giovedì 4 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    CATECHESI DI BENEDETTO XVI SU SANTA MARGHERITA D’OINGT - All’Udienza Generale del mercoledì
2)    I buoni libri e l'unico vero Libro. Il Papa ricorda santa Margherita d'Oingt - pubblicata da Massimo Introvigne il giorno giovedì 4 novembre 2010
3)    03/11/2010 – IRAQ - Al Qaeda minaccia: i cristiani sono bersaglio legittimo
4)    Un nuovo Obama? Lorenzo Albacete - giovedì 4 novembre 2010 – il sussidiario.net
5)    Avvenire.it, 4 novembre 2010 - La verità, la vita, la missione di chi crede in Gesù Cristo - Siamo l’anima del mondo di Alessandro D’Avenia
6)    Avvenire.it, 4 novembre 2010 – INTERVISTA - Padre Busa: «Ecco il mio san Tommaso digitale» di Francesco Ognibene
7)    Avvenire.it, 4 novembre 2010 LA CHIESA CHE SOFFRE «Cristiani bersagli legittimi» Al-Qaeda minaccia ancora di Luca Geronico

CATECHESI DI BENEDETTO XVI SU SANTA MARGHERITA D’OINGT - All’Udienza Generale del mercoledì

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 3 novembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell'intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l'Udienza generale tenutasi nell'Aula Paolo VI.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla figura di santa Margherita d’Oingt.

* * *
Cari fratelli e sorelle,
con Margherita d'Oingt, di cui vorrei parlarvi oggi, siamo introdotti nella spiritualità certosina, che si ispira alla sintesi evangelica vissuta e proposta da san Bruno. Non ci è nota la sua data di nascita, benché qualcuno la collochi intorno al 1240. Margherita proviene da una potente famiglia di antica nobiltà del Lionese, gli Oingt. Sappiamo che la madre si chiamava pure Margherita, che aveva due fratelli - Guiscardo e Luigi - e tre sorelle: Caterina, Isabella e Agnese. Quest’ultima la seguirà in monastero, nella Certosa, succedendole poi come priora.
Non abbiamo notizie circa la sua infanzia, ma dai suoi scritti possiamo intuire che sia trascorsa tranquilla, in un ambiente familiare affettuoso. Infatti, per esprimere l’amore sconfinato di Dio, ella valorizza molto immagini legate alla famiglia, con particolare riferimento alle figure del padre e della madre. In una sua meditazione prega così: "Bel dolce Signore, quando penso alle speciali grazie che mi hai fatto per tua sollecitudine: innanzi tutto, come mi hai custodita fin dalla mia infanzia, e come mi hai sottratta dal pericolo di questo mondo e mi hai chiamata a dedicarmi al tuo santo servizio, e come mi hai provvista in tutte quelle cose che mi erano necessarie per mangiare, bere, vestire e calzare, (e lo hai fatto) in tal modo che non ho avuto occasione di pensare in tutte queste cose che alla tua grande misericordia" (Margherita d’Oingt, Scritti spirituali, Meditazione V, 100, Cinisello Balsamo 1997, p. 74).
Sempre dalle sue meditazioni, intuiamo che entrò nella Certosa di Poleteins in risposta alla chiamata del Signore, lasciando tutto e accettando la severa regola certosina, per essere totalmente del Signore, per stare sempre con Lui. Ella scrive: "Dolce Signore, io ho lasciato mio padre e mia madre e i miei fratelli e tutte le cose di questo mondo per tuo amore; ma questo è pochissimo, poiché le ricchezze di questo mondo non sono che spine pungenti; e chi più ne possiede più è sfortunato. E per questo mi sembra di non aver lasciato altro che miseria e povertà; ma tu sai, dolce Signore, che se io possedessi mille mondi e potessi disporne a mio piacimento, abbandonerei tutto per amore tuo; e quand'anche tu mi dessi tutto ciò che possiedi in cielo e in terra, non mi riterrei appagata finché non avessi te, perché tu sei la vita dell'anima mia, né ho né voglio avere padre e madre fuori di te" (ibid., Meditazione II, 32, p. 59).
Anche della sua vita nella Certosa possediamo pochi dati. Sappiamo che nel 1288 ne divenne la quarta priora, incarico che mantenne fino alla morte, avvenuta l’11 febbraio 1310. Dai suoi scritti, comunque, non emergono particolari svolte nel suo itinerario spirituale. Ella concepisce tutta la vita come un cammino di purificazione fino alla piena configurazione a Cristo. Cristo è il Libro che va scritto, va inciso quotidianamente nel proprio cuore e nella propria vita, in particolare la sua passione salvifica. Nell’opera Speculum, Margherita, riferendosi a se stessa in terza persona, sottolinea che per grazia del Signore "aveva inciso nel suo cuore la santa vita che Dio Gesù Cristo condusse sulla terra, i suoi buoni esempi e la sua buona dottrina. Ella aveva messo così bene il dolce Gesù Cristo nel suo cuore che le sembrava perfino che questi le fosse presente e che tenesse un libro chiuso nella sua mano, per istruirla" (ibid., I, 2-3, p. 81). "In questo libro ella trovava scritta la vita che Gesù Cristo condusse sulla terra, dalla sua nascita all'ascesa al cielo" (ibid., I, 12, p. 83).
Quotidianamente, fin dal mattino, Margherita si applica allo studio di questo libro. E, quando l’ha ben guardato, inizia a leggere nel libro della propria coscienza, che rivela le falsità e le menzogne della sua vita (cfr ibid., I, 6-7, p. 82); scrive di sé per giovare agli altri e per fissare più profondamente nel proprio cuore la grazia della presenza di Dio, per far sì, cioè, che ogni giorno la sua esistenza sia segnata dal confronto con le parole e le azioni di Gesù, con il Libro della vita di Lui. E questo perché la vita di Cristo sia impressa nell’anima in modo stabile e profondo, fino a poter vedere il Libro all’interno, ossia fino a contemplare il mistero di Dio Trinità (cfr ibid., II, 14-22; III, 23-40, p. 84-90).
Attraverso i suoi scritti, Margherita ci offre qualche spiraglio sulla sua spiritualità, permettendoci di cogliere alcuni tratti della sua personalità e delle sue doti di governo. È una donna molto colta; scrive abitualmente in latino, la lingua degli eruditi, ma scrive pure in franco provenzale e anche questo è una rarità: i suoi scritti sono, così, i primi, di cui si ha memoria, redatti in questa lingua. Vive un’esistenza ricca di esperienze mistiche, descritte con semplicità, lasciando intuire l’ineffabile mistero di Dio, sottolineando i limiti della mente nell’afferrarlo e l’inadeguatezza della lingua umana nell’esprimerlo. Ha una personalità lineare, semplice, aperta, di dolce carica affettiva, di grande equilibrio e acuto discernimento, capace di entrare nelle profondità dello spirito umano, di coglierne i limiti, le ambiguità, ma pure le aspirazioni, la tensione dell’anima verso Dio. Mostra una spiccata attitudine al governo, coniugando la sua profonda vita spirituale mistica con il servizio alle sorelle e alla comunità. In questo senso è significativo un passo di una lettera a suo padre: "Mio dolce padre, vi comunico che mi trovo tanto occupata a causa dei bisogni della nostra casa, che non mi è possibile applicare lo spirito in buoni pensieri; infatti ho tanto da fare che non so da quale lato girarmi. Noi non abbiamo raccolto grano nel settimo mese dell'anno e i nostri vigneti sono stati distrutti dalla tempesta. Inoltre, la nostra chiesa si trova in così cattive condizioni che siamo obbligati in parte a rifarla" (ibid., Lettere, III, 14, p. 127).
Una monaca certosina delinea così la figura di Margherita: "Attraverso la sua opera ci rivela una personalità affascinante, dall’intelligenza viva, orientata verso la speculazione e, allo stesso tempo, favorita da grazie mistiche: in una parola, una donna santa e saggia che sa esprimere con un certo umorismo un’affettività tutta spirituale" (Una Monaca Certosina, Certosine, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, Roma 1975, col. 777). Nel dinamismo della vita mistica, Margherita valorizza l’esperienza degli affetti naturali, purificati dalla grazia, quale mezzo privilegiato per comprendere più profondamente ed assecondare con più prontezza e ardore l'azione divina. Il motivo risiede nel fatto che la persona umana è creata ad immagine di Dio, e perciò è chiamata a costruire con Dio una meravigliosa storia d’amore, lasciandosi coinvolgere totalmente dalla sua iniziativa.
Il Dio Trinità, il Dio amore che si rivela nel Cristo l’affascina, e Margherita vive un rapporto di amore profondo verso il Signore e, per contrasto, vede l’ingratitudine umana fino alla viltà, fino al paradosso della croce. Ella afferma che la croce di Cristo è simile alla tavola del parto. Il dolore di Gesù sulla croce è paragonato a quello di una madre. Scrive: "La madre che mi portò in grembo, soffrì fortemente, nel darmi alla luce, per un giorno o per una notte, ma tu, bel dolce Signore, per me sei stato tormentato non una notte o un giorno soltanto ma per più di trent'anni […]; quanto amaramente hai patito a causa mia per tutta la vita! E allorché giunse il momento del parto, il tuo travaglio fu tanto doloroso che il tuo santo sudore divenne come gocce di sangue che scorrevano per tutto il tuo corpo fino a terra" (ibid., Meditazione I, 33, p. 59).
Margherita, evocando i racconti della Passione di Gesù, contempla questi dolori con profonda compassione: "Tu sei stato deposto sul duro letto della croce, in modo tale da non poterti muovere o girare o agitare le tue membra così come suol fare un uomo che patisce un grande dolore, poiché sei stato completamente steso e ti sono stati conficcati i chiodi […] e […] sono stati lacerati tutti i tuoi muscoli e le tue vene. […] Ma tutti questi dolori […] ancora non ti bastavano, tanto che volesti che il tuo fianco venisse squarciato dalla lancia così crudelmente da far sì che il tuo docile corpo fosse del tutto arato e straziato; e il tuo prezioso sangue sgorgava con tanta violenza da formare una larga strada, quasi fosse un grande ruscello". Riferendosi a Maria afferma: "Non c'era da meravigliarsi che la spada che ti ha spezzato il corpo sia anche penetrata nel cuore della tua gloriosa madre che tanto amava sostenerti […] poiché il tuo amore è stato superiore a tutti gli altri amori" (ibid., Meditazione II, 36-39.42, p 60s).
Cari amici, Margherita d’Oingt ci invita a meditare quotidianamente la vita di dolore e di amore di Gesù e quella di sua Madre, Maria. Qui è la nostra speranza, il senso del nostro esistere. Dalla contemplazione dell’amore di Cristo per noi nascono la forza e la gioia di rispondere con altrettanto amore, mettendo la nostra vita a servizio di Dio e degli altri. Con Margherita diciamo anche noi: "Dolce Signore, tutto ciò che hai compiuto, per amore mio e di tutto il genere umano, mi provoca ad amarti, ma il ricordo della tua santissima passione dona un vigore senza eguali alla mia potenza d'affetto per amarti. E’ per questo che mi sembra […] di aver trovato ciò che ho così tanto desiderato: non amare niente altro che te o in te o per amore tuo" (ibid., Meditazione II, 46, p. 62).
A prima vista questa figura di certosina medievale, come pure tutta la sua vita, il suo pensiero, appaiono molto lontani da noi, dalla nostra vita, dal nostro modo di pensare e di agire. Ma se guardiamo all'essenziale di questa vita, vediamo che tocca anche noi e dovrebbe divenire essenziale anche nella nostra esistenza.
Abbiamo sentito che Margherita ha considerato il Signore come un libro, ha fissato lo sguardo sul Signore, lo ha considerato come uno specchio nel quale appare anche la propria coscienza. E da questo specchio è entrata luce nella sua anima: ha lasciato entrare la parola, la vita di Cristo nel proprio essere e così è stata trasformata; la coscienza è stata illuminata, ha trovato criteri, luce ed è stata pulita. Proprio di questo abbiamo bisogno anche noi: lasciare entrare le parole, la vita, la luce di Cristo nella nostra coscienza perché sia illuminata, capisca ciò che è vero e buono e ciò che è male; che sia illuminata e pulita la nostra coscienza. La spazzatura non c'è solo in diverse strade del mondo. C'è spazzatura anche nelle nostre coscienze e nelle nostre anime. È solo la luce del Signore, la sua forza e il suo amore che ci pulisce, ci purifica e ci dà la retta via. Quindi seguiamo santa Margherita in questo sguardo verso Gesù. Leggiamo nel libro della sua vita, lasciamoci illuminare e pulire, per imparare la vera vita. Grazie.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alla delegazione della città di Manoppello, guidata dal Vescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte, e alle Suore della Presentazione di Maria Santissima al Tempio. Cari amici, vi ringrazio di cuore per la vostra presenza, ed auspico che quest’incontro rafforzi in voi generosi propositi di testimonianza evangelica e di impegno nel servizio del bene comune.
Rivolgo il mio saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. La Solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti, che abbiamo appena celebrato, come pure la prossima memoria di San Carlo Borromeo, di cui ricorre il quarto anniversario della canonizzazione, ci offrono l’opportunità di riflettere, ancora una volta, sull’autentico significato dell’esistenza terrena e sul suo valore per l’eternità.
Questi giorni di riflessione e di preghiera costituiscano per voi, cari giovani, un invito a imitare l’eroismo dei Santi, che hanno speso la vita a servizio di Dio e del prossimo. Siano di grande conforto per voi, cari ammalati, associati al mistero della passione di Cristo. Diventino un’occasione propizia per voi, cari sposi novelli, per comprendere sempre meglio che siete chiamati a testimoniare con la vostra reciproca fedeltà l’amore infinito con cui Dio circonda ogni uomo.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]


I buoni libri e l'unico vero Libro. Il Papa ricorda santa Margherita d'Oingt - pubblicata da Massimo Introvigne il giorno giovedì 4 novembre 2010

Nel quadro delle sue catechesi sulle sante del Medioevo, Benedetto XVI ha ricordato il 3 novembre 2010 santa Margherita d’Oingt (1240?-1310). Questo splendido discorso del Papa è stato occasione per riflettere su una delle grandi spiritualità monastiche di origine medioevale, la «spiritualità certosina, che si ispira alla sintesi evangelica vissuta e proposta da san Bruno [1030-1101]» (Benedetto XVI 2010),e  per affrontare il tema del rapporto fra la cultura cattolica e la vita spirituale.

È lo stesso Pontefice a fornirci alcuni dati biografici su santa Margherita: «Non ci è nota la sua data di nascita, benché qualcuno la collochi intorno al 1240. Margherita proviene da una potente famiglia di antica nobiltà del Lionese, gli Oingt. Sappiamo che la madre si chiamava pure Margherita, che aveva due fratelli – Guiscardo e Luigi – e tre sorelle: Caterina, Isabella e Agnese. Quest’ultima la seguirà in monastero, nella Certosa, succedendole poi come priora» (ibid.).

«Non abbiamo notizie circa la sua infanzia – prosegue Benedetto XVI –, ma dai suoi scritti possiamo intuire che sia trascorsa tranquilla, in un ambiente familiare affettuoso. Infatti, per esprimere l’amore sconfinato di Dio, ella valorizza molto immagini legate alla famiglia, con particolare riferimento alle figure del padre e della madre. In una sua meditazione prega così: “Bel dolce Signore, quando penso alle speciali grazie che mi hai fatto per tua sollecitudine: innanzi tutto, come mi hai custodita fin dalla mia infanzia, e come mi hai sottratta dal pericolo di questo mondo e mi hai chiamata a dedicarmi al tuo santo servizio, e come mi hai provvista in tutte quelle cose che mi erano necessarie per mangiare, bere, vestire e calzare, (e lo hai fatto) in tal modo che non ho avuto occasione di pensare in tutte queste cose che alla tua grande misericordia” (Margherita d’Oingt, Scritti spirituali, Meditazione V, 100, Cinisello Balsamo 1997, p. 74)» (ibid.).

Formata dunque da una famiglia felice e profondamente cattolica, Margherita – s’ignora esattamente a quale data – «entrò nella Certosa di Poleteins in risposta alla chiamata del Signore, lasciando tutto e accettando la severa regola certosina» (ibid.). Il Papa dà la parola alla stessa santa che con parole eloquenti ricorda la sua chiamata alla vita monastica: «“Dolce Signore, io ho lasciato mio padre e mia madre e i miei fratelli e tutte le cose di questo mondo per tuo amore; ma questo è pochissimo, poiché le ricchezze di questo mondo non sono che spine pungenti; e chi più ne possiede più è sfortunato. E per questo mi sembra di non aver lasciato altro che miseria e povertà; ma tu sai, dolce Signore, che se io possedessi mille mondi e potessi disporne a mio piacimento, abbandonerei tutto per amore tuo; e quand’anche tu mi dessi tutto ciò che possiedi in cielo e in terra, non mi riterrei appagata finché non avessi te, perché tu sei la vita dell’anima mia, né ho né voglio avere padre e madre fuori di te” (ibid., Meditazione II, 32, p. 59)» (ibid.).

Dal 1288 alla morte, nel 1310, Margherita esercita l’ufficio di priora della sua Certosa. A ulteriore smentita del luogo comune che vuole le donne del Medioevo generalmente ignoranti, «è una donna molto colta; scrive abitualmente in latino, la lingua degli eruditi, ma scrive pure in franco-provenzale e anche questo è una rarità: i suoi scritti sono, così, i primi, di cui si ha memoria, redatti in questa lingua». Le sue opere principali sono la Pagina meditationum (1286), in latino, e lo Speculum sanctae Margarete (1294) – cui fu dato in seguito questo titolo latino, ma che la santa scrisse in franco-provenzale – dove racconta tre sue visioni. Negli ultimi anni vi aggiunse Li via Seiti Biatrix Virgina de Ornaciu, pure in franco-provenzale, dove racconta la vita della consorella beata Beatrice di Ornacieux (1250-1303).

Una donna di grande cultura, dunque. Ma la sua cultura non è fine a se stessa. Santa Margherita non dimentica, sottolinea Benedetto XVI, che ultimamente «Cristo è il Libro che va scritto, va inciso quotidianamente nel proprio cuore e nella propria vita, in particolare la sua passione salvifica» (ibid.). Ma in realtà fra cultura e vita, fra opera letteraria e opera della grazia nell’esperienza monastica, fra i tanti buoni libri – che è cosa buona leggere – e l’unico vero Libro non c’è contraddizione. «Nell’opera Speculum, Margherita, riferendosi a se stessa in terza persona, sottolinea che per grazia del Signore “aveva inciso nel suo cuore la santa vita che Dio Gesù Cristo condusse sulla terra, i suoi buoni esempi e la sua buona dottrina. Ella aveva messo così bene il dolce Gesù Cristo nel suo cuore che le sembrava perfino che questi le fosse presente e che tenesse un libro chiuso nella sua mano, per istruirla” (ibid., I, 2-3, p. 81). “In questo libro ella trovava scritta la vita che Gesù Cristo condusse sulla terra, dalla sua nascita all’ascesa al cielo” (ibid., I, 12, p. 83)» (ibid.).

L’esperienza certosina coniuga i libri della grande spiritualità e della tradizione cattolica e il libro del cuore, quello dove Gesù stesso incide la sua vita nel rapporto quotidiano con chi lo cerca e lo sa trovare. E alla fine scopre che si tratta sempre dello stesso libro. «Quotidianamente, fin dal mattino, Margherita si applica allo studio di questo libro. E, quando l’ha ben guardato, inizia a leggere nel libro della propria coscienza, che rivela le falsità e le menzogne della sua vita (cfr ibid., I, 6-7, p. 82); scrive di sé per giovare agli altri e per fissare più profondamente nel proprio cuore la grazia della presenza di Dio, per far sì, cioè, che ogni giorno la sua esistenza sia segnata dal confronto con le parole e le azioni di Gesù, con il Libro della vita di Lui. E questo perché la vita di Cristo sia impressa nell’anima in modo stabile e profondo, fino a poter vedere il Libro all’interno, ossia fino a contemplare il mistero di Dio Trinità (cfr ibid., II, 14-22; III, 23-40, p. 84-90)» (ibid.).

La catechesi di Benedetto XVI su santa Margherita diventa così una profonda riflessione sul ruolo rispettivo, nella vita spirituale, dei libri e dell’unico vero libro che è la conoscenza di Gesù Cristo, e sul rapporto fra cultura e spiritualità. Santa Margherita lascia «intuire l’ineffabile mistero di Dio, sottolineando i limiti della mente nell’afferrarlo e l’inadeguatezza della lingua umana nell’esprimerlo» (ibid.). Scrivere buoni libri è indispensabile. Ma alla fine ci sono cose che nessuna parola umana può esprimere.

L’esperienza certosina in generale, e quella di Margherita in particolare, non è puramente contemplativa. Come priora, nota il Papa, la santa «mostra una spiccata attitudine al governo, coniugando la sua profonda vita spirituale mistica con il servizio alle sorelle e alla comunità. In questo senso è significativo un passo di una lettera a suo padre: “Mio dolce padre, vi comunico che mi trovo tanto occupata a causa dei bisogni della nostra casa, che non mi è possibile applicare lo spirito in buoni pensieri; infatti ho tanto da fare che non so da quale lato girarmi. Noi non abbiamo raccolto grano nel settimo mese dell’anno e i nostri vigneti sono stati distrutti dalla tempesta. Inoltre, la nostra chiesa si trova in così cattive condizioni che siamo obbligati in parte a rifarla” (ibid., Lettere, III, 14, p. 127)» (ibid.).

Benedetto XVI non manca di sottolineare che dagli scritti di santa Margherita traspare pure «un certo umorismo» (ibid.). La santa conosce il primato della grazia, ma parte sempre da una natura sana ed equilibrata: «valorizza l’esperienza degli affetti naturali, purificati dalla grazia, quale mezzo privilegiato per comprendere più profondamente ed assecondare con più prontezza e ardore l’azione divina. Il motivo risiede nel fatto che la persona umana è creata ad immagine di Dio, e perciò è chiamata a costruire con Dio una meravigliosa storia d’amore, lasciandosi coinvolgere totalmente dalla sua iniziativa» (ibid.).

C’è anche, afferma Benedetto XVI, un aspetto profondamente femminile – e materno – nella spiritualità di Margherita. «Ella afferma che la croce di Cristo è simile alla tavola del parto. Il dolore di Gesù sulla croce è paragonato a quello di una madre. Scrive: “La madre che mi portò in grembo, soffrì fortemente, nel darmi alla luce, per un giorno o per una notte, ma tu, bel dolce Signore, per me sei stato tormentato non una notte o un giorno soltanto ma per più di trent’anni […]; quanto amaramente hai patito a causa mia per tutta la vita! E allorché giunse il momento del parto, il tuo travaglio fu tanto doloroso che il tuo santo sudore divenne come gocce di sangue che scorrevano per tutto il tuo corpo fino a terra” (ibid., Meditazione I, 33, p. 59)» (ibid.).

E, naturalmente, questa spiritualità non può che essere anche mariana. «Riferendosi a Maria [la santa] afferma: “Non c’era da meravigliarsi che la spada che ti ha spezzato il corpo sia anche penetrata nel cuore della tua gloriosa madre che tanto amava sostenerti […] poiché il tuo amore è stato superiore a tutti gli altri amori” (ibid., Meditazione II, 36-39.42, p 60s)» (ibid.).

L’insegnamento di santa Margherita è importante anche per noi oggi, anche se «a prima vista questa figura di certosina medievale, come pure tutta la sua vita, il suo pensiero, appaiono molto lontani da noi, dalla nostra vita, dal nostro modo di pensare e di agire. Ma se guardiamo all’essenziale di questa vita, vediamo che tocca anche noi e dovrebbe divenire essenziale anche nella nostra esistenza» (ibid.). Infatti «meditare quotidianamente la vita di dolore e di amore di Gesù e quella di sua Madre, Maria» (ibid.) è possibile ancora oggi in ogni condizione di vita, ed è il solo modo per ritrovare «la nostra speranza, il senso del nostro esistere» (ibid.).

Con un riferimento di attualità, Benedetto XVI così ha concluso: «La spazzatura non c’è solo in diverse strade del mondo. C’è spazzatura anche nelle nostre coscienze e nelle nostre anime. È solo la luce del Signore, la sua forza e il suo amore che ci pulisce, ci purifica e ci dà la retta via. Quindi seguiamo santa Margherita in questo sguardo verso Gesù. Leggiamo nel libro della sua vita, lasciamoci illuminare e pulire, per imparare la vera vita» (ibid.).

Riferimenti
Benedetto XVI. 2010. Udienza generale – Margherita d’Oingt, del 3-11-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/34osyaf.


03/11/2010 – IRAQ - Al Qaeda minaccia: i cristiani sono bersaglio legittimo
I terroristi autori della strage nella chiesa di Bagdad pubblicano sul web un messaggio di minaccia per tutti i cristiani e fanno riferimento esplicito al Vaticano.

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - "E' ormai scaduto l'ultimatum lanciato due giorni fa alla chiesa d'Egitto per la liberazione delle due donne musulmane che tengono prigioniere. Non abbiamo avuto alcuna risposta ed ora siete tutti coinvolti nella guerra all'Islam, per cui state attenti alle anime dei vostri seguaci". Il cosiddetto 'ministero della guerra' dello 'Stato islamico iracheno' (ISI) sigla dietro la quale si nasconde la cellula di al-Qaeda in Iraq ha diffuso sul web un comunicato per annunciare che è scaduto “l’ultimatum” rivolto alla Chiesa copta egiziana di lasciare libere due donne egiziane, Camilia Chehata e Wafa Constantine, mogli di sacerdoti copti, secondo i terroristi trattenute in un convento contro la loro volontà dopo essersi convertite all'Islam. 

La notizia della conversione è stata smentita da tutte le autorità religiose islamiche egiziane, e i “Fratelli musulmani” hanno attaccato duramente gli autori della strage di Bagdad. Al-Qaeda conferma però che tutti i cristiani e le loro chiese sono divenuti "obiettivi legittimi" del gruppo terroristico e sono quindi in pericolo.Il messaggio diffuso oggi dalla cellula irachena di al-Qaeda fa riferimento esplicito anche al Vaticano. 

Pur confermando la volontà di attaccare i cristiani, i terroristi sostengono di voler dare ancora una possibilità ai cattolici della Chiesa di Roma. Affermano che "il ministero della Guerra dello Stato islamico iracheno annuncia che a partire da oggi tutte le chiese e le organizzazioni cristiane ed i loro capi sono un obiettivo legittimo dei mujahidin”. Ma aggiungono: “Questi politeisti ed i loro capi nel Vaticano devono sapere che la spada non cadrà sulla testa dei loro seguaci se annunceranno la loro innocenza e prenderanno le distanze da quanto è stato fatto dalla chiesa egiziana". Al-Qaeda, chiede inoltre ai cattolici di "mostrare chiaramente ai mujahidin di sforzarsi per fare pressioni sulla chiesa egiziana in modo da ottenere la liberazione delle due donne loro prigioniere".


Un nuovo Obama? Lorenzo Albacete - giovedì 4 novembre 2010 – il sussidiario.net

Una premessa doverosa: quelli che seguono sono dei primi commenti basati sui dati grezzi al momento disponibili sulle elezioni di mezza legislatura negli Stati Uniti. Guru e studiosi cominceranno le loro approfondite analisi sulla base di dati più definitivi.

Ora come ora, i risultati delle elezioni possono essere sintetizzati con: sono risorti come avevano detto! Il Partito repubblicano è risorto… come aveva detto. Nel momento in cui sto scrivendo, i Repubblicani hanno raggiunto un ampio controllo della Camera dei Rappresentanti e sono solo a pochi voti dal controllo anche del Senato.

È importante non sottovalutare i cambiamenti che questa vittoria comporta nella distribuzione del potere politico a livello sia nazionale che dei singoli stati. Il prossimo candidato repubblicano alla vicepresidenza sarà probabilmente uno, o una, di questi neoeletti.

Comunque, i primi risultati sembrano confermare che la grande preoccupazione degli elettori è la situazione economica, in particolare il problema della disoccupazione. La crisi economica è stato uno dei principali fattori dell’elezione di Barack Obama; è quindi comprensibile che i risultati delle elezioni di mezza legislatura indichino la delusione per ciò che il presidente è stato capace di fare, dando così anche un avvertimento per le prossime elezioni presidenziali del 2012. Si sta discutendo se gli elettori fossero arrabbiati o solo delusi, ma il loro atteggiamento potrebbe forse essere definito di “arrabbiata delusione”.

La maggioranza degli elettori pare avere invece ignorato altri aspetti, quali le accuse a Obama di non essere realmente un americano, di essere un socialista camuffato, o persino un agente filo islamico, tutti argomenti sollevati in alcune fasi della campagna elettorale ed esaltati dalla “responsabile” attenzione a loro dedicata dai media.

D’altro canto, anche l’elezione di George W. Bush non sembra essere stata a suo tempo influenzata più che tanto da simili temi sensazionali, come quando Bush fu accusato, da una parte insensata della sinistra, di essere parte insieme a militari, neocon e grandi società di una cospirazione responsabile dell’attacco terrorista dell’11 settembre del 2001.

A livello nazionale il rifiuto verso personaggi in carica, sia Democratici che Repubblicani, sembra essere più un avvertimento che l’espressione di una posizione filosofica (in alcuni casi addirittura teologica) sul ruolo del governo. Lo scetticismo verso il “big government” è sempre stata una costante nella politica americana, anche quando i suoi sostenitori sono stati eletti per affrontare urgenti situazioni economiche. Gli americani hanno sempre avuto un forte senso del valore della sussidiarietà.
Cosa si può dire circa temi sociali come l’aborto o il matrimonio omosessuale? Per il momento non sembrerebbero rappresentare un nuovo elemento nei risultati delle elezioni, anche se gli elettori pro-life e per la famiglia hanno votato per i Repubblicani. Quando saranno disponibili i risultati definitivi, sarà interessante capire quanti giovani cattolici hanno votato per il Partito Repubblicano solo per questa ragione, e che valenza questi voti hanno avuto nella vittoria elettorale. I cattolici pro-choice e pro-gay dovranno tener presente la caduta di Nancy Pelosi, così come Andrew Cuomo, il nuovo governatore dello stato di New York, dovrebbe procurarsi un consigliere teologico diverso da quello di suo padre Mario, già governatore dello stato.

Un altro risultato interessante da analizzare adeguatamente sarà il voto ispanico, o “latino”, perché sembra che i Repubblicani abbiano recuperato parte dei voti che andarono a suo tempo a Obama, malgrado il tono anti-ispanico di qualche influente esponente del partito a proposito di riforma della legge sull’immigrazione. Il Partito Repubblicano ha mostrato un’inaspettata apertura alla diversità, mai apparsa precedentemente, come mostrano l’elezione di un senatore ispanico in Florida, la vittoria di un “latino” come prossimo governatore del New Mexico e l’elezione a governatore della South Carolina di una americana di origine indiana.

E il Tea Party? Beh, si è dimostrato molto più rilevante di quanto pensassero i Democratici progressisti, ma il suo futuro dipende da come userà il potere acquisito. I veri protagonisti del cambiamento derivante da queste elezioni saranno i giovani Repubblicani, profondamente conservatori ma realisti, che le hanno vinte e, paradossalmente, gli sperimentati Repubblicani moderati che sono riusciti a sopravvivere. Una decisione che dovranno prendere al più presto è come gestire la impressionante capacità di influenza dimostrata da Sarah Palin.

La situazione sembra essere come la descrive David Brooks sul New York Times: un secondo matrimonio per politici seri, cioè meno estasi e più realismo.


Avvenire.it, 4 novembre 2010 - La verità, la vita, la missione di chi crede in Gesù Cristo - Siamo l’anima del mondo di Alessandro D’Avenia

Domenica scorsa, durante la Messa, mia sorella mi ha fatto notare, incredula, una signora intenta nella lettura di una rivista dal titolo reso più ironico, se non grottesco, dalla situazione: "Vero. Salute". Una rivista promette più verità e salvezza (ridotta a salute, e il bene ridotto a benessere) di quanta ne dispensi il mistero domenicale. Dentro di me ho sentito un moto di ribellione. Non verso la signora, ma verso Dio: «Dici di essere la verità, ma poi questa verità non ci conquista». Non è questione di vita o di morte. Non ci prende, non ci sorprende. Preferiamo altre verità più a buon mercato, altre salvezze, più sicure. La verità e la vita si cercano, ma non si trovano. La verità deve tornare a sedurre la vita e farle riscoprire che sono fatte della stessa pasta. La verità deve tornare a incarnarsi, perché la vita ne rimanga sedotta e conquistata. E quindi salvata.

Domenica in una chiesa di Baghdad, durante la Messa, alcuni terroristi si sono fatti esplodere, uccidendo più di 50 persone. Per quei cristiani quella Messa è stata questione di vita o di morte. Tornano alla memoria quei 50 martiri di Abitene, in Africa, che furono giustiziati durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, perché sorpresi a celebrare la Messa che era stata loro vietata. Il padrone della casa che li ospitava per la celebrazione, al proconsole perplesso di fronte a tanta cocciutaggine, rispose: «Sine Dominico, non possumus». Senza il giorno del Signore, non possiamo. Non possiamo vivere. Non possiamo essere. Non possiamo.

«Non c’è vita senza conoscenza, né conoscenza autentica senza la vera vita: per questo i due alberi sono stati piantati l’uno accanto all’altro», spiegava agli inizi del cristianesimo un anonimo nella sua nota lettera al curioso Diogneto, pagano, sedotto dalla verità. Quale verità? La vita dei cristiani: lo incantava e ne chiedeva conto e ragione a un amico, capace di pennellare l’identità cristiana con semplicità e chiarezza rimaste insuperate. Egli spiega che Dio manda suo figlio «come Dio, quale era, e come uomo, come conveniva diventasse per salvare gli uomini, mediante la persuasione e non con la violenza». Se la verità non persuade più la vita è perché non è più vita: si è disincarnata, non ha più la carne e le ossa dei cristiani. La vita non vuole essere istruita, vuole essere ascoltata, sedotta, amata. Dio non è un catechismo, ma vita.

Spesso ci accontentiamo di una vita impoverita, sdrucita, noiosa. L’anonimo ha l’ardire di dire a Diogneto che i cristiani sono nel mondo «ciò che è l’anima nel corpo». I cristiani sono la vita del mondo, come lo spirito tiene in vita e anima il corpo. Tutti conosciamo quella sensazione di smarrimento di fronte al corpo di un caro defunto: sembra irriconoscibile, benché ogni tratto del viso ci sia assai familiare. Quando non c’è più vita, persino il corpo perde identità. Il mondo senza i cristiani è un guscio inespressivo, un corpo senza vita.

I cristiani sono l’anima del mondo. Dovremmo ripetercelo più spesso e chiederci se dove ci muoviamo, lavoriamo, riposiamo, siamo capaci di dare vita (cioè tempo e attenzione) a ciò e a chi ci sta attorno. Il cristiano è come re Mida, trasforma tutto ciò che tocca. Non in oro, ma in vita. Ma può farlo solo se ha dentro di sé l’esuberanza della vita. I cristiani possono tornare a sedurre la vita e restituirle la verità di cui ha sete, di cui ha disperato bisogno in tempi di povertà spirituali, oltre che materiali, di dipendenze asfissianti, di là da apparenti libertà assolute.

Nietzsche ripeteva che avrebbe creduto il giorno in cui avesse visto sul volto dei cristiani l’espressione di uno che è salvo. Kafka, quasi conoscesse la parole della Lettera a Diogneto, scriveva nei suoi Diari che siamo due volte separati dalla salvezza: per avere mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male e per non aver mangiato da quello della vita. Dobbiamo smettere di accontentarci di verità da edicola e tornare a mangiare dall’albero della vita, rinato al centro del mondo, all’inizio della settimana. Altrimenti moriremo ogni giorno, portando nella fossa con noi il mondo, che langue, privo d’anima.

È ora che la verità torni a sedurci. È ora di lasciarsi vincere dalla vera tentazione: mangiare dall’albero della vita. Senza non possiamo. Senza non siamo.


Avvenire.it, 4 novembre 2010 – INTERVISTA - Padre Busa: «Ecco il mio san Tommaso digitale» di Francesco Ognibene

Per azzeccare il cuore della sua lunga vita, di lui si può essenzialmente dire che è «padre»: della linguistica informatica, degli ipertesti, dell’intelligenza artificiale, del computer applicato alla scrittura e non più solo ai numeri, dei cd-rom... Ma l’appellativo di «padre», se lo si chiede direttamente a lui, Roberto Busa, vale solo in un senso: quello dell’appartenenza alla «Societas Jesu» di sant’Ignazio di Loyola.

Se c’è una cosa dalla quale non si è mai separato è la sigla «SJ» dei gesuiti in coda alla sua firma, insieme alla lunga talare nera che ha sempre vestito anche nei consessi scientifici mondiali dove da sessant’anni è rispettato e onorato ospite, un nome conosciuto in ambienti impensabili, spesso lontanissimi dalla Chiesa: «Mi guardano come un cammello nella Borsa valori...», chiosa lui ricorrendo all’altro compagno inseparabile di una vita, l’umorismo lieve e preciso, inconfondibile contrappunto del suo affascinante eloquio.

A una bacheca – virtuale, per carità: si è sempre privato in tutta fretta di omaggi e trofei – già traboccante di riconoscimenti, questa mattina padre Busa ne aggiunge un altro, forse quello moralmente più prestigioso. L’Ibm che ne ha affiancato per un trentennio l’immane opera da pioniere nell’esplorazione delle potenzialità umanistiche del computer prenderà in consegna Index Thomisticus, l’opera che ha fatto di padre Busa una celebrità nel mondo dell’informatica, ben più noto oltre frontiera (segnatamente negli Stati Uniti) che in Italia.

Per la consegna formale dell’Index è stata allestita una vera cerimonia solenne nella cornice dell’Aloisianum, il grande centro studi dei gesuiti a Gallarate già prestigioso campus filosofico e oggi abitato da padri che hanno bisogno di qualche attenzione in più per via dell’età o dei malanni (qui risiede anche il cardinale Martini, dopo il rientro da Gerusalemme). Alla soglia dei 97 anni, che compirà a fine mese, padre Busa – anch’egli inquilino dell’Aloisianum – non concede spazio all’emozione, ma ha un sorriso da qui a lì.

Che l’Ibm, partner tecnologico e professionale di una vita di studi, abbia pensato a lui anche ben oltre il termine dell’avventuroso "cantiere" dell’Index Thomisticus lo riempie certamente di sano orgoglio. E non può essere altrimenti: per stivare l’analisi automatizzata dei nove milioni di parole dell’opera omnia del «Dottore angelico» sono occorsi cinquantasei volumi, che ora l’Ibm ha deciso di portarsi nel suo quartier generale italiano di Segrate come un monumento alla genialità di quel gesuita vicentino di lungo corso e, insieme, alla lungimiranza di sir Thomas Watson, il fondatore del colosso informatico americano.

La storia del singolarissimo sodalizio tra due uomini remoti per formazione e prospettive di vita ma provvidenzialmente alleati per un lunghissimo e fecondo tempo di lavoro comune è una pagina importante di storia della tecnologia nel XX secolo. È di sessantun anni fa, infatti, l’ormai celebre episodio del trentaseienne gesuita italiano alto e allampanato che riesce a ottenere un appuntamento col magnate il cui solo nome fa tremare Wall Street, con un’idea un po’ folle che gli frulla in testa: piantarla con le schede compilate manualmente, e provare a far lavorare un computer che lo aiuti nel suo censimento del pensiero di san Tommaso attraverso l’analisi minuziosa del particolarissimo lessico tomistico. Watson lo sta per mettere alla porta come uno dei tanti visionari che gli tocca di incontrare in quell’epoca in cui i computer erano niente più che immense macchine da calcolo.

Padre Busa però lo sfida: ma come – gli dice, mettendogli sotto il naso uno di quei cartelli motivazionali tanto cari alle multinazionali Usa –, qui non riuscite a "fare l’impossibile"? Il burbero imprenditore, evidentemente spiazzato, si arrende: e dà vita con quello sfrontato d’un italiano in talare a un’impresa che resterà memorabile, un passo nella storia dell’informatica simile a quello di Neil Armstrong sulla Luna. Il computer esce dalla schiavitù dei numeri e comincia a giocare con le parole, un fatto sin lì assolutamente impensabile. Un colpo di fulmine, a dire il vero, che lo conduce sino a planare nella nostra vita quotidiana soppiantando ogni altro strumento di lettura e scrittura. Oggi, onorando padre Busa, l’Ibm rende merito al coraggio sul quale poggia l’intera cultura digitale che ci avvolge.

Un coraggio che, senza la sorridente tenacia di questo grande gesuita con lo sguardo piantato su Nostro Signore, avrebbe forse preso altre strade tecnocratiche, ignorando il bivio dell’umanesimo. Lui, come al solito, pensa ad altro: ai lavori in corso, ai progetti, ai sogni che continuano a popolare le sue giornate scandite dalla Messa, dalla preghiera e dal lavoro. Ragiona sul futuro – a modo suo – seduto nella cucina dell’Aloisianum, davanti a un cuoco che pela patate. E gli scappa da ridere: ma quale gloria, dice con un sorriso, è incantevole vedere la cura che ci vuole a preparare una cena... La memoria non è più quella degli anni nei quali rimbalzava da Pisa, Venezia e Gallarate – i suoi storici campi-base italiani – al megacentro di ricerca Ibm di Boulder, in Colorado, dove insieme all’Index di san Tommaso crescevano le tecnologie che avrebbero portato i computer dalle dimensioni di un palazzo a quelle del personal computer (brevetto Ibm) e, oggi, delle "pennette" che usiamo come memorie portatili.

Ma padre Busa non smette di predisporre nei dettagli quel che dovranno fare i ricercatori che all’Università Cattolica di Milano ne hanno raccolto il testimone, coordinati da Marco Passarotti e Savina Raynaud: dal Lessico tomistico biculturale (un’opera che da sola potrebbe assorbire un’altra vita intera) al progetto delle «lingue disciplinate», l’idea di riuscire a ricondurre i principali idiomi a un minimo comune denominatore in modo da ridimensionare la babele comunicativa del mondo globalizzato. Lui immagina e ordina tutto secondo una logica ferrea, ma lo si sa già proiettato oltre, contemplando quell’eternità che ha sempre frequentato in compagnia di Tommaso d’Aquino. Senza fretta, però, padre.


Avvenire.it, 4 novembre 2010 LA CHIESA CHE SOFFRE «Cristiani bersagli legittimi» Al-Qaeda minaccia ancora di Luca Geronico

«Bersagli legittimi», da colpire in ogni momento: questa la sorte dei cristiani in Iraq. La minaccia – gelida e sintetica – ieri correva con un nuovo messaggio sulla Rete: «Tutti i centri, organizzazioni, istituzioni, dirigenti e fedeli cristiani sono bersagli legittimi per i mujaheddin, ovunque possano colpirli», precisava il comunicato del “ministero della Guerra” dello Stato islamico iracheno.

Domenica sera, subito dopo la strage alla cattedrale di Nostra Signora del perpetuo soccorso, la rivendicazione del gruppo affiliato ad al-Qaeda: un attacco deciso per aiutare le «povere sorelle musulmane prigioniere dell’Egitto», scriveva il comunicato dello Stato islamico iracheno. Si concedevano 48 ore per liberare due donne «imprigionate nei monasteri dell’infedeltà nelle chiese dell’idolatria in Egitto». Si tratterebbe di Camilia Chehata e Wafa Constantine, mogli di sacerdoti copti, trattenute – secondo i terroristi – in un convento dopo essersi convertite all’islam. Fatti smentiti dalla gerarchia copta.

Un confuso movente per la strage di Ognissanti, che ieri ha aggravato ulteriormente il bilancio di morte: 58 le vittime in totale fra cui un terzo sacerdote, padre Qatin è morto per le ferite riportate nell’assalto. Gli inquirenti, rivela il Washington Post, hanno ritrovato fra le rovine della cattedrale tre passaporti yemeniti e due egiziani che dimostrerebbero la matrice straniera del commando dei terroristi.

Particolari che non cambiano la dura realtà dei cristiani d’Iraq: bersagli, e ormai da più di sette anni, con la sola prospettiva della fuga. Condizioni, constatava ieri amaramente l’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, Shaba Matoka, «che ci spingono a emigrare e che porteranno il nostro popolo a lasciare il Paese». Per questo l’arcivescovo – che martedì ha ricevuto una lettera di condoglianze da parte del Papa – ha chiesto a Benedetto XVI di lanciare «un appello alla comunità internazionale e agli Stati Uniti in modo particolare perché risolvano questo problema». Un intervento internazionale o la fine della comunità perché «non chiederemo più ai nostri di resistere e rimanere, se devono vivere in queste condizioni».

Una parere condiviso da monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti: la Santa Sede «si è impegnata e non cesserà di impegnarsi affinché i cristiani restino sulle loro terre», ma «il movimento emigratorio appare irreversibile». Disoccupazione, invecchiamento della popolazione nei Paesi di partenza, l’ingresso irregolare, il traffico di persone, la disgregazione delle famiglie, oltre alle violenze i maggiori problemi sociali che affliggono la minoranza. Anche se «l’attività caritativa delle comunità cristiane è una risposta immediata a tali sfide», secondo il presidente del dicastero vaticano, «è decisivo un impegno politico mondiale che affronti le cause ultime della migrazione, soprattutto povertà, violenza, persecuzione, ingiustizia, sottosviluppo e disoccupazione».

Disperazione in Iraq, allarme rosso in Egitto. Le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza in tutto il Paese, incluse Beheira e Minya, le due città di provenienza delle due donne copte, al centro delle minacce del gruppo iracheno di al-Qaeda. In serata, al Cairo, il capo della Chiesa copto-ortodossa, Shenuda III, è stato accolto con un applauso da migliaia di fedeli per la Messa settimanale: i controlli imponenti adottati non hanno frenato la partecipazione.

Intervistato poco prima dell’inizio della cerimonia, papa Shenuda ha affermato che quanto avvenuto in Iraq è «penoso e motivo di grande sofferenza». Quanto alle minacce contro la Chiesa in Egitto, Shenuda III si è limitato a dire: «Preghiamo Dio che tutto si calmi». In mattinata, anche i gruppi islamici egiziani più rappresentativi, come la Jamàa Islamiya e i Fratelli Musulmani, hanno preso le distanze dalle minacce lanciate da al-Qaeda: Secondo Najih Ibrahim, portavoce della Jamàa Islamiya, «gli attacchi alle chiese, l’uccisione di civili o il loro sequestro è vietato dalla sharia islamica». Per questo, ha aggiunto, «al-Qaeda non rappresenta l’Islam e mette in cattiva luce la religione».