mercoledì 3 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    BENEDETTO XVI: LA SANTITÀ È L'OBIETTIVO DEL CRISTIANO - Nella solennità di Tutti i Santi
2)    Carità, la richiesta di aiuto degli ebrei a Pio XII dal blog di Andrea Tornielli – 2 novembre 2010
3)    Vatican Radio - 02/11/2010 - Il Papa sull'eccidio di Baghdad: cristiani oggetto di efferati attacchi che minano fiducia e convivenza civile
4)    Avvenire.it, 2 novembre 2010 - IL FESTIVAL DEL CINEMA - Eisenberg: «Vi svelo il lato triste e oscuro di Facebook» di Giacomo Vallati
5)    Avvenire.it, 3 novembre 2010 - Dopo le parole del Papa ai ragazzi di Ac - Il vero amore, felicità ma anche sacrificio di Ferdinando Camon
6)    Oslo chiede moschee «alla pari» - il caso La Norvegia ha rifiutato il minareto fatto con soldi sauditi: vuole reciprocità DI LORENZO FAZZINI – Avvenire, 3 novembre 2010


BENEDETTO XVI: LA SANTITÀ È L'OBIETTIVO DEL CRISTIANO - Nella solennità di Tutti i Santi

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 2 novembre 2010 (ZENIT.org).- La santità è l'obiettivo della vita del cristiano, sostiene Benedetto XVI, riconoscendo che in questa prospettiva la morte non fa più paura.

Rivolgendosi questo lunedì alle migliaia di fedeli riunite in Piazza San Pietro in Vaticano nella solennità di Tutti i Santi, il Pontefice ha affermato che questa festa “ci invita ad innalzare lo sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende”.

“La santità, imprimere Cristo in se stessi, è lo scopo della vita del cristiano”, ha detto parlando dalla finestra del suo studio.

Il Pontefice ha aggiunto che “pregustiamo il dono e la bellezza della santità ogni volta che partecipiamo alla Liturgia eucaristica, in comunione con la 'moltitudine immensa' degli spiriti beati, che in Cielo acclamano in eterno la salvezza di Dio”.

Allo stesso tempo, ha rilevato, nella vita dei santi “diventa ovvio” che “chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino”.

In questa prospettiva, il Papa ha invitato a commemorare tutti i fedeli defunti, come propone la liturgia il 2 novembre, visitando se possibile i luoghi in cui riposano i resti dei nostri cari.

“I cimiteri ci ricordano che la morte cristiana fa parte del cammino di assimilazione a Dio e scomparirà quando Dio sarà tutto in tutti – ha osservato –. La separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché essa, accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il legame profondo che ci unisce in Cristo”.

“L’eternità non è un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità dell’essere, della verità, dell’amore”, ha concluso.


Carità, la richiesta di aiuto degli ebrei a Pio XII dal blog di Andrea Tornielli – 2 novembre 2010
Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha criticato aspramente la fiction “Sotto il cielo di Roma”, dedicata al terribile inverno del 1943, all’occupazione tedesca della capitale, all’orribile razzia nel ghetto ebraico e al ruolo di Papa Pacelli. Di Segni, intervistato dal mensile “Shalom”, ha definito la fiction “una patacca propagandistica, un’opera apologetica”, giudicandola “carente, piena di errori e imprecisioni”, e “assolutoria su scelte, vicende e silenzi del papato di Pio XII che sono ancora oggetto di studi e che ancora attendono di essere vagliate alla luce dei documenti non ancora resi pubblici dagli archivi vaticani”. A proposito di documenti, ne segnalo uno, reso noto nei volumi di Actes et Documents du Saint Siege relativi alla Seconda Guerra mondiale. Si tratta dell’appello inviato a Pio XII il 27 ottobre 1943, 11 giorni dopo la razzia del ghetto, dal rabbino David Panzieri, che aveva sostituito Israel Zolli. Questo è il testo del messaggio:
“È a nome dell’intera comunità israelitica di Roma, che ci permettiamo rivolgere al Santissimo Padre la più ardente preghiera affinché dall’altissimo seggio possa degnare migliaia di anime, sofferenti il dramma più grande che la forza del male abbia concepito su questa terra, con il Suo paterno intervento, commuovere chi per fini troppo solamente terreni, compl il ratto, che mortificherà per millenni il genere umano, e possa dal paterno suggerimento, comprendere che per gli stessi fini terreni, il ritorno delle vittime alle loro famiglie, potrà solo essere mezzo umano per elevare a Dio la richiesta per l’attuazione di aspirazioni terrene. Qualora si osi rifiutare al supremo suggerimento del Santissimo Padre, che almeno si permetta ai famigliari oppressi in una vita di dolore che nessun tempo conobbe, di poter inviare a questi martiri i loro indumenti. Bambini lattanti, bambini nei primi anni della vita, tante e tante donne e molte con nuove vite nel seno, vecchi e vecchie, vennero presi dai loro letti con indumenti succinti e rispondenti al termine di un’estate. L’inverno ha il suo inizio, Santissimo Padre, che almeno lo strazio, dramma di tanta gente che può solamente piangere una pena che non ha confine, possa portare ai propri cari un manto di caldo. Aiutate questa gente, Santissimo Padre, aiutateci e Iddio, Iddio grande e buono possa compensare l’alto vostro intervento con le grazie che per voi, Santissimo Padre, le nostre anime con tanta sincera e forte preghiera chiedono”.
E’ un documento struggente: quei bambini e quelle donne non torneranno infatti più in Italia. In quegli stessi giorni, 4.500 ebrei venivano accolti in 290 istituti religiosi e conventi di clausura e così sottratti alle persecuzioni dei nazisti e dei fascisti loro collaboratori. Come si vede, il rappresentante della comunità ebraica Panzieri chiede a Papa Pacelli non condanne o pubblici appelli, ma aiuto, interventi umanitari per favorire la liberazione dei prigionieri, etc. Proprio quello che Pio XII ha fatto, anche se nel caso della razzia del ghetto, senza risultato. Cito questo documento solo per mostrare quanto complessa fosse la situazione e come sia necessario evitare conclusioni affrettate nell’esprimere giudizi (ovviamente sulla figura di Pio XII, non sulla fiction).


Vatican Radio - 02/11/2010 - Il Papa sull'eccidio di Baghdad: cristiani oggetto di efferati attacchi che minano fiducia e convivenza civile
In occasione delle odierne esequie di padre Tha’ir Saad e di padre Boutros Wasim, rimasti uccisi domenica scorsa in Iraq durante l’attacco costato la vita anche a decine di altre persone, tra cui donne e bambini, Benedetto XVI ha inviato il proprio telegramma di cordoglio all’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, mons. Athanase Matti Shaba Matoka. “Profondamente commosso per la violenta morte di tanti fedeli – scrive il Santo Padre – desidero farmi spiritualmente partecipe, mentre prego che questi fratelli e sorelle siano accolti dalla misericordia di Cristo nella Casa del Padre”. “Da anni questo amato Paese – aggiunge il Papa – soffre indicibili pene e anche i cristiani sono divenuti oggetto di efferati attacchi che, in totale disprezzo della vita, inviolabile dono di Dio, vogliono minare la fiducia e la civile convivenza”. Il Pontefice rinnova poi il proprio appello “affinché il sacrificio di questi nostri fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita e perché quanti hanno a cuore la riconciliazione, la fraterna e solidale convivenza, trovino motivo e forza per operare il bene”. “A tutti voi, cari fratelli e figli - conclude Benedetto XVI nel messaggio – giunga la mia confortatrice benedizione apostolica, che volentieri estendo ai feriti e alle vostre famiglie così duramente provate”. Anche ieri il Papa, durante all’Angelus, aveva ricordato il “gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Bagdad: “Prego per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione”. Il Papa aveva infine espresso la sua "affettuosa vicinanza alla comunità cristiana, nuovamente colpita", incoraggiando "pastori e fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza”.


Avvenire.it, 2 novembre 2010 - IL FESTIVAL DEL CINEMA - Eisenberg: «Vi svelo il lato triste e oscuro di Facebook» di Giacomo Vallati

L'inventore di Facebook – ovvero della piattaforma web per fare amicizia più diffusa al mondo – è in realtà un uomo solo. Esattamente come rischiano d’esserlo coloro che, ai difficili ma formativi rapporti diretti, sostituiscono le più comode, ma alienanti, "amicizie" virtuali. Questa l’intuizione più felice dell’interessante, e già popolarissimo, The social network: cioè del film campione d’incassi di David Fincher che è stato presentato ieri fra gli "eventi speciali" del Festival di Roma, attraendo un pubblico enorme e suscitando animate riflessioni.

«La storia è quella, tutta autentica nei fatti, nei nomi e nei cognomi, dell’invenzione di Facebook da parte di Mark Zuckerberg, diciannovenne studente di Harvard – racconta Jesse Eisenberg (il giovane attore che lo interpreta) –. E della lotta per la paternità dell’invenzione che ha rivoluzionato la comunicazione fra i giovani». Assieme al geniale studentello, infatti, alla creazione di Facebook collaborarono nel 2004 il suo compagno di stanza e vari altri studenti dello stesso college. «Ma quando poi costoro minacciarono d’intralciare o ritardare gli sviluppi del progetto, Mark non esitò a metterli tutti da parte, tradendo la loro amicizia». La condanna morale dell’avidità del protagonista – e più in generale dell’ambiente affaristico in cui finisce per invischiarsi – è chiarissima nel finale, quando, ormai multimiliardario ma più solo che mai, per "diventare amico" dell’unica ragazza che ami, Mark deve ricorrere lui stesso a Facebook. «Senza però che lei gli risponda. Insomma – riflette l’interprete –, Mark ora è più isolato di quando cominciò, e non aveva ancora un dollaro. Ha creato un impero dal nulla, è famoso in tutto il mondo, ma alla fine non ha più un solo amico».

Tuttavia il film di Fincher è indicativo – e persino un po’ inquietante – anche per le opposte reazioni che suscita. «Nonostante la sua immoralità, i giovani vedono il personaggio come un eroe, un ragazzo che fa cose fantastiche. Solo gli adulti ne condannano il cinismo. Io stesso – confessa disarmante Eisenberg – non riesco a considerare le sue azioni del tutto negative. In fondo lui non tradisce gli amici per avidità. Ma per far prosperare la sua creazione. Lui vive solo per Facebook, pensa solo a Facebook. Tutto il resto non conta». E non è un caso che gli stessi giovani che ieri a Roma affollavano la proiezione, l’abbiano poi applaudito come si fosse trattato di Rambo.

Pare che i protagonisti reali della vicenda non solo non abbiano protestato per l’impietoso ritratto che ne fa il film; ma anzi abbiano fatto «tutti i loro complimenti. E il 1° ottobre, al debutto della pellicola in Usa – racconta Eisenberg – Zuckerberg ha addirittura organizzato dei bus per trasportare alla proiezione tutti i suoi dipendenti. Fra di loro c’era anche mio fratello. Il quale temeva di mettersi nei guai. Invece lui gli ha fatto i suoi complimenti; e poi li ha mandati anche a me, via sms».

I soldi contano più di tutto, insomma? Comunque sia, incuriosisce la notizia che Jesse Eisenberg non è su Facebook. «No, non ho mai voluto iscrivermi. E non lo farò neppure ora. Il fatto è che quando girai il mio primo film andai su Google per vedere cosa la gente scriveva di me. Lessi cose così orribili che non sento la necessità di fornire ulteriori contributi a chi già mi detesta».


Avvenire.it, 3 novembre 2010 - Dopo le parole del Papa ai ragazzi di Ac - Il vero amore, felicità ma anche sacrificio di Ferdinando Camon

L’amore «non è merce di scambio», ha detto Benedetto XVI agli oltre centomila giovani e giovanissimi convenuti sabato scorso in piazza San Pietro per ascoltarlo. Cioè non è un bene di consumo, non consiste nel voler ricevere, consiste soprattutto nel dare, e può diventare sacrificio. Pronunciata dal Papa, la parola «merce» è sovraccarica di significati. Tirarli fuori può far capire molti aspetti del nostro tempo.
Anzitutto, oggi per molti l’amore è denaro. Si compra. Ti serve, e tu puoi servirtene. Se non ti serve, e non puoi servirtene, ti conviene lasciarlo. Se ami, paghi. Se non paghi, non ami. Amare vuol dire spendere. Se non sei in grado di spendere, non puoi permetterti di amare. Nemmeno te stesso: quando ti festeggi, a Natale, a fine anno, nel compleanno, se non spendi non dici niente a te stesso. Spendere è comunicare. Spendere è l’unico modo per avere relazioni con gli altri e con il mondo. È l’amore-merce, l’amore-interesse.
Quando sentono la parola «amore», i giovani pensano al sentimento che nasce nella loro età, e che li lega ragazzo con ragazza. Anche in questo senso l’amore è legato al ricevere, al comprare, al venir gratificati. I figli crescono fin da piccoli con questa idea dell’amore che è solo felicità, perché se è sacrificio non è amore.
Di recente ho assistito in treno a una scenetta che adesso racconterò, e l’ho trovata così memorabile che prima o poi finirò per metterla in qualche libro. Nello scomparto c’è una bambina di sette-otto anni, davanti a lei una signora le rivolge un sacco di complimenti (come sei carina, come sei vestita bene, come parli bene), e le chiede: «Hai un fidanzato?», e quella: «Sì». «Ti vuole bene?», «Sì, però… però adesso lo cambio», «E perché?», «Perché lui… non mi fa mai regali», «E che regalo vuoi?», «Un monopattino!». Se la piccola dice che il compagno di classe non le regala un monopattino, vuol dire che lei gliel’ha chiesto. La bambina ha già imparato che nei fidanzamenti, anche quelli per gioco, si chiede e, se funzionano, si riceve. L’altro, l’amichetto, a sua volta ha imparato che il fidanzamento, anche quello per gioco, è una relazione in cui qualcuno pretende e qualcuno paga.
Man mano che cresceranno negli anni, quando il fidanzamento per gioco diventerà un fidanzamento reale, e la relazione tra amichetti-bambini diventerà una storia fra ragazzo e ragazza, questa idea, lungi dall’essere smentita, sarà – temo – confermata. I modelli maschili e femminili dei nostri adolescenti sono figure sociali che hanno denaro: calciatori, veline, personaggi della tv, dello spettacolo, del cinema… La riuscita nella vita finisce per essere esemplificata e sentita come "poter comprare quel che si desidera". Se c’è una frattura tra quel che si desidera e quel che si può avere, la vita è un fallimento. Fin dalla scuola media superiore i ragazzi puntano verso diplomi o lauree che daranno loro soddisfazione economica, non soddisfazione morale.
Quando, in giro per il mondo, gli inviati dei giornali e dei tg incontrano un ospedale di una delle molte e straordinarie organizzazioni non governative schierate accanto ai poveracci, chiedono al chirurgo: «Lei è bravo, opera bene, perché lavora qui, dove non guadagna niente e rischia la pelle, invece di lavorare in Europa o in America, dove la coprirebbero d’oro?». La risposta («Perché qui mi sento più utile») è perfettamente in linea col messaggio del Papa («L’amore costa anche sacrificio»), è assurda se misurata col metro della nostra società. I giovani devono capire che con quel messaggio il Papa indica a tutti un pericolo che è già davanti a loro. Forse il più grave.



Oslo chiede moschee «alla pari» - il caso La Norvegia ha rifiutato il minareto fatto con soldi sauditi: vuole reciprocità DI LORENZO FAZZINI – Avvenire, 3 novembre 2010

Q uesta volta i pionieri vengono dal Nord. Arriva dalla Norvegia, infatti, una notizia che rappresenta una svolta nelle relazioni internazionali a livello politico-religioso. Infatti il governo di Oslo, con una mossa finora inedita, ha rivendicato piena reciprocità rispetto al tema della libertà religiosa. Destinatario dell’autorevole osservazione diplomatica l’Arabia saudita, la «patria» dell’islam, visto che la dinastia Saud che governa nella Penisola araba è considerata la custode della Mecca, il luogo più santo dell’islam. Ebbene, proprio da Ryiadh, sia dal governo che da enti privati, era venuta nei giorni scorsi la richiesta all’esecutivo di Oslo di un via libera per il finanziamento (la stampa scandinava ha parlato di decine di milioni di euro) ad una nuova moschea gestita dal Centro islamico Tawfiiq nella stessa capitale scandinava.

Ebbene, la risposta del ministero degli Esteri, Jonas Gahr Störe, è stata lapidaria: «Nessuna moschea 'saudita' in Norvegia senza libertà religiosa in Arabia saudita». Ovvero, il rifiuto di accettare che un Paese come l’Arabia, noto per la sua assoluta mancanza di libertà di culto e di credo, possa finanziare nel proprio territorio la costruzione di un luogo di preghiera. Ma c’è di più. Störe – che non può essere assimilato ad un islamofobo, viste le sue passate posizioni 'ecumeniche' durante il caso delle vignette danesi su Maometto – ha ribadito: «Avremmo potuto dire semplicemente: 'No, il nostro governo non approva questi finanziamenti'. E invece abbiamo approfittato dell’occasione per aggiungere che sarebbe paradossale accettare questo flusso di denaro saudita dal momento che la nascita di una comunità cristiana in Arabia viene considerata un crimine». Secondo la costituzione saudita, infatti, l’islam è religione di Stato e non è ammesso nessun culto diverso, nemmeno per i milioni di immigrati (cristiani ma anche indù) provenienti dall’Asia in cerca di lavoro nel settore petrolifero. Fece scalpore, nel 2005, il caso del cristiano indiano Brian Savio O’Connor, arrestato, imprigionato e torturato perché sorpreso in possesso di Bibbie e libri cristiani. Solo una campagna internazionale promossa dall’agenzia AsiaNews riuscì a sensibilizzare l’opinione pubblica e ad ottenere la scarcerazione di O’Connor, che fu poi espulso dal Paese. La mossa di Oslo, dunque, non ha niente di islamofobo ma si richiama alla tradizione del rispetto dei diritti umani, di cui la libertà religiosa costituisce il pilastro, come più volte sostenuto da Giovanni Paolo II. Il quale, profetico anche su questo, lanciò il tema della 'reciprocità' nello storico incontro con la gioventù musulmana nello stadio di Casablanca, in Marocco: era il 19 agosto 1985. Queste le parole di Wojtyla: «Il rispetto e i dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto in ciò che concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli. Aiutano a risolvere insieme i problemi degli uomini e delle donne di oggi, in particolare quella dei giovani». Discorso ricordato e rievocato da Benedetto XVI a Castel Gandolfo il 25 settembre 2006 nel suo incontro con gli ambasciatori dei Paesi a maggioranza islamica, all’indomani delle polemiche scaturite dalla lezione papale di Ratisbona.

Intanto il governo di Oslo non si ferma e guarda avanti. Il ministro Störe ha infatti affermato: «Constato che molti dei miei colleghi europei hanno lo stesso problema», cioè il finanziamento di moschee da parte dell’islam wahabita di matrice saudita, una delle versioni meno aperte della religione coranica. «La Norvegia – ha concluso il ministro – porterà il problema davanti al Consiglio d’Europa».