martedì 30 novembre 2010

Nella rassegna stampa di oggi:
1)    Padre Aldo - lettera 28/11/10
2)    RUSSIA/ Julián Carrón a Mosca: se il cristianesimo non è vita rimane un mito Giovanna Parravicini - martedì 30 novembre 2010
3)    29/11/2010 - VATICANO-FILIPPINE - Papa: fa bene la Chiesa filippine a dire no ad aborto e pena di morte - Ricevendo i vescovi della Chiesa più numerosa del continente asiatico, Benedetto XVI evidenzia l’impegno dei cattolici in campo sociale, dove debbono essere liberi di far sentire la loro voce. Pur “distinta” dal potere politico, la Chiesa deve far sentire la sua voce quando “lo richiedano i diritti fondamentale della persona o la salvezza delle anime”.
4)    Requiem per un prete. Una società di Iene di Bruno Volpe dal sito http://www.pontifex.roma.it/
5)    EUTANASIA, FAZIO E SAVIANO, MELAZZINI, PROGRAMMI TELEVISIVI - Grazie a “Vieni via con me”, ben 7 programmi TV ospiteranno (esclusivamente) i “pro-life”. – dal sito http://antiuaar.wordpress.com del 29 novembre 2010
6)    VIENI VIA CON ME/ Fazio e Saviano, chi non la pensa come noi s’arrangi. Che peccato Maestro Yoda - martedì 30 novembre 2010 – il sussidiario.net
7)    Avvenire.it, 30 novembre 2010 - I malati, i no di Fazio e Saviano, e altri sì - Il coraggio che è mancato di Marco Tarquinio
8)    Avvenire.it, 30 novembre 2010 - Le ricadute dei tagli all’istruzione umanistica - L’immaginazione medicina contro la crisi di Roberto Mussapi
9)    «Le persone che amano stanno vicine al tuo dolore» - La mamma di un bambino in stato vegetativo: i suoi fratelli e i compagni di scuola lo sostengono, sanno che Daniele è vivo - A quattro anni, per una caduta in piscina, il piccolo ha subito un’anossia da annegamento Da allora viene accudito notte e giorno DI GIANCARLA SAGLIO DOMINONI – 30 novembre 2010
10)                      Asia Bibi, congelata la grazia: ora il processo - «Completare i tre gradi di giudizio» Si attende la data della prima udienza - I cristiani pachistani vogliono dimostrare, insieme all’innocenza della donna, anche l’ingiustizia di procedimenti basati spesso su accuse false - DA BANGKOK STEFANO VECCHIA – Avvenire, 30 novembre 2010

Padre Aldo - lettera 28/11/10

Carissimi amici, vorrei parteciparvi alcuni fatti accaduti e che testimoniano come Cristo é presente nella mia vita e per questo tutto é positivo, anche il dolore che da disgrazia diventa grazia, come ci ricorda la Scuola di Comunitá.
1. Ieri (giovedí) abbiamo avuto la sorpresa della visita di Marcos e Cleuza. Una visita lampo, che fu per loro una avventura unica: 7 ore di viaggio con l´aereo per arrivare quí e 4 ore per ritornare. Non era mai accaduto. Solo una grande amicizia, frutto della familiaritá con Cristo permette questo sguardo fra noi. Marcos ieri aveva una riunione importante in Parlamento, anche perché gli stanno facendo proposte interessanti. Ma preferí venire per festeggiare il compleanno di P. Paolino ed incontrare gli amici della fondazione, responsabili delle opere. L´incontro é stato bellissimo, le esperienze raccontate un vibrare dell´io di fronte a Cristo. La genialitá di Cleuza ci ha ricordato quanto Carrón ci diceva commentando il monologo di Giuda a la Thuile: "Giuda era un apostolo io non sono un apostolo, Giuda formava parte del grupetto degli amici di Gesú ed anch´io faccio parte degli amici di Gesú come Giuda, come Pietro. Pero Giuda partecipava di quella amicizia, ma a differenza di Pietro e di me non apparteneva a quella amicizia. Una cosa é partecipare altra cosa é appartenere. Giuda tradí Gesú, ma anche Pietro, cosí come anch´io. Pero una cosa é stato il tradimento di Giuda, altro quello di Pietro e il mio. Giuda davanti al suo peccato essendo solo partecipe di quella amicizia, e non appartenente si suicidó. Pietro invece che apparteneva a quella amicizia, riconobbe il suo peccato e si lasció abbracciare per quello sguardo. Cosí é per me e Marco. Noi non veniamo qui perché partecipiamo di quanto qui accadde, di quest´opera ma perché apparteniamo a quest´opera. uno puó fare anche miracoli ma se la sua natura non é quella del Padre, tutto muore. Il figlio prodigo é ritornato non perché voleva partecipare al banchetto, o perché stanco della sua miseria ma perché dentro tutte le miserie egli apparteneva al Padre, era della stessa natura. Il nostro problema é solo uno: partecipiamo o apparteniamo? Seguiamo Carrón o guardiamo dove guarda Carrón?
Una cosa é partecipare al movimento, partecipare di quanto ci dice Carrón, altra cosa é appartenere al movimento, appartenere allo sguardo con cui Carrón ci guida e guarda la realtá. Io vengo qui dal Brasile perché ho deciso di appartenere a ció che ho visto, come Pietro. Io vengo dal Brasile perché appartengo a voi. Cosí voi lavorate quá perché appartenete a quest´opera. E il segno di questa appartenenza é l´allegria con cui lavorate ed é ció que marca la differenza con chi non appartiene".
2. Oppena arrivati abbiamo celebrato la messa per loro nella clinica. Alcuni ammalati terminali incapaci di muoversi hanno partecipato. Grande fu la sorpresa quando un ammalato di cancro, con la parte destra della faccia tutta bendata perché letteramente "mangiato" per il cancro e l´altra tutta gonfia, prese la chittarra e con una gioia negli occhi che ci ha comosso tutti accompagnó i canti. Cleuza ad un certo punto disse: "como puó un ammalato in quelle condizioni, alla vigilia della morte, suonare con tanto impeto la chitarra? La risposta é solo una: perché in lui é chiara, é evidente l´appartenenza al Mistero...e lo si vedeva come era assimilato a Cristo eucaristico. Lui suonava cosí e in quelle condizioni perché lui guardava Cristo, appartiene a Cristo. Sfido qualunque premio Nobel in oncologia a dare a questo ammalato ció che solo Cristo puó dare. Nessun premio Nobel puó dare a un ammalato terminale la forza in quelle condizioni di suonare la chitarra. Chi gli dà la forza é solo Cristo che passa mediante voi che siete vicini e guardate in lui Cristo. Io vengo da S. Paolo perché ho bisogno di vedere come anche la vita morente rifiorisce nell´appartenenza. Non vengo quí per vedere la gente morire e neanche per vedere l´ospedale perché tutto questo lo posso vedere anche in S. Paolo, ma per vedere i miracoli dell´appartenenza a Cristo, perché che un moribondo suoni la chitarra non é una cosa di questo mondo. Vengo qui perché la certezza che oggi mi accompagna, sia la certezza che mi accompagni anche domani. Non mi basta il passaporto per oggi, lo voglio anche per domani. E senza di voi non ho questa garanzia. Il passaporto per domani non ce l´ho io, ma ce l´ha questa appartenenza.
Allora il problema é non avere una riserva sulla appartenenza, riserva che è il tarlo che distrugge tutto. Quanto piú appartengo tanto piú cade la riserva. L´altra faccia della riserva é la pretesa. Perché prevale la pretesa? perché dimentichiamo il destino dell´altro. Per questo motivo noi non stiamo assieme per fare opere ma perché fiorisca il nostro io e la gente conosca Cristo, incontri Cristo. E se il punto non é chiaro, l´opera é giá morta. Quando uno ha questo sguardo é libero. Non é definito dai risultati, dagli esiti. Pensate per esempio a livello di genitori, che respiro incominciano a vivere rispetto ai figli sui quali abbiamo sempre una pretesa. Io posso abbracciare, sostenerli, ma non posso sostituirmi a loro, al loro dramma. E il chitarrista che abbiamo ascoltato é una evidenza. Io non posso togliergli il cancro, nè sostituirmi, il dramma é tutto suo, la vicinanza della morte non posso fare che si allontani. Si posso abbracciarlo, amarlo, ma il dramma é fra lui e Cristo e si vede bene come la sua libertá che si lascia abbracciare per Cristo gli permette perfino di "burlarsi" del cancro godendo di ció che suona".
Amici capite perché siamo amici e perché non conosciamo distanze e come anche i "casini" provocati dalle compagnie aeree non ci distraggono.
Per finire e cosí cominciare bene l´Avvento un ultimo fatto di come niente impedisce che la realtá, la malattia sia un dono. L´altro giorno la dottoressa Cristina, infettivologa, mi descrive le condizioni di un paziente di AIDS, incontrato in una discarica. É tutto una piaga. I vermi escono da una orecchia putrefatta e cosí dai genitali putrefatti. Mi chiama al suo fianco perché mi renda conto dove puó arrivare la miseria umana e anche di che cos´é l´uomo se non fosse di Cristo. Vedo come lei, con quanto amore con una piccola pinza toglie i vermi uno per uno -e questo ogni giorno- e rimango scosso e comosso. Le domando: "ma Cristina come fai?". E lei: "ma padre é Gesú quest´uomo tutto piagato e per questo faccio questo lavoro con gioia". Rimasi senza parole, stupito, comosso, mentre lei con le pinze, accompagnata da un altra giovane medico e l´infermiera, continuavano con il sorriso sulla bocca a togliere quei vermi con la testa nera e il corpo bianco.
Capite cosa vuol dire "contemporaneitá di Cristo"? SE Cristo fosse un "ieri" uno non potrebbe stare davanti a un uomo che porta giá sul suo corpo i segni della putrefazione.
Pregate per me e per i miei amici sani e ammalati.  P. Aldo

RUSSIA/ Julián Carrón a Mosca: se il cristianesimo non è vita rimane un mito Giovanna Parravicini - martedì 30 novembre 2010

In un’intervista di quasi vent’anni fa, don Giussani aveva indicato fra le responsabilità dei cristiani d’Occidente quella di aiutare la Russia a ritrovare la propria grande tradizione cristiana, calpestata e soffocata nei decenni del regime sovietico. Una responsabilità che nasceva per lui innanzitutto dalla gratitudine per il dono della testimonianza di una grande tradizione ecclesiale, una testimonianza irriducibile nonostante prove e ferite, simboleggiata dalle parole dello starec Giovanni, nella Leggenda dell’Anticristo di Solov’ëv: «Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità».

Un cristianesimo – quello russo – che don Giussani vedeva mantenere intatta la propria dimensione di avvenimento, senza lasciarsi ridurre a ciò che denunciava Giovanni Paolo I: «Il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole».

A vent’anni di distanza, ho letto la stessa gratitudine e umiltà nella presenza di Julián Carrón a Mosca, all’evento teologico per eccellenza della Chiesa ortodossa russa, a cui partecipano ogni due anni rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse – il Convegno organizzato dalla Commissione teologica sinodale (se si vuole, il corrispettivo della nostra Congregazione per la dottrina della fede), presieduta dal metropolita Filaret.

Quest’anno il forum teologico, giunto ormai alla sesta edizione, ha scelto come titolo «La vita in Cristo. La morale cristiana, la tradizione ascetica della Chiesa e le sfide della contemporaneità». E quasi a sorpresa, alcuni mesi fa dagli organizzatori del Convegno è giunto un invito a don Julián Carrón, esplicitamente nella sua posizione di responsabile ultimo del Movimento di Comunione e Liberazione. Il 15 novembre, unico cattolico accanto a una serie di alti prelati delle Chiese ortodosse (a cominciare dal patriarca Kirill, che ha aperto i lavori, e dal metropolita Filaret), Carrón ha svolto una relazione intitolata La gloria di Dio è l’uomo vivente.
Una provocazione, in qualche modo, perché la maggior parte degli interventi susseguitisi fino a quel momento in sala tradiva la fatica di un cristianesimo trincerato sulle difensive, tutto teso ad arginare mode e mentalità laiciste, materialiste sempre più diffuse anche tra i cristiani. Non è un caso che, subito dopo la relazione di don Carrón, il prorettore di una delle più prestigiose facoltà teologiche della Russia gli abbia chiesto: «Padre, mi colpisce come per lei il cristianesimo sia una positività. Dunque il reale, per un cristiano, non è semplicemente un male da contrastare, ma un positivo da abbracciare?». O che il sito dell’Accademia teologica di Mosca (www.bogoslov.ru) gli abbia fatto una lunga videointervista trovando per l’occasione perfino un interprete dallo spagnolo.

In realtà, sia il tema scelto per il convegno, sia l’interesse per il metodo educativo di Comunione e Liberazione mettono a fuoco una preoccupazione centrale nella vita della Chiesa ortodossa più numerosa del mondo, la preoccupazione educativa e missionaria all’interno della società; una preoccupazione sovente inconfessata anche tra il clero (è più comodo cullarsi nei miti della «rinascita religiosa della Santa Rus’»), oppure fonte di smarrimento perché ci si sente inermi, senza un metodo per affrontarla. Se oggi all’interno dell’ortodossia russa c’è ancora chi manderebbe al rogo come eretiche tutte le pubblicazioni cattoliche, sta pericolosamente crescendo l’altro estremo, che consiste in un aperturismo indiscriminato ad ogni genere di innovazione e modernità.

Il forum di novembre è stato dunque un tentativo di porre un’alternativa, di offrire un’indicazione di cammino. Come ha richiamato nella sua prolusione il patriarca Kirill, sottolineando l’importanza di una teologia che si trasformi in strumento per la vita della Chiesa, «rendendo ragione del messaggio cristiano», in modo che la «vita in Cristo» non venga recepita dai nostri contemporanei come un «mito, un rituale o un’ideologia», ma come una «pienezza di vita», e d’altro canto non si corra il rischio di annacquare la portata della proposta cristiana in una versione «ridotta» di cristianesimo.

Attraverso l’invito a Carrón la storia di amicizia e di stima esistente da tanti anni a Mosca è diventata una testimonianza comune anche a livello istituzionale. Un fatto storico. Quasi in risposta all’appello di Kirill, nell’intervento di Carrón sono risuonate, tra l’altro, queste parole di Benedetto XVI: «L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un’immensità di comandamenti, divieti, principi e simili, e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere, e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello, ma sono ali».


29/11/2010 - VATICANO-FILIPPINE - Papa: fa bene la Chiesa filippine a dire no ad aborto e pena di morte - Ricevendo i vescovi della Chiesa più numerosa del continente asiatico, Benedetto XVI evidenzia l’impegno dei cattolici in campo sociale, dove debbono essere liberi di far sentire la loro voce. Pur “distinta” dal potere politico, la Chiesa deve far sentire la sua voce quando “lo richiedano i diritti fondamentale della persona o la salvezza delle anime”.

Città del Vaticano (AsiaNews) - La Chiesa deve essere libera di far sentire la sua voce, per annunciare il Vangelo e anche per far conoscere la sua dottrina sociale che difende in primo luogo i più poveri e i più deboli. In tale contesto, Benedetto XVI loda l’impegno della Chiesa delle Filippine in difesa della vita dal suo inizio alla fine naturale e “apprezza”quanto essa sta facendo in favore dell’abolizione della pena di morte.

L’impegno della Chiesa in campo sociale,oltre che nella fondamentale missione dell’annuncio del Vangelo, è stato al centro del discorso che il Papa ha rivolto oggi ai vescovi delle Filippine, in occasione della loro quinquennale visita “ad limina”.

Per essere “lievito” della cultura della società, ha detto Benedetto XVI, la Chiesa deve sempre far sentire la sua voce, innanzi tutto con la proclamazione del Vangelo. “Questa voce si esprime nella testimonianza morale e spirituale offerta dalla vita dei credenti e anche nella pubblica testimonianza data dai vescovi, come primi docenti, e da tutti coloro che hanno un ruolo nell’educare alla fede”.

Il compito di proclamare il Vangelo tocca “questioni rilevanti in campo politico. Ciò non è sorprendente, perché la comunità politica e la Chiesa, mentre sono giustamente distinte, sono nondimeno entrambe al servizio dello sviluppo integrale di ogni essere umano e della società nel suo insieme. Da parte sua, la Chiesa dà il suo contributo alla costruzione di un ordine sociale giusto e solidale”.

“Al tempo stesso, il ruolo profetico della Chiesa chiede che essa sia libera “di predicare la fede e di insegnare la sua dottrina sociale … e anche di esporre i suoi giudizi morali in quelle materie che hanno riguardo l’ordine pubblico, ogniqualvolta lo richiedano i diritti fondamentale della persona o la salvezza delle anime”. “Nella prospettiva del ruolo profetico, esprimo apprezzamento per la Chiesa filippina nella ricerca di giocare la sua parte a sostegno della vita umana dalla concezione alla sua fine naturale e in difesa dell’integrità del matrimonio e della famiglia. In questi campi, voi state promuovendo la verità sulla persona umana e sulla società che non nasce solo dalla rivelazione divina, ma anche dalla legge naturale, un ordinamento che è comprensibile dalla ragione umana e che quindi offre le basi per un dialogo e un profondo discernimento da parte si tutte le persone di buona volontà. Vedo anche con apprezzamento il lavoro della Chiesa per l’abolizione della pena di morte nel vostro Paese”.

Il Papa ha poi sottolineato alcuni altri aspetti della vita della Chiesa delle Filippine, a partire dall’impegno per essere presenti nei mezzi della comunicazione sociale. “Una voce unita e positiva deve essere presentata al pubblico nei vecchi e nuovi mezzi di comunicazione, cosicché il messaggio del Vangelo possa avere un impatto sempre maggiore sul popolo della nazione”.

Altro aspetto della missione della Chiesa filippina evidenziato da Benedetto XVI è “la proclamazione delle parole di vita di Dio nel loro rapporto con le vicende sociali ed economiche, in particolare per il rispetto dei più poveri e dei più deboli”. Il Papa ha infine sottolineato la “giusta preoccupazione” dei vescovi che “ci sia un crescente impegno nella lotta contro la corruzione” e che “la crescita di un’economia giusta e sostenibile è possibile quando c’è una chiara e costante applicazione del ruolo della legge in tutto il Paese”.


Requiem per un prete. Una società di Iene di Bruno Volpe dal sito http://www.pontifex.roma.it/

Secondo l'accusa e riprese televisive, sarebbe stato un prete molestatore. Non lo giudichiamo per questo, se si é pentito lo valuterà il Giudice Supremo. Certo, la sua morte violenta in un certo senso, lo dimostra, come fu quella di Giuda, sconvolto dal tradimento e dalla solitudine, dal rimorso. Ma probabilmente anche Giuda, simbolo di ogni cattiveria, oggi potrebbe essere in Paradiso se la sua morte fu preceduta dal vero pentimento. Il mistero del male. Parliamo di un anonimo prete di Bergamo o dintorni che ha deciso di farla finita lanciandosi sotto un treno. Una fine atroce, travolto dalla disperazione. I suoi superiori avevano applicato, come giustizia vuole, il diritto canonico sospendendolo dopo la pubblicazione sulle Iene di un video che lo avrebbe colto in atti di molestia verso due ragazzi. Non elogiamo il prete, non tocca a noi fare gli avvocati della difesa o i giudici dell'accusa. Una cosa é certa. Il prete si é ucciso travolto non dal treno, ma dalla  ...

... vergogna. La vergogna lanciatagli addosso in modo volgare ed irresponsabile da una Tv pronta a mettere tutti alla gogna, preti e non, uomini e donne, colpevoli e innocenti. Una Tv che per fare ascolti e incassi non guarda ormai in faccia a nessuno. Una Tv dello spettacolo sguaiato e del pettegolezzo che lo stile  (si fa per dire) Berlusconi ha messo in orbita. Le Iene non ci sono mai piaciute come programma, non é giornalismo, ma linciaggio e umiliazione pubblica. Speriamo che il rimorso di quel prete ora faccia capire ai conduttori che hanno sbagliato di grosso. Ma esiste anche un reato nel nostro ordinamento, la istigazione al suicidio. Non sarebbe il caso di fare capire alle iene che la carne é finita?. Requiem per un prete di provincia.


EUTANASIA, FAZIO E SAVIANO, MELAZZINI, PROGRAMMI TELEVISIVI - Grazie a “Vieni via con me”, ben 7 programmi TV ospiteranno (esclusivamente) i “pro-life”. – dal sito http://antiuaar.wordpress.com del 29 novembre 2010

Come tutti sappiamo lunedi 15 novembre 2010 è andata in onda in prima serata su RaiTre la seconda puntata della trasmissione “Vieni via con me” (dal titolo si può già scorgere un chiaro invito eutanasiaco), condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano. La trasmissione ha scatenato un’onda di polemiche (vedi risultati del sondaggio de Il Sole 24 ore), anche perché i conduttori hanno voluto dare vergonosamente ed unicamente spazio a vecchi radicali nostalgici e ambigui personaggi di bassa moralità come Peppo Englaro e Mina Welby, la moglie di Piergiorgio (mancava solo Pannella con  il suo inseparabile spinello e la Bonino in braccio a Odifreddi, mentre quest’ultimo declamava quanto è scientifico e razionalistico suicidarsi per “mancanza di prove”). Ospite anche un prete scemo come don (che vergogna scrivere “don”) Andrea Gallo, che ha “benedetto” il tutto. Dopo 10 giorni di proteste in cui mezza Italia si è sollevata (più sotto trovate una brevissima sintesi), Fazio e Saviano sono riusciti a rimanere ideologicamente e laicisticamente aggrappati al loro rifiuto di parlare della “vita” e di dare spazio ad una replica (prontamente concessa invece al ministro Maroni). Così, per un programma che manda in onda uno spot per l’eutanasia e si rifiuta di replicare, ne sono emersi ben 7, tra Rai e Mediaset, che si dichiarano pronti e disponibili ad accogliere (esclusivamente) “la vita” e i movimenti “pro-life”: ieri Raiuno con A Sua immagine (alle 10:30) e “L’Arena di Giletti” (all’interno di Domenica In alle 14), hanno avuto diversi ospiti tra cui il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, Mario Melazzini e Fulvio De Nigris. Il Tg1 delle 20 ha invece aperto ospitando rappresentanti delle associazioni pro-vita. Domani, durante Mattino 5, condotto da Paolo Del Debbio con Federica Panicucci su Canale 5, ospiterà, fra gli altri, Max Tresoldi, quasi quarantenne e “risvegliatosi” dopo dieci anni di stato vegetativo. Martedì sera alle 21,10 su Retequattro, sarà la volta di Viaggio a… e in settimana il programma Porta a porta di Bruno Vespa manderà in onda una puntata speciale dedicata alle persone che vivono in uno stato vegetativo assistite da familiari: «Nessun politico, nessun commentatore, solo protagonisti di storie alle quali altrove si è deciso di non dare voce», è stato fatto sapere dalla redazione. Mentre, nel programma in sei puntate che sta preparando Vittorio Sgarbi per Raiuno, «quelli che resistono e sono per la vita, se non avranno spazio da Fazio e Saviano ne avranno da me comunque e quanto vogliono», ha fatto sapere (da Avvenire). Per fortuna che, a parte Fazio e Saviano, c’è ancora qualcuno che dà senso alla vita.

Vediamo comunque quali sono state le interessantissime reazioni all’unica visione della vita (anzi, della morte) promossa dal duo “pro-death”.

Il 19 novembre il direttore di Avvenire -Marco Tarquinio- ha rivolto un appello alla dirigenza Rai perché faccia conoscere persone come Mario Melazzini, Fulvio De Nigris, Mariapia Bonanate e suo marito, Angelo Carboni, Rosy Facciani, Simone Schonsberg e la mamma Gloria, Moira Quaresmini e la sua famiglia. Voci di chi vive e lotta e soffre e non molla, e non solo ai “profeti” dell’eutanasia». (da Fateli parlare, Avvenire).

Il 20 novembre c’è stata immediatamente una reazione all’appello. In modo bipartisan la politica ha risposto: oltre centoventi firme in due lettere distinte, da parte dei primi due partiti italiani (PDL e PD) per chiedere al cda Rai di garantire nei programmi del servizio pubblico, e in particolare in quello condotto da Fazio e da Saviano, «la voce di chi difende la vita e soprattutto di chi lo fa vivendo una condizione di sofferenza» (qui il testo dell’appello). Si schierano 91 parlamentari del PDL e Lega Nord (primi firmatari: Alfredo Mantovano, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Eugenia Roccella, Barbara Saltamartini, Enrico La Loggia, Valentina Aprea, Giuseppe Cossiga). A sinistra sono 32 membri del PD (i primi sono Giuseppe Fioroni ed Enrico Gasbarra) a scrivere a Fazio&Saviano per «segnalare come sia mancata la voce dell’altra scelta» (qui il testo dell’appello). Si associa idealmente Giorgio Merlo (Pd), mentre Pier Ferdinando Casini (Udc), si rivolge ai vertici Rai affinché «diano voce a chi non vuole l’eutanasia». Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha dichiarato di condividere l’invito del direttore di Avvenire e anche lui chiede al Cda della Rai di garantire la voce di chi difende la vita. Si mobilitano anche diverse associazioni, come l’Aiart (associazione telespettatori cattolici). Anche il Tg2, dà immediatamente spazio all’appello e Mattino Cinque si dice disponibile ad ospitare queste storie altrimenti dimenticate. (da Avvenire, Yahoo Notizie, AdnKronos).

Il 21 novembre Souad Sbai (Pdl) è pronta a un’interrogazione parlamentare e Giuseppe Fioroni (Pd) concorda: «Non può passare l’idea che “staccare la spina” sia un atto d’amore illuminato, mentre quello che consapevolmente fanno giorno dopo giorno decine di migliaia di famiglie nel silenzio, nella fatica e nella sofferenza, accudendo malati gravi e gravissimi, sia una scelta dettata da oscurantismo. Questo non può e non deve essere ignorato da una tv che intende promuovere il civismo, scuotere le coscienze e rilanciare la dignità degli uomini e delle donne» (da Avvenire). Interviene anche Marina Corradi, con un giudizio -come al solito- decisamente chiaro (da Avvenire).

Il 23 novembre si muove qualcosa nel palazzo di viale Mazzini (incontri, richieste, appelli e sit in). Il direttore generale Mauro Masi ha infatti chiama il direttore di Raitre Paolo Ruffini per sollecitare che nell’ultima puntata di Vieni via con me, venga dato spazio anche alla difesa della vita. Una richiesta era già esplicitamente arrivata anche da due componenti del consiglio di amministrazione della RAI: Antonio Verro (per la maggioranza) e Rodolfo De Laurentiis (per l’opposizione). Intanto anche gruppi parlamentari dell’UDC hanno sottoscritto una lettera al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, per dirgli che «l’iniziativa promossa dal giornale per dare voce a chi voce non ha è stato subito accolto con il massimo consenso» (qui il testo della lettera). Sempre l’Udc ha promosso una manifestazione davanti alla sede Rai con lo slogan: “Più voce alla vita”, a cui hanno partecipato 32 associazioni per la vita (da Agenzia Asca e Avvenire). Il noto giornalista Antonio Socci ha intanto inviato una bellissima lettera al suo amico Roberto Saviano, che potete trovare su www.antoniosocci.com. Giuliano Dolce, direttore sanitario dell’Istituto Sant’Anna di Crotone (“la clinica dei risvegli”), invita pubblicamente Saviano a visitare la clinica e confrontarsi con lui poiché «quando parla di accanimento terapeutico non ha le idee chiare» (da CN24 e Avvenire). Interviene anche Carlo Verna, segretario del sindacato dei giornalisti della tivù di Stato, dicendo: «bisogna riparare ad un finto pluralismo» (ad Avvenire).

Il 24 novembre Avvenire in primis critica la terza puntata di “Vieni via con me”, avvenuta snobbando la sollevazione popolare, politica e dirigenziale di chi nella seconda puntata non si era affatto riconsociuto nelle parole di Fazio-Saviano (da Avvenire). E mentre Antonio Verro, consigliere d’amministrazione Rai, promette battaglia contro la “trasmissione faziosa”, i parlamentari schierati con l’appello di Avvenire arrivano a 169 (tra Pdl, Lega, Pd e Udc). Il sottosegretario Eugenia Roccella spedisce a Fazio e Saviano una copia del documento del ministero della Salute sugli Stati Vegetativi, frutto del lavoro dei maggiori esperti in materia, e una copia del Libro Bianco, scritto in prima persona dalle associazioni dei familiari di questi disabili gravi, perché si rendano conto che «i disabili in stato vegetativo sono persone con cui si può stabilire una relazione, persone che possono sentire dolore e possono avere elementi di coscienza» (da YahooNotizie e Avvenire)

Il 25 novembre il Cda della Rai approva un ordine del giorno (quasi all’unanimità, 7 su 9) firmato dal consigliere Rodolfo De Laurentiis e sostenuto dalla maggioranza, per far replicare, nell’ultima puntata di “Vieni via con me“, le Associazioni per la vita. Ad esprimersi a favore dell’odg anche il presidente della Rai Paolo Garimberti. Per De Laurentiis «così come il ministro Maroni ha chiesto e ottenuto di replicare a Saviano nella scorsa puntata, chiedo che venga data voce alle associazioni pro-vita in merito al tema dell’eutanasia». Fazio e Saviano si rifiutano blaterando che non vogliono far passare l’idea che la trasmissione sia stata “pro-morte” e «un programma di racconti come il nostro non ha la pretesa, né il dovere, né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni». Peccato però che a Maroni sia stato immediatamente concesso di replicare. Mentre Avvenire commenta le contraddizioni della replica dei due autori pro-death Fazio e Saviano, le reazioni politiche sono durissime (specie dal centrodestra). Per Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, «le argomentazioni di Fazio e Saviano sono ipocrite e contraddittorie» e per Daniele Capezzone, portavoce del Pdl: «Sono laico e liberale convinto, notoriamente vicino alle sensibilità di Englaro e Welby. A maggior ragione, trovo assurdo il “no” di Fazio e Saviano». Il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, afferma: «Fazio e Saviano sono stati chiari: dobbiamo essere liberi di fare propaganda per l’eutanasia, i disabili gravi, se proprio vogliono parlare, vadano altrove» (da Avvenire: Il Cda Rai: parlino i malati. Fazio & Saviano si rifiutano).

Il 26 novembre il direttore di Avvenire scrive un altro editoriale sulla vicenda (da Avvenire). Interviene anche il ministro Sacconi: «Da cittadino e parlamentare non posso che desiderare che abbiano voce quella moltitudine di persone che curano amorevolmente altri soggetti che, pur in una condizione di grave fragilità, hanno bisogno di essere incoraggiati a riconoscere il valore della vita anche in quella terribile condizione». Intanto gli incontri tra il direttore generale della Rai, Mauro Masi, e il direttore della terza rete, Paolo Ruffini, si susseguono (da Avvenire, Sacconi: dare voce ai malati. Ma da Fazio arriva un altro «no»).

Il 27 novembre i due laicisti Fazio e Saviano permangono nel resistere al parere ufficiale del Consiglio d’amministrazione dell’azienda (pubblica) che permette loro di andare in onda. Altri incontri tra il direttore generale della Rai Mauro Masi e il direttore di Raitre Paolo Ruffini (da Avvenire: Il Cda Rai: parlino i malati. Fazio & Saviano si rifiutano).

Il 28 novembre interviene anche il noto scrittore Ferdinando Camon: «Finora la trasmissione aveva la forza d’urto di una verità che voleva apparire tale per tutti. Da questo momento la loro verità si presenta come limitata, partigiana, una porzione di verità» (da Avvenire). Enrico Gasbarra, deputato PD, invia una sua riflessione sulla questione al direttore di Avvenire (da Avvenire), stessa cosa la fa Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, informando il direttore che «ieri il Consiglio dei ministri ha istituito la Giornata nazionale degli stati vegetativi, scegliendo la data del 9 febbraio, giorno della morte di Eluana Englaro» (da Avvenire).


VIENI VIA CON ME/ Fazio e Saviano, chi non la pensa come noi s’arrangi. Che peccato Maestro Yoda - martedì 30 novembre 2010 – il sussidiario.net

Ultima puntata di “Vieni via con me”: inizio per soli fiati, tipo brass band a mo’ di fuga, giusto per marcare subito il territorio, sottolineare che loro fanno un programma di élite che riesce a farsi guardare da 10 milioni di persone... poi Fazio si toglie subito alcuni sassolini dalle scarpe, con il sorrisetto di quello che dall’alto dei suoi ascolti può dire oramai quello che vuole. Così si permette di sfottere i “pro-life” affermando che è un nome assurdo perché presupporrebbe l’esistenza dei “pro-morte”. E così si toglie dai piedi tutto il dibattito su Englaro e Welby, su cui per la verità sia Aldo Grasso che Giuliano Ferrara hanno detto cose sensate, implorando di rappresentare anche la realtà dell’eroismo di chi fa ogni giorno scelte diverse. Delle proteste dei cosiddetti “pro-life” se ne sbatte ampiamente, così come di un ordine del giorno del Cda Rai votato a maggioranza anche dal presidente. È proprio vero, come ha scritto Grasso, che in questa occasione si rischia di sbagliare tutti. Come è pensabile infatti che un Cda entri nel merito delle scelte editoriali dei programmi... è un precedente pericoloso! Ma come è pensabile che su un tema tanto delicato non si sia ritenuto di dar voce, in forma poeticamente autorale, ad una sensibilità del tutto diversa?

E invece no, la risposta secca è stata che la loro tv è fatta di racconto. Se ad altri piacciono altri racconti, facciano altri programmi: e qui si è toccato il vero tasto dolente. Perché “Vieni via con me” ha dimostrato che esiste una parte del mondo dello spettacolo capace di raccontare in tv storie emozionanti a base di parole, sentimenti, immagini, pochi effetti speciali, bella musica, pur parteggiando palesemente per un approccio culturale radicaloide, laicista, relativista. Mentre “l’altra parte” sa partorire solo i Vespa, i Paragone, i Bagaglino... e quindi pur avendo molte ragioni sembra incapace di toccare le corde del cuore se non attraverso la strumentalizzazione di eventi choccanti, la spettacolarizzazione della politica o la comicità da avanspettacolo. Così sembra andare il mondo televisivo.

Ma parliamo dei dettagli: parte il primo elenco con tutte le cose di cui siamo fatti, vale a dire gli oggetti e i volti delle persone che hanno fatto la storia del cinema, della politica, del giornalismo, dello spettacolo e della letteratura italiani. Molte le citazioni degli uccisi per strage o dai terroristi... così non si può obiettare niente, nemmeno se qualche ingrediente del cocktail può risultare indigesto o per nulla condivisibile.

Saviano rievoca il terremoto, fa provare cosa significano 37 secondi ininterrotti di paura. Racconta cosa è successo nella casa dello studente. Vittime del terremoto? No, vittime di lavori fatti male, secondo lui, come dimostrerebbe la perizia della Procura. La sorella di un ragazzo morto legge la perizia... eccoci alla capacità di impiegare drammaturgicamente anche la lettura di un documento burocratico... altro che pistolotto di Maroni! Se fosse confermata, quella perizia sarebbe il simbolo dei lavori fatti male solo per guadagnare tangenti sugli appalti o per avere consenso politico... Saviano dice delle amare verità che susciteranno nuove polemiche... certo il rischio di generalizzare è forte, ma come non essere d’accordo in questo caso nella stigmatizzazione dei metodi di chi ha speculato su ogni cosa fregandosene della vita e della morte?

Man mano che la trasmissione va avanti, però, l’ideologia e il partito preso si fanno sempre più evidenti. Come nel caso di una coreografia che evoca festini selvaggi di personaggi sempre più sguaiati e pazzi, allegoria di potenti arricchiti indifferenti al dolore che hanno procurato rubando, dediti ad ogni voracità e perversione... e ogni riferimento a Wikileaks non è per nulla casuale.
Entra il Premio Nobel Dario Fo, che elenca le cose che il Machiavelli diceva ai governanti istruendoli su come si faceva per mantenere il potere... dette con sguardo di intenzione per alludere alle stesse turpidini messe in atto da chi gestisce il potere ai giorni nostri. E qui anche gli sguardi di intesa di Fazio si sprecano.

Da questo momento in poi c’è uno dei momenti più mosci della trasmissione: rappresentanti di Onlus tutti appartenenti al loro stretto “giro” leggono elenchi delle tristezze del mondo osservate facendo le loro opere di bene... altre Onlus, ben più rilevanti e importanti, non ci sono... (si facessero fare un programma da qualcun altro. Ecco un bell’esempio dell’uso del potere televisivo). E figuriamoci se non c’era Emergency... Poi gli ovvii pensieri di una mamma che attraversa Napoli per portare i bimbi a scuola come in una gimkana tra buche e spazzatura. Potevano mancare anche gli ovvii pensieri di una ricercatrice sul tetto contro la riforma universitaria? E l’elenco di incredibili banalità sulla scuola lette dallo scrittore Domenico Starnone? No. E purtroppo non ci hanno risparmiato nemmeno l’immancabile don Luigi Ciotti, capace di fare un pistolotto proprio simile a quello di Maroni. Ma come, non si invitano i “pro-life” ...ma gli amici del loro giro sì! Che importa se sono professionisti del presenzialismo volontaristico televisivo, che importa se gli si lasciano dire con voce tremante banalità come “legalità vuol dire umanità”?

Sorpresa: entra il Procuratore nazionale antimafia Grasso, che dice con evidenti difficoltà di parola cosa serve per battere la mafia, ma il tono e lo stile sono gli stessi di Maroni, e inoltre il suo pistolotto è davvero troppo lungo e retorico... si vede che la terza puntata che ci è piaciuta quasi tutta, è stata concepita in un irripetibile stato di grazia, il che dimostra che 4 puntate sono fin troppe e il format a lungo non regge.
Inoltre Grasso critica apertamente la riforma della giustizia... e meno male che Fazio aveva appena dichiarato che la sua non era una trasmissione politica, motivo per il quale non avrebbe accolto le istanze dei “pro-vita”...

Daniele Silvestri canta una assai modesta canzone inedita su uno che vuole andare via, mentre pupazzi umani tristi si dibattono come in crisi epilettica. A proposito, nemmeno quanto a musica si riesce a tenere il livello della terza puntata. Poco emozionanti infatti De Gregori e Elio, purtroppo come minestre riscaldate. Unica punta, l’improvvisazione finale di Bollani. Intermezzo comico di Cornacchione che legge le più modeste battute di Berlusconi: l’intento è evidente, ma almeno Guzzanti non se l’era presa solo con il Premier. La sensazione è che visto il clima generale si siano sentiti autorizzati a stare da una parte sola...

L’ultimo monologo di Saviano inizia glorificando gli studenti che occupano i monumenti. Sostiene che chi li occupa difende la Costituzione che invoca il pieno sviluppo della persona umana e il diritto allo studio per i meritevoli. Mah! Il colpo di teatro è il brano sul tariffario del voto di scambio... davvero sconcertante, se vero. 
Poi spiega che non fa paura chi racconta le storie, ma i milioni di persone che le ascoltano e le ripetono. Ma mentre riflettiamo sul significato civile di questa affermazione, Saviano raggiunge il vertice dell’ineffabile affermando che il racconto di Welby era una storia d’amore e non di morte. Che raccontare quella storia era anche un atto di rispetto verso chi la pensava diversamente... e qui proprio non ne abbiamo potuto più: tutta la poesia, la capacità drammaturgica di quello che poteva essere un bel programma si sono trovate a naufragare miseramente nella difesa ad oltranza del proprio pregiudizio ideologico e della propria verità intesa come unica e sola. Peccato. Peccato davvero.


Avvenire.it, 30 novembre 2010 - I malati, i no di Fazio e Saviano, e altri sì - Il coraggio che è mancato di Marco Tarquinio

Il "no" ormai era chiaro. Già televisivamente consumato sin da lunedì 22 novembre, quando Fabio Fazio e Roberto Saviano avrebbero potuto ascoltare, semplicemente, le tante voci inascoltate e ferite dei malati e delle loro famiglie che si erano alzate dopo la seconda puntata di "Vieni via con me". Si erano alzate in modo appassionato e persino irato, ma civile e ben comprensibile a tutti, e si erano rivolte per prima cosa all’unico giornale, questo, che da anni – senza chiedere ad alcuno certificati di battesimo e professioni di cattolicità – garantisce loro rispetto, considerazione e sostegno, e dà loro spazio e risalto ogni volta che ce n’è motivo (e ce n’è sempre). Allora, otto giorni fa, il Cda Rai non aveva ancora deciso di premere su Fazio e Saviano, e loro avrebbero potuto accogliere appelli "dal basso" e culturalmente e politicamente multicolori e non ancora richieste aziendali "dall’alto". Avrebbero potuto, e non hanno voluto.

Avrebbero potuto, e non hanno voluto, liberamente riconoscere e liberamente far parlare le storie che nella loro "narrazione" italiana di successo avevano dolorosamente ignorato (e il dolore è dei malati e dei loro cari, non nostro; nostro è stato – da subito e, via via, di più – lo sconcerto...). Avrebbero potuto, e non hanno voluto, Fazio e Saviano, far dire queste storie di lotta e di speranza dopo aver raccontato e fatto raccontare solo e soltanto storie di infermità e di disabilità vissute e viste con disperazione, dopo aver fatto un elenco di vite sofferenti e inabili e concluse da una morte invocata e ottenuta (Piergiorgio Welby) e da una morte procurata (Eluana Englaro).

A loro, a Fazio e Saviano, abbiamo girato, giorno dopo giorno, per quasi due settimane, l’invito vero di tanta gente vera. Lo stesso rivolto a tutti i colleghi di giornali, radio e tv, soprattutto (ma non solo) del servizio pubblico radiotelevisivo. «Fateli parlare». E non pochi colleghi – in Rai, a Mediaset e altrove, – han dato e stanno lavorando per dare loro la voce che chiedevano. Nulla di più di questo, senza invasioni improprie né improprie spettacolarizzazioni. Perché noi tutti abbiamo bisogno di sapere che c’è chi si batte col male e con le disabilità, non dice basta e riesce persino a vincere (almeno un po’), ma – a ragione – chiede di più alla nostra civile società e alla nostra civile amministrazione, a volte ai mass media e sempre a se stesso. Perché quelle sono storie di vita, di fatica e di tenacia, non affermazioni di principio. Sono vicende di persone, di famiglie e di comunità, non programmi di partito e di movimento. Sono fatti, non mere opinioni.

Ma ieri mattina è arrivata, ben prima dell’ultima andata in onda tv (e riecheggiando, a sera, al principio di essa), la più sfottente e insistita alzata di spalle. L’insulto che non ti aspetti: il più radicale non-riconoscimento. In forma d’intervista, sulle pagine di "Repubblica" (e io mi ostino a considerarlo sorprendente anche se non pochi lettori o frequentatori del nostro sito internet continuano a rimproverarmi perché attribuisco, e non da oggi, a quel giornale dalle opinioni nette e dalle battaglie decise, anche «una seria tradizione di oggettività»…). Ecco la domanda, di Curzio Maltese: «Come si spiega che il Cda Rai abbia chiesto di far replicare a un’esperienza di vita con un comizio ideologico di un movimento integralista cattolico?». Ed ecco la risposta di Fabio Fazio: «Accettare quella replica dei Pro Vita avrebbe significato ammettere che Mina Welby e Beppe Englaro avevano parlato in favore della morte. Non esiste direttiva Rai che possa impormi un’assurdità del genere». In un’intervista, le domande contano tanto quanto le risposte e, a volte, persino di più. Qui ce n’è una prova fulminante: «Comizio ideologico di un movimento integralista cattolico», si sentenzia. E l’intervistato replica con sdegno.

Ma dove sarebbe il movimento puramente confessionale in questione? Dove l’integralismo? E in che senso, di grazia? Ma soprattutto: perché ridurre tutto a una massa indistinta e vagamente, anzi integralmente, minacciosa? Mi verrebbe da dire: perché, quando disprezzi qualcuno, per prima cosa non lo riconosci, ne cancelli il nome e gli neghi l’identità, gli cali addosso la categoria che ti fa comodo: rom, pro-vita, crumiro, ebreo, fascista, musulmano, comunista, prete, clandestino, cattolico… Mario Melazzini, medico, malato di Sla e presidente dell’associazione che riunisce questi malati non è un nome da pronunciare. Fulvio De Nigris e la sua "Casa dei risvegli" nemmeno. Max Tresoldi neppure.

E non sono nomi neanche quelli dei portavoce delle 34 associazioni di malati e familiari che si sono rivolti anche a Fazio e a Saviano, oltre che a noi e a tutta la libera stampa e alla libera televisione italiane. Non è un nome, stavolta, neanche Avvenire. E invece noi – come i malati, come le loro famiglie – gli interlocutori li abbiamo chiamati per nome, li abbiamo interpellati e rispettati. E con rispetto e chiarezza anche oggi, ancora una volta, diciamo loro che il loro «no» è sbagliato. Che non ammettere e non riconoscere, proprio mentre si fa «tv nuova», è sbagliato. È essere faziosi. Peccato. Altri per fortuna, anche in questa complicata e spesso cinica tv, hanno avuto – e avranno – coraggio. Più coraggio di loro.


Avvenire.it, 30 novembre 2010 - Le ricadute dei tagli all’istruzione umanistica - L’immaginazione medicina contro la crisi di Roberto Mussapi

La filosofa statunitense Martha C. Nassbaum, docente all’università di Chicago, pubblica sul Times Literary Supplement un lungo e interessante articolo sulla situazione degli studi umanistici a livello internazionale (cui aveva parlato anche in una recente intervista ad Avvenire). Il ben documentato studio è incentrato sul tema della crisi che riguarda gran parte del mondo, crisi notoriamente economica ma, a parere (fondato) della Nassbaum, crisi culturale, spirituale, che se non arrestata rischia di precipitare in crisi morale, ontologica, insomma in una voragine autodistruttiva. L’autrice si riferisce a tre aree molto vaste: l’Europa, l’Asia (con maggiore attenzione all’India, perché più simile all’Occidente per tradizioni scolastiche) e gli Stati Uniti.

Parla di una crisi appunto molto più ampia di quella puramente economica, e prosegue: «Sono in corso cambiamenti radicali in quello che le società democratiche insegnano ai giovani, e su questi cambiamenti non si riflette abbastanza. Attirati dal profitto, molti Paesi, e i loro sistemi scolastici stanno escludendo alcuni saperi indispensabili a mantenere viva la democrazia. Se questa tendenza continuerà, gli Stati di tutto il mondo produrranno generazioni di macchine docili, utili e tecnicamente qualificate, invece di cittadini a pieno titolo, in grado di pensare da soli, mettere in discussione le consuetudini, e comprendere le sofferenze e i successi degli altri». L’inseguimento esclusivo dei beni materiali , che il grande poeta indiano Tagore definisce il nostro "rivestimento", va a scapito dell’immaginazione che rende umani.

La conoscenza non è garanzia di buona condotta, prosegue l’autrice, ma l’ignoranza garantisce una condotta cattiva. Il taglio agli studi umanistici si è registrato con l’apparire della crisi economica, taglio drastico in Asia ed Europa, meno grave ma serio negli Stati Uniti. L’immaginazione, che si coltiva con gli studi umanistici considerati optional, è ingrediente fondamentale per resistere e rinascere. «Un elenco di fatti, senza la capacità di valutarli, può essere dannoso quanto l’ignoranza». La Nussbaum prosegue indicando come il taglio all’istruzione umanistica, agli studi sulla letteratura, la poesia, e l’arte, sia generale e cieco, quasi a estirpare un’erba inutile, la cui bellezza persino ormai tende a sfuggire. La sua preoccupazione non è poetica: non è un artista che difende il proprio mondo. Il che sarebbe legittimo, ma meno significativo. È uno studioso della società che ne vede l’incancrenirsi.

Vede la crisi culturale e spirituale come causa prima di tutto. È un’ analisi precisa e chiara. Si taglia l’immaginazione per salvare l’economia, e si manda a picco il mondo. La versione concreta, valutabile, di un fenomeno più profondo e subliminale, che ne è a mio parere alla base: l’oblio, lo sgretolamento del sacro, che caratterizza il Novecento, il secolo alle spalle. Dove non a caso le punte di resistenza sono poeti, artisti, o grandi figure religiose. La studiosa americana sottolinea con precisione una tendenza perversa e suicida dei governi di tre quarti del mondo a tagliare l’immaginazione che ci fa liberi, a tagliarla di fatto, concretamente, nei programmi di insegnamento. E predice, giustamente, rovina.

Un anno fa il Pontefice riceveva  noi artisti perché da tempo la Chiesa aveva compreso questo nodo di importanza assoluta: la difesa dell’immaginazione significa difesa dello spirito, della libertà, condizioni essenziali perché gli uomini possano degnamente lottare per la vita, anche nei suoi sacrosanti aspetti pratici ed economici.


«Le persone che amano stanno vicine al tuo dolore» - La mamma di un bambino in stato vegetativo: i suoi fratelli e i compagni di scuola lo sostengono, sanno che Daniele è vivo - A quattro anni, per una caduta in piscina, il piccolo ha subito un’anossia da annegamento Da allora viene accudito notte e giorno DI GIANCARLA SAGLIO DOMINONI – 30 novembre 2010

«Giancarla, tu sei troppo coin volta! » L’amico per telefono mi lancia questo schiaffo vio lento, a mano aperta, sul viso, quasi a dir mi che nella mia condizione non posso es sere obiettiva. Ho appena cercato di spie gare, con la pochezza umana delle parole, quanto sia stato doloroso vedere che a Bep pino Englaro è stato concesso tanto spazio per cercare consensi e compren sione al gesto estremo di togliere la vita alla figlia, mentre è stata ne gata la possibilità di replica a chi continua, giorno dopo giorno, a combattere per questa vita pur co sì difficile. «Tu sei troppo coinvolta». Certo che lo sono. Mio figlio Daniele, quando aveva quattro anni, per u na caduta in piscina ha subito un’anossia da annegamento e da sette anni è in stato vegetativo. Da sei anni lo assistiamo in casa, aiu tati dagli altri due figli, dai terapi sti e dai volontari che hanno im parato ad amarlo, pur nel suo sta to di silenzio. Lo assistiamo giorno e notte: dopo giornate intense che si srotolano tra fisioterapia, logo pedia, alimentazione, visite, igiene personale, io e mio marito ci alzia mo quattro o cinque volte a notte, se va bene; se va meno bene, anche una decina.

E non devo sentirmi coinvolta, quando sento dire – da chi non ha mai accudito un solo giorno a ca sa la propria figlia – che chi si pren de cura di queste persone le vio­lenta?

Non ditemi che il gesto di Englaro è stato d’amore. Le persone che a mano ti stanno vicino, nel mo mento del dolore e della sofferen za, anche se lo strazio è enorme, anche se ti senti come se un carro armato ti passasse sul cuore, an che se dieci volte al giorno pensi che non ce la puoi fare, anche se continuamente vorresti essere tu al suo posto in quel letto. È la disperazione e non l’amore che porta a chiedere la morte; è l’incapacità di accet tare che la vita può cambiare anche tragi­camente. Posso capire, ma non condivide re.

Amore è la dolcezza di mia figlia Donata, di ciottenne, che al mattino prima di andare a scuola viene allegramente a salutare il fra tellino, o dice a me e mio marito di uscire una sera perché con Daniele ci sta lei. A more è la delicatezza di mio figlio Stefano, di ventiquattro anni, che mi aiuta a spo stare Daniele per e vitarmi la fatica o che mi accompagna nel le visite per suo fra tello. Amore è il so stegno e l’aiuto con tinuo di mio marito che in tanti anni di fatica, dolore, ma – lasciatemi dire – an che di gioia, non ho mai visto perdere la pazienza. Amore è quello che vedo negli occhi delle tante persone che in modo gra tuito e continuo si prodigano ad aiutarci e che dicono di ricevere da Daniele molto più di quanto danno.

Il mio pensiero va ai tanti bambini, com pagni di quella scuola che Daniele, pur in «stato vegetativo», ha continuato a fre quentare: sono le sue mani, quando lo gui­dano e lo aiutano nei lavoretti scolastici; sono i suoi passi, quando con naturalezza spingono la sua carrozzina.

Il mio pensiero va ai tanti amici dei miei fi gli maggiori: hanno continuato a frequen tare la nostra casa dopo l’incidente e con la loro presenza li hanno sostenuti. Nel tem po sono aumentati e spesso si trovano da noi a studiare o a vedere una partita. San no che Daniele è parte importante della no stra famiglia – vorrei dire il fulcro – e lo ve dono per quello che è: un bambino spe ciale. E tra loro c’è chi si offre di aiutare. Ma la cosa interessante, riferitami da mia figlia, è che, quando tra loro si è parlato del caso Englaro, nessuno di questi ragazzi aveva capito che la situazione fosse la stessa (nes suna macchina, nessuno stato terminale) «perché – dicevano – tuo fratello è vivo».

E allora sì, sono veramente «troppo coin volta » e conosco troppo bene il vivere quo tidiano con Daniele per non aver diritto di affermare che le persone come lui vivono, semplicemente «vivono», e hanno tutti i di ritti di farlo. Non rendiamoci responsabili di indurre i nostri giovani a credere che la vita sia tale solo a determinate condizioni: sarebbe devastante per chi negli anni futuri dovrà confrontarsi anche con dolori e dif ficoltà.



Asia Bibi, congelata la grazia: ora il processo - «Completare i tre gradi di giudizio» Si attende la data della prima udienza - I cristiani pachistani vogliono dimostrare, insieme all’innocenza della donna, anche l’ingiustizia di procedimenti basati spesso su accuse false - DA BANGKOK STEFANO VECCHIA – Avvenire, 30 novembre 2010

G razia presidenziale al momento “con gelata” per Asia Bibi e processo d’ap pello che sembra sempre più vicino. Sul cui avvio i giudici dovrebbero pronun ciarsi il 6 dicembre. Ieri, a seguito alla petizione di alcuni avvocati che hanno chiesto il rispetto delle procedu re per arrivare a un atto presidenziale, l’Alta Corte di Lahore ha emanato un provvedi mento di sospensione della condanna e ha notificato gli esiti dell’istanza agli uffici pre sidenziali federale e provinciale del Punjab, provincia di residenza e di carcerazione di A sia Bibi, di cui Lahore è capoluogo. La grazia può essere concessa, vi si afferma, solo a com pletamento dei tre gradi di giu dizio. Gli avvo cati di Asia Bibi attendono, a questo punto, la data della prima udienza del nuovo processo. Nessuna scor ciatoia, quindi per giungere a una assoluzione piena che si spe ra alla fine premierà le attese della famiglia e l’impegno di tanti a favore della donna in car cere da un anno e mezzo. Un eventuale prov vedimento di grazia potrebbe essere succes sivo a una nuova condanna, anche se la du ra opposizione dei radicali musulmani asso ciati a quella degli avvocati del foro di Laho re non potrà passare in secondo piano per il presidente Asif Ali Zardari che su di sé ha an che la pressione internazionale.

Nuove indagini e un nuovo processo è quan to chiedono da tempo i cristiani pachistani e i gruppi che si battono per i diritti umani. Obiettivo, quello di dimostrare, insieme al l’innocenza di Asia Bibi, anche l’ingiustizia di procedimenti basati perlopiù su accuse non sostenute da prove e sovente alimentate da interessi di ben altra natura che la difesa del la fede islamica. A dimostrarlo le dichiara zioni di monsignor Sebastian Shaw, vescovo ausiliare di Lahore rilasciate all’agenzia Fi des:

«Siamo favorevoli al processo perché vo gliamo che Asia sia dichiarata innocente u na volta per tutte, senza alcuna macchia e senza ambiguità. Perché vogliamo disinne scare le polemiche sollevate dagli estremisti islamici e depotenziare le loro sollevazioni popolari. Continuiamo a seguire il caso e a re gistrare i consensi e la simpatia di larghi set tori della società civile, inclusi molti musul mani ». A incoraggiare la Chiesa pachistana nel suo cammino per il dialogo e la giustizia è stata anche la recente visita del cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Con siglio per il dialogo interreligioso. «Ringra ziamo il Papa per aver inviato il cardinale Tau ran a vedere da vicino la nostra situazione e ad ascoltare i nostri problemi, con grande partecipazione», ha riferito monsignor Shaw. La pace, tuttavia, resta lontana. I cristiani con tinuano infatti ad essere sotto pressione. A Karachi, maggiore metropoli del paese, il ma trimonio fra un giovane cristiano e una coe tanea musulmana è stati pretesto per atti in timatori e tensioni alimentati da estremisti musulmani, mentre si è saputo ieri che a qua si un mese dall’aggressione restano precarie le condizioni di un 19enne protestante del Punjab incarcerato in attesa di giudizio per blasfemia e lapidato dai compagni di cella.