domenica 7 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Sacri Palazzi, il blog di Andrea Tornielli - 06 novembre 2010 - Questa è la trascrizione del dialogo di Benedetto XVI con i giornalisti durante il volo Roma-Santiago de Compostela.
2)    Iniziato da Santiago de Compostela il secondo viaggio di Benedetto XVI in Spagna - Possibile in Europa l'incontro tra fede e laicità  (©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2010)
3)    La visita di Benedetto XVI alla cattedrale di Santiago de Compostela - Senza verità non c'è autentica libertà - Nella tarda mattinata di sabato 6 novembre il Papa ha visitato la cattedrale di Santiago de Compostela, per pregare davanti alla tomba dell'apostolo Giacomo. Dopo il saluto rivoltogli dall'arcivescovo Julián Barrio Barrio, il Pontefice ha pronunciato il seguente discorso, riportato in traduzione italiana (©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2010)
4)    VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SANTIAGO DE COMPOSTELA E BARCELONA (6 - 7 NOVEMBRE 2010), 06.11.2010 - Santa Messa in occasione dell'Anno Santo Compostelano nella Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela
5)    UOMINI DI DIO di Chiara Vadagnini del 06/11/2010, in cinema, dal sito al sito http://www.libertaepersona.org
6)    VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SANTIAGO DE COMPOSTELA E BARCELONA (6 - 7 NOVEMBRE 2010), 06.11.2010 - Santa Messa con dedicazione della Chiesa della Sagrada Familia e dell’altare a Barcelona © Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana
7)    Domenica 07 Novembre 2010 - SANTIAGO DI COMPOSTELA - Un cammino nuovo Benedetto XVI lo indica all'Europa – Agenzia Sir
8)    LA CONFERENZA, IL PREMIER, LE URGENZE - LA FAMIGLIA CHIEDE ASCOLTO E RISPOSTE - «IL FUTURO DI TUTTI» - Da domani a Milano tre giorni di incontri di Francesco Riccardi – 7 novembre 2010
9)    FEDE, LAICITÀ, RAGIONE: IL PAPA INTERPELLA LA SPAGNA. E NON SOLO - Il pellegrino che scuote l’Occidente smarrito – di Francesco Ognibene – 7 novembre 2010
10)                      «Difensore della vita nella Spagna di Zapatero» - l’intervista - Camacho, ex direttore del quotidiano «Abc»: quella del Papa visita pastorale, non di Stato di Michela Coricelli – 7 novembre 2010
11)                      «Non curatemi Il mio bambino deve nascere» - Ieri in provincia di Reggio Emilia i funerali della donna che ha detto no alla chemioterapia per salvare la vita che aveva in grembo di Davide Parozzi – Avvenire, 7 novembre 2010
12)                      «Fede e laicità si devono incontrare» - di Andrea Tornielli – 7 novembre 2010

Sacri Palazzi, il blog di Andrea Tornielli - 06 novembre 2010 - Questa è la trascrizione del dialogo di Benedetto XVI con i giornalisti durante il volo Roma-Santiago de Compostela.

Santità, nel messaggio per il recente congresso dei santuari che si svolgeva proprio a Santiago di Compostela, lei ha detto di vivere il suo pontificato con i sentimenti del pellegrino. Anche nel suo stemma c’è la conchiglia del pellegrino. Vuole dirci qualcosa sulla prospettiva del pellegrinaggio, anche nella sua vita personale e nella sua spiritualità, e sui sentimenti con cui si reca come pellegrino a Santiago?
«Buongiorno! Potrei dire che l’essere in cammino è già iscritto nella mia biografia. Ma questa forse è una cosa esteriore, tuttavia mi ha fatto pensare all’instabilità di questa vita, all’essere in cammino. Del pellegrinaggio uno potrebbe dire: Dio è dappertutto, non c’è bisogno di andare in un altro luogo, ma è anche vero che la fede secondo la sua essenza è un essere pellegrino. La Lettera agli ebrei dimostra che cosa vede nella figura di Abramo che esce nella sua terra e rimane un pellegrino verso il futuro per tutta la vita, e questo movimento abramico rimane nell’atto della fede, è un essere pellegrino soprattutto interiormente, ma deve anche esprimersi esteriormente. Qualche volta, uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo, uscire solo per essere veramente in cammino verso la trascendenza, trascendere se stesso e la quotidianità e così trovare anche una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, di identificazione di se stesso, di vedere l’altro, Dio, e così è anche il pellegrinaggio sempre: non solo un uscire da se stesso verso il più grande ma anche un andare insieme. Il pellegrinaggio riunisce, andiamo insieme verso l’altro e così ci troviamo reciprocamente. Basta dire che i cammini di san Giacomo sono un elemento nella formazione dell’unità spirituale del Continente europeo, qui peregrinando si sono trovati, hanno trovato l’identità comune europea, e anche oggi rinasce questo movimento, questi sogno di essere in movimento spiritualmente e fisicamente, di trovarsi l’un l’altro e di trovare così silenzio, libertà, rinnovamento, e di trovare Dio».

Grazie, Santità, adesso spostiamo lo sguardo verso Barcellona. Quale significato può avere la consacrazione di un tempio come la Sagrada Familia all’inizio del secolo XXI? E c’è qualche aspetto specifico della visione di Gaudì che l’ha colpita in particolare?
«In realtà questa cattedrale è un anche segno proprio per il nostro tempo. Trovo nella visione di Gaudì tre elementi soprattutto. Il primo, questa sintesi tra continuità e novità, tradizione e creatività. Gaudì ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare nel suo secolo, con una visione totalmente nuova, di nuovo questa realtà cattedrale luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo in una grande solennità, e questo coraggio di stare nella tradizione ma di un creatività nuova che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità e il progresso della storia, è una cosa bella. Secondo, Gaudì voleva questo trinomio: libro della natura, libro della Scrittura, libro della liturgia. E questa sintesi è proprio oggi di grande importanza. Nella liturgia, la Scrittura diventa presente, diventa realtà oggi, non è più una Scrittura di duemila anni fa ma va celebrata, realizzata. E nella celebrazione della Scrittura parla la creazione, trova il creato e trova la sua vera risposta, perché come ci dice San Paolo, la creatura soffre, e invece di essere distrutta, disprezzata, aspetta i figli di Dio, cioè quelli che la vedono nella luce di Dio. E  così questa sintesi tra senso del creato, scrittura e adorazione è proprio un messaggio molto importante per l’oggi. E finalmente, terzo punto, è nata questa cattedrale da una devozione tipica dell’Ottocento: San Giuseppe, la Sacra Famiglia di Nazaret, il mistero di Nazaret, ma proprio questa devozione di ieri, si potrebbe dire, è di grandissima attualità perché il problema della famiglia, del rinnovamento della famiglia come cellula fondamentale della società è il grande tema di oggi e ci indica dove possiamo andare sia nella costruzione della società sia nella unità tra fede e vita, tra religione e società. Famiglia è il tema fondamentale che si esprime qui, dicendo che Dio stesso si è fatto figlio nella famiglia e ci chiama a costruire e vivere la famiglia».

E continuando su questa linea, Gaudì e la Sagrada Familia rappresentano, come lei ha detto, il binomio fede e arte. Come  può la fede ritrovare oggi il suo posto nel mondo dell’arte e della cultura? E’ questo uno dei temi importanti del suo pontificato?
«È così. Voi sapete che io insisto molto sulla relazione tra fede e ragione, che la fede, e la fede cristiana,  ha la sua identità solo nell’apertura alla ragione, e che la ragione diventa se stessa se si trascende  verso la fede. Ma ugualmente importante è la relazione tra fede e arte, perché la verità, scopo e vita della ragione, si esprime nella bellezza e diventa se stessa nella bellezza, si trova come verità. E quindi dove c’è la verità deve nascere la bellezza, dove l’essere umano si realizza in modo corretto, buono, si esprime nella bellezza. La relazione tra verità  e bellezza è inscindibile e perciò abbiamo bisogno della bellezza. Nella Chiesa, dall’inizio, anche nella grande modestia e povertà del tempo delle persecuzioni, l’arte, la pittura, l’esprimersi della salvezza di Dio nelle immagini del mondo, il canto, e poi anche l’edificio, tutto questo è costitutivo per la Chiesa e rimane costitutivo per sempre. Così la Chiesa era madre delle arti per secoli e secoli, il grande tesoro dell’arte, musica architettura pittura, è nato dalla fede nella Chiesa. Oggi c’è un certo dissenso, ma questo fa male sia all’arte sia alla fede: l’arte che perdesse la radice della trascendenza, non andrebbe più verso  Dio, sarebbe un’arte dimezzata, perderebbe la radice viva; e una fede che avesse l’arte solo nel passato, non sarebbe più fede nel presente, ed è oggi che si deve esprimere di nuovo come verità che è sempre presente. Perciò il dialogo o l’incontro, direi,tra arte fede è inscritto nella più profonda essenza della fede, dobbiamo fare di tutto perché anche oggi la fede si esprima in autentica arte, come Gaudì nella continuità e della novità, e perché l’arte non perda il contatto con la fede».

In questi mesi si sta avviando il nuovo dicastero per la nuova evangelizzazione. E molti si sono domandati se proprio la Spagna, con gli sviluppi della secolarizzazione e della diminuzione rapida della pratica religiosa, sia uno dei Paesi a cui lei ha pensato come obiettivo per questo nuovo dicastero, o addirittura se non ne sia l’obiettivo principale…
«Con questo dicastero ho pensato di per sé al mondo intero perché la novità del pensiero, la difficoltà di pensare nei concetti della Scrittura, della teologia, è universale, ma c’è naturalmente un centro e questo è il mondo occidentale con il suo secolarismo, la sua laicità, e la continuità della fede che deve cercare  di rinnovarsi per essere fede oggi e per rispondere alla sfida della laicità. Nell’Occidente tutti i grandi Paesi hanno il loro proprio modo di vivere questo problema: abbiamo avuto ad esempio i viaggi in Francia, nella Repubblica Ceca, nel Regno Unito, dove dappertutto è presente in modo specifico per questa nazione, per questa storia, lo stesso problema, e questo vale anche in modo forte per la Spagna. La Spagna era sempre da una parte un Paese originario della fede, pensiamo che la rinascita del cattolicesimo nell’epoca moderna avviene soprattutto grazie alla Spagna, figure come Sant’Ignazio di Loyola, Santa Teresa e San Giovanni d’Avila, sono figure che hanno finalmente rinnovato il cattolicesimo e formato la fisionomia del cattolicesimo moderno. Ma è ugualmente vero che in Spagna è nata anche una laicità, un anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo come abbiamo visto proprio negli anni Trenta, e questa disputa, più questo scontro tra fede e modernità, ambedue molto vivaci, si realizza anche oggi di nuovo in Spagna: perciò per il futuro della fede e dell’incontro – non lo scontro!-  ma incontro tra fede e laicità, ha un punto centrale anche proprio nella cultura spagnola. In questo senso ho pensato a tutti i grandi Paesi dell’Occidente ma soprattutto anche alla Spagna».

Con il viaggio a Madrid dell’anno prossimo per la giornata mondiale della gioventù, lei avrà fatto tre viaggi in Spagna, cosa che non avviene per nessun altro Paese. Come mai questo privilegio? E’ un segno di amore o di particolare preoccupazione?
«Naturalmente è un segno di amore. Si potrebbe dire che è per caso che vengo tre volte in Spagna. La prima, il grande incontro internazionale delle famiglie, a Valencia: come il Papa potrebbe essere assente, se le famiglie del mondo si incontrano? Il prossimo anno la Gmg, l’incontro della gioventù del mondo a Madrid, e il Papa non può essere assente in questa occasione. E finalmente abbiamo l’anno santo di San  Giacomo, abbiamo la consacrazione dopo più di cento anni di lavoro della cattedrale della Sagrada Familia di Barcellona, come potrebbe non venire il Papa? Di per sé quindi le occasioni sono le sfide, quasi una necessità di andarci, ma proprio il fatto che proprio in Spagna si concentrino tante occasioni, mostra anche che è realmente un Paese pieno di dinamismo, pieno di forza della fede, e la fede risponde alle sfide che sonon ugualmente presenti in Spagna: perciò diciamo il caso ha fatto sì che venga, ma questo caso dimostra una realtà più profonda, la forza della fede e la forza della sfida per la fede».

Grazie Santità. E ora se vuole dire qualche altra cosa per concludere questo nostro incontro, c’è qualche messaggio particolare che lei spera di dare alla Spagna e al mondo di oggi con questo viaggio?
«Io direi che questo viaggio ha due temi. Ha il tema del pellegrinaggio, dell’essere in cammino, e ha il tema della bellezza, della espressione della verità nella bellezza, della continuità tra tradizione e rinnovamento. Io penso che questi due temi del viaggio siano anche un messaggio:  essere in cammino, non perdere il cammino della fede, cercare la bellezza della fede, la novità e la tradizione della fede che sa esprimersi e sa incontrarsi con la bellezza moderna, con il mondo di oggi. Grazie».


Iniziato da Santiago de Compostela il secondo viaggio di Benedetto XVI in Spagna - Possibile in Europa l'incontro tra fede e laicità  (©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2010)

Verità sull'uomo, libertà rispettosa, giustizia per tutti a cominciare dai più poveri:  il Papa indica alla Spagna e all'Europa le coordinate su cui edificare il presente e progettare il futuro. Da Santiago de Compostela, dove è giunto sabato mattina, 6 novembre, Benedetto XVI rilancia la sua convinzione che l'uomo europeo non debba chiudersi nell'orizzonte ristretto del contingente ma aprirsi alla trascendenza, preoccupandosi delle necessità materiali, di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose. Perché - dice al suo arrivo nel capoluogo galiziano - "tutte queste sono esigenze autentiche dell'uomo" e solo in questo modo "si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene".
Così il Papa entra subito nel vivo di un viaggio che egli stesso si incarica di spiegare e di motivare ai giornalisti in volo verso la Spagna. Si tratta di un cammino - rivela - alla ricerca della fede, per ritrovare in essa il senso della bellezza espresso nella sua forma più alta dall'arte. Un itinerario che dimostra la possibilità per la fede stessa di entrare in contatto con il mondo di oggi. "Essere in cammino - confida - è iscritto nella mia biografia".
Nelle risposte alle domande poste a nome dei cronisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, il Pontefice anticipa le tematiche delle due fitte giornate in terra spagnola: il senso del pellegrinaggio; il significato della consacrazione della basilica della Sagrada Familia, capolavoro di Antoni Gaudí; le difficoltà che attraversa l'istituzione familiare; l'efficacia del binomio fede e cultura; la nuova evangelizzazione dell'Europa.
In particolare Benedetto XVI indica nell'esperienza del pellegrinaggio il paradigma della vita dell'uomo alla continua ricerca di Dio. Essere pellegrino - afferma - è l'essenza della nostra fede. In questa prospettiva, l'itinerario compostelano è significativo perché ricorda i passi delle moltitudini di fedeli che hanno diffuso la fede cristiana in Europa e, in un certo senso, l'hanno profondamente rinnovata. Così anche oggi - aggiunge il Papa - si avverte il bisogno di ritrovarsi, di camminare insieme per riscoprire Dio e rinnovare il vecchio continente.
Della necessità di "segni" per il nostro tempo il Pontefice parla riferendosi in particolare alla consacrazione della Sagrada Familia a Barcellona. E ricorda che tra i motivi ispiratori del genio di Gaudí c'era la volontà di operare una sintesi fra continuità e novità, fra tradizione e creatività. Il grande architetto catalano - sottolinea - ha avuto il coraggio di inserirsi nella tradizione artistica delle grandi cattedrali e di tradurla in splendida novità, racchiudendo nella sua opera natura, Scrittura e liturgia. In questo processo di rinnovamento nella continuità si inserisce anche la famiglia, che oggi - riconosce il Papa - ha bisogno di essere rinnovata nella fedeltà alla sua essenza di cellula fondamentale della società. Proprio per il suo ruolo specifico, essa rappresenta il nucleo fondamentale intorno al quale ricostruire una convivenza civile dove non ci sia spazio per contrapposizioni artificiose tra religione e società. Per il futuro dell'uomo - si dice certo Benedetto XVI - occorre un incontro e non uno scontro tra fede e laicità, anche laddove le spinte della secolarizzazione si avvertono in forme più aggressive.
Una persuasione, questa, ribadita successivamente durante la visita alla cattedrale compostelana. La Chiesa - assicura il Papa - "desidera servire con tutte le sue forze la persona umana e la sua dignità", consapevole che la verità è la condizione per un'autentica libertà. Servire i fratelli infatti - ribadisce nel pomeriggio celebrando la messa nella piazza dell'Obradoiro - non è per il cristiano una semplice opzione ma una parte essenziale del proprio essere. Da qui l'appello all'Europa perché sia capace di aprirsi alla trascendenza e alla fraternità:  solo avendo cura di Dio, infatti, si può anche avere cura dell'uomo.


La visita di Benedetto XVI alla cattedrale di Santiago de Compostela - Senza verità non c'è autentica libertà - Nella tarda mattinata di sabato 6 novembre il Papa ha visitato la cattedrale di Santiago de Compostela, per pregare davanti alla tomba dell'apostolo Giacomo. Dopo il saluto rivoltogli dall'arcivescovo Julián Barrio Barrio, il Pontefice ha pronunciato il seguente discorso, riportato in traduzione italiana (©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2010)

Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato,
Distinte Autorità,
Cari sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose,
Cari fratelli e sorelle,
Amici tutti.
Ringrazio Monsignor Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di Santiago di Compostela, per le cortesi parole che mi ha appena rivolto e alle quali rispondo con piacere, salutando tutti con affetto nel Signore e ringraziandovi per la vostra presenza in questo luogo così significativo.
Andare in pellegrinaggio non è semplicemente visitare un luogo qualsiasi per ammirare i suoi tesori di natura, arte o storia. Andare in pellegrinaggio significa, piuttosto, uscire da noi stessi per andare incontro a Dio là dove Egli si è manifestato, là dove la grazia divina si è mostrata con particolare splendore e ha prodotto abbondanti frutti di conversione e santità tra i credenti. I cristiani andarono in pellegrinaggio, anzitutto, nei luoghi legati alla passione, morte e resurrezione del Signore, in Terra Santa. Poi a Roma, città del martirio di Pietro e Paolo, e anche a Compostela, che, unita alla memoria di san Giacomo, ha accolto pellegrini di tutto il mondo, desiderosi di rafforzare il loro spirito con la testimonianza di fede e amore dell'Apostolo.
In questo Anno Santo Compostelano, come Successore di Pietro, ho voluto anch'io venire in pellegrinaggio alla Casa del "Señor Santiago" (san Giacomo ndt.), che si appresta a celebrare l'anniversario degli ottocento anni dalla sua consacrazione, per confermare la vostra fede e ravvivare la vostra speranza, e per affidare all'intercessione dell'Apostolo i vostri aneliti, fatiche e opere per il Vangelo. Nell'abbracciare la sua venerata immagine, ho pregato anche per tutti i figli della Chiesa, che ha la sua origine nel mistero di comunione che è Dio. Mediante la fede, siamo introdotti nel mistero di amore che è la Santissima Trinità. Siamo, in un certo modo, abbracciati da Dio, trasformati dal suo amore. La Chiesa è questo abbraccio di Dio nel quale gli uomini imparano anche ad abbracciare i propri fratelli, scoprendo in essi l'immagine e somiglianza divina, che costituisce la verità più profonda del loro essere, e che è origine della vera libertà.
Tra verità e libertà vi è una relazione stretta e necessaria. La ricerca onesta della verità, l'aspirazione ad essa, è la condizione per un'autentica libertà. Non si può vivere l'una senza l'altra. La Chiesa, che desidera servire con tutte le sue forze la persona umana e la sua dignità, è al servizio di entrambe, della verità e della libertà. Non può rinunciare ad esse, perché è in gioco l'essere umano, perché la spinge l'amore all'uomo, "il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa" (Gaudium et spes, 24), e perché senza tale aspirazione alla verità, alla giustizia e alla libertà, l'uomo si perderebbe esso stesso.
Permettetemi che da Compostela, cuore spirituale della Galizia e, allo stesso tempo, scuola di universalità senza confini, esorti tutti i fedeli di questa cara Arcidiocesi, e tutti quelli della Chiesa in Spagna, a vivere illuminati dalla verità di Cristo, professando la fede con gioia, coerenza e semplicità, in casa, nel lavoro e nell'impegno come cittadini.
Che la gioia di sentirvi figli amati di Dio vi spinga anche ad una amore sempre più profondo per la Chiesa, collaborando con essa nella sua opera di portare Cristo a tutti gli uomini. Pregate il Padrone della messe, perché molti giovani si consacrino a questa missione nel ministero sacerdotale e nella vita consacrata:  oggi, come sempre, vale la pena dedicarsi per tutta la vita a proporre la novità del Vangelo.
Non voglio concludere senza prima esprimere felicitazione e ringraziamento a tutti i cattolici spagnoli per la generosità con la quale sostengono tante istituzioni di carità e di promozione umana. Non stancatevi di mantenere queste opere, che apportano beneficio a tutta la società, e la cui efficacia si è manifestata in modo speciale nell'attuale crisi economica, così come in occasione delle gravi calamità naturali che hanno colpito vari Paesi.
Con questi sentimenti, prego l'Altissimo che conceda a tutti l'audacia che ebbe san Giacomo per essere testimone di Cristo Risorto, e così rimaniate fedeli nei cammini della santità e vi spendiate per la gloria di Dio e il bene dei fratelli più abbandonati. Molte grazie.


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SANTIAGO DE COMPOSTELA E BARCELONA (6 - 7 NOVEMBRE 2010), 06.11.2010 - Santa Messa in occasione dell'Anno Santo Compostelano nella Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela

OMELIA DEL SANTO PADRE

Amatissimi fratelli in Gesù Cristo.

Rendo grazie a Dio per il dono di poter essere qui, in questa splendida piazza ricolma di arte, cultura e significato spirituale. In questo Anno Santo, giungo come pellegrino tra i pellegrini, accompagnando tanti che vengono fin qui assetati della fede in Cristo risorto. Fede annunciata e trasmessa fedelmente dagli Apostoli, come san Giacomo il Maggiore, che si venera a Compostela da tempo immemorabile.

Sono grato per le gentili parole di benvenuto di Monsignor Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di questa Chiesa particolare, e per la cortese presenza delle Loro Altezze Reali i Principi delle Asturie, dei Signori Cardinali, così come dei numerosi Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio. Il mio saluto cordiale giunga anche ai Parlamentari Europei, membri dell’intergruppo “Camino de Santiago”, come pure alle Autorità Nazionali, Regionali e Locali che hanno voluto essere presenti a questa celebrazione. Tutto ciò è segno di deferenza verso il Successore di Pietro e anche del profondo sentimento che san Giacomo di Compostela risveglia in Galizia e negli altri luoghi della Spagna, la quale riconosce l’Apostolo come suo Patrono e protettore. Un caloroso saluto anche alle persone consacrate, seminaristi e fedeli che partecipano a questa Eucaristia e, con un’emozione particolare, ai pellegrini, costruttori del genuino spirito giacobeo, senza il quale si capirebbe poco o nulla di quello che qui si svolge.

Una frase della prima lettura afferma con ammirevole semplicità: “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù” (At 4,33). In effetti, al punto di partenza di tutto ciò che il cristianesimo è stato e continua ad essere non si trova un’iniziativa o un progetto umano, ma Dio, che dichiara Gesù giusto e santo di fronte alla sentenza del tribunale umano che lo condannò come blasfemo e sovversivo; Dio, che ha strappato Gesù Cristo dalla morte; Dio, che farà giustizia a tutti quelli che sono ingiustamente gli umiliati della storia.

“Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” (At 5,32), dicono gli apostoli. Così infatti essi diedero testimonianza della vita, morte e resurrezione di Cristo Gesù, che conobbero mentre predicava e compiva miracoli. A noi, cari fratelli, spetta oggi seguire l’esempio degli apostoli, conoscendo il Signore ogni giorno di più e dando una testimonianza chiara e valida del suo Vangelo. Non vi è maggior tesoro che possiamo offrire ai nostri contemporanei. Così imiteremo anche san Paolo che, in mezzo a tante tribolazioni, naufragi e solitudini, proclamava esultante: “Noi […] abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7).

Insieme a queste parole dell’Apostolo dei gentili, vi sono le parole stesse del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, e che invitano a vivere secondo l’umiltà di Cristo, il quale, seguendo in tutto la volontà del Padre, è venuto per servire, “e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28).

Per i discepoli che vogliono seguire e imitare Cristo, servire il fratello non è più una mera opzione, ma parte essenziale del proprio essere. Un servizio che non si misura in base ai criteri mondani dell’immediato, del materiale e dell’apparente, ma perché rende presente l’amore di Dio per tutti gli uomini e in tutte le loro dimensioni, e dà testimonianza di Lui, anche con i gesti più semplici. Nel proporre questo nuovo modo di relazionarsi nella comunità, basato sulla logica dell’amore e del servizio, Gesù si rivolge anche ai “capi dei popoli”, perché dove non vi è impegno per gli altri sorgono forme di prepotenza e sfruttamento che non lasciano spazio a un’autentica promozione umana integrale. E vorrei che questo messaggio giungesse soprattutto ai giovani: proprio a voi, questo contenuto essenziale del Vangelo indica la via perché, rinunciando a un modo di pensare egoistico, di breve portata, come tante volte vi si propone, e assumendo quello di Gesù, possiate realizzarvi pienamente ed essere seme di speranza.

Questo è ciò che ci ricorda anche la celebrazione di questo Anno Santo Compostelano. E questo è quello che nel segreto del cuore, sapendolo esplicitamente o sentendolo senza saperlo esprimere a parole, vivono tanti pellegrini che camminano fino a Santiago di Compostela per abbracciare l’Apostolo. La stanchezza dell’andare, la varietà dei paesaggi, l’incontro con persone di altra nazionalità, li aprono a ciò che di più profondo e comune ci unisce agli uomini: esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione. E nel più nascosto di tutti questi uomini risuona la presenza di Dio e l’azione dello Spirito Santo. Sì, ogni uomo che fa silenzio dentro di sé e prende le distanze dalle brame, desideri e faccende immediati, l’uomo che prega, Dio lo illumina affinché lo incontri e riconosca Cristo. Chi compie il pellegrinaggio a Santiago, in fondo, lo fa per incontrarsi soprattutto con Dio, che, riflesso nella maestà di Cristo, lo accoglie e benedice nell’arrivare al Portico della Gloria.

Da qui, come messaggero del Vangelo che Pietro e Giacomo firmarono con il proprio sangue, desidero volgere lo sguardo all’Europa che andò in pellegrinaggio a Compostela. Quali sono le sue grandi necessità, timori e speranze? Qual è il contributo specifico e fondamentale della Chiesa a questa Europa, che ha percorso nell’ultimo mezzo secolo un cammino verso nuove configurazioni e progetti? Il suo apporto è centrato in una realtà così semplice e decisiva come questa: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo; meravigliose ma insufficienti per il cuore dell’uomo. Lo comprese bene santa Teresa di Gesù quando scrisse: “Solo Dio basta”.

È una tragedia che in Europa, soprattutto nel XIX secolo, si affermasse e diffondesse la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua liberà. Con questo si voleva mettere in ombra la vera fede biblica in Dio, che mandò nel mondo suo Figlio Gesù Cristo perché nessuno muoia, ma tutti abbiano la vita eterna (cfr Gv 3,16).

L’autore sacro afferma perentorio davanti a un paganesimo per il quale Dio è invidioso dell’uomo o lo disprezza: come Dio avrebbe creato tutte le cose se non le avesse amate, Lui che nella sua infinita pienezza non ha bisogno di nulla? (cfr Sap 11,24-26). Come si sarebbe rivelato agli uomini se non avesse voluto proteggerli? Dio è l’origine del nostro essere e il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole.

E, allora, com’è possibile che si neghi a Dio, sole delle intelligenze, forza delle volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra? Perciò, è necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono propri. Occorre che venga proferita santamente. È necessario che la percepiamo così nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e nelle difficoltà che gli anni portano con sé.

L’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura, lavorare con la sua grazia per quella dignità dell’uomo che avevano scoperto le migliori tradizioni: oltre a quella biblica, fondamentale a tale riguardo, quelle dell’epoca classica, medievale e moderna, dalle quali nacquero le grandi creazioni filosofiche e letterarie, culturali e sociali dell’Europa.

Questo Dio e questo uomo sono quelli che si sono manifestati concretamente e storicamente in Cristo. Cristo che possiamo trovare nei cammini che conducono a Compostela, dato che in essi vi è una croce che accoglie e orienta ai crocicchi.

Questa croce, segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, e perciò dono e perdono allo stesso tempo, dev’essere la nostra stella polare nella notte del tempo. Croce e amore, croce e luce sono stati sinonimi nella nostra storia, perché Cristo si lasciò inchiodare in essa per darci la suprema testimonianza del suo amore, per invitarci al perdono e alla riconciliazione, per insegnarci a vincere il male con il bene. Non smettete di imparare le lezioni di questo Cristo dei crocicchi dei cammini e della vita, in lui ci viene incontro Dio come amico, padre e guida. O Croce benedetta, brilla sempre nelle terre dell’Europa!

Lasciate che proclami da qui la gloria dell’uomo, che avverta delle minacce alla sua dignità per la privazione dei suoi valori e ricchezze originari, l’emarginazione o la morte inflitte ai più deboli e poveri. Non si può dar culto a Dio senza proteggere l’uomo suo figlio e non si serve l’uomo senza chiedersi chi è suo Padre e rispondere alla domanda su di lui.

L’Europa della scienza e delle tecnologie, l’Europa della civilizzazione e della cultura, deve essere allo stesso tempo l’Europa aperta alla trascendenza e alla fraternità con altri continenti, al Dio vivo e vero a partire dall’uomo vivo e vero. Questo è ciò che la Chiesa desidera apportare all’Europa: avere cura di Dio e avere cura dell’uomo, a partire dalla comprensione che di entrambi ci viene offerta in Gesù Cristo.

Cari amici, eleviamo uno sguardo di speranza a tutto ciò che Dio ci ha promesso e ci offre. Che Egli ci doni la sua forza, rinvigorisca quest’Arcidiocesi compostelana, vivifichi la fede dei suoi figli e li aiuti a mantenersi fedeli alla loro vocazione di seminare e dare vigore al Vangelo, anche in altre terre. Che san Giacomo, l’amico del Signore, ottenga abbondanti benedizioni per la Galizia, per le altre genti della Spagna, dell’Europa e di tanti altri luoghi al di là dei mari, dove l’Apostolo è segno di identità cristiana e promotore dell’annuncio di Cristo.
© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


UOMINI DI DIO di Chiara Vadagnini del 06/11/2010, in cinema, dal sito al sito http://www.libertaepersona.org

La storia è vera: nel 1996, in piena guerra d’Algeria, i monaci benedettini del monastero di Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante vengono rapiti e giustiziati, probabilmente da un gruppo di estremisti del GIA (Gruppo Islamico Armato), anche se l’inchiesta giudiziaria è ancora in corso e sembra suggerire l’ipotesi di una complicità da parte dell’esercito governativo, fatto che amplierebbe lo scenario all’orizzonte della politica internazionale.

Il film di Xavier Beauvois, che ha vinto il gran premio della giuria al Festival di Cannes del 2010, non si presenta, però, né come un documentario di denuncia contro l’islam integralista, né come un’inchiesta sulla verità dei fatti o sui controversi rapporti tra Francia e Algeria durante la guerra, né tantomeno come un racconto agiografico celebrativo dell’eroismo dei monaci.

Si tratta piuttosto di una fotografia senza sbavature della vita di un convento qualsiasi, abitato da uomini normali. Come se la macchina da presa si trovasse a passare lì per caso e aprisse la porta di una casa che potrebbe essere benissimo quella a fianco.

Per questo la loro storia straordinaria e drammatica può essere letta come la storia di tutti. Ed è in questo senso che va inteso il titolo originale francese “uomini e dei”, citazione del salmo 81, nel quale si afferma la dignità dell’uomo (Io ho detto: “Voi siete dei, siete tutti figli dell'Altissimo”) che consiste nell’essere chiamato a collaborare attivamente alla redenzione del creato nella relazione profonda con Dio e con gli uomini, ma nel quale se ne ricorda anche la fragilità ( “ma certo morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti” ).

La sottolineatura di questa normalità dei protagonisti del racconto emerge con chiarezza attraverso brevi scorci della loro vita quotidiana. Ecco allora una variopinta e chiassosa festa musulmana alla quale i padri partecipano accolti affettuosamente dalla popolazione del paesino; ecco il vecchio padre medico che cura con amorevolezza donne e bambini di ogni provenienza e religione; oppure il dialogo profondissimo con una ragazza che gli chiede che cosa vuole dire innamorarsi; ecco ancora il lavoro nei campi, il lavare i piatti; trova posto in quest’elogio dell’umano anche la descrizione della paura, delle incomprensioni tra i padri, che non sanno decidere se andarsene o restare, di fronte alle minacce sempre più serie dei guerriglieri islamici, (“Io rifiuto il suicidio collettivo”; “Io la protezione di un governo corrotto”)

Tutta questa normalità, però, non è altra cosa rispetto alla relazione con Dio, ne è anzi la continuazione e l’effetto, come ben sottolineano i salmi cantati dai monaci nei momenti di preghiera, che sembrano commentare gli avvenimenti, fornendone una visione più ampia, accolta nel volere imperscrutabile di un Padre che ama.

Questa profonda appartenenza a Dio e agli uomini, che viene pure messa in discussione (“Perché la fede è così amara?” dirà uno dei padri nella lettura durante i pasti, citando il monaco eremita Carlo Carretto), viene descritta come l’origine della capacità dell’incontro con il popolo musulmano, estraneo anch’esso alla violenza della guerriglia e capace di incontro e di confronto proprio perché cosciente della propria identità di fronte ad Allah. “E niente esiste, tranne l’Amore che si manifesta; e niente esiste, tranne il Bambino”, recita un salmo che i monaci cantano nella notte di Natale, dopo un primo burrascoso incontro con i guerriglieri.

Tantissimo silenzio, tantissimi sguardi e primi piani, una scelta di regia sobria e semplicissima nello scegliere le inquadrature descrivono gli avvenimenti in un crescendo di intensità, delineando le figure umanamente ricche e complesse di uomini che si arrendono semplicemente a Dio. Come Christof, che attraversa una profonda notte dello Spirito, dalla quale esce dopo lunghissima preghiera e dopo un dialogo tesissimo con il priore Christian, che gli ricorda l’Amore per il quale vive:

“E’ utile essere martiri? Si è martiri per essere bravi?”

“No, si è martiri per Amore”.



Tra i documenti del Convento venne trovata questa lettera del padre priore:

Testamento spirituale del Padre Christian de Chergé

Quando si profila un ad-Dio

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me : come potrei essere trovato degno di tale offerta ? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la "grazia del martirio", il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa; sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: "Dica adesso quel che ne pensa!". Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!

E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!

Insc’Allah

Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994
Christian”


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SANTIAGO DE COMPOSTELA E BARCELONA (6 - 7 NOVEMBRE 2010), 06.11.2010 - Santa Messa con dedicazione della Chiesa della Sagrada Familia e dell’altare a Barcelona © Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


OMELIA DEL SANTO PADRE

Amatissimi fratelli e sorelle nel Signore.

(In catalano)

“Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete… La gioia del Signore è la vostra forza” (Ne 8,9-11). Con queste parole della prima lettura che abbiamo proclamato desidero salutare tutti voi che siete qui presenti per partecipare a questa celebrazione. Rivolgo un affettuoso saluto alle Loro Maestà i Reali di Spagna, che hanno voluto cordialmente unirsi a noi. Il mio grato saluto va al Signor Cardinale Lluís Martínez Sistach, Arcivescovo di Barcellona, per le parole di benvenuto e il suo invito per la dedicazione di questa chiesa della Sacra Famiglia, meravigliosa sintesi di tecnica, di arte e di fede. Saluto anche il Cardinale Ricardo María Carles Gordó, Arcivescovo emerito di Barcellona, gli altri Signori Cardinali e Fratelli nell’Episcopato, specialmente il Vescovo ausiliare di questa Chiesa particolare, così come i numerosi sacerdoti, diaconi, seminaristi, religiosi e fedeli che partecipano a questa solenne celebrazione. Nello stesso tempo, rivolgo il mio deferente saluto alle Autorità Nazionali, Regionali e Locali, così come ai membri di altre comunità cristiane, che si uniscono alla nostra gioia e lode grata a Dio.

Questo giorno è un punto significativo in una lunga storia di aspirazioni, di lavoro e di generosità, che dura da più di un secolo. In questi momenti, vorrei ricordare ciascuna delle persone che hanno reso possibile la gioia che oggi pervade tutti noi: dai promotori fino agli esecutori di quest’opera; dagli architetti e muratori della stessa, a tutti quelli che hanno offerto, in un modo o nell’altro, il loro insostituibile contributo per rendere possibile la progressiva costruzione di questo edificio.

E ricordiamo, soprattutto, colui che fu anima e artefice di questo progetto: Antoni Gaudí, architetto geniale e cristiano coerente, la cui fiaccola della fede arse fino al termine della sua vita, vissuta con dignità e austerità assoluta. Quest’evento è anche, in qualche modo, il punto culminante e lo sbocco di una storia di questa terra catalana che, soprattutto a partire dalla fine del XIX secolo, diede una moltitudine di santi e di fondatori, di martiri e di poeti cristiani. Storia di santità, di creazioni artistiche e poetiche, nate dalla fede, che oggi raccogliamo e presentiamo come offerta a Dio in questa Eucaristia.

La gioia che provo nel poter presiedere questa celebrazione si è accresciuta quando ho saputo che questo edificio sacro, fin dalle sue origini, è strettamente legato alla figura di san Giuseppe. Mi ha commosso specialmente la sicurezza con la quale Gaudí, di fronte alle innumerevoli difficoltà che dovette affrontare, esclamava pieno di fiducia nella divina Provvidenza: “San Giuseppe completerà il tempio”. Per questo ora non è privo di significato il fatto che sia un Papa il cui nome di battesimo è Giuseppe a dedicarlo.
Cosa significa dedicare questa chiesa? Nel cuore del mondo, di fronte allo sguardo di Dio e degli uomini, in un umile e gioioso atto di fede, abbiamo innalzato un’immensa mole di materia, frutto della natura e di un incalcolabile sforzo dell’intelligenza umana, costruttrice di quest’opera d’arte. Essa è un segno visibile del Dio invisibile, alla cui gloria svettano queste torri, frecce che indicano l’assoluto della luce e di colui che è la Luce, l’Altezza e la Bellezza medesime.
In questo ambiente, Gaudí volle unire l’ispirazione che gli veniva dai tre grandi libri dei quali si nutriva come uomo, come credente e come architetto: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia. Introdusse dentro l’edificio sacro pietre, alberi e vita umana, affinché tutta la creazione convergesse nella lode divina, ma, allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. In questo modo, collaborò in maniera geniale all’edificazione di una coscienza umana ancorata nel mondo, aperta a Dio, illuminata e santificata da Cristo.

E realizzò ciò che oggi è uno dei compiti più importanti: superare la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come Bellezza. Antoni Gaudí non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre, linee, superfici e vertici. In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo.

Abbiamo dedicato questo spazio sacro a Dio, che si è rivelato e donato a noi in Cristo per essere definitivamente Dio con gli uomini. La Parola rivelata, l’umanità di Cristo e la sua Chiesa sono le tre espressioni massime della sua manifestazione e del suo dono agli uomini. “Ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1Cor 3, 10-11), dice san Paolo nella seconda lettura.

Il Signore Gesù è la pietra che sostiene il peso del mondo, che mantiene la coesione della Chiesa e che raccoglie in ultima unità tutte le conquiste dell’umanità. In Lui abbiamo la Parola e la Presenza di Dio, e da Lui la Chiesa riceve la propria vita, la propria dottrina e la propria missione. La Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento di Cristo, in pura docilità alla sua autorità e in totale servizio al suo mandato. L’unico Cristo fonda l’unica Chiesa; Egli è la roccia sulla quale si fonda la nostra fede.

Basati su questa fede, cerchiamo insieme di mostrare al mondo il volto di Dio, che è amore ed è l’unico che può rispondere all’anelito di pienezza dell’uomo. Questo è il grande compito, mostrare a tutti che Dio è Dio di pace e non di violenza, di libertà e non di costrizione, di concordia e non di discordia. In questo senso, credo che la dedicazione di questa chiesa della Sacra Famiglia, in un’epoca nella quale l’uomo pretende di edificare la sua vita alle spalle di Dio, come se non avesse più niente da dirgli, è un avvenimento di grande significato. Gaudí, con la sua opera, ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo, che il segreto della vera originalità consiste, come egli diceva, nel tornare all’origine che è Dio. Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa. Così l’architetto esprimeva i suoi sentimenti: “Una chiesa [è] l’unica cosa degna di rappresentare il sentire di un popolo, poiché la religione è la cosa più elevata nell’uomo”.

Quest’affermare Dio porta con sé la suprema affermazione e tutela della dignità di ogni uomo e di tutti gli uomini: “Non sapete che siete tempio di Dio?... Santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1Cor 3, 16-17). Ecco qui unite la verità e la dignità di Dio con la verità e la dignità dell’uomo. Nel consacrare l’altare di questa chiesa, tenendo presente che Cristo è il suo fondamento, noi presentiamo al mondo Dio che è amico degli uomini, e invitiamo gli uomini ad essere amici di Dio. Come insegna l’episodio di Zaccheo, di cui parla il Vangelo odierno (cfr Lc 19,1-10), se l’uomo lascia entrare Dio nella sua vita e nel suo mondo, se lascia che Cristo viva nel suo cuore, non si pentirà, ma anzi sperimenterà la gioia di condividere la sua stessa vita, essendo destinatario del suo amore infinito.

L’iniziativa della costruzione di questa chiesa si deve all’Associazione degli Amici di san Giuseppe, che vollero dedicarla alla Sacra Famiglia di Nazaret. Da sempre, il focolare formato da Gesù, Maria e Giuseppe è stato considerato una scuola di amore, preghiera e lavoro. I patrocinatori di questa chiesa volevano mostrare al mondo l’amore, il lavoro e il servizio vissuti davanti a Dio, così come li visse la Sacra Famiglia di Nazaret. Le condizioni di vita sono profondamente cambiate e con esse si è progredito enormemente in ambiti tecnici, sociali e culturali.

Non possiamo accontentarci di questi progressi. Con essi devono essere sempre presenti i progressi morali, come l’attenzione, la protezione e l’aiuto alla famiglia, poiché l’amore generoso e indissolubile di un uomo e una donna è il quadro efficace e il fondamento della vita umana nella sua gestazione, nella sua nascita, nella sua crescita e nel suo termine naturale. Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà, nasce e perdura la vera libertà.

Perciò, la Chiesa invoca adeguate misure economiche e sociali affinché la donna possa trovare la sua piena realizzazione in casa e nel lavoro, affinché l’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio e formano una famiglia siano decisamente sostenuti dallo Stato, affinché si difenda come sacra e inviolabile la vita dei figli dal momento del loro concepimento, affinché la natalità sia stimata, valorizzata e sostenuta sul piano giuridico, sociale e legislativo. Per questo, la Chiesa si oppone a qualsiasi forma di negazione della vita umana e sostiene ciò che promuove l’ordine naturale nell’ambito dell’istituzione familiare.

Contemplando ammirato questo ambiente santo di incantevole bellezza, con tanta storia di fede, chiedo a Dio che in questa terra catalana si moltiplichino e consolidino nuovi testimoni di santità, che offrano al mondo il grande servizio che la Chiesa può e deve prestare all’umanità: essere icona della bellezza divina, fiamma ardente di carità, canale perché il mondo creda in Colui che Dio ha mandato (cfr Gv 6,29).
Cari fratelli, nel dedicare questa splendida chiesa, supplico, al tempo stesso, il Signore delle nostre vite che da questo altare, che ora verrà unto con olio santo e sopra il quale si consumerà il sacrificio d’amore di Cristo, sgorghi un fiume continuo di grazia e di carità su questa città di Barcellona e sui suoi abitanti, e sul mondo intero. Che queste acque feconde riempiano di fede e di vitalità apostolica questa Chiesa arcidiocesana, i suoi Pastori e fedeli.

(In catalano)

Desidero, infine, affidare all’amorosa protezione della Madre di Dio, Maria Santissima, “Rosa di aprile”, “Madre della Mercede”, tutti voi qui presenti e tutti coloro che con parole e opere, con il silenzio o la preghiera, hanno reso possibile questo miracolo architettonico. Che Ella presenti al suo divin Figlio anche le gioie e le sofferenze di coloro che giungeranno in futuro in questo luogo sacro, perché, come prega la Liturgia della dedicazione delle chiese, i poveri possano trovare misericordia, gli oppressi conseguire la vera libertà e tutti gli uomini rivestirsi della dignità di figli di Dio. Amen.


Domenica 07 Novembre 2010 - SANTIAGO DI COMPOSTELA - Un cammino nuovo Benedetto XVI lo indica all'Europa – Agenzia Sir

Cammino è la parola chiave di Santiago di Compostela, una delle grandi mete della cristianità. Ma non solo nel senso del pellegrinaggio, che pure tantissimi stanno riscoprendo come esperienza forte di passaggio. Cammino, nel senso più ampio, è sempre più una realtà della nostra esistenza di uomini di questo secolo nuovo e complesso, e così “esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione”. Benedetto XVI, pellegrino a sua volta, ripete con santa Teresa d’Avila: “Solo Dio basta”.
E argomenta: “Tra verità e libertà vi è una relazione stretta e necessaria. La ricerca onesta della verità, l’aspirazione ad essa, è la condizione per un’autentica libertà. Non si può vivere l’una senza l’altra. A noi, cari fratelli, spetta oggi seguire l’esempio degli apostoli, conoscendo il Signore ogni giorno di più e dando una testimonianza chiara e valida del suo Vangelo”. Di qui deriva la gioia autentica.
Per questo il Papa parla di Europa, parla, da Santiago di Compostela, all’Europa. Perché nella realtà della cultura e dello spirito pubblico europeo c’è un nuovo, grande bisogno di ritrovare ragioni di senso e dunque di dinamismo, a tutti i livelli, civile, economico, sociale, culturale e dunque politico e istituzionale.
Così Benedetto XVI prima di tutto s’interroga sulla radice dell’ateismo, chiedendosi perché “in Europa, soprattutto nel XIX secolo, si affermasse e diffondesse la convinzione che Dio è l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua libertà”. Comincia qui una tensione dalle molteplici conseguenze, che di fatto impoverisce lo spirito pubblico, quando non provoca quei drammi indimenticabili che hanno percorso l’Europa dei totalitarismi.
Proprio per rilanciare l’Europa è il momento di rilanciare quel dinamismo che viene dalla realtà cristiana: “È necessario – ripete il Papa – che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono propri. Occorre che venga proferita santamente”. È la radice cristiana della civilizzazione. “L’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura, lavorare con la sua grazia per quella dignità dell’uomo che avevano scoperto le migliori tradizioni: oltre a quella biblica, fondamentale a tale riguardo, quelle dell’epoca classica, medievale e moderna, dalle quali nacquero le grandi creazioni filosofiche e letterarie, culturali e sociali dell’Europa”.
Oggi, così come all’avvio del processo europeo, quasi sessant’anni fa, c’è bisogno di rilanciare questo cammino dinamico, un cammino di civiltà. Il Papa assicura che la Chiesa farà la sua parte e chiede che sia messa in condizione di poterlo fare: “Questo è ciò che la Chiesa desidera apportare all’Europa: avere cura di Dio e avere cura dell’uomo, a partire dalla comprensione che di entrambi ci viene offerta in Gesù Cristo”.
Sir


LA CONFERENZA, IL PREMIER, LE URGENZE - LA FAMIGLIA CHIEDE ASCOLTO E RISPOSTE - «IL FUTURO DI TUTTI» - Da domani a Milano tre giorni di incontri di Francesco Riccardi – 7 novembre 2010

D i famiglia si parla davvero tanto, molto anche a sproposito. È sempre al centro dei programmi politici e non c’è chi non si riprometta di difenderla e promuoverla. Non manca neppure chi vorrebbe cambiarla, chi s’improvvisa ingegnere sociale e per ciò la declina sempre al plurale, assecondando mo de e desideri incostanti. Ma se ne parla così tanto, qui in Italia, che si è persa la capacità di ascoltarla. E quindi di aiutarla davvero. La seconda Conferen za nazionale della famiglia, che si apre domani a Mi lano, è perciò un’occasione fondamentale, che non si può sprecare, anzitutto per recuperare il senso au tentico del 'fare famiglia' nella nostra società e in­dividuare finalmente non solo strumenti concreti d’intervento, ma una politica organica che abbia la valorizzazione della famiglia come matrice sotto stante.

Inutile nascondersi che questo appuntamento atte so e importante rischia di risolversi invece in una vuota kermesse o, peggio, di cadere vittima di un de ragliamento di senso. Le ultime vicende che hanno riguardato il presidente del Consiglio, le polemiche che ne sono seguite, hanno già pesato sulla vigilia del la Conferenza. Fino a far decidere a chi l’ha orga nizzata, cioè il governo, cioè – in ultima analisi e per prima responsabilità – il premier, di compiere un mezzo passo indietro, anzi un passo di lato. Ad aprire le assise sarà, perciò, il sottosegretario alla Presi denza del Consiglio, con delega alle Politiche per la famiglia, Carlo Giovanardi. Un depotenziamento della conferenza stessa? Non è detto, dipende. Di pende dai partecipanti e dipende dagli uomini di governo che li hanno invitati e che ne sono gli in­terlocutori.

Già, è proprio necessario ribadirlo, visti gli equivo ci che si ripetono anche nei mass media: la Confe renza nazionale non è stata organizzata da un’as sociazione o «dal mondo cattolico», come pure è stato detto e scritto. È un’iniziativa della Presiden za del Consiglio. Il cui esito è appeso ovviamente al le parole e ai gesti che la caratterizzeranno e alle de cisioni che contribuirà a preparare. E che riguarda no non una polemica dell’oggi, ma il concreto fu turo delle politiche per la famiglia, e dunque il fu turo del Paese. Ha preso a circolare, nelle ultime ore, la voce che Sil vio Berlusconi, nonostante la scelta di non pronun ciare il saluto introduttivo, potrebbe partecipare al l’evento, sedendosi in platea «ad ascoltare». Non sap piamo se andrà così. Certo, sarebbe un gesto assai significativo, persino esemplare. Quasi a dire: ho e vitato strumentalizzazioni, non evito i problemi. Ma se anche ciò non dovesse fisicamente accadere, è importante che questa volontà di ascolto ci sia e si manifesti, e appartenga visibilmente al premier, al l’intero governo e – per quanto possibile, sappiamo bene che ci sono diverse sensibilità e non poche in sensibilità nei confronti della famiglia costituzio nalmente definita: uomo-donna – dell’intero Parla mento.

Prima di lanciare slogan, di far sfilare modelli pre confezionati, occorre infatti piegarsi sulla realtà, prendere atto dei problemi concreti che attanaglia no la famiglia nel nostro Paese. Difficoltà a 'metter su famiglia' a causa della precarietà del lavoro e dei valori, di cui soffrono soprattutto i più giovani. Im possibilità – troppo spesso – di conciliare attività di cura e professionali, così coartando di fatto le scel te procreative. Deficit di un sistema fiscale e di wel fare tarato sull’individuo e non sul nucleo familiare. Già in passato la prima Conferenza nazionale sulla famiglia, con un’altra maggioranza di governo, fal lì il suo obiettivo risolvendosi in un nulla di fatto: un’interessante sfilata d’esperti e ricette abbozzate solo per essere riposte subito nel cassetto. Oggi, più che mai, è invece necessaria una svolta decisa: oc corre aprire alle famiglie la consultazione sulla rifor ma del sistema fiscale, senza riservare il confronto a sindacati e imprese; ci sono da rivedere strumen ti applicativi come l’Isee; è necessario puntare con decisione sulla sussidiarietà per migliorare l’offer ta dei servizi di assistenza, cura ed educazione di bambini e anziani.

Non si tratta, insomma, di individuare qualche bonus o un paio di agevola zioni. Il drammatico calo demografico, la sfiducia nel futuro che segnala dicono che la famiglia deve diventa re finalmente il perno di un’azione politica tesa al bene comune.


FEDE, LAICITÀ, RAGIONE: IL PAPA INTERPELLA LA SPAGNA. E NON SOLO - Il pellegrino che scuote l’Occidente smarrito – di Francesco Ognibene – 7 novembre 2010
Si è scomodato solo per criticare lo zapaterismo? Tutto qua? Due giorni di appuntamenti liturgici – il pellegrinaggio compostelano, la consacrazione della Sagrada Familia – al solo scopo di cantarle chiare al premier laicista?

Era questa, ieri sera, la sbrigativa lettura che il quotidiano progressista e filogovernativo El Pais

offriva sul suo sito web della due giorni del Papa in Spagna. Un riduzionismo che, prendendo spunto dalle prime parole di Benedetto XVI sul volo che lo stava conducendo sulla punta occidentale della penisola iberica, stride in modo imbarazzante con la levatura del ragionamento sviluppato dal Papa nel corso della giornata, fino all’omelia di ieri sera nel santuario agli estremi confini del continente: una grandiosa esortazione all’Europa perché si levi di dosso la sclerosi culturale che la rende vecchia e inadeguata a seguire il filo della contemporaneità, ad abitare un’epoca nella quale l’uomo – dall’economia alla vita sociale, dalla tecnica alle domande sul futuro – in realtà sta chiedendo a gran voce di essere restituito a quella verità su se stesso che oggi, negata alla radice, è nelle mani di una cultura utilitarista e spietata.

Il respiro della visita in Spagna è lo stesso dei viaggi in Inghilterra e in Francia, in Germania e in Repubblica Ceca: ovunque Papa Benedetto semina con dolcezza e tenacia parole franche per incoraggiare l’Europa a fidarsi di Dio, a non temerlo come «l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua libertà», secondo il pregiudizio che dall’800 si è trascinato sino a quest’avvio di terzo millennio. Un’idea rivelatasi per quello che è: una «tragedia».

Benedetto appare spinto, quasi dominato da un’urgenza, ed è quella che reca incisa nel suo stesso nome e nella conchiglia del pellegrino giacobeo dentro lo stemma: andare al cuore dell’Occidente, cogliere ogni occasione per fargli ricordare dove si origina la sua grandezza. «È necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli d’Europa», ha esclamato ieri sera, ed è una frase che può ben sintetizzare il suo magistero sulla dignità della ragione quand’è aperta alla fede. L’uomo europeo, ci ripete il Pontefice, deve sciogliere il laccio di un’ideologia nichilista che lo vuole asservito a ogni suo desiderio, promosso a diritto perché non sia riconoscibile per quella miseria che è; deve poter tornare ad assaporare la libertà a la bellezza di proferire «santamente» il nome di Dio «nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e nelle difficoltà che gli anni portano con sé». Deve guardare con gratitudine e speranza alla Croce – «segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, stella polare nella notte del tempo» –, l’aratro che ha reso fertile l’Europa consentendole di far germogliare una civiltà che onora ogni singolo uomo e non lo conta a dozzine. Il laicismo vorrebbe Dio invisibile, nascosto, un idoletto privato impresentabile sulla pubblica piazza. Ma lo sbandamento cui l’Occidente si va consegnando – come fosse approdato sull’oceano del nulla senza saper che fare – dovrebbe aprire la laicità all’ascolto di un Papa che con l’umiltà del pellegrino offre alle «grandi necessità, timori e speranze» dell’Europa l’apporto della Chiesa, ovvero una «realtà semplice e decisiva come questa: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo; meravigliose ma insufficienti per il cuore dell’uomo».

La ragione incontra la fede, trovando le risposte che da sola non riuscirà mai a darsi davvero. Vale per tutto il mondo, ma è l’Europa la cattedrale di questa verità.


«Difensore della vita nella Spagna di Zapatero» - l’intervista - Camacho, ex direttore del quotidiano «Abc»: quella del Papa visita pastorale, non di Stato di Michela Coricelli – 7 novembre 2010

Le tensioni non sono mai mancate. Una lunga serie di riforme radicali – dal matrimonio tra omosessuali alla ricerca scientifica sugli embrioni – hanno alimentato, negli ultimi anni, le controversie fra gli elettori cattolici, la Chiesa e la linea politica del premier José Luis Rodriguez Zapatero. Ma l’attuale visita di Benedetto XVI coincide con «un momento ragionevolmente e moderatamente tranquillo», per quanto riguarda i rapporti fra il governo di Zapatero e la Santa Sede. Secondo Ignacio Camacho, ex direttore e attuale editorialista del quotidiano Abc , «l’esecutivo di Zapatero ha sviluppato politiche mirate a segnare una chiara distanza dalla Chiesa. Lo ha fatto sia per condurre il Paese verso uno Stato specificamente laico, sia per provocare delle divisioni interne in seno alla destra e al centrodestra».

Qualcosa è cambiato?

Fondamentalmente, in questo momento, nell’agenda del governo ci sono ben altre preoccupazioni. Rispetto agli ultimi sei anni del governo Zapatero, questo mi sembra il momento più tranquillo nelle relazioni con il Vaticano.

Che importanza ha, per il Paese iberico, la visita del Papa?

Dal punto di vista pastorale è ovvio: è un viaggio molto importante. Anche perché è composto da due visite altamente simboliche. Santiago, il Cammino, che per secoli è stato il principale itinerario religioso del cristianesimo. E poi la consacrazione della Sagrada Familia, da sempre considerato un elemento fondamentale della Catalogna.

È vero che la Catalogna è una delle regioni più secolarizzate d’Europa?

A livello europeo non posso assicurarlo, ma certamente è una delle aree più secolarizzate della Spagna. In qualsiasi caso si tratta di una secolarizzazione pacifica, non belligerante.

Secondo lei la Chiesa prova una preoccupazione particolare per la crescita del laicismo in Spagna?

La Chiesa è sempre preoccupata dell’avanzata del laicismo. Ed è vero che la Spagna ha sempre avuto un ruolo storico di grande rilievo nella tradizione religiosa cristiana. Ma credo che la preoccupazione sia più generale, a livello di fenomeno globale: non c’è un’angustia specifica spagnola.

Il premier Zapatero ha ridotto al minimo la sua presenza in questa visita papale: saluterà il Papa, questa sera, quando ripartirà da Barcellona per Roma...

Io non lo critico per questo. Quella di Benedetto XVI non è una visita di Stato, bensì una visita pastorale. Un’eventuale presenza di Zapatero ad un atto religioso – lui che non è uomo religioso – secondo me sarebbe posticcia, addirittura irritante. È vero, Zapatero ha limitato al minimo del protocollo la sua partecipazione durante questo viaggio, ma in ogni atto il governo viene rappresentato bene, attraverso il vicepresidente e altri ministri.

Trovo molto più grave che dall’inizio del 2010 il premier abbia ignorato del tutto l’Anno Santo Compostelano: non solo non gli riconosce un valore religioso, ma neppure culturale, storico ed europeo, quindi. Per me questo è scandaloso, molto più criticabile.

L’ultima tappa del viaggio di Benedetto XVI, questa sera, sarà un istituto che si occupa di bambini e adulti disabili. Si attende un messaggio in difesa della vita: domani qui in Spagna si riapriranno le polemiche sulla recente riforma dell’aborto?

La Chiesa è obbligata a difendere la vita: è logico che venga ribadito nel discorso del pontefice. L’intenzione della visita è chiara.

Ma non credo che questo ravviverà in modo particolare il dibattito sull’aborto, che del resto – ormai – riguarda tutto il mondo latino.


«Non curatemi Il mio bambino deve nascere» - Ieri in provincia di Reggio Emilia i funerali della donna che ha detto no alla chemioterapia per salvare la vita che aveva in grembo di Davide Parozzi – Avvenire, 7 novembre 2010

« Q uando ha saputo di essere ammalata e che l’alternativa erano le cure o la vita del bambino, mia moglie non ha avuto dubbi. Ha sospeso la chemioterapia e ha aspettato che il nostro piccolo venisse alla luce. Poi ha ricominciato a curarsi ma ormai era troppo tardi». Poche parole asciutte e dignitose come è costume della gente della montagna e poi la sobrietà di un silenzio che non nasconde il dolore: Adelmo Stefanelli, 66 anni, operaio in pensione, ha dato ieri l’ultimo saluto a sua moglie Malgorzata - Margherita -Burakowska, 39 anni polacca, nella chiesa di Castelnovo né Monti sulla montagna reggiana. La donna, nel 2008, ha rifiutato le cure per fare nascere il piccolo Gabriele che oggi ha 19 mesi e si è spenta stroncata da un tumore al seno. Una storia «di gente semplice e buona», spiega il parroco, don Evangelista Margini, della parrocchia della Resurrezione nella cittadina appenninica che con don Benedetto Usai e don William Neviani ha concelebrato la messa esequiale.

Una vicenda, quella di Margherita e Adelmo che comincia quando i due si conoscono, alcuni anni fa a Ligonchio, un paese a poca distanza da Castelnovo ancora più abbarbicato sull’appennino, sulla strada che porta verso il Passo del Cerreto e la Toscana. Margherita faceva la badante presso alcune famiglie del paese per mantenere sé e un altro figlio - ora 15enne - avuto in patria. Quando Adelmo e Margherita si sposano lasciano Ligonchio per Castelnuovo e qui la donna quattro anni fa, si accorse di un nodulo al seno. Le analisi confermarono la malignità della neoplasia e così Margherita iniziò le cure e la chemioterapia. Un percorso interrotto nel 2008, quando la donna si rese conto di portare una nuova vita dentro di sé. Di fronte al medico che, con estrema chiarezza, le disse che se non avesse abortito e continuato la terapia la sua sorte era segnata, la donna non tentennò. «Mia moglie racconta Adelmo Stefanelli - non ebbe dubbi. Sospese subito ogni cura decisa a sacrificare se stessa per salvare il bimbo». La famiglia, spiega ancora don Margini, è stata aiutata ed accompagnata da altre della comunità che si sono strette in un abbraccio di affetto e amicizia mano a mano che la malattia avanzava. Poco più di un anno fa il battesimo del piccolo Gabriele e poi i mesi di lotta finale con il male che avanzava inesorabile. «Negli ultimi tempi anche le cure la facevano stare male racconta ancora Adelmo - . Mangiava pochissimo ed era sempre molto debole». Lunedi la crisi definitiva e martedì mattina, in ospedale, la fine.

«Margherita – ha detto don Neviani nell’omelia del funerale – aveva fede nella vita e nella solidarietà. Ha sperato e ha creduto nel Signore che unisce e che ci dà la forza di andare avanti anche nelle difficoltà». Una fede semplice, ribadisce don Margini, ma profonda. «Margherita aveva voglia di vivere sul serio, ma ha scelto di difendere il diritto alla vita del suo bambino. Non era gente che veniva sempre in parrocchia – aggiunge il parroco di Castelnovo – ma aveva valori forti, tradizionali, comuni alla gente della nostra montagna». Quei valori su cui Margherita ha giocato la sua vita fino alla scelta del dono estremo.


«Fede e laicità si devono incontrare» - di Andrea Tornielli – 7 novembre 2010
Da Santiago de Compostela, cuore pulsante dell’Europa cristiana medioevale che sta conoscendo una sorprendente riscoperta negli ultimi anni come meta di pellegrinaggi, dalla Spagna dove la secolarizzazione avanza e il governo Zapatero ha introdotto i matrimoni gay e ha esteso la legislazione abortista, Benedetto XVI, «pellegrino fra i pellegrini», chiede a gran voce al Vecchio Continente di non dimenticare le sue radici cristiane e invoca non lo scontro, ma l’incontro tra fede e laicità.
C’è una nebbia fitta quando il Papa atterra nel capoluogo della Galizia. Una nebbia che poco a poco si dirada, quasi sciogliendosi grazie al calore delle centinaia di migliaia di persone che salutano il vescovo di Roma.
Sull’aereo, rispondendo alle domande dei giornalisti, riferendosi alla nuova evangelizzazione e al dicastero ad hoc appena istituito per questo scopo, Benedetto XVI afferma: «Per il futuro della fede e dell’incontro – non lo scontro! – ma incontro tra fede e laicità, ha un punto centrale anche proprio nella cultura spagnola. In questo senso ho pensato a tutti i grandi Paesi dell’Occidente ma soprattutto anche alla Spagna». Perché è proprio in questo Paese, dall’antichissima e radicata tradizione cristiana, che, ricorda il Pontefice, negli anni Trenta sorse un «anticlericalismo, un secolarismo forte e aggressivo» e ora il confronto è «molto vivace».
Ad accogliere Ratzinger all’aeroporto ci sono i principi delle Asturie, Felipe, erede al trono, e la moglie Letizia, insieme alle autorità galiziane. Non c’è il premier José Luis Zapatero, che ieri si trovava in Afghanistan e che saluterà invece il Papa questa sera a Barcellona: non si è fatto mai vedere in questi luoghi durante tutto l’Anno santo compostelano, rimarcano gli esponenti del governo locale. In rappresentanza dell’esecutivo di Madrid, ieri era presente il vicepremier Alfredo Rubalcaba, in quale ha lanciato segnali di pace facendo sapere in un’intervista che il progetto di nuova legge sulla libertà religiosa, quello che poteva provocare la rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici, non è una priorità per il governo spagnolo.
Benedetto XVI è arrivato alla grande basilica dove si conservano i resti che la tradizione indica essere quelli dell’apostolo san Giacomo vestito con le insegne del pellegrino, la mantelletta marrone e la conchiglia. Ha assistito al suggestivo rito dell’incensazione, con il grande «botafumeiro», l’incensiere d’argento di settanta chili che viene fatto oscillare attraverso la navata.
Nel pomeriggio ha celebrato la messa all’aperto, nella gremita piazza del Obradoiro antistante alla basilica. Tantissimi fedeli non hanno potuto accedere alla piazza e hanno seguito la cerimonia dai tanti maxischermi approntati in altre zone del centro storico di Santiago.
Nell’omelia ha detto: «È necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono propri… L’Europa deve aprirsi a Dio, uscire all’incontro con Lui senza paura, lavorare con la sua grazia per quella dignità dell’uomo che avevano scoperto le migliori tradizioni».
In serata il Papa è partito per Barcellona, dove oggi consacrerà la cattedrale di Gaudì, la Sagrada Familia e dove si attendono almeno 400mila fedeli. Sarà l’occasione per ricordare all’Europa secolarizzata l’importanza della famiglia. Si attendono anche manifestazioni di protesta da parte di numerose organizzazioni laiche. Due giorni fa, infine, a Barcellona, un passante ha raccolto per strada alcuni documenti segreti riguardanti i piani di sicurezza per la visita papale, evidentemente smarriti da qualcuno degli addetti. Ma non sono segnalati allarmi particolari.
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