Nella rassegna stampa di oggi:
1) Benedetto XVI in Spagna - Alle radici della fede dell'Europa di Mario Ponzi (©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2010)
2) Santiago de Compostela di Julián Barrio Barrio - Arcivescovo di Santiago de Compostela (©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2010)
3) 05/11/2010 (AsiaNews/Agenzie) – CINA - Arresti domiciliari illegali per l’attivista cieco Chen - Rilasciato a settembre dopo una lunga prigionia per avere denunciato aborti forzosi, è confinato in casa con la moglie, sorvegliato da decine di poliziotti. Nemmeno i parenti possono vederli e temono per la loro salute. Human Rights in China: la comunità internazionale faccia pressione per la sua liberazione.
4) 05/11/2010 – (AsiaNews) - IRAN - Nelle scuole iraniane si incoraggerà la “cultura del martirio” - La decisione è stata annunciata dal capo del gruppo paramilitare dei Basij ed è stata presa in concerto col Ministero dell’educazione. Che da parte sua annuncia diecimila scuole coraniche. I Basij vogliono anche un maggiore coinvolgimento nell’editoria scolastica.
5) 05/11/2010 – (AsiaNews/Agenzie) - KUWAIT - Fondamentalisti islamici impediscono la costruzione di una chiesa in Kuwait
6) La mezzaluna subentra al Sacro Cuore - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 16 ottobre 2010
7) Il male della coppia: l’illusione che esista un “partner migliore” (Dal volume dello stesso Autore Conservazione dell’amore coniugale, Campanotto Editore 2008) di Veniero Scarselli dal sito http://www.pontifex.roma.it
8) Azerbaigian: cristiani battisti in prigione per essersi riuniti a pregare - Vatican Radio 5 novembre 2010
9) Radio Vaticana - 05/11/2010 - Nigeria. Mons. Kaigama: a Jos solo il perdono è più forte della violenza
10) L’INIZIAZIONE ESOTERICA di P.Giovanni Cavalcoli,OP dal sito http://riscossacristianaaggiornamentinews.blogspot.com
11) Far vivere la memoria Per costruire il futuro dell'Unione europea di Thomas Jansen – Germania dal sito http://www.agensir.it – 5 novembre 2010
12) Prima messa nella Sagrada Família: il papa beatifica Gaudí - Benedetto XVI si reca a Barcellona per consacrare la basilica capolavoro. E la propone a modello per i moderni costruttori di chiese. Una guida alla visita dello stupefacente edificio di Sandro Magister
13) La missione della Chiesa cattolica di Claudio Dalla Costa del 06/11/2010, in Cultura e religione, dal sito http://www.libertaepersona.org
14) Avvenire.it, 6 novembre 2010 - C’è un’altra Italia/1 - Quel laido epitaffio e il desiderio di bene di Marina Corradi
Benedetto XVI in Spagna - Alle radici della fede dell'Europa di Mario Ponzi (©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2010)
Più di sette ore a Santiago de Compostela, meno di ventitré a Barcellona. Ma, stando almeno alle previsioni dell'ultima ora, per il Papa che torna in Spagna per la seconda volta dall'inizio del pontificato, si tratterà di un viaggio da grandi numeri. A Santiago non azzardano cifre ma sono pronti a gestire qualsiasi affluenza. Hanno già fatto le prove generali durante il recente pellegrinaggio dei giovani (Pej) svoltosi in agosto. A Barcellona si preparano oltre 1.500 concelebranti; attorno alla Sagrada Familia - l'impressionante "tempio espiatorio" opera di Antoni Gaudí che il Pontefice consacrerà - sono già state sistemate più di 40.000 sedie; all'interno entreranno in 7.000. Le reti televisive metteranno in collegamento 150 milioni di persone. È stato anche attivato un sito internet attraverso il quale sarà possibile seguire in tempo reale ogni fase della visita; Facebook e Twitter sono già intasati da informazioni, documentazioni, profili del Papa. Sono 1.200 i giornalisti accreditati presso il centro stampa di Santiago; ben 1.500 a Barcellona.
Per restare ai numeri, va ricordato che quello che inizia sabato 6 novembre, per concludersi domenica 7, è il diciottesimo viaggio apostolico di Benedetto XVI fuori dai confini italiani, l'undicesimo in un Paese europeo, il secondo in Spagna dopo quello compiuto il 6 e il 7 luglio 2006 a Valencia, e l'ultimo per quest'anno. Sino a oggi nei viaggi apostolici oltre i confini italiani Benedetto XVI ha percorso in aereo 112.021 chilometri.
L'attesa dell'arrivo del Papa è palpabile, tanto a Santiago de Compostela - dove per il giorno di vigilia è stato chiesto dall'arcivescovo il digiuno - quanto a Barcellona, dove l'ultima veglia di preghiera nella Sagrada Familia si concluderà domenica mattina con l'inizio della celebrazione presieduta dal Pontefice. I media spagnoli già da giorni si occupano del viaggio. Molti hanno dato utili informazioni logistiche, altri hanno dedicato spazio alle numerose conferenze stampa organizzate in questi mesi sia a Santiago de Compostela che a Barcellona e a Madrid; altri ancora hanno ospitato interviste, articoli di commento, profili di Benedetto XVI, articoli storico-artistici sul tempio della Sagrada Familia; altri poi hanno ospitato le immancabili, per altro non numerose voci critiche, e anche quelle di quanti pretendono di dare interpretazioni di parte, non tanto alla visita in sé quanto piuttosto a quello che farà il Papa, a quello che dirà, come si esprimerà.
Il profilo a cui guarda Benedetto XVI è ben più alto. Vola verso Santiago de Compostela per rendere omaggio all'apostolo dell'Europa cristiana. Sulla sua tomba - che si ritiene scoperta dall'eremita Pelayo intorno all'800 nel luogo chiamato Campus Stellae - pregherà testimoniando Cristo a un'Europa chiamata a riscoprire la sua eredità per essere un continente di accoglienza, solidarietà, pace. La stessa preghiera che, all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, recitarono insieme migliaia di giovani di tutta Europa, che vollero incontrarsi in questo luogo per sognare un futuro di pace, uniti dalla stessa fede. Quella fede che il Pontefice va a rinverdire nel cuore della Galizia, nell'anno giubilare dell'apostolo Giacomo, al quale sarà dedicata la celebrazione della messa di sabato sera in piazza dell'Obradoiro.
E poi a Barcellona. Là il Papa porterà il seme della comunione e consacrerà la Sagrada Familia come simbolo di una fede universale, di una religiosità radicata nell'anima del popolo catalano. Infine, come avviene in qualsiasi Paese che visita, Benedetto XVI sarà sensibile davanti alla sofferenza, fermandosi in un istituto che accoglie bambini con diversi problemi di personalità e comportamentali. Contenuta la parte più propriamente riservata alle autorità civili. Il primo incontro con i reali sarà del tutto informale, mentre quello con il primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero avverrà in forma privata domenica pomeriggio, prima della partenza da Barcellona.
(©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2010)
Santiago de Compostela di Julián Barrio Barrio - Arcivescovo di Santiago de Compostela (©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2010)
La Chiesa in Spagna, e in particolare a Santiago de Compostela, rende grazie a Dio ed esprime la sua immensa gioia e il suo entusiasmo per la presenza fra noi di Papa Benedetto XVI, che ha voluto visitare la città dell'apostolo in questo Anno santo compostelano 2010. La famiglia cristiana e molte persone di buona volontà, adulti, giovani e bambini, lo accoglieranno con cuore totalmente aperto. La comunione visibile con il successore di Pietro, fisicamente presente in mezzo a noi, ci offrirà ancora una volta la possibilità di esprimere spontaneamente l'amore per la sua persona, il suo magistero e il suo servizio universale e di fedeltà alla Chiesa. Nella ricca lingua castigliana non c'è parola migliore, per ricambiare questo dono di Dio, di "grazie".
Questa visita apostolica è un evento di grazia per la nostra Chiesa particolare di Santiago de Compostela e per tutta la Chiesa in Spagna. Il Papa viene principalmente come "pellegrino della fede" e così potrà incontrare l'espressione viva del popolo cristiano. Quando il Papa si fa pellegrino, nella sua qualità di Pastore universale della Chiesa, di fatto è la Chiesa intera a farsi pellegrina insieme a lui. Per questo motivo il suo pellegrinaggio assume un grande significato pastorale, dottrinale e spirituale. Benedetto XVI viene per la prima volta nella città dell'Apostolo Giacomo il Maggiore. Questa non è più il finis terrae, come era chiamata nell'antichità. Oggi è il punto d'arrivo d'infiniti cammini attraverso i quali giungono ad essa pellegrini da tutti gli angoli dell'universo.
La diocesi compostelana è l'unica, fra quelle spagnole, a essere fondata sulla memoria e sulla presenza di uno degli apostoli: Giacomo il maggiore, "patrono delle Spagne", cardine dell'articolazione cristiana della Spagna, unita strettamente attorno a questo apostolo nel corso della storia. È così che Santiago de Compostela rifulge a capo della Spagna cristiana e anche dei vasti mondi nei quali la presenza evangelizzatrice degli spagnoli è stata una realtà.
Il flusso costante di pellegrini, che non è solo dei nostri giorni, grazie ai nuovi fattori che trasmettono dinamismo alla vita e alle comunicazioni umane, sta registrando un aumento significativo. Oggi i punti di partenza del cammino di Santiago si trovano in tutti gli angoli dell'Europa e del mondo. Dante Alighieri ha scritto che il pellegrinaggio a Santiago è il più bel pellegrinaggio che un cristiano possa fare prima della sua morte. Santiago de Compostela, in momenti difficili per i pellegrinaggi nei luoghi santi, iniziò a essere conosciuta come "la Gerusalemme d'Occidente", entrando così a far parte della triade sacra e storica composta proprio da Gerusalemme, Roma e Compostela. Un'asse spirituale che ora il successore di Pietro rafforza, confermando la dimensione di universalità accanto a quelle di ispanità e di europeità che il cammino di Santiago possiede.
Parlare dell'apostolo Giacomo il maggiore significa parlare della fede degli spagnoli e, logicamente, della fede dei membri di questa Chiesa particolare compostelana. La figura storica e devozionale dell'apostolo fa sempre riferimento a questa fede. Termini o nomi come "promotore", "colonna", "difensore" e "condottiero" della nostra fede, appaiono nei testi liturgici, letterari o popolari che hanno generato, in tanti secoli, la tradizione giacobea. Si potrebbe dire che se vogliamo che "l'oggi dei cristiani spagnoli" si avvicini o si accordi meglio "all'oggi di Dio", abbiamo bisogno dell'ardore e del coraggio di una nuova evangelizzazione che ravvivi, stimoli e riaccenda la nostra fede, scuotendoci con forza dal nostro torpore.
C'è una percezione ampiamente condivisa del momento di crisi della fede cristiana ai giorni nostri. Lo si percepisce nel magistero personale o collettivo dell'episcopato spagnolo e nel magistero ordinario di Papa Benedetto XVI. È una realtà che traspare nel deficit morale della nostra cultura, riducendo la realtà a pura artificialità nelle cosmovisioni moderne. Negli studi su "l'oggi degli spagnoli", si segnala come il progressivo allontanamento da Dio generi la proliferazione degli idoli, propri di una società che sta perdendo i suoi punti di riferimento teologici. In ogni caso, la debolezza indotta nel cattolicesimo spagnolo lede seriamente le radici cristiane della Spagna, uno dei cui prototipi è la tradizione giacobea, che è un canto all'evangelizzazione. L'apostolicità che Compostela emana si deve al soffio evangelizzatore dell'apostolo Giacomo, testimone e martire precoce del Vangelo di Gesù Cristo.
D'altro canto, Papa Benedetto XVI viene a Santiago perché conosce molto bene la situazione storica e quella attuale dell'Europa e sa cosa hanno significato il cammino di Santiago, il pellegrinaggio giacobeo e la tomba dell'apostolo nella costruzione della civiltà europea. Come scrisse giustamente Goethe: "L'Europa si fece pellegrinando a Compostela". Il cammino di Santiago è stato crogiolo di culture, centro di trasmissione e di scambio d'idee e di correnti artistiche, punto d'incontro in pace e armonia di lingue e popoli. In definitiva, "un asse portante della prima coscienza comune d'Europa" e un fattore di unità nella diversità. Preoccupato per la situazione in Europa, il Papa va incontro all'apostolo Giacomo per chiedergli che questo continente riscopra che solo attraverso questo cammino di conversione percorso dai pellegrini si possono recuperare le radici cristiane. Papa Benedetto XVI vuole rendere reale ed efficace il desiderio di una nuova evangelizzazione. La storia e il carisma della città dell'apostolo fanno di essa una singolare e affermata piattaforma per rafforzarci in quella evangelizzazione che la fede cristiana attende ed esige. Proprio qui si manifestano e si sommano le categorie di apostolicità e di universalità per fare appello a quella nuova evangelizzazione che potrebbe avvicinare in modo considerevole "l'oggi contemporaneo" all'"oggi eterno di Dio".
La presenza del Papa a Santiago fa di lui un pellegrino fra gli altri pellegrini, come testimone qualificato di Cristo risorto, rivelando la sua preoccupazione di unire cammini alla ricerca di quel cammino che è Via, Verità e Vita, in un tempo di crisi, di perplessità, e per alcune persone persino di un certo timore di fronte al futuro.
Desideriamo camminare con il Papa e sappiamo che lui vuole camminare con noi, soprattutto nel campo della missione della Chiesa, che deve essere svolta con autenticità, con verità, con responsabilità. Le sue parole ci serviranno per vivere il momento attuale della Chiesa in Spagna e in Europa con una prospettiva di futuro pieno di vera speranza. Il rinnovato sforzo evangelizzatore dei cristiani, sostenuto dalla grazia di Dio, porterà veramente una nuova primavera con grandi frutti non solo per la Chiesa, ma anche per tutta l'umanità del XXI secolo.
(©L'Osservatore Romano - 6 novembre 2010)
05/11/2010 (AsiaNews/Agenzie) – CINA - Arresti domiciliari illegali per l’attivista cieco Chen - Rilasciato a settembre dopo una lunga prigionia per avere denunciato aborti forzosi, è confinato in casa con la moglie, sorvegliato da decine di poliziotti. Nemmeno i parenti possono vederli e temono per la loro salute. Human Rights in China: la comunità internazionale faccia pressione per la sua liberazione.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Rilasciato il 9 settembre dopo anni di carcere, l’attivista cieco Chen Guangcheng è stato sottoposto agli arresti, senza condanna e senza accusa, nella sua abitazione nel villaggio di Dongshigu (Shandong). Lo denuncia il gruppo Human Rights in China (Hric), che sollecita la comunità internazionale a fare pressioni su Pechino per “questa illegale detenzione di fatto”.
Da settembre Chen e sua moglie Yuan Weijing non hanno potuto lasciare casa e dall’inizio di ottobre nessuno, nemmeno la madre di Chen, ha potuto visitarli. Hric denuncia che l’intero villaggio “è sottoposto a misure simili alla legge marziale”. “Nessuno nemmeno conosce la situazione di Chen e della moglie – aggiunge – e molti sono davvero preoccupati per la loro salute e sicurezza”.
L’attivista Yang Lin spiega che ha cercato di visitarli il 30 ottobre, ma ha trovato controlli di polizia all’ingresso del villaggio e decine di persone messe a sorvegliare la casa, pure controllata da numerose telecamere.
“La madre di Chen, la cognata e la sorella maggiore – spiega Yang – hanno paura che nemmeno abbiano cibo”. Dicono che fino a settembre hanno potuto portare loro qualcosa, ma da ottobre non è stato più consentito.
Chen ha denunciato aborti forzati e sterilizzazioni compiute dalle autorità locali per la pianificazione familiare, per applicare la politica del figlio-unico che proibisce alle coppie di avere più di un figlio. Per questo è stato messo agli arresti domiciliari, processato e condannato a 4 anni e 3 mesi di carcere per avere “danneggiato proprietà pubbliche e ostruito il traffico”, reati che avrebbe compiuti mentre era agli arresti domiciliari. Ha scontato l’intera condanna, nonostante ripetute richieste di liberazione per ragioni mediche.
Sharon Hom, direttore esecutivo di Hric spiega che è del tutto illegale costringere in casa una persona che ha scontato la pena e che questo dimostra “l’attuale regressione dello Stato di diritto in Cina”.
Il pastore protestante Fan Yafeng spiega che i leader cinesi si sentono sotto pressione, dopo il Nobel per la pace al dissidente incarcerato Liu Xiaobo e le critiche internazionali e reagiscono con una maggior soppressione della libertà personale.
05/11/2010 – (AsiaNews) - IRAN - Nelle scuole iraniane si incoraggerà la “cultura del martirio” - La decisione è stata annunciata dal capo del gruppo paramilitare dei Basij ed è stata presa in concerto col Ministero dell’educazione. Che da parte sua annuncia diecimila scuole coraniche. I Basij vogliono anche un maggiore coinvolgimento nell’editoria scolastica.
Teheran (AsiaNews) – L’incremento tra gli studenti iraniani della “cultura del martirio” è la “delibera” che il generale Mohammad-Reza Naghdi, capo del gruppo paramilitare dei Basij - che opera sotto il comando delle Guardia rivoluzionaria e si è distinto nella violente repressione delle manifestazioni dell’opposizione - ha annunciato di aver preso insieme al Ministero per l’educazione.
Il generale ha aggiunto che vuole raggiungere l’obiettivo accrescendo “i valori della divina difesa della nazione iraniana” nelle scuole e nei libri. La “divina difesa” (defae moghadas), nella terminologia del regime, si riferisce alla guerra con l’Iraq (1980-1988), quando decine di migliaia di giovani e giovanissimi, utilizzati come prima ondata degli attacchi, persero la vita.
La “richiesta” avanzata da Naghdi, a quanto informa Rooz, voce degli esuli iraniani, mira a fronteggiare la guerra "soft" e vuole “espandere la cultura dell’altruismo e del martirio”. E' ciò che egli si aspetta dai programmi formativi e in particolare dalla “organizzazione della ricerca e della pianificazione educativa”
Già in precedenza, il ministro dell’educazione aveva parlato dell’intenzione di aggiungere “altruismo e martirio” come argomento del contenuto dei libri scolastici e aveva menzionato la creazione di “diecimila scuole craniche”, definite “autostrada per il martirio e l’umanità”.
Il generale Naghdi ha anche manifestato l’intenzione dei Basij di avere un “maggior diretto coinvolgimento” nell’editoria scolastica. I cambiamenti ideologici nei libri scolastici sono entrati nel programma del Ministero dell’educazione da quando Ahmadinejad è divenuto presidente, in particolare dall’inizio del suo secondo mandato.
05/11/2010 – (AsiaNews/Agenzie) - KUWAIT - Fondamentalisti islamici impediscono la costruzione di una chiesa in Kuwait
Il governo e l’emiro hanno dato la loro approvazione al progetto, ma il Consiglio comunale di Kuwait City nega il permesso senza dare spiegazioni. Circa 460 mila cristiani si dividono quattro chiese ufficiali: due cattoliche, una evangelica e un’anglicana, e una copta è in via di costruzione.
Kuwait City (AsiaNews/Agenzie) – Un gruppo di cristiani si lamenta perché il Consiglio municipale di Kuwait City impedisce di ottenere del terreno per costruire una chiesa. “Il Consiglio municipale è il problema maggiore che incontriamo per ottenere la terra; ma non l’intero Consiglio, solo i fondamentalisti islamici”, ha detto l’archimandrita Bourto Gharid della chiesa greco-cattolica, leader della chiesa nella zona.
Di recente il Consiglio ha bloccato un tentativo della chiesa di acquistare della terra a Mahboula, un’area della zona sud di Kuwait City. Secondo padre Gharib sia il governo che l’emiro Sabah al-Ahmad al-Sabah hanno dato la loro approvazione al progetto della chiesa. Ma il Consiglio ra respinto la richiesta. “Non ci hanno dato nessuna spiegazione”.
Gharib ha detto che la richiesta è stata presentata vari anni fa, e che la costruzione della chiesa tendeva a eliminare il super affollamento presente in una villa che attualmente è usata per le cerimonie religiose. Padre Gharib ha detto che non è la prima volta, che il Consiglio respinge la richiesta di costruzione di una chiesa.
Andrew Thompson, il cappellano anglicano in Kuwait nota che “i livelli di governo superiori dicono di sì, e quelli più bassi dicono di no”, e ha confermato che il Consiglio è condizionato dai fondamentalisti islamici. La Chiesa ha detto che il governo aveva proposto un’area di 7.500 meri quadrati che includevano terreno sia per le costruzioni che per il parcheggio. Elian Farah, membro del comitato della Chiesa greco-cattolica, ha detto che il governo aveva suggerito ai parrocchiani di usare i parcheggi di due scuole che erano in costruzione nell’area, durante i week end, oltre a quello della futura chiesa.
Padre Gharib ha detto che la sua chiesa paga 6.994 dollari al mese per una villa che è usata da altre due comunità religiose. E ha aggiunto che se non troveranno presto del terreno, la chiesa dovrà chiudere. “Sono tutte scuse e menzogne. Ogni volta promettono, ma non mantengono mai”.
L’unico successo che la comunità cristiana ha avuto in 40 anni fu quando la Chiesa copta si è assicurata del terreno per una nuova chiesa, ma hanno avuto grosse difficoltà per i permessi di costruzione. Ci sono circa 650 famiglie della comunità greco-cattolica in Kuwait, e non sono l’unico gruppo cristiano che si batte per trovare spazio nel Paese. Circa 460 mila cristiani si dividono quattro chiese ufficiali: due cattoliche, una evangelica e un’anglicana, e una copta è in via di costruzione.
La mezzaluna subentra al Sacro Cuore - Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - Fonte: CulturaCattolica.it - sabato 16 ottobre 2010
Le grandi trasformazioni avvengono sempre attraverso piccoli ma significativi segnali.
Uno di questi è rappresentato dalla vicenda della scuola elementare cattolica del Sacro Cuore di Blackburn nel Lancashire inglese.
La Sacred Heart Roman Catholic Primary School Blackburn, questo il nome ufficiale della scuola, vanta origini storiche più che dignitose, risalenti a centodieci anni fa.
La prima pietra fu posata il 5 maggio 1900 da Sua Eccellenza monsignor John Bilsborrow, Vescovo di Salford, ed il 14 gennaio 1901 la scuola fu ufficialmente inaugurata, accogliendo i primi ventotto alunni.
Perché questo centenario istituto scolastico cattolico sia diventato un segno dei tempi è presto detto.
Alla fine di settembre è stato dato l’annuncio che la Sacred Heart Roman Catholic Primary School di Blackbury sarà quasi certamente rilevata dalla locale moschea Masjid-e-Tauheedul, e diventerà una scuola islamica.
La presenza degli alunni cattolici, che dieci anni fa si attestava attorno al novanta per cento, oggi non raggiunge il tre per cento, rappresentando una sparuta minoranza rispetto agli altri studenti di origine asiatica quasi tutti musulmani.
Da qui la decisione delle autorità religiose di lasciare l’istituto.
La diocesi di Salford ha dichiarato, infatti, di non ritenere più appropriato definire come cattolica la scuola, che oggi ha 197 alunni, di cui solo cinque o sei appartenenti alla Chiesa di Roma. Geraldine Bradbury, responsabile diocesana dell’educazione, ha ammesso di «non aver mai assistito ad un cambiamento di tali dimensioni prima d’ora», ed ha comunque difeso la decisione di abbandonare le elementari del Sacro Cuore, ritenendo giusto «dare alle esigenze educative della comunità un’adeguata risposta». Quindi, disco verde alla scuola musulmana. Del resto, il consiglio di amministrazione delle elementari del Sacro Cuore si è già dimesso, adducendo la motivazione che l’orientamento cattolico dell’istituto da tempo non rispecchia più il sentire religioso della comunità locale.
A questo punto la legge impone all’amministrazione comunale di Blackburn l’obbligo di indire una gara pubblica per individuare l’organizzazione che dovrà gestire la scuola.
La moschea Masjid-e-Tauheedul appare in pole position per l’aggiudicazione, visto che, oltretutto, uno studio fatto eseguire dalla medesima amministrazione comunale ha rilevato come una scuola islamica rappresenti, in realtà, la migliore risposta alle istanze della popolazione locale, in maggioranza musulmana. La stessa moschea, peraltro, gestisce già un istituto superiore femminile a Blackburn, il Tauheedul Islam Girls’ High School, il cui preside, Hamid Patel, ha definito più che ragionevole il subentro nella gestione della scuola elementare del Sacro Cuore, visto quasi tutti gli allievi della scuola cattolica sono ormai musulmani.
Questa vicenda paradigmatica contiene in sé i due fattori che caratterizzano l’avanzata dilagante dell’islam in Gran Bretagna: il progressivo allontanamento dalla tradizionale fede religiosa cristiana, e la crescita demografica a ritmi esponenziali della comunità musulmana.
Ignorare questa evidenza, significa eludere la realtà, perdere il senso di ciò che accade, e cedere alla mortale logique de l’autruche. Non è nascondendo la testa sotto la sabbia che si affronta un fenomeno epocale come quello del rapporto con l’islam. Serve semmai un giudizio che, attraverso l’intelligenza, la coscienza e la ragione, sia in grado di comprendere la natura, l’essenza ed il significato di tale fenomeno.
Dando un’occhiata al sito web della diocesi di Salford, ed in particolare allo spazio dedicato all’educazione, si può leggere quanto segue a proposito delle scuole cattoliche:
Com’è noto, San Pietro una volta disse: «Siate sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi. Ma fate questo con dolcezza e rispetto» (1 Pietro 3,15). La Chiesa cattolica ha sempre mostrato una particolare attenzione all’educazione per essere in grado di testimoniare l’azione salvifica di Gesù Cristo in una maniera convincente e rispettosa. Tale compito richiede un’adeguata formazione delle menti e dei cuori. La diocesi di Salford fornisce i mezzi con cui i cristiani possono essere formati ed educati nella fede.
Beh, dopo la vicenda delle scuole elementari del Sacro Cuore di Blackburn forse sarebbe meglio che i responsabili diocesani facciano qualche riflessione in più. E non solo loro.
Il male della coppia: l’illusione che esista un “partner migliore” (Dal volume dello stesso Autore Conservazione dell’amore coniugale, Campanotto Editore 2008) di Veniero Scarselli dal sito http://www.pontifex.roma.it
Nelle grandi città si vive immersi in un turbinio di attraenti persone dell’altro sesso che graziosamente parlano e sorridono, esibiscono i loro aspetti migliori, la loro voglia di amare ed essere amati e ammirati, e con ciò mettono in pericolo l’esistenza della coppia che con tanto amore e fiducia aveva iniziato la vita insieme. In tali concentramenti di popolazione, dove ognuno è estraneo all’altro, i rapporti interpersonali tra concittadini e colleghi sono quasi inesistenti; manca quindi l’inibitorio controllo reciproco che esiste invece nei piccoli villaggi, dove i cedimenti morali sono più rari per l’esistenza di una sorta di autoregolazione automatica dei costumi. Purtroppo, quando il legame d’una coppia comincia ad incrinarsi per l’intrusione di una di quelle persone il cui fascino misterioso la fa apparire più attraente del proprio partner, il partner colpevole comincia a fornire alla propria coscienza ogni alibi possibile per lapidare colei o colui che pur aveva ...
... fino allora condotto al suo fianco una vita irreprensibile con l’amore e l’abnegazione di cui era capace. E’ difficile capire la natura della forza distruttiva che spinge una persona a disamorarsi di un partner che finora rappresentava per lui una culla serena e ordinata e quindi generatrice di felicità, per saltare nel buio di evasioni generatrici di disordine e quindi, presto o tardi, di sofferenza.
Una voce di popolo, sostenuta anche dalla Sociobiologia, sostiene che fin dagli albori della specie umana sarebbe caratteristica naturale e incoercibile del maschio andare a caccia di femmine oltre che di animali distribuendo il proprio seme a destra e a manca ad ogni buona occasione. Questa teoria però poteva valere per i tumultuosi e promiscui primordi in cui gli ominidi facevano parte di branchi non ancora organizzati, ed oggi sembra poco attendibile; da quando infatti l’Homo Sapiens si è costituito in ordinate strutture sociali gerarchiche sottoposte a regole e consuetudini col valore di leggi, si è modificato geneticamente anche il suo ruolo istituzionale nel clan e la sua responsabilità nei riguardi dei componenti; l’immagine quindi di un maschio ancestralmente cacciatore di proteine e di femmine si è molto ridimensionata e oggi sembra solo un alibi inventato dalla mascolinità per giustificare le sue fantasie erotiche e le sue scappatelle.
Quanto alla femmina, tutti gli antropologi concordano che sia meno portata al tradimento a causa del suo primario interesse alla conservazione del nucleo familiare; è la donna infatti che investe tutte le sue energie per ogni singolo figlio e per la durata di quattro o cinque anni, ed è naturale che difenda con le unghie e con i denti il suo investimento genetico facendo in modo che vada a buon fine conservando l’unità della famiglia. Tale predisposizione è innata e si è mantenuta certamente anche nelle donne di oggi, nonostante la liberazione sessuale, l’interruzione di gravidanza e il controllo delle nascite, anche se la maggior parte di esse finge di non saperlo; è un dato di fatto che, salvo eccezioni perverse, la maggior parte dei tradimenti femminili è provocata dall’incuria dei maschi nei riguardi delle loro compagne o da maltrattamenti, tradimenti, e comportamenti offensivi.
Resta comunque la triste realtà che quando si insinua nell’animo o nella fantasia il desiderio di liberarsi del partner, maschio o femmina che sia, non è facile per il traditore razionalizzare gli inconsci motivi abbietti del suo comportamento; è difficile giudicare con chiarezza se colei o colui di cui si era innamorati, e che ora più non si sopporta, abbia perso le sue iniziali attrattive a causa d’un oggettivo deterioramento del suo aspetto o a causa di un divergente processo evolutivo morale, oppure se a forza di guardare nei giardini degli altri reputiamo di poter aspirare ad un partner migliore di quello attuale: qualsiasi motivo si adduca, è solo un pretesto per liberarsi da ciò che si ritiene una prigione.
Cercare pretesti infatti è il più comune falso salvagente cui gli esseri umani si sono da sempre aggrappati per non dover scoprire in se stessi il vero abbietto motivo del loro disamore. Guardiamola in faccia noi, allora, l’abbietta Fata Morgana: l’illusoria e consumistica convinzione che il nostro ego meriti qualcosa di meglio, un partner migliore, mentre il vero abbietto motivo è la nostra incapacità creativa di rendere interessante la nostra vita, e allora ci illudiamo che lo possa fare un “partner migliore”. Mettiamoci una mano sul petto e chiediamoci se almeno una volta non abbiamo accarezzato il pensiero che il nostro partner, per un motivo più o meno giusto, “non ci meritasse”.
Questa Fata Morgana del partner migliore che ci spetta di diritto è il pensiero più deleterio che ci possa infettare, dato che offusca la capacità di vedere gli aspetti positivi che la nostra attuale compagna o compagno sicuramente possiede, se una volta ci è pur piaciuto e se nel frattempo non è diventato un mostro; ci inibisce la capacità di gioire per come egli ci ha reso finora bella e attraente la vita e di vedere chiaramente la nostra colpevole ignavia creativa. Il segreto della felicità è infatti gioire per le qualità del partner, piuttosto che stare a roderci e a soffrire per i suoi difetti; in lui ci sono certamente “in nuce” anche altri aspetti positivi meno evidenti ma che potrebbero essere scoperti e sviluppati, se si prendesse l’iniziativa di coltivarli con pazienza ed amore introducendo nuovi motivi di interesse comune; se è vero che l’essere umano oscilla continuamente fra il bisogno d’una casa sicura e il fascino di nuovi orizzonti e nuove esperienze, perché cercare queste altrove, invece di crearle nel proprio partner e nell’ambito della propria famiglia? Non si immagina, o piuttosto non si vuole immaginare, quanto la nostra innocente compagna o compagno possa essere felice di seguire il nostro entusiasmo di fare o imparare cose nuove, e allo stesso modo quanto possa anche lei trascinarci col suo entusiasmo verso nuovi interessi e nuove esperienze; ed è straordinario constatare quanto queste esperienze possano tenere felicemente unita la coppia, se il partner scontento non si chiudesse nell’alibi nichilistico del “tanto è tutto inutile”.
La Fata Morgana del partner migliore di quello attuale distrugge ovviamente la base affettiva necessaria a farci compiere anche quegli atti quotidiani che servono a mantenere vivo, o a riaccendere, il piacere del contatto fisico e affettivo: gli sguardi e gli abbracci affettuosi, le carezze e i toccamenti, tutti insomma quei piccoli gesti di tenerezza e affettuosità che fanno sentire alla compagna o al compagno l’attrazione che in fondo ancora esercita su di noi e la nostra gratitudine per la sua stessa esistenza. L’affettività e la sessualità femminile è particolarmente sensibile a queste attenzioni e la donna è capace di commuoversi ed infiammarsi fino a tarda età; bisogna convincersi che amore richiama sempre amore e che è biologicamente impossibile che chi è oggetto di questi gesti diretti d’affetto non li ricambi con la stessa intensità alimentando così quel circolo virtuoso che anche Dante mostra di conoscere molto bene col suo amor che a nullo amato amar perdona.
Sfortunatamente, la saggezza per capire lo stretto legame esistente fra erotismo e affettività, e la saggezza di adeguarvisi modificando e riprogrammando il proprio modo di agire adattandolo su quello del partner, si conquista spesso solo con la maturità o la vecchiaia; tuttavia non è mai troppo tardi per correggere i propri comportamenti, e a qualunque età si può constatare quanto sia facile annullare la stessa nostra percezione della vecchiaia con una sorta di ritorno di fiamma della vigoria e del giovanile ottimismo, che allontana anche il pensiero della morte attraverso una nuova gioia di vivere ed amare. Il risveglio dell’amore è infatti il miglior antidoto agli acciacchi e alla depressione della vecchiaia.
Il più grande nemico d’una felice vita coniugale resta tuttavia il turbinio di attraenti figure dell’altro sesso, spesso sessualmente aggressive, offerto dalla vita sociale e lavorativa. Il loro fascino spesso consiste solo nell’aura di mistero che circonda ciò che non si conosce, oppure si è indotti ad ammirare in loro ciò che noi pusillanimi non siamo capaci di trovare in noi stessi e nel nostro partner, e allora si vive della luce con cui abbiamo rivestito quella nuova persona che ci appare immensamente superiore. Spesso contro la vuota luce riflessa di questa Fata Morgana si spunta anche la più forte determinazione a continuare ad amare il vecchio partner e coltivare e mantenere con lui consapevolmente quel tenerissimo stato di complice eccitazione che rende felice la vita.
Quando sfortunatamente ciò accade, la causa non risiede in una presunta innata predisposizione dell’uomo al tradimento, bensì nell’inclinazione del singolo individuo a farsi plagiare dal gruppo sociale in cui vive e dai degradati modelli mediatici che lo assediano. L’aumento odierno dei matrimoni falliti e dei divorzi dipende dunque dalla maggiore promiscuità sociale e dal conformismo che quasi impone all’individuo di adeguarsi ai cattivi costumi imperanti; ma dipende anche dalla fragilità e labilità individuale, che soccombe davanti ai condizionamenti sociali perché incapace di affrontare e riparare la minima difficoltà coniugale.
Azerbaigian: cristiani battisti in prigione per essersi riuniti a pregare - Vatican Radio 5 novembre 2010
La polizia irrompe in una casa privata e arresta 4 cristiani battisti “colpevoli” di pregare insieme, nella settentrionale Qusar.Il proprietario della casa e altri tre cristiani, arrestati dalla polizia domenica scorsa sono stati subito portati avanti al tribunale, che li ha condannati a 5 giorni di prigione, in una rapida udienza tenuta a porte chiuse, senza dare nemmeno termini a difesa. L’agenzia "Forum 18" - ripresa da AsiaNews - denuncia che il 1° novembre un altro cristiano, andato dalla polizia per chiedere notizie dei 4 arrestati la sera prima, ha saputo che c’era già stato il processo. Non è chiaro il reato contestato, mentre fedeli riferiscono che la polizia li ha minacciati di pene molto più gravi. Nella casa erano riuniti circa 80 battisti per celebrare la festa. Prima di andare via, la polizia ha anche tolto gas ed elettricità all’appartamento, per impedire di preparare il pranzo festivo. Ha pure preso i nomi di tutti i presenti, che ha fotografato e filmato. La polizia dice che si è trattato di una “normale” operazione contro riunioni illegali. Nel Paese i gruppi religiosi devono registrarsi e chiedere l'autorizzazione per qualsiasi attività, anche per riunirsi per pregare. Molti gruppi delle Chiese battiste rifiutano di chiedere la registrazione, per evitare ingerenze dello Stato. Altri tuttavia dicono che hanno chiesto il riconoscimento ma le loro domande sono state bloccate per ragioni burocratiche. Ilya Zenchenko, capo della comunità battista azera, ha spiegato a Radio Free Europe che la polizia di Qusar con frequenza arresta e denuncia membri di gruppi religiosi, dicendo che deve combattere “l’estremismo”. Nel Paese sono frequenti le condanne contro i cristiani battisti. Nel maggio 2008 il pastore Zauer Balaev è stato condannato a due anni di carcere per un reato fondato su prove denunciate come false. E’ stato rilasciato nel marzo 2008 a seguito di proteste formali delle organizzazioni battiste mondiali e dell’ex presidente Usa Jimmy Carter. (R.P.)
Radio Vaticana - 05/11/2010 - Nigeria. Mons. Kaigama: a Jos solo il perdono è più forte della violenza
“È stato incredibile vedere quello che la crisi del 17 gennaio 2010 ha provocato negli abitanti di Jos e dintorni. La pazzia, che è stata lasciata libera di agire, ha provocato la distruzione di chiese e moschee, con diverse persone costrette a sfollare perché le loro abitazioni e i loro esercizi commerciali sono stati distrutti”. Così scrive Mons. Ignatius A. Kaigama, arcivescovo di Jos, capoluogo dello Stato nigeriano di Pleteau, dove periodicamente esplodono violenti scontri intercomunitari, con conseguenze molto pesanti per la popolazione locale. Mons. Kaigama, in un articolo pubblicato localmente e inviato a Fides, ricorda che le persone hanno visto i risparmi di una vita andare in fiamme e i propri cari mutilati o uccisi. La natura comunitaria della vita familiare è stata turbata quando le famiglie divise dalla crisi sono state costrette a vivere a distanza di chilometri, senza potersi incontrare. “Ma non è sempre stato così, racconta ancora Mons. Kaigama, “senza dubbio – dice il presule - la città di Jos è stata una delle città più tranquille della Nigeria, favorita da un clima sereno e dalle bellezze naturali. Il calore e la generosità della sua gente hanno conquistato molti. Negli ultimi decenni a causa dello sfruttamento minerario dello stagno, si è creato un mix di attività locali, nazionali ed internazionali, che ha fatto sì che cittadini di diversi Paesi si siano installati a Jos. Non stupisce, che lo Stato stesso avesse adottato il nome di “Casa della pace e del turismo”. Purtroppo, la crisi del 2001 ha creato una diffidenza e un’animosità senza precedenti tra la minoranza costituita dalla comunità di coloni musulmani Hausa/Fulani e la maggior parte degli indigeni cristiani. Prima della crisi, entrambe le comunità condividevano in qualche misura le festività, sociali, religiose e politiche, con poco o nessun pregiudizio o discriminazione. La Chiesa cattolica insieme agli uomini di buona volontà di altre fedi cerca di porre fine a questa situazione e di aiutare le vittime delle violenze - afferma mons. Kaigama. Oltre alla Chiesa locale, anche la comunità cattolica universale è impegnata ad aiutare gli abitanti dello Stato di Plateau a ritrovare la pace, come testimoniato dalla recente visita a Jos del cardinale Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Mons. Kaigama conclude descrivendo la sua visita nel villaggio di Mazah, che era stato attaccato il 17 luglio. “Sono rimasto colpito dagli striscioni con la scritta: 'la più grande arma contro la violenza è il perdono'. Cosa c’è di più vero? Il bene può veramente sconfiggere il male, se c’è la volontà”. (C.S.)
L’INIZIAZIONE ESOTERICA di P.Giovanni Cavalcoli,OP dal sito http://riscossacristianaaggiornamentinews.blogspot.com
Sappiamo quanto oggi siano diffuse le pratiche di iniziazione esoterica ed occultistica, il medianismo, lo spiritismo, i culti misterici pagani, le pratiche magiche e superstiziose, la negromanzia, i malefìci e le sette sataniche.
Una domanda che possiamo porci è quali possono essere le radici e le ragioni profonde di simili aberrazioni dello spirito, che frequentemente conducono a comportamenti morali illeciti o provocano malattie mentali e in alcuni casi non si arrestano neppure davanti al crimine e all’omicidio.
Sappiamo come queste pratiche, nelle forme più disparate, si trovino presso tutti i popoli sin dall’antichità, con la pratica di riti tradizionali che si perdono nella notte dei tempi. Una condotta così universalmente diffusa, anche nelle civiltà più progredite, non può non corrispondere ad un bisogno profondo benchè morboso dell’animo umano.
A che cosa si deve la diffusione di queste pratiche? A due fattori: innanzitutto al fatto che esse causano realmente degli effetti stupefacenti, sembrano conferire all’uomo una felicità, un potere e un sapere superiori a quello dei comuni mortali.
In secondo luogo, al fatto che questi fenomeni testimoniano nell’uomo del desiderio smodato e illusorio di un sapere o di un potere assoluti o comunque di un contatto con un mondo soprannaturale o con l’Assoluto. Essi però costituiscono una corruzione della virtù di religione, la quale viceversa, nel mentre che rende l’uomo consapevole dei suoi limiti ed anzi dei suoi peccati, gli dà tuttavia mezzi onde sperare di ottenere la benevolenza dell’Assoluto divino e di partecipare in qualche modo della sua natura, del suo sapere e della sua potenza.
Questa corruzione della religione è causata dalla superbia che travaglia la vita dell’uomo sin dal peccato originale, che fu appunto un peccato di superbia: il voler essere “come dio”. Viceversa l’uomo raggiunge la sua vera grandezza solo nell’umiltà e nell’obbedienza a Dio insegnate dalla religione.
E’ deleterio e possiamo dirlo un inganno del demonio confondere la magia con i sacramenti, i miracoli, le profezie, il misticismo e i carismi della religione cristiana, ma anche con quel potere misterioso che sono le facoltà parapsicologiche, di per sé naturali benchè eccezionali del tutto innocue ed anzi benefiche.
La superbia invece porta l’uomo a credere di essere divino o Dio stesso o comunque un essere superiore alla realtà umana empirica e di non averne immediata coscienza, in quanto sarebbe un io o un sé immerso nella materia od ostacolato dalla materia. La tradizione magica, che qui potremmo chiamare anche gnostica ed esoterica, vuol convincere l’uomo di essere un dio che non si rende conto di essere tale. L’esoterismo confonde il divino con l’umano. Si propone come una grande spiritualità che vede nella materia o nel corpo una zavorra da abbandonare.
Il vero essere dell’uomo non sarebbe il suo esser empirico e animale, ma sarebbe un Io assoluto o, come dicono certe filosofie, “trascendentale”. Per scoprire questo Io assoluto, occorrerebbe appunto la cosiddetta meditazione “trascendentale”, al termine della quale l’iniziato si sente dire dal maestro: “tu sei Quello” (in sanscrito: “Tat tvam asi”), cioè nientedimeno: tu sei Dio. Esaltante scoperta, che dovrebbe dare una pace, un sapere, un potere, una libertà assoluti. Ecco la prospettiva magica.
Il pensiero magico è di tipo panteistico, ovvero “olistico” cioè monistico, come si riscontra nell’esoterismo massonico, nella mistica dei Sufi islamici, nella kabbala magica, nell’induismo, nella teosofia, nell’ermetismo, nello sciamanismo e nella New Age. Infatti, il potere magico suppone che il mago si senta il momento o la teofania di una Totalità divina che è il Fondo di tutto, abbraccia tutto e lui stesso, sicchè questa osmosi universale permette quelle congiunzioni e quelle affinità tra tutti gli elementi dell’universo - vedi per esempio l’alchimia -, come avviene in un unico corpo organico, dove ogni organo comunica con tutti gli altri, ed in tal modo il mago ricava tutto da tutto perchè vede tutto in tutto, tutto comunica con tutto e tutto si trasforma in tutto: omnia in omnibus, secondo un celebre motto del panteismo magico, caratteristico della magia rinascimentale, come per esempio quella di Giordano Bruno con la sua dottrina dell’anima mundi.
Ma possono realizzarsi veramente simili mirabolanti prospettive? “Io” creatore del mondo, padrone del mondo, onnisciente ed onnipotente? Stando da un punto di vista realistico, in base al quale conosciamo bene i nostri limiti e le nostre miserie, ciò appare subito una pura follia. Ma il punto è proprio questo, che la filosofia esoterica insegna ad abbandonare la visione realistica delle cose, per la quale io credo che esistano cose reali al di fuori di me e indipendentemente da me, che io abbia una natura che non mi sono dato, ma che semplicemente scopro, che io sia sottomesso ad una legge morale che non dipende da me e che io dipenda da un Dio che mi ha creato.
Per l’esoterismo gnostico e magico queste sono ingenue illusioni di chi non è stato iniziato, di chi è fermo nel volgare pensare ordinario e non si è ancora elevato al punto di vista dell’Assoluto, non è ancora giunto alla vera conoscenza di sé, alla vera sapienza, alla vera filosofia, alla vera Conoscenza, dalla quale sola viene l’onnipotenza e la libertà proprie del mago.
In realtà, ci insegna l’esoterismo gnostico, l’essere non è distinto dal pensiero, non è regola del pensiero, ma si risolve nel pensiero, dipende dal pensiero. E il pensiero non è distinto dall’azione: pensare è già agire. Volere è potere. Non c’è una regola dell’agire distinta dal soggetto agente, ma il soggetto è regola a se stesso.
Così che, se l’essere è pensare, l’essere è anche agire, per cui essere, pensare ed agire sono la stessa cosa. Come in Dio. L’io non esiste prima di pensare, ma esiste perché pensa, pone in essere il suo stesso io. E’ questa la posizione di Fichte, che deriva da Cartesio e che sarà portata agli estremi da Giovanni Gentile: l’autoctisi, la creazione di se stesso.
C’è stato uno studioso italiano del secolo scorso, Julius Evola, seguace di dottrine gnostiche ed esoteriche, un ammiratore di Nietzsche, il quale ha sostenuto lo sbocco magico dell’idealismo tedesco, sollevando l’indignazione degli ambienti accademici, sentitisi offesi nel vedere la loro speculazione abbassata al livello della ciarlataneria e dell’irrazionalità. Eppure un grande studioso di Hegel, il Kroner, ebbe a dire che non c’è in tutta la storia della filosofia un pensiero più irrazionale di quello hegeliano, proprio di quello Hegel che volle identificare il reale col razionale, ma sulla base della contradditorietà del reale. Ma proprio questo è il principio metafisico della magia, per la quale l’uomo si sente sciolto dalle leggi della realtà e quindi alla pari di Dio credendo di poter operare come Dio.
Come il mago accontenta le proprie brame, che paiono sconfinate? Come realizza una spiritualità che sembra irraggiungibile? La soluzione alla fine è molto semplice: l’estremo spiritualismo si volge in materialismo, proprio per l’identità-opposizione che l’esoterismo pone tra spirito e materia. La materia nemica dello spirito si volge in materia identica allo spirito. Ma se la materia è spirito, allora lo spirito sarà materia. Ecco allora che quella materia che all’inizio sembra disprezzata, alla fine diventa un assoluto, fa da padrona; quel sapere che sembrava trascendere i sensi, finisce col fermarsi ad essi, quel potere che pareva divino, alla fine non è altro che il potere delle passioni. La volontà si confonde con l’istinto. Alla fine non ci si eleva al di sopra dell’umano, ma si scende al livello delle bestie.
Si consideri inoltre il rapporto che il mago instaura con le potenti entità extracorporee dell’universo viste come divinità. La magia non è estranea al politeismo. E trattandosi della pratica magica, estranea ai precetti morali della volontà del Dio del monoteismo, non è difficile immaginare quale tipo di forze, quali tipi di personalità invisibili entrano in funzione: non si tratta certo di entità benefiche, ma di agenti sovraumani, in fin dei conti nemici dell’uomo, quelle personalità che il cristianesimo chiama demòni e dai quali non certo la magia, ma solo la religione di Cristo può salvare.
Far vivere la memoria Per costruire il futuro dell'Unione europea di Thomas Jansen – Germania – 5 novembre 2010
Il futuro dell'Unione europea dipende anche dal riuscire a mantenere vivo nella memoria collettiva e nella consapevolezza degli europei il ricordo della sua storia, dei motivi che ne determinarono l'origine.
Il significato storico dell'unificazione europea per gli Stati e per i popoli che partecipano a questo processo è evidente. La riconciliazione tra vicini una volta nemici e belligeranti ha determinato la pacificazione e la liberazione del continente, riportando l'Europa nella politica e nell'economia mondiale. In tal modo sono state create le premesse per ricostruire i paesi e le città distrutti dalla guerra e dall'accecamento ideologico, superando infine anche la divisione. Il superamento dei confini e lo sviluppo di un mercato comune hanno liberato forze che hanno determinato un enorme slancio dell'industria e del commercio, nonché un benessere generale. Tutto ciò si basa su una grande azione politica e culturale. Dobbiamo essere grati e riconoscenti verso i politici, i diplomatici e i funzionari della generazione dei fondatori per tutto questo.
Questa storia di successo non si deve tuttavia solo alla saggezza e alla lungimiranza dei Padri fondatori della Comunità europea: essa è anche frutto di un'ampia armonia tra la democrazia rappresentativa e le forze della società civile, che con grande impegno si sono adoperate negli sforzi per l'unificazione, in qualità di movimento europeo. La solidità e la sostenibilità di questi sforzi, compiuti nell'arco di ben 60 anni, vengono garantiti da forme originali di istituzionalizzazione che conferiscono all'Unione europea un ordinamento quasi federale, destinato tuttavia a rimanere precario se non si riuscisse a completare questo ordinamento e a conferire all'Unione una Costituzione che garantisca il suo futuro democratico e federale, anche in considerazione delle nuove sfide causate dalla globalizzazione.
Per essere completato, tale ordinamento necessita il sostegno continuo e sempre nuovo delle cittadine e dei cittadini. Col trascorrere del tempo, con l'aumento della distanza temporale dalla fondazione, che fu una risposta alla guerra e alla repressione, si rischia che le motivazioni e gli stimoli del movimento di unificazione finiscano pian piano nel dimenticatoio: lo confermano i risultati di sondaggi condotti negli ultimi anni in diversi Paesi dell'Unione.
L'andamento e i risultati delle consultazioni referendarie in Francia, nei Paesi Bassi e in Irlanda, relative al progetto di una Costituzione europea e al Trattato di Lisbona hanno evidenziato come dimenticare la storia consenta agli oppositori dell'unificazione di mobilitare facilmente le maggioranze, con l'ausilio di slogan nazionalistici e populistici, per ostacolare il processo ed eventualmente trasformarlo nel suo contrario.
Tutto ciò va contrastato al fine di salvaguardare la dinamica del processo e garantire il consenso costante degli europei. E ai nuovi Stati membri entrati a far parte dell'Unione solo a pochi anni dalla riunificazione, devono essere trasmesse le conoscenze sull'origine e la storia dell'Unione.
Tra gli impulsi di questo processo vi è stata anche una risposta eticamente motivata alle ideologie atee e distruttive del nazionalismo, del fascismo e del comunismo. Con l'istituzione della Comunità europea, a queste aberrazioni si intese contrapporre una manifestazione concreta di riconciliazione, di solidarietà, di giustizia, di libertà e di pace, ossia una comunità di popoli e di Stati finalizzata a creare il proprio futuro collaborando con i propri vicini e aiutandosi reciprocamente.
Continuare a ricordare tutto questo e rappresentarlo in modo convincente, all'intera opinione pubblica, soprattutto ai giovani, è pertanto una priorità del momento ed è un compito per tutti i responsabili della politica, dell'amministrazione, delle scuole e università e certamente anche della Chiesa.
Prima messa nella Sagrada Família: il papa beatifica Gaudí - Benedetto XVI si reca a Barcellona per consacrare la basilica capolavoro. E la propone a modello per i moderni costruttori di chiese. Una guida alla visita dello stupefacente edificio di Sandro Magister
ROMA, 5 novembre 2010 – Domani, sabato, Benedetto XVI visiterà la cattedrale di Santiago di Compostela, da secoli meta di pellegrinaggio tra le maggiori della cristianità.
Ma soprattutto, domenica 7 novembre a Barcellona, il papa consacrerà – celebrandovi per la prima volta la messa – la basilica della Sagrada Família, lo stupefacente capolavoro d'arte cristiana ideato dal geniale architetto Antoni Gaudí, di cui è in corso la causa di beatificazione.
Impossibile non leggere in questo gesto del papa un messaggio. La Sagrada Família è una lezione di eccezionale potenza per l'arte sacra di oggi: l'esatto opposto di tante moderne derive verso geometrie nude e vuote nelle quali il mistero cristiano si perde invece che farsi guardare e vivere.
Iniziata più di un secolo fa e proseguita tra alti e bassi dopo la morte nel 1926 del suo ideatore, la costruzione di questa immensa basilica è ancora lontana dall'essere completata. Ma già accorrono ogni anno a vedere il suo cantiere due milioni e mezzo di visitatori. Dal maestro ai discepoli, questa chiesa cresce con una coralità di apporti e di stili che ricorda le cattedrali medievali.
La Sagrada Família è un grandioso libro aperto. Un teatro fra terra e cielo nel quale tutte le arti si danno convegno per mettere in scena la storia sacra del mondo e trascinare tutti nell'avventura.
Gaudí e gli architetti ed artisti che ne hanno proseguito il progetto – da Lluís Bonet i Garí a Joan Vila-Grau, da Josep Maria Subirachs a Etsuro Sotoo – hanno creato un'opera così ricca di simboli da esigere tempo, competenza e passione anche semplicemente per leggerla.
Un'arte in più che questa basilica ha generato è proprio l'arte della sua interpretazione. In essa eccelle un gesuita italo-spagnolo, Jean-Paul Hernández, autore del più bel libro sinora pubblicato sui simboli e lo spirito della Sagrada Família, edito nel 2007 col titolo "Antoni Gaudí. La parola nella pietra".
Da questo libro sono riprese qui di seguito alcune suggestioni. Piccoli frammenti di un racconto immensamente più vasto, tra il divino e l'umano, destinato a rimanere sempre aperto come il cantiere che i visitatori scoprono a Barcellona.
LE TORRI
Le torri campanarie sono ciò che impressiona di più e subito chi per la prima volta si accosta alla Sagrada Família. Il visitatore ne vede oggi otto, quattro per ciascuna delle due facciate laterali. Ma in tutto dovranno essere diciotto: altre quattro sulla facciata principale; altre cinque sopra la crociera centrale, con la più alta dedicata a Cristo e le altre agli evangelisti; e infine una sopra l'abside, dedicata alla Madonna.
La forma affusolata delle torri ricorda l'architettura nordafricana di cui Gaudí era appassionato. Tese tra terra e cielo, suscitano una sensazione di slancio ma anche di discesa dall'alto. Sono la nuova Gerusalemme che scende "dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo" (Apocalisse 21, 2).
Le dodici torri sopra le tre facciate sono dedicate ciascuna ai dodici apostoli. I dodici uniscono terra e cielo perché annunciando il Vangelo chiamano ad entrare nella nuova Gerusalemme. Sulla sommità, le dodici torri culminano con gli emblemi dei vescovi: la mitra, il pastorale, l'anello. Gli apostoli parlano e agiscono attraverso i loro successori.
Su ogni torre sono scolpite le parole "Sanctus" e, verso la cima, "Hosanna in excelsis". Sono le parole del canto che introduce la grande preghiera eucaristica, la liturgia della Chiesa terrena e celeste che si celebra in ogni messa.
Per le torri centrali, ancora da costruire, il richiamo è al Cristo Pantokrator, quello che domina i mosaici absidali di tante chiese antiche. Come nella visione dell'Apocalisse, al Pantokrator fanno corona "i quattro viventi", gli evangelisti, i testimoni della rivelazione divina, dell'apertura dei cieli. Ma il segno di Cristo qui non è il trono. È la croce, la grande croce con al centro l'agnello che sovrasterà la torre centrale e più alta, la croce gloriosa e regale del Vangelo di Giovanni.
LE FACCIATE
Gaudí avrebbe voluto orientare la chiesa verso il sole che sorge. Non gli fu possibile: la Sagrada Família è sorta sull'asse nord-sud. Ma in compenso egli ideò la due facciate laterali, ai due capi del transetto: quella a oriente dedicata alla Natività e quella a occidente dedicata alla Passione. Se Cristo è il "sole di giustizia" e "il giorno che il Signore ha fatto" (Salmo 118, 24), allora entrare nella basilica e partecipare alla liturgia è vivere "in" questo giorno.
Nelle basiliche paleocristiane è frequente trovare raffigurate, ai due lati dell'arco che introduce allo spazio dell'altare, le città di Betlemme e di Gerusalemme. È così, ad esempio, a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore. Esse sono le città dei due "passaggi", delle due "passioni" della vita di Cristo. Perché anche la sua nascita, a Betlemme, è nel segno della passione: è l'eterno che si fa mortale e si fa deporre nella mangiatoia per essere "mangiato".
Così Gaudí, con le due facciate sulla Natività e la Passione, interpreta anche la Chiesa come "passaggio". Mentre il sole che è Cristo passa attraverso la Sagrada Família da oriente a occidente, dalla nascita alla morte redentrice, la città degli uomini – a cominciare da Barcellona situata prevalentemente a ovest della basilica – è chiamata a fare il cammino inverso, dalla morte alla nuova nascita.
IL PORTALE DELLA PASSIONE
Infatti, come gioioso, esuberante, luminoso è il portale della Natività, così Gaudí volle che il portale della Passione fosse "duro, pelato, come fatto di ossa".
Realizzata e scolpita dopo la sua morte sulla base dei suoi disegni ma anche con audaci innovazioni, la facciata della Passione materializza la visione in cui Ezechiele scopre una distesa di ossa che il soffio dello Spirito fa ricoprire di tendini e di carne. Al popolo esiliato il profeta annuncia: "Vi resusciterò dai vostri sepolcri. Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete". L'intera passione si conclude infatti nel momento in cui Gesù sulla croce esala lo Spirito vivificante.
Al centro della facciata, in alto, troneggia il gruppo della crocifissione. Cristo è nudo come lo era Adamo, perché è il nuovo Adamo che sulla croce ricrea l'uomo com'era prima del peccato, nel sesto giorno della creazione antica e nuova, quando può finalmente dire: "Tutto è compiuto".
Cristo non appoggia il suo corpo sulla croce. Questa non si erge in verticale dietro di lui. Sbuca dal muro in orizzontale ed è costituita da due travi di ferro. Cristo vi è appeso come all'argano di un cantiere edile. Subirachs, l'autore della scultura, ha detto di essersi ispirato a sant'Ignazio di Antiochia: "Voi siete pietre del tempio preparate per la costruzione di Dio Padre, elevate con l'argano di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo" (Lettera agli Efesini 9, 1).
LE COLONNE
La Sagrada Família è interamente circondata da un chiostro, per la prima volta nella storia dell'architettura cristiana. Gaudí pensò il chiostro come il giardino nel quale Dio e l'uomo possono incontrarsi faccia a faccia, quel giardino che nella Bibbia è immagine del paradiso, della terra promessa e infine delle nozze tra Cristo e la Chiesa.
Perciò Gaudí ideò l'interno della basilica come una foresta di alberi. Perché è lì il giardino della nuova creazione, con l'eucaristia che fa da banchetto nuziale. Ogni colonna è a forma d'albero con i suoi rami e le fronde. Sopra la navata, colorati pinnacoli rappresentano i frutti della terra promessa, alternati all'uva e al grano, simboli dell'eucaristia.
Il deserto è fuori da questo giardino, è la città degli uomini ancora segnata dal peccato. Per Gaudì, anche Barcellona era deserto. Avanti negli anni, si fece "monaco nella città", con una vita di una semplicità disarmante, in una casetta a ridosso del cantiere. Ma ogni giorno la Sagrada Família cresceva di nuove pietre e lui, costruttore e profeta, gridava alla sua città che la nuova creazione è già iniziata, che il deserto inizia a fiorire.
È questo il giardino nel quale Benedetto XVI, papa con nome di monaco, celebrerà domenica prossima, 7 novembre, le nozze tra Cristo e la Sposa.
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Il libro:
Jean-Paul Hernández, "Antoni Gaudí. La parola nella pietra. I simboli e lo spirito della Sagrada Família", Pardes Edizioni, Bologna, 2007, pp. 116, euro 20,00.
Dell'ideatore della Sagrada Família in Italia è uscita questa biografia:
Gijs van Hensbergen, "Gaudí", Lindau, Torino, 2009, pp. 368, euro 28,00.
La missione della Chiesa cattolica di Claudio Dalla Costa del 06/11/2010, in Cultura e religione, dal sito http://www.libertaepersona.org
Mi capita, di tanto in tanto, di leggere delle interviste a preti e religiosi che sono disturbati dalle battaglie portate avanti da una parte del mondo cattolico contro quella vera piaga sociale che è l’aborto. Costoro definiscono ipocriti chi lotta per la difesa della vita umana fin dal suo concepimento e preferirebbero una Chiesa più schierata sui problemi della povertà, della fame e della giustizia. Penso che valga la pena di fare alcune considerazioni su quanto sopra esposto.
Se c’è un ambito dove la Chiesa deve impegnarsi maggiormente è la predicazione riguardo alla risurrezione di Cristo. La proposta cristiana, soprattutto in questo campo, ha da dire una parola di formidabile speranza sulla sorta ultraterrena degli esseri umani. La novità fondamentale del cristianesimo è proprio questa: Gesù Cristo è risuscitato dai morti, qui sta o cade l’intero edificio della fede cristiana.
Già S. Paolo, scrivendo la 1° lettera alla comunità di Corinto, dice: “Se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor. 15,13-14-19).
Siamo chiamati ad annunciare che, duemila anni fa, a Gerusalemme, è accaduto un avvenimento di una tale portata che tutta la storia dell’umanità ha preso da allora una strada diversa. L’inaudito, l’impensabile e, badate bene che non sono termini esagerati, se si riflette a fondo su questa questione, è accaduto: la tomba di Cristo si è trasformata nella sua culla.
Tutta quanta la vicenda umana è trasfigurata da questo evento, la resurrezione di Cristo getta luce nuova su ogni vita umana, la morte si trasforma nel passaggio alla vita stessa di Dio. “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!” (Col. 3,1-3).
Una speranza amputata
Purtroppo, tante volte, lo stesso personale della Chiesa sembra ignorare queste verità che toccano ogni individuo e lo pongono davanti alla questione ultima sul senso della propria vita. Qualcuno ha detto: “Più che annunciatori di speranza, certi cristiani, certi cattolici di oggi si direbbero piuttosto ladri di speranza”.
Se togliamo al cristianesimo proprio le fondamenta, che cosa rimarrà del nostro annuncio? Se tronchiamo i Vangeli alla morte di Gesù, li mutiliamo proprio di quella resurrezione che è la base di partenza della speranza cristiana. A che cosa servirebbe la Chiesa se non fosse più chiamata a testimoniare Cristo risorto? Che Buona Novella sarebbe mai questa se si deve morire e, se, con la morte, tutto ha fine? Senza la vittoria sulla morte operata da Gesù, la Chiesa sarebbe una tra le tante istituzioni della nostra società impegnate nel sociale e in attività benefiche ma nulla di più.
L’annuario della carità
In secondo luogo vorrei chiedere a coloro che pensano che la Chiesa sia poco presente nel mondo della giustizia e della sofferenza: dove vivete? Non sapete che la Chiesa cattolica è presente ovunque l’uomo soffre, viene umiliato, torturato e perseguitato. Penso soprattutto al settore della carità dove la Chiesa è sempre in prima linea quando l’uomo è malato e ferito per curarlo, rialzarlo e guarirlo. Chi, dunque, nei secoli ha creato gli orfanotrofi, le scuole, i lebbrosari, gli ospedali se non, quasi sempre, dei battezzati sull’esempio di Gesù che è passato sanando ogni male. Stando a dati relativi all’anno 2003 la Chiesa cattolica dona al mondo contemporaneo 6038 ospedali, 17189 studi medici, 799 lebbrosari, 13238 case d’accoglienza per persone anziane o handicappate, 8711 orfanatrofi, 10368 centri per bambini in difficoltà, 18798 centri di rieducazione sociale e 25257 centri di pastorale per la sanità. Senza contare tutto ciò che non è ufficialmente recensito. Questo è l’annuario della carità scritto da centinaia di migliaia di cattolici ogni anno, in ogni parte del pianeta, per dare dignità e speranza alla nostra umanità.
E che dire dei martiri del XX secolo e di questo inizio secolo, che continuano a dare la vita per essere fedeli a Dio e servire gli uomini? La Chiesa ha avuto più martiri nel XX secolo che non in tutta la sua storia. Quale altra istituzione può dire di avere operato con altrettanto efficacia per servire, aiutare e proteggere l’uomo? Come battezzato sono fiero di appartenere a questa Chiesa così spesso attaccata e contestata anche da una parte del suo clero miope e succube di ideologie non cristiane.
Il feto: l’essere umano più innocente, più vulnerabile, più inoffensivo
In terzo luogo la promozione della vita umana fin dal suo nascere è una delle priorità della nuova evangelizzazione auspicata con forza da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Urge ribadire con determinazione anche a molti cattolici che “il concepito sia un essere umano oggi non dovrebbe essere messo in dubbio più da nessuno che non voglia negare i dati della scienza, e della ragione. Se è un essere umano, sia pure in forma microscopica, possiede già, sin dal momento del concepimento, la dignità propria degli esseri umani” (P. Gino Concetti – L’Osservatore Romano, 23-24/6/2000).
Il Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa cattolica parlando dell’aborto come di un “delitto abominevole” non hanno fatto altro che riaffermare quella che è l’ininterrotta posizione della Chiesa lungo tutta la sua storia. Antonio Socci, nel suo libro Il genocidio censurato, scrive: “I morti causati dai regimi totalitari e dagli innumerevoli conflitti armati che hanno insanguinato il Novecento sarebbero circa 200 milioni. Eppure c’è una strage – tuttora in corso – che ha prodotto oltre un miliardo di vittime e di cui nessuno oggi vuole parlare: l’aborto”.
Davanti a questa gigantesca cospirazione contro la vita umana la Chiesa cattolica risponde con centinaia di associazioni e movimenti che difendono l’essere umano più innocente, più vulnerabile e più inoffensivo. Coloro che si discostano da questo insegnamento siano essi laici, religiosi o preti si mettono in aperto contrasto con i dati della scienza, della ragione e con il Magistero supremo della Chiesa cattolica creando confusione e turbamento tra i fedeli e, per di più, umiliando lo sforzo delle migliaia di volontari che ogni giorno lottano contro questa piaga sociale.
Avvenire.it, 6 novembre 2010 - C’è un’altra Italia/1 - Quel laido epitaffio e il desiderio di bene di Marina Corradi
L’altra sera su "Annozero" è passata un’intervista a Lele Mora, manager di artisti o aspiranti tali, che ha spiegato come funziona il mondo di vallette ed escort. Sono ragazze disposte a tutto, ha detto; la tv ha distrutto molte persone, e occorre ammettere che il mondo, ormai, gira così. «E tutto il mondo è paese – ha aggiunto pacatamente l’impresario; dunque – Paese che vai, zoccola che trovi».
Nella sua brutalità è sembrato a chi ascoltava quasi un epitaffio, il motto di Mora. Dopo un’ennesima raffica di prime pagine su sempre nuove escort che affermano di frequentare il presidente del Consiglio, abbiamo incassato la crudezza di quella affermazione come pugili troppo suonati per reagire.
Non stiamo parlando della verità o falsità delle denunce, né dello "stile di vita" di Berlusconi. Stiamo parlando dell’Italia, di ciò che leggiamo e vediamo tutti i giorni; di come viviamo, e di come ci fanno vivere. Di un’Italia in cui tua figlia di tredici anni si sente dire da uno in tv che ormai gira così, tutto si vende, e «Paese che vai…».
È probabile, anzi quasi certo che dalla sua angolazione Mora abbia ragione. Senonché la sua angolazione è limitata. Dubitiamo che Mora prenda i treni dei pendolari alle cinque del mattino, o frequenti le corsie degli ospedali, o entri nelle scuole dove molti insegnanti si ostinano a cercare di educare. Immaginiamo che Mora conosca poco gli oratori, e le fatiche dei parroci; ma anche, laicamente, la vita quotidiana di tanti che studiano, lavorano e fanno andare avanti l’Italia.
C’è un’ampia, oscura parte di questo Paese che non si merita quell’epitaffio. E questo non per dire che esiste una Italia "buona" e "onesta", giacché noi cristiani siamo stati autorevolmente messi in guardia dalla tentazione di dirci "a posto". Esiste, però, ancora, un’Italia diversa.
È vero: già Pasolini aveva profetizzato che la televisione sarebbe passata «come un trattore sulla coscienza degli italiani»; è vero che ignoranza e abbandono educativo alimentano masse di ragazzi che hanno come dio il Grande Fratello – sono il nuovo <+corsivo>Lumpenproletariat<+tondo>, i più poveri di tutti. Però, non possiamo non dire che c’è ancora, nelle nostre case, un desiderio di altro. Desiderio di lavorare, di fare, di crescere figli, di continuare in loro, di sperare; un desiderio grande e originario, che non può essere annientato dalla logica dell’apparenza, del successo a ogni costo, che col suo rumore ci domina.
In un’omelia di diversi anni fa l’allora cardinale Ratzinger affrontava la questione. «Abbiamo sempre bisogno del coraggio di denunciare apertamente il male, per promuovere un miglioramento – diceva – ma forse oggi abbiamo ancora più bisogno del coraggio di fare emergere con chiarezza il bene che c’è in ogni persona e nel mondo».
Il coraggio di dire il bene, sembra questo che oggi ci manca. Non nel senso di mostrare con orgoglio mani pulite e coscienze immacolate, in un esercizio da farisei; ma di affermare, almeno, sulla nostra vita un altro desiderio, più bello e umano di quello di entrare, almeno per un attimo, nel cono di luce dei riflettori. Noi, e come noi tanti, vogliamo un Paese diverso da quello raccontato da Lele Mora. Vogliamo che i nostri figli seguano altre speranze, più grandi; che le nostre figlie adolescenti non si aggreghino alle colonne di escort che mendicano un giorno almeno da star. Il fatto è che crediamo in altre cose, in un altro senso e orizzonte; ma è come se in tanto gridare su scandali e menzogne la nostra voce non si sentisse. «Paese che vai…», dicono i maestri del pensiero dominante, compiaciuti del loro crudo realismo. Ma c’è un realismo maggiore, che è affermare un altro sguardo e desiderio sulla vita, che pure abbiamo scritto addosso. («Il coraggio di dire il bene, sembra questo che oggi ci manca»).