uomo delle istituzioni deve prendersi carico. Una sfida drammatica e, al tempo stesso, avvincente il cui punto di partenza è la rivalutazione di quella coscienza, tanto cara ad un teologo recentemente beatificato come John Henry Newman. La coscienza, come spiegato dall’onorevole Paola Binetti, rappresenta la nostra capacità di “discernimento dinnanzi a tanti messaggi, ‘veloci’, spesso inquietanti e contraddittori”. Ci troviamo, dunque, di fronte ad un bivio, ad un’occasione storica che i politici cattolici hanno per riprendere seriamente in mano il timone della società e migliorarla. La strada maestra è facilmente individuabile nella Dottrina Sociale della Chiesa che ben esemplifica i valori non negoziabili, rispetto ai quali il politico cattolico non può assolutamente derogare in nome di nessun tipo di consenso elettorale.
Distinta ma niente affatto indipendente dai valori non negoziabili è la dottrina economica della Chiesa. A tal proposito l’onorevole Alessandro Pagano ha citato le negatività più evidenti degli ultimi decenni: calo demografico, consumismo sfrenato, crescita del PIL fine a se stessa, indebitamento. “Per anni la crescita della popolazione è stata vista come un ostacolo allo sviluppo – ha osservato Pagano -. Il risultato è stato l’invecchiamento della popolazione con conseguente aumento della spesa previdenziale e pensionistica, quindi della pressione fiscale. Non è un caso, al contrario, se sono i paesi a maggiore crescita demografica (India, Turchia, Brasile, ecc.) ad avanzare economicamente”.
Talora la scelta di campo per la Dottrina Sociale della Chiesa implica scelte radicali come l’abbandono del proprio partito o del proprio schieramento: è quanto successe alla stessa Binetti, passata lo scorso inverno dal Partito Democratico all’UDC, o all’onorevole Francesco Saverio Romano che due mesi fa ha abbandonato l’UDC per passare al gruppo misto ed appoggiare “per una questione di responsabilità” il governo Berlusconi. “Un ritorno all’unità dei cattolici potrebbe essere una scelta non azzardata – ha affermato Romano -. Tuttavia quello che io auspico è soprattutto un partito dove i cattolici siano prevalenti. È poi necessario un cambiamento culturale affinché poteri fino ad oggi ‘non controllabili’ dalla volontà popolare, come quello giudiziario, finanziario o mediatico, possano essere ridimensionati”.
Un punto fermo è rappresentato dall’aconfessionalità dei valori cattolici, applicabili alla politica non perché frutto di una scelta di fede ma perché benefici per la società civile. Lo ha ricordato il senatore Stefano De Lillo secondo il quale “dobbiamo impegnarci e ‘sporcarci le mani’ proprio perché la storia ci dà ragione. Penso alla questione demografica ma anche all’effettiva dannosità di uno strumento abortivo come la pillola RU486”.
A conclusione della conferenza monsignor Crepaldi ha ricordato che la Chiesa pone problemi di carattere religioso ed etico ma è compito della politica fornire le soluzioni. Il nucleo base è ovviamente costituito dai valori non negoziabili: “Un paese che non sostiene la vita, che paese è? Se consideriamo ‘progresso’, l’uccisione di un essere umano tramite aborto o eutanasia, se la cultura della morte prevale sulla cultura della vita non andiamo affatto lontano…”, ha dichiarato il presule. È dunque su queste sfide che si articolerà la ripresa dei cattolici in politica. Non è pensabile, tuttavia, una loro rinascita se non si procede ad una “accumulazione culturale che sconfigga le aporie e le contraddizioni di questi ultimi decenni. I politici cattolici potranno farlo soltanto se sapranno essere fedeli al Papa e al suo magistero”, ha concluso Crepaldi.

Clarence Green

(Fonte: L'Ottimista)


La storia Il risveglio di Baba: «Sto bene» - Dopo 11 mesi di stato vegetativo e una commovente gara di solidarietà un senegalese di 43 anni ha ripreso coscienza a Baunei, in Sardegna - DA BAUNEI (N UORO) MARIO GIRAU – Avvenire, 24 novembre 2010

Sono bastate due parole – «Sto bene» – per trasformare una storia di solidarietà umana e cristiana e dare ali alla speranza che un giorno, ormai più vicino, 'Baba' possa tornare a un’esistenza nor male. Dopo 11 mesi di stato vegeta tivo, infatti, Baba, come ormai in O gliastra tutti chiamano Mbaye Cas se, un senegalese di 43 anni da qua si un lustro residente a Baunei, è pas sato dalla morte alla vita. L’uscita dal tunnel sabato scorso, quando la so lita infermiera, che l’accudisce ogni mattina, entra nella sua stanza, nel la clinica Tomassini di Ierzu, e lo sa luta con il rituale «Come stai Baba?». Non è attesa la risposta, perché il pa ziente non parla, non può, colpito lo scorso febbraio da un assassino silenzioso, il monossido di carbonio esalato da un braciere lasciato di strattamente acceso.

Invece Baba sabato risponde: «Sto bene». Il tam tam del miracolo rim balza per tutta la clinica, da qui sa le fino agli uffici della Asl di Lanu sei, arriva più su, fino a Baunei, il piccolo centro (duemila abitanti, 20mila d’estate) sulla costa centro rientale sarda, dove Baba ha vissu to e lavorato fin dal suo arrivo sul l’isola. Il senegalese parla. Volano verso Ierzu Carmen e Wal ter Pusole, marito e moglie, amici oltre che datori di la voro di Mbaye Casse, ope raio nella loro falegname ria. Sono questi due coniu gi i protagonisti della gara di solidarietà scattata in torno a Baba quando le e salazioni del braciere hanno avve lenato il suo sangue, inaugurando la serie dei ricoveri (a Cagliari nel la camera iperbarica prima, a La nusei in rianimazione per tre mesi poi, infine la lungodegenza a Ierzu, sempre in stato di coma).

Carmen e Walter avevano fatto la vorare Baba e risolto i problemi re lativi al suo permesso di soggiorno, lo ospitavano a pranzo, avevano creato il clima d’accoglienza intorno a quell’uomo di colore che sapeva farsi voler bene. Il parroco don Pier giorgio Pisu lo aveva accolto in una casa di proprietà della parrocchia. La malattia del falegname senegale se aveva poi accentuato la solida rietà nei suoi confronti, alla quale hanno partecipano anche le istitu zioni: l’Inps proprio sabato scorso con lettera ufficiale gli aveva con cesso una pensione di invalidità e l’assegno di accompagnamento; la Asl gli ha assicurato la stessa assi stenza di cui godono i cittadini resi denti. La parrocchia è ridiscesa in campo e ha promosso una sotto scrizione che ha consentito a Fatu, moglie di Mbaye Casse di volare dal Senegal in Sardegna per trascorrere tre mesi accanto al marito. La scuo la elementare di Santa Maria Navar rese, con una lotteria, ha procurato altri fondi.

Forse nessuno a Ierzu e Baunei si a spettava che il falegname immigra to – partito cinque anni fa da Diuber, località a 150 chilometri da Dakar, per alimentare il sogno di una vita migliore per suoi tre figli – recupe rasse l’uso della parola. Ma molti de gli amici che andavano a trovarlo e rano fiduciosi in un miglioramento. Baba non era insensibile all’am biente: si commuoveva, seguiva con lo sguardo la foto dei figli quando gli venivano mostrate, mangiava con gusto i piatti della cucina ogliastri na. Baba non è guarito, ora servi ranno cure e riabilitazione, ma ha compiuto il primo passo di un lun go percorso di ritorno alla vita.